C i n q u e

L'Università che i ragazzi frequentavano era tra le più conosciute e prestigiose in tutta Seoul, frequentata principalmente da ragazzi d'élite, figli di ex studenti oppure possessori di borsa di studio.

Si trattava di un vecchio ed elegantissimo edificio che si ergeva al centro della città, sgomitando in mezzo agli ampi palazzi di vetro e cemento che a momenti sembravano risucchiarlo.

Appariva quasi come uscito da un'altra epoca, con i suoi curati spazi verdi per gli studenti, i numerosi complessi sportivi, e la struttura quasi totalmente fatta di marmo bianco.

Offriva agli studenti tutti i possibili piaceri, oltre ad avere locations di studio e attività sportive a dir poco strepitose.
Lee Minho – così come i suoi migliori amici – era uno di quegli studenti meritevoli che grazie alla borsa di studio ottenuta, aveva avuto la fortuna di poter studiare in un così benestante ateneo.

Purtroppo per i randagi, la maggior parte degli altri studenti erano invece di quel ceto sociale alto che aveva permesso loro di essere ammessi solo grazie allo status della loro famiglia.

Minho entrò nell'ateneo quando ancora mancava un'ora all'ufficiale inizio della prime lezioni, e una volta arrivato davanti all'ingresso principale, voltò a destra addentrandosi in una delle aree verdi che in assoluto preferiva.

Si trattava di due ampie strisce di curato prato verde, separate da una larga stradina in mattoncini bianchi, che in quel momento Minho stava attraversando con passo svelto.

Sparse lungo il prato era possibile trovare panchine da picnic – per permettere agli studenti di pranzare all'aria aperta, piuttosto che in mensa – sistemate appositamente sotto l'ombra delle ampie querce che si ergevano in quella zona.

«Meglio tardi che mai, stronzo» lo accolse dolcemente la voce contrariata di Hyunjin, voltandosi verso di lui solo per lanciargli uno sguardo pieno di rammarico.
Minho sorrise.
Chiaramente la notte non era riuscita a fargli passare l'incazzatura della sera precedente.

«Mi aspetti da molto dolcezza?» gli domandò con sarcasmo l'altro, passando alle sue spalle ed accarezzandogli i lunghi capelli neri, solo per infastidirlo.

Il ragazzino sbuffò in malo modo, mentre Minho – con un sorrisetto stampato sulle labbra – andò a sedersi accanto a Chan.

Il maggiore del gruppo stava seduto sul morbido prato, con la schiena abbandonata contro la panchina di legno; Hyunjin e Changbin invece, davanti a lui, stavano giocando tra di loro passandosi con fare annoiato un pallone da calcio.

«In realtà – mormorò Chan osservando il cielo, con il quaderno degli appunti aperto sulle ginocchia – Siamo qui da pochi minuti».
Hyunjin sbuffò.
«Pur sempre alcuni minuti prima di lui» puntualizzò il minore.

Quando si impegnava, Hyunjin sapeva essere la spina sul fianco più noiosa e dolorosa che loro avessero mai conosciuto.
Minho annuì con fare annoiato, ascoltando la risatina del maggiore al suo fianco.
I suoi occhi scivolarono inconsapevolmente sulla figura silenziosa di Changbin, scoprendo l'amico con gli occhi già puntati su di lui.

Teneva una gamba sollevata, con il pallone ben fermo sotto il suo piede, e lo osservava da sotto i ciuffi di capelli scuri che spuntavano dalla visiera del suo berretto – anch'esso nero.
Se mai qualcuno avesse voluto usare un colore per descrivere Changbin, quello sarebbe senz'altro stato il nero.

Minho giurava a se stesso – in anni di amicizia – di non averlo mai visto indossare capi colorati, eccezion fatta per l'uniforme scolastica che era costretto ad indossare.
Questo, e l'aria da duro che aveva sempre stampata sul viso, lo facevano sembrare un vero e proprio delinquente, per chi non lo conosceva.

«Non hai niente da dirmi Minho?» domandò Changbin con espressione neutra, come se effettivamente si trattasse di qualcosa che non lo riguardava affatto.
Ma Minho sapeva.

Per lui – che lo conosceva forse meglio di chiunque altro – non era passata inosservata la piccola ma presente variazione di tono nella voce, o il leggero tremolio quando aveva pronunciato il suo nome.

La mano destra era infilata dentro la tasca degli eleganti pantaloni color fumo dell'uniforme, ma il maggiore era quasi certo che essa fosse chiusa a pugno, in attesa delle parole tanto temute.

Minho sapeva cosa stava aspettando di sentirsi dire, ma non trovò la forza dentro di sé per parlare subito.
Sapeva quanto sarebbe stato devastante per lui.

L'ennesima azione fatta senza pensare, che portava con sé delle conseguenze disastrose che non aveva tenuto in considerazione; era principalmente questo il peggior difetto di Changbin.
Era irruento ed impulsivo, e questo sarebbe con il tempo stato la sua rovina, se non fosse avvenuto un cambiamento.

Nel mentre che l'amico aspettava una risposta, i ricordi di Minho tornarono a quella stessa mattina, e alle parole che avevano lasciato le labbra che aveva a lungo baciato quella notte.

«Non sono riuscito a proteggerlo Minho» aveva mormorato Jisung nel buio della stanza, seduto scomodamente sul letto, con il viso illuminato dal display del telefono che aveva davanti a sé.
Minho trasalì spaventato, alzandosi di scatto a sedere.

«Cavolo 'sungie, mi hai fatto paura – aveva sussurrato posando il mento contro la sua spalla – Cosa ci fai sveglio?».
Jisung sospirò pesantemente.

«Non sono riuscito a proteggerlo Minho – ripeté di nuovo, come un mantra – Felix ci ha mandato un messaggio poco fa, è dovuto andare al pronto soccorso e gli hanno messo il gesso, aveva la caviglia rotta» aveva aggiunto, voltandosi verso il maggiore e porgendogli il telefono.
Aveva gli occhi bassi, vacui e pieni di silenziosi sensi di colpa.

Minho lesse velocemente le parole del giovane australiano, sentendo il peso che gli si era formato al centro del petto – che non lo aveva lasciato libero neanche un istante dalla sera precedente – diventare un po' più concreto e pesante.
Come un macigno.
Era sorpreso? Per niente.

Quella caviglia aveva un pessimo aspetto quando l'avevano lasciato nella sua camera da letto e Minho era quasi certo del fatto che fosse rotta, ma aveva sperato di sbagliarsi un po' per il bene di tutti.
Così non era stato purtroppo.

Per non allarmare nessuno aveva tenuto per sé i propri pensieri e dubbi, sapendo che tanto – se avesse avuto bisogno – Felix avrebbe chiamato.

«Cosa dovrei fare adesso?» aveva sussurrato Jisung, portandosi una mano alla gola, come se facesse fatica a tirare fuori quelle parole tanto sofferte.
Minho gli cinse affettuosamente le spalle, stringendoselo al petto e posandogli le labbra contro la fronte lasciata scoperta dai ciuffi di capelli disordinati dal sonno.

«Non devi fare niente Jisung, solo stare accanto al tuo amico e dargli il maggior supporto possibile in questo momento – mormorò contro la sua pelle, parlando a voce bassa, temendo che Jisung potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro – So come ti senti nei loro confronti, essendo il più grande, ma indipendentemente da tutto non potrai sempre proteggerli da qualsiasi cosa, il tuo compito è star loro accanto e guidarli, tutto qui».

Jisung annuì lentamente, cullato dalle parole del maggiore.
Non sapeva davvero come avrebbe fatto, senza Minho al suo fianco.

«Ti posso assicurare, che Changbin non gli farà più del male, non devi temere per questo».
«Tienilo lontano da Felix!» sbottò improvvisamente Jisung, irrigidendosi improvvisamente al solo udire quel nome.

Minho sospirò, quando gli tornò alla mente l'immagine di Changbin che riemergeva dal buio dello spiazzo con la bicicletta distrutta di Felix tra le braccia.

Sarebbe stato più complicato del previsto.
«Posso provarci – mentì – Ma non ti posso promettere niente».

«Felix ha la caviglia rotta» disse a brucia pelo, sapendo che indorare la pillola – in quella situazione – non l'avrebbe resa meno amara.

Gli occhi di Changbin tremarono impercettibilmente mentre osservava l'amico, e Minho poté scorgere la mascella irrigidirsi man a mano che quelle parole prendevano un senso nella sua testa.

«Maledizione...» sussurrò Chan portandosi una mano tra i capelli scuri, sollevandosi in piedi ed avvicinandosi lentamente a Changbin.

Il maggiore del loro gruppo difficilmente aveva scatti d'ira nei loro confronti – indipendentemente da ciò che era successo – preferiva di gran lunga parlare con loro, farli ragionare e capire il punto preciso in cui avevano commesso l'errore.

In questo caso c'era ben poco di cui parlare, l'errore era ben chiaro a tutti.

«Mi dispiace – sussurrò Changbin scuotendo leggermente la testa – Non volevo andasse a finire in questo modo, adesso Han Jisung metterà in difficoltà anche voi per punire me».

Chan scosse la testa, posandogli una mano sulla spalla, e stringendo leggermente.

«Sono piuttosto sicuro che Jisung sia furioso in questo momento, ma prende il suo ruolo di Rappresentate fin troppo seriamente per usarlo ingiustamente contro di noi – lo rassicurò – Questa è una cosa che non sarebbe dovuta succedere Changbin, ecco perché dico sempre sia a te che a Hyunjin di riflettere sulle vostre azioni, prima di fare stronzate!» aggiunse.

Changbin annuì, voltandosi verso Minho.

«Sei stato tu a portarlo al pronto soccorso?» domandò, probabilmente desideroso di chiedergli qualche informazione in più sul suo stato di salute.

Minho scosse la testa, sapendo che avrebbe dovuto camuffare un pochino la verità.

«Mi ha mandato un messaggio alle cinque del mattino, avvisandomi che essendo tornata a casa la zia da lavoro, si era fatto portare da lei all'ospedale» mormorò alzandosi in piedi e facendo qualche passo sopra l'erba morbida.

Hyunjin aveva appoggiato la schiena contro la corteccia della quercia accanto a loro, e ascoltava in silenzio senza proferir parola.
Changbin annuì.

«Non era mia intenzione fargli del male, voi lo sapete, non so come comportarmi adesso...» confessò il ragazzo, portandosi una mano ad aggiustare la visiera del berretto.
Calciò nervosamente il pallone, mandandolo lontano.

«Bhe, potresti- » sussurrò Chan.
«Che noioso!» sbottò Hyunjin, interrompendo bruscamente le parole del maggiore.

Si voltarono tutti e tre verso di lui – Changbin con espressione scura e minacciosa – e Hyunjin ricambiò i loro sguardi con un ghigno sprezzante.

«Ormai piangersi addosso non aggiusterà quella caviglia – disse Hyunjin buttandosi sulla panchina di legno, osservando con fare interessato le proprie scarpe – Se ritieni di aver sbagliato, l'unica cosa che puoi fare è prenderti le tue responsabilità e andare a chiedergli scusa – aggiunse, alzando lo sguardo su quello dell'amico – Fai in modo che capisca il tuo pentimento e renditi utile per sopperire alle mancanze che avrà d'ora in avanti a causa di questo infortunio».

«In che senso? - domandò il maggiore confuso, lasciando che si formasse una piccola rughetta al centro della sua fronte – Quali mancanze?».

Hyunjin inarcò le perfette sopracciglia e roteò gli occhi verso il cielo, come se avesse a che fare con un bambino piccolo incapace di cogliere l'ovvio.

«Adesso che ha la caviglia rotta molto probabilmente dovrà usare le stampelle, questo potrebbe implicare per lui qualche problema per raggiungere le lezioni, oppure il cambio dei libri da portare in classe tra una lezione e l'altra» puntualizzò.

I tre amici lo osservarono sorpresi.

«Non è detto che lui oppure i suoi amici te lo permettano – soprattutto il Rappresentante-Han-Perfettino – ma se ti fermi a pensarci, ci sono una marea di cose che potresti fare per aiutarlo e farti perdonare» disse infine con fare saccente, alzandosi in piedi e recuperando il suo zaino, abbandonato sul prato.

Si bloccò improvvisamente, guardandosi intorno.
«Non posso credere a ciò che ho detto, mi sta venendo la nausea» sbottò, allontanandosi dagli amici per raggiungere l'ingresso.

Indipendentemente da tutto, riteneva la puntualità a lezione qualcosa di fondamentale, sarebbe stato capace di lasciar perdere qualsiasi cosa pur di essere in classe con il quaderno degli appunti aperto davanti, prima dell'arrivo del docente.

Gli altri tre rimasero fermi ad osservare la sua schiena mentre si allontanava, con camminata svelta ma elegante.

Hyunjin aveva un modo tutto suo di muoversi e gesticolare, che lo rendeva aggraziato e leggiadro, come se fosse sott'acqua.
Chiunque rimaneva affascinato da lui e dai suoi modi di fare, rimanendo inevitabilmente con gli occhi catturati dalla sua presenza.

In parte era anche questa caratteristica a permettergli di uscire con tante persone, e puntualmente spezzare il cuore ad ognuna di loro.

«Incredibile come si comporti da idiota la maggior parte del tempo – sussurrò Minho – Per poi rivelarsi un genio, nello studio così come nell'analisi delle situazioni e nella loro risoluzione».

Chan annuì lentamente. «Peccato che invece, quando si tratti di analizzare le emozioni umane, sia una frana».

Changbin ridacchiò, recuperando a sua volta lo zaino ed infilandoci dentro il suo berretto nero - nel regolamento dell'Istituto era severamente vietato utilizzare cappelli nelle aule -  camminando poi verso la stradina bianca.

«Non è una frana nell'analizzare le emozioni di coloro che lo circondano, lo sa fare fin troppo bene, la verità è che non gliene frega assolutamente nulla della sofferenza che reca agli altri – chiarì il proprio punto di vista – Probabilmente lo diverte anche».

Chan camminò rapidamente lungo gli ampi corridoi del primo piano, incontrando pochissimi studenti lungo la sua strada; alcuni avevano lasciato in anticipo l'ultima lezione della mattinata, per accaparrarsi i posti migliori in mensa.

Lui non aveva di quei problemi.
Lui e i suoi amici avevano gli stessi quattro posti da sempre, e nessuno osava sedersi su di essi.

Chan non conosceva il motivo di questa riluttanza da parte degli altri studenti – ad occupare quei posti, come se ne fossero spaventati – era piuttosto sicuro di non aver mai fatto il prepotente con nessuno, si sforzava sempre di essere gentile e disponibile con chiunque.

L'australiano scosse vigorosamente il capo, come ad allontanare in via definitiva quei pensieri molesti, aveva altro di cui occuparsi in quel momento.

Aveva passato tutta la mattina alla ricerca disperata di Yang Jeongin – tra un cambio di lezione e l'altro – ma ogni singola volta che uno studente lo mandava in una classe, il ragazzino risultava essersene letteralmente appena andato, per raggiungerne un'altra.

Aveva chiesto talmente tanto di lui durante la mattinata, che agli ultimi tentativi si era beccato qualche sguardo stranito dagli studenti che aveva avvicinato.

Alla fine però, sembrava aver ricevuto – da una giovane e timida matricola – l'informazione che gli serviva.

«Se non erro dovrebbe avere il corso di arte, che finisce poco prima di pranzo, lo frequentiamo insieme – aveva mormorato la ragazzina, osservandolo con grandi occhi neri e sguardo fin troppo entusiasta – La classe è la 12b, nella parte finale del primo piano, vicino agli ascensori».

Per questo motivo – per evitare di perderlo, per l'ennesima volta – aveva abbandonato la sua lezione quindici minuti prima della conclusione, per raggiungere Jeongin prima del suono della campana.

Speriamo di trovarlo, pensò tra sé toccandosi nervosamente la tasca dei pantaloni dell'uniforme, dove poté sentire distintamente la piccola scheda memoria della videocamera del ragazzino.

Gliel'aveva promesso!

Aveva guardato a lungo l'ultimo filmato che Jeongin aveva registrato prima del loro incontro, e Chan aveva sorriso guardando i loro volti ugualmente sorridenti in camera, e i piccoli battibecchi tra i due più giovani di quel gruppo.

Aveva sospirato, di sicuro in quei frame non potevano immaginarsi quello che sarebbe successo qualche istante dopo.

Le immagini non erano chiare e nitide, grazie al penetrante buio che inondava lo spiazzo, ma nonostante le mani tremanti Jeongin aveva inconsapevolmente ripreso il punto preciso in cui Felix cadeva, a causa di Changbin.

Aveva prontamente eliminato il video dalla memoria, non poteva certamente rischiare di lasciare una prova come quella nelle mani di quei ragazzi.

Changbin aveva senz'altro sbagliato e probabilmente sarebbe stato giusto farlo pagare per il suo errore, ma Chan era suo amico ed un suo hyung, non poteva evitarsi di proteggerlo.
Anche se questo significava, fare purtroppo la cosa sbagliata.

Entrò silenziosamente dal retro della classe 12B, cercando di attirare l'attenzione il meno possibile e accomodandosi nel posto più lontano dagli studenti.

La classe era ampia e luminosissima, con ampi e bassi mobili alle pareti, pieni di attrezzatura da disegno.
La classe non presentava banchi, ma solo una quantità innumerevole di sedie sparse lungo l'aula, ognuna con davanti un cavalletto per reggere le tele da disegno degli studenti.

Quella doveva chiaramente essere una lezione di nudo artistico, pensò Chan osservando – non senza un po' di imbarazzo – il giovane modello che posava nudo al centro della classe, circondato dagli studenti di quel corso che disegnavano con concentrazione sulle loro tele.

Forse gli occhi di Jeongin non sono poi così innocenti come ho pensato ieri notte, pensò divertito il ragazzo, sorridendo un poco quando il suo sguardo venne catturato dalla figura del minore.

La bravura di Jeongin era conosciuta in qualsiasi angolo di quell'ateneo – aveva fatto vincere alla loro Università, un'enorme quantità di riconoscimenti, con la sua arte – ma Chan rimase comunque irrimediabilmente attratto dall'eleganza con cui Jeongin scorreva la matita lungo la tela, studiando con occhi attenti e brillanti le linee soavi del corpo del modello.

Teneva la testa lievemente inclinata, con i denti candidi stretti sopra il labbro inferiore, in un chiaro segno di intensa concentrazione.

A tratti sembrava mantenere il respiro, osservando il modo in cui la luce rimbalzava sui muscoli che stava tentando di trasferire su carta, in altri momenti invece dei profondi sospiri lasciavano le sue labbra, scuotendo leggermente il capo per spostarsi dagli occhi i ciuffi di capelli scuri.

La campana che annunciava la fine delle lezioni e l'inizio del primo turno della mensa, suonò allegra, rimbombando anche tra le pareti spesse di quella classe.

Chan sobbalzo bruscamente, facendo stridere rumorosamente le gambe metalliche della sedia, su cui si era accomodato ormai una decina di minuti prima.

Arrossì in modo incredibilmente intenso, quando due o tre studenti si voltarono nella sua direzione, chiaramente disturbati da quel suono.

Era rimasto talmente catturato dalla concentrazione del ragazzino, da essersi spaventato come un idiota per quel suono stridente a cui ormai era più che abituato.

Per fortuna che dovevi tenere un profilo basso Chan, si rimproverò mentalmente, constatando come Jeongin sembrava non essersi minimamente accorto della sua presenza.
Tirò un sospiro di sollievo.

Il modello si era prontamente rivestito, uscendo dalla classe con a seguito il docente e gli altri studenti, mentre il ragazzino che tanto aveva catturato l'attenzione di Chan, era rimasto con gli occhi fissi sulla propria tela, apparentemente aggiungendo gli ultimi dettagli.

«Penso sia stupido dirtelo, visto che probabilmente già lo sai, ma disegni in modo strepitoso» si complimentò Chan alle sue spalle, dopo essersi silenziosamente fatto largo in mezzo alle sedie sparse.

Questa volta fu il turno di Jeongin per sobbalzare, e quando i suoi occhi si concentrarono sulla figura dell'australiano, non sembrò tranquillizzarsi, anzi.
Chan sospirò.

Nonostante le rassicurazioni di ieri notte, ha ancora paura di me.

Non si sarebbe dovuto sorprendere, dopo ciò che Changbin aveva fatto a Felix, chiaramente l'immagine che quei giovani potevano avere del loro gruppo era sicuramente tutt'altro che positiva.

«Non è stupido – sussurrò il ragazzino abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia – Per un artista l'apprezzamento del pubblico è qualcosa di essenziale, ogni singolo complimento è importante, quindi ti ringrazio» mormorò abbozzando un piccolo sorriso, sollevando leggermente lo sguardo.

Si sentiva spaventato e terribilmente in imbarazzo, come tutte le volte che si trovava a doversi relazionare con qualcuno senza la possibilità di nascondersi dietro le spalle di Jisung.

Come se non bastasse, quello non era un qualcuno qualsiasi ma bensì Bang Chan.

Il suo cuore scalpitò agitato.

Siamo a scuola ed è da solo, non ti farà del male, rimuginò tra sé Jeongin prendendo un respiro profondo.
Infondo la notte precedente non sembrava avere cattive intenzioni.

"Non ti farò niente, te lo prometto."
"Sei talmente piccolo."

Jeongin si fece un pochino di coraggio, sollevando gli occhi sul volto dell'australiano, trovandoselo decisamente troppo vicino per i suoi standard.

Bang Chan era bello, davvero bellissimo, come Jeongin mai aveva trovato un ragazzo.

Occhi grandi e dalla linea dolce e morbida, di un caldo cioccolato, le guance dalla pelle liscia e chiaramente curata, erano bucate da due simpatiche fossette che rendevano la sua presenza rassicurante; chiaramente per qualcuno che non fosse introverso come Jeongin.

Vestito sempre in modo molto abbondante quando non indossava la divisa scolastica – come aveva potuto constatare il minore la sera precedente – pantaloni larghi, spesso rotti, e larghe e calde felpe dall'aspetto un po' insolito.

Era senz'altro una personalità interessante, soprattutto all'interno del suo gruppo, per qualcuno dalla mente acuta come Jeongin – che nonostante il suo essere introverso, riusciva in una frazione di secondo ad analizzare chiunque.

«Come mai sei venuto a cercarmi?» gli domandò a bruciapelo, spostando lo sguardo dal suo viso ed iniziando a conservare tutto il suo materiale; per quanto si sforzasse, faticava davvero a mantenere il contatto visivo con Bang Chan.

Il maggiore d'altro canto, era rimasto fermo a ricambiare quello sguardo, sorprendendosi della concentrazione con cui Jeongin – in pochi istanti – aveva scansionato ogni lineamento del suo volto, come se lo stesse disegnando su carta.

Chan si era sentito esattamente come quel modello che fino a qualche minuto prima, stava posando difronte a quella classe di arte. Jeongin l'aveva messo a nudo senza togliergli mezzo indumento.

Doveva senz'altro essere un talento quello.

L'australiano recuperò dalla tasca dei pantaloni scuri, la piccola memoria della telecamera del minore, tenendola tra le dita e mostrandola al più piccolo.

«Ti stavo cercando per restituirti questa – sussurrò con un sorriso, notando subito il volto del minore illuminarsi – Ti avevo promesso che te l'avrei riportata stamattina, sono stato di parola».

Non si era permesso di aprire gli altri video presenti in quella memoria, ma dalle anteprime si poteva constatare fossero tutti video con i suoi migliori amici e neanche uno – cosa che aveva altamente sorpreso Chan – con la sua famiglia.

Quella piccola e apparentemente insignificante scheda, doveva avere un infinito significato per lui.

«Ti ringrazio tanto hyung» esclamò pieno di entusiasmo Jeongin, facendosi trasportare da quel senso di pace che l'aveva assalito guardando quel piccolo oggetto tra le mani del maggiore.
Non sperava minimamente di rivederlo.

Sollevò gli occhi sul viso dell'altro, trovandolo per l'ennesima volta decisamente troppo vicino.

Si osservarono in silenzio, con in sottofondo il vociare allegro e scostante degli studenti che si avviavano in mensa, ma stranamente nessuno dei due parve provare imbarazzo.

Chan era troppo concentrato ad osservare quei grandi occhi da bambino, che la notte prima a causa del buio aveva ammirato solo in parte, apprezzando la genuinità con cui lo stava osservando in quel momento.

Non c'era paura, non c'era disagio o rabbia, c'era solo l'entusiasmo di riavere indietro qualcosa a cui teneva, ma soprattutto Chan notò una piccola punta di gratitudine per la promessa mantenuta.

«Sei talmente carino» sussurrò Chan incapace di trattenersi, senza pensare minimamente al significato intrinseco che quelle parole avrebbero avuto.

Erano un commento senza malizia.
Avrebbe detto la stessa cosa anche ad un bambino.

Jeongin arrossì in modo talmente intenso che per un istante temette che la sua testa potesse implodere, e con uno scatto si sollevò dalla sedia divenuta improvvisamente incandescente – così come le sue guance.

«Ti ringrazio davvero tanto per avermela riportata – balbettò confusamente, inchinandosi svariate volte in segno di ringraziamento – Ma penso proprio che i miei amici mi stiano aspettando per il pranzo» aggiunse, prendendo con delicatezza la piccola scheda, impegnandosi per toccare il meno possibile la mano del maggiore.

Chan annuì perplesso.

«Ti serve un aiuto per portare quell'attrezzatura?» gli domandò gentilmente, non riuscendo a capire quell'assurda reazione da parte del minore.

Infondo, cosa mai poteva aver detto di così sbagliato?

Jeongin negò vigorosamente.

«Tranquillo, non serve, sicuramente mi verrà incontro Jisung» mentì, scappando dalla classe e mormorando un veloce "Ciao Chan hyung" in direzione del maggiore.

Corse per quel corridoio affollato come se avesse il diavolo alle calcagna, quando invece aveva solo un giovane australiano con le fossette e dei modi tanto gentili.

Sei talmente carino.

Jeongin scosse la testa.
Doveva assolutamente stare lontano da Bang Chan.

Seungmin osservò senza una precisa espressione il vassoio pieno di cibo della mensa, giudicando aspramente quello che vi era sopra.

Ricordava ancora con tanto affetto i piatti fantasiosi e gustosi che la sua balia - quando era un bambino, sempre solo e con genitori assenti - gli preparava di ritorno da scuola.

Anche se adesso era un adulto e lei non lavorava più per la sua famiglia, ogni tanto la donna continuava a raggiungerlo a casa per preparargli qualcosa di buono; negli anni fortunatamente gli aveva insegnato tante ottime ricette che lui adorava mettere in pratica.

Sicuramente la mensa della loro Università era di gran lunga migliore di quella di un Istituto pubblico, ma nonostante tutto, restava sempre una mensa.

Sospirò alzando lo sguardo e focalizzandosi sul tavolo vuoto.
I suoi amici erano in ritardo, come sempre.

Di solito il primo a raggiungerlo – e a fargli compagnia – era Felix, ma per ovvi motivi quel giorno non lo avrebbe raggiunto.

Due mani dalle dita lunghe ed affusolate, piene di luccicanti anelli, irruppero nel suo campo visivo posandosi entrambe sopra il suo tavolo.

«Un bel ragazzo come te, non dovrebbe mai mangiare solo» tuonò calda la voce di Hwang Hyunjin, osservandolo con i grandi occhi scuri intrisi di divertimento.
Seungmin alzò lo sguardo lentamente, prendendo un profondo respiro.

Adesso lo ammazzo, pensò.

«Fortunatamente, il regolamento non consente di indossare berretti a scuola – sussurrò il minore, incrociando le braccia – Temevo ti avrei rivisto con in testa quella specie di secchio» ironizzò il ragazzo, notando come l'espressione divertita di Hyunjin andava rinforzandosi, piuttosto che vacillare.

Non era sorpreso, l'aveva capito subito che Hyunjin era un osso duro.
Sarebbe stato ancora più divertente... distruggerlo.

«Un vero peccato che non ti sia piaciuto dolcezza, è il mio cappello preferito quello» disse spostando la sedia, per sedersi proprio davanti all'altro.

Lo sguardo di Seungmin divenne torvo man a mano che passavano i secondi.
Quello era il posto di Felix.

«Alza il tuo culo da quella sedia, se non vuoi che ti sbatta in faccia il vassoio del pranzo» aveva mormorato con voce bassa ma decisa, sporgendosi un po' sopra il tavolo per accostarsi a Hyunjin.

Hyunjin fece lo stesso, osservandolo con occhi divenuti un po' più seri ed osservatori.

«Noto che non piagnucoli più come ieri notte, mi piace molto questa cosa Seungminnie, sapevo che dentro di te avrei trovato il fuoco» disse guardandolo negli occhi.

Un fuoco caldo e scoppiettante, pronto a divorarmi.

Seungmin sospirò, chiudendo gli occhi.
Quella era già di per se una giornata iniziata male – anzi, nel peggiore dei modi – non si sentiva psicologicamente pronto ad affrontare ciò che più aveva temuto la notte precedente.

«Te lo chiedo per piacere Hyunjin, vattene» lo pregò mordendosi il labbro inferiore e sperando che l'altro capisse, prima di fargli perdere definitivamente le staffe.

«Mi piaci e ti voglio Seungmin» ribatté il maggiore ignorando le parole dell'altro.
Quegli occhi grandi e caldi – la notte precedente – avevano catturato la sua attenzione come una falena davanti ad una luce.

Doveva essere suo, anche se solo una volta.

L'aveva letto in quegli occhi, pieni di lacrime e umiliazione, Seungmin non avrebbe ceduto, ed era questo che eccitava Hyunjin oltre ogni immaginazione.

La consapevolezza che – per una volta – forse qualcuno sarebbe riuscito a tenergli testa.

Seungmin si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia, sbuffando una risata.

«Stronzate – lo apostrofò con sguardo tagliente – Sei semplicemente abituato ad ottenere chiunque tu voglia, lo sanno tutti, ormai per te è diventato un vezzo collezionare cuori e corpi che ti sei portato a letto» disse sorridendogli in modo provocatorio.

Hyunjin rimase in silenzio, infondo sapeva che Seungmin aveva in parte ragione.
Ma solo in parte. 

Tutti - perfino i suoi amici - si limitavano alle apparenti circostante, o al suo atteggiamento da stronzo, ma nessuno conosceva la reale verità dietro al rapporto che aveva creato con i suoi precedenti "appuntamenti".

Non era nei suoi interessi difendersi, anche passare per lo stronzo della situazione rientrava nel suo personaggio, e gli andava bene così.

«A te non piace niente e nessuno, se non te stesso, perché sei una persona vuota e superficiale – continuò il minore, sporgendosi verso di lui e puntandogli un dito nella parte sinistra della cassa toracica, tamburellandoci sopra – E qui dentro, non c'è un cuore, ma solo un buco che hai abilmente riempito con le tue stronzate» continuò allontanandosi.

Hyunjin sorrise.

«Credi che dicendomi sinceramente ciò che pensi di me, tu mi faccia desistere dall'obbiettivo di provarci con te? Ti sbagli» disse accostandosi ulteriormente a Seungmin, avvolgendogli il polso – con cui gli aveva toccato il petto – e tirandolo verso di sé.

Erano faccia a faccia, e a stento le loro labbra si sfioravano.

«In questo modo non fai altro che aumentare la mia voglia di fare l'amore con te, dolcezza» sussurrò a bassa voce, facendo scivolare lo sguardo sulle labbra del minore.

Lucide e carnose, proprio come piacevano a lui.
Sorrise.

Non sapeva come sarebbe andata, ma in ogni caso Seungmin ne sarebbe valso la pena; che fosse una desiderata vittoria o una splendida sconfitta.

Doveva essere suo, anche se solo una volta.
Ma dopo averlo avuto, sarebbe riuscito a fermarsi?

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5

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Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.

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