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In quel momento mi arrivò un messaggio ma Robert era troppo occupato a sostenere il mio sguardo per dare un'occhiata alla notifica che, pochi secondi dopo, era già sparita.

Non ero una ragazza che si arrabbiava facilmente, anzi ero sempre stata molto tranquilla. Riflettevo prima di parlare, cercavo sempre di far stare bene le persone attorno a me, non ero scorbutica o sarcastica e non perdevo facilmente la pazienza. Mi piaceva definirmi una che perseguiva la pace, infatti non avevo mai litigato seriamente con nessuno se non una volta con mio fratello, che non mi aveva fatto uscire con il ragazzo che mi piaceva e che mi aveva invitata ad un appuntamento solo perché era un componente della squadra di football della scuola e quindi faceva parte di quella cerchia di ragazzi da cui stare alla larga perché molto intraprendenti.

Quel martedì mattina però mi stavo arrabbiando sul serio. Robert era mio amico, gli volevo bene, ma stava superando dei limiti che avevo posto.

«Allora?» chiesi. Incrociai le braccia al petto e assottigliai gli occhi. Da un lato mi dispiaceva essere così rude, dall'altro non mi dispiaceva per niente. Robert mi conosceva da mesi, sapeva che non mi piaceva quando mi sforzava a dirgli tutto o voleva controllare il mio cellulare.

«Senti, Aria, mi dispiace okay?» Robert bloccò il telefono e me lo porse. Lo presi e feci per andar via quando mi fermò per un braccio. «Il fatto è che non capisco perché a Lynn dici sempre tutto e a me no»

«Robert, cosa c'entra Lynn? Lei è mia amica, mi conosce da anni, è normale che sappia più cose di te e che riesca a capirmi meglio. Poi lei è una ragazza, non offenderti, però penso che alcune cose lei le capisca meglio»

«Ma sono tuo amico e puoi dirmi tutto, lo sai»

«Lo so, ma non devi pretendere che io ti dica tutto perché è sbagliato. Ho una privacy anch'io, decido io a chi dire cosa, non voglio essere obbligata a farlo»

«Sì, ma-»

«Sì ma niente, Robert» strattonai il mio braccio fino a liberarlo. Guardai di nuovo Robert negli occhi. «È suonata, io devo andare» dissi, poi andai via.

Lasciai Robert solo in mezzo al cortile quasi vuoto. Sentii un groppo formarsi all'altezza delle tonsille ma cercai di buttarlo giù deglutendo un paio di volte. Odiavo litigare con le persone a cui volevo bene e andar via senza chiarire, ma quello era davvero troppo. Entrai in classe sedendomi accanto a Lynn che capì subito la situazione. Non mi chiese nulla, semplicemente mi strinse la mano da sotto al banco e mi sorrise in modo tenero.

Spesso, più che la mia migliore amica sembrava mia mamma. Ma non in senso dispregiativo, anzi. Io amavo quando la mamma mi prendeva la mano quando qualcosa non andava, quando mi accarezzava la testa, quando mi sorrideva amorevolmente. Amavo quando mi coccolava, quando parlavamo sul divano, quando mi preparava dolci per tirarmi su di morale. Lynn spesso faceva come lei, mi sorrideva e mi stringeva la mano. Era un gesto piccolo che mi ricordava così tanto attimi di vita passata. Gliene fui grata.

Passò l'ora ed io non smisi di pensare a Robert e a quella sua scenata. Mi sentivo in colpa per averlo trattato in quel modo, ma non volevo pretendesse che gli raccontassi tutto. Soprattutto, non volevo scoprisse di Justin. Non aveva mai avuto un bel rapporto con il mio professore, era bravo in filosofia ma era anche molto superficiale. Justin voleva che si impegnasse di più perché sapeva che poteva dare di più, ma Robert non lo faceva mai. Non sapevo perché, ma sapevo che se avesse scoperto di me e Justin sarebbe andato in escandescenza. Non volevo perdere la sua amicizia, né volevo che succedesse qualcosa di più grave. Preferivo rimanere le cose come stavano, e potevano rimanere tali solo se mantenevo il segreto, che era già quasi stato svelato.

Le ore passarono non troppo velocemente. Ero distratta, forse anche un po' triste, ma la fine della giornata arrivò tra un interrogazione, i tentativi della mia migliore amica di farmi distrarre durante l'ora buca in cui non avevo scelto di aiutare Robert e anche un compito in classe a sorpresa di matematica.

«Questa giornata è da cancellare» mormorai con la testa contro l'armadietto. Lynn rise e mi poggiò una mano sulla spalla.

«E domani abbiamo anche verifica di scienze! Che dici, andiamo da Starbucks e studiamo lì o hai da fare con il tuo bello?»

«No per me è okay, anzi. Studiare davanti ad un caffè al caramello penso sia la combo perfetta per non pensare» Lynn mi prese sottobraccio e si posizionò meglio lo zaino in spalla.

«Dimentichi di aggiungere "Con la migliore amica migliore del mondo"» cantilenò lei. Risi.

«Quello è scontato, sai di essere la migliore di tutte»

Le feci l'occhiolino e lei rise di nuovo. Amavo la sua risata, era spontanea e contagiosa, poi lei era bellissima. Aveva i capelli biondi che le scendevano lungo le spalle, aveva deciso di tornare al suo colore naturale e aveva fatto la scelta migliore perché il platino non le si addiceva, le dava un'aria troppo da biondina senza cervello. I suoi occhi erano luminosi, il naso piccolo, le labbra carnose e un sorriso perfetto. Era bella, molto bella, e spesso notavo alcuni ragazzi letteralmente sbavare per lei. Ma lei aveva occhi solo per Davis.

Andammo da Starbucks e passammo il pomeriggio tra una chiacchiera e l'altra, studiando decine di pagine di scienze, ridendo di quanto complicati fossero certi concetti, facendo anche altri compiti. Per tutto il tempo non avevo sentito Justin, era a scuola e stava preparando del materiale per la prossima giornata lavorativa. Avrebbe finito più tardi di quanto aveva previsto e ne approfittai per stare ancora con Lynn.

Finito di studiare, andammo entrambe a prendere un altro caffè. «Adoro passare i miei pomeriggi qui» disse la mia amica porgendomi il mio secondo caffè. «Era da tanto che non stavamo insieme così. Ieri non ci siamo proprio viste»

«Ieri è stata una giornata particolare» sorseggiai il caffè e leccai le labbra per eliminare alcuni residui di caramello.

«Cos'è successo? Alla fine ieri non mi hai detto niente, avevate altro da fare» arrossii e bevvi un altro po' di caffè.

«In breve, ieri quando sono uscita mi sono trovata il preside davanti che mi ha chiesto di andare nel suo ufficio. Ci sono andata e c'era anche Justin. Qualcuno gli ha fatto la spia di me e lui.. Sono addirittura entrati nel mio telefono! Hanno stampato le foto di Capodanno e hanno anche fatto gli screenshot della nostra chat per poi stamparli» Lynn portò le mani alla bocca.

«Non ci credo! E cos'è successo? E perché parli al plurale?»

«È successo che il preside ci ha chiesto spiegazioni. Io sembravo una fontana, Lynn! Credimi, piangevo e tremavo. Justin invece è stato bravissimo, aveva una calma che sembrava surreale. Non so come sia potuto succedere, nessuno conosce la password del mio cellulare se non mio padre, mio fratello e te ma sono sicura che tu non c'entri niente. Poi non so perché parlo al plurale, però è come se avessi una specie di sensore. Non penso sia stata una sola persona»

«Come mai lo pensi?»

«Non lo so» scossi la testa e sospirai. «Comunque il preside non mi espellerà perché chi ha fornito queste foto ha violato la mia privacy e quindi siamo rimasti che il preside ci passa su se io non faccio causa alla scuola»

«Sarà stata davvero dura per te» Lynn mi prese una mano e le sorrisi.

«Lì per lì sì, poi Justin mi ha portato sulla spiaggia e mi ha fatto calmare. Lynn credimi, Justin è davvero stupendo» portai una mano sul viso e sospirai, innamorata.

«In tutti i sensi?» Lynn mi colpì con il gomito, risi prima di rispondere.

«In ogni senso» sussurrai.

Lynn strillò come una ragazzina facendo girare alcune persone verso di noi. Le tappai la bocca con una mano, poi entrambe scoppiammo a ridere. Passammo ancora un po' di tempo da Starbucks parlando dei nostri ragazzi e anche di Robert, poi verso le sette l'accompagnai a casa e andai a casa anch'io. Ritrovai mio padre nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato: seduto sul divano con lo sguardo rivolto verso il muro. Scoppiai a ridere quando lo vidi, lui mi fulminò con lo sguardo ma dopo un po' rise insieme a me. Prima di preparare lo zaino e la cena, andai a dargli un bacio e un forte abbraccio che prontamente ricambiò. Dopodiché preparai zaino e vestiti per l'indomani, mi feci una doccia veloce e indossai già il pigiama perché sapevo che non sarei più scesa. Cominciai a cucinare da sola, perché papà era rimasto sul divano, poi quando stavo per finire bussarono al campanello. Uscii dalla cucina per andare ad aprire ma al mio posto lo fece papà.

«Justin, che piacere» papà strinse la mano a Justin e lo guardò cercando di assumere un'espressione normale, ma fallì miseramente. Infatti io morsi le labbra per non ridere, Justin invece sorrise imbarazzato.

«David» mormorò il mio ragazzo. Decisi di intervenire e mi avvicinai ai miei uomini.

«Papà, sei davvero finissimo» dissi ridendo. Papà alzò gli occhi al cielo nel momento in cui baciai Justin sulla guancia. «Non ti aspettavo, vuoi cenare con noi?» gli chiesi. Papà sospirò e scosse la testa, dopodiché andò via. Justin lo seguì con lo sguardo finché non scomparve nel salotto.

«Sta bene?» mi chiese lui, evitando completamente la mia domanda. Forse era solo una tattica, per capire se gli conveniva restare o meno. Sorrisi e incrociai il suo sguardo.

«Diciamo che deve metabolizzare le nuove scoperte» dissi ridendo. Mi poggiai al muro e Justin mi guardò quasi spaventato.

«Regola numero uno?» mormorò. Annuii, lui portò una mano sul viso. «Oh no»

«Oh sì» risi di nuovo. Justin socchiuse gli occhi e scosse la testa, poi l'abbassò e infine sorrise. Un secondo dopo mi ritrovai tra le sue braccia, le sue labbra sulle mie.

«Penso che resterò solo per salutarti» mormorò sulle mie labbra. Sorrisi e lui mi baciò di nuovo.

In quel momento realizzai quanto mi fosse mancato. Mi era mancato baciarlo, mi era mancato stringerlo tra le braccia, mi era mancato sentire il suo profumo, guardare i suoi occhi. Sentirlo per telefono durante la pausa pranzo o con i messaggi durante le ore scolastiche non era come sentire il calore della sua voce e guardare le emozioni racchiuse nelle sue iridi color caramello. Averlo così vicino a me era tutt'altra cosa, mi faceva attorcigliare lo stomaco e girare la testa per quanto bello fosse. Non riuscivo a capire come avessi fatto a stare senza di lui per mesi dopo la nostra separazione. Se avessi dovuto farlo dopo quel bacio, non avrei resistito un solo giorno. Ero diventata dipendente dall'amore che mi dava, ne avevo bisogno e mi faceva stare davvero bene.
Justin mi baciò di nuovo, io lo baciai ancora una volta e poi di nuovo e ancora. Gli strinsi le braccia attorno al collo, lui le strinse attorno alla mia vita. E mi baciò di nuovo.

«Mi sei mancata oggi» mormorò lui accarezzandomi la schiena. Unì le nostre fronti, fece scontrare i nostri nasi. Sorrisi prima di baciarlo a stampo.

«Ovvio che ti sono mancata, ormai non vivi più senza di me» scherzai ma Justin rimase terribilmente serio. Mi accarezzò il viso, poi la spalla, il braccio, la mano. Unì le dita delle nostre mani mentre con l'altro braccio mi stringeva di più a sé.

«È dannatamente vero» disse poi sulle mie labbra. Incrociò il mio sguardo e rimase a guardarmi negli occhi per minuti interminabili, bastava solamente il suo meraviglioso sguardo per farmi sentire la ragazza più amata sulla faccia della terra. Mi guardava con ammirazione, voglia, amore, passione. Quello sguardo celava così tante emozioni che mi scaldarono il cuore e mi mandarono fuori di testa.

Il trillo del forno però mi fece tornare con i piedi per terra. Mi allontanai da Justin per controllarlo, lo spensi e diedi una girata alle verdure al vapore che stavo cucinando. Justin mi prese per i fianchi e mi abbracciò di nuovo, mi diede un bacio sulla guancia e mi rimase appiccicato come una cozza.

«Questa sera sei molto più dolce del solito» mi lasciai sfuggire con un sorriso.

«Mi sembra normale, tuo padre ha scoperto che ho infranto la regola numero uno. Potrei anche uscire da questa casa senza gambe, preferisco godermi il poco tempo che mi rimane»

«Quanto sei melodrammatico» cantilenai girandomi. Mi ritrovai di nuovo tra le braccia del mio ragazzo. E stavo così bene tra le sue braccia.

«Sai a cosa stavo pensando?»

«A cosa?» inclinai la testa e tolsi una ciocca di capelli un po' più lunga del solito che gli era ricaduta sull'occhio.

«Al matrimonio. Logan e Megan si sposeranno a fine luglio, mancano solo due mesi e tu sarai la damigella d'onore. Avrai bisogno del vestito più bello che esista al mondo, perché tu sei la più bella del mondo» arrossii alla dolcezza di Justin. Mi morsi il labbro non sapendo cosa dire. «Se uscirò vivo da questa casa e se riuscirò a sopravvivere anche ai successivi giorni, che ne dici se ti porto in giro a fare shopping, sabato? Magari può venire anche Lynn così ti può aiutare a scegliere» Justin mi accarezzò il fianco, poi la schiena. Infine mi prese la mano e mi baciò le nocche. «Ti va?»

«Sarebbe stupendo, Justin. Penso che tu sia l'unico uomo a voler andare a fare shopping con la propria fidanzata di propria iniziativa» risi e Justin mi baciò la fronte. «Penso che anche per Lynn andrà bene, lei adora fare shopping»

«Magari possiamo andare da Kleinfeld o Pronovias, so che sono i migliori qui a New York»

«Sì, e vendono abiti da sposa che costano un sacco, a me serve un abito da cerimonia con un prezzo accettabile» sorrisi e mi allontanai per riprendere a mescolare le verdure.

«Che ne sai che abito ti serve?» guardai Justin come per chiedergli il perché di quella strana frase. Era ovvio che mi servisse un abito da cerimonia, ero la damigella non la sposa, ma non riuscii ad approfondire l'argomento perché papà entrò in cucina.

«Tesoro, c'è un ragazzo alla porta che mi ha chiesto di te» Justin guardò papà, poi guardò me. Alzai le spalle non sapendo di cosa si trattasse.

«Forse è Robert» mormorai ricordando la litigata di qualche ora prima. Justin mugugnò e alzò la testa al soffitto, io sorrisi e gli dieci un bacio sul collo. «Tu aspetta qui e non uscire, okay?» Justin annuì.

Poi, per non farsi sentire da mio padre, sussurrò al mio orecchio «Dovresti darmi ordini più spesso» scossi la testa divertita e mi allontanai da lui insieme a papà. Chiusi la porta della cucina e ignorai completamente le occhiate perse e confuse di mio padre, la sua espressione era così tenera che quasi mi dispiacque per lui, ma dimenticai tutto quando vidi il ragazzo alla porta.

«Davis, che ci fai qui?»

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