08. Fast and Furious.
«Attenta alla curva!» Justin si tenne stretto al sediolino mentre presi una curva a 200 km orari. Tirò un sospiro di sollievo quando la sorpassai senza fare danni ma continuò a tenersi stretto al sediolino e al poggiamano.
210. 220. 230. I chilometri orari continuarono a salire fino a toccare i 260 e cercai di tenere sempre la stessa velocità lungo tutta la strada. Justin aveva ragione: anche correre in auto procurava sensazioni di libertà sensazionali, però avrei preferito sempre e di gran lunga la mia moto. Nulla avrebbe sostituito lo sfrigolare del vento sul viso, i capelli che svolazzano da sotto al casco pungendomi il collo e le spalle, il rombo della marmitta che mi stonava i timpani. Con lui avevo scalato monti e corso sul lungo mare, non lo avrei sostituito con una macchina da corsa.
«Lì ce n'è un'altra!» Justin indicò una curva, la superai senza difficoltà.
«Prof, si rilassi. So quello che faccio, conosco bene questa strada» risi e decisi che era arrivato il momento di fermarmi accanto alla baia. Stavo correndo già da mezz'ora e il mio professore stava cominciando ad agitare anche me con la sua ansia. Parcheggiai con una sola manovra e scesi dall'auto senza aspettarlo. Mi sedetti sulla carrozzeria dell'auto sentendo il calore del motore scottarmi la pelle nonostante avessi i jeans, aspettai che Justin uscisse e si mettesse al mio fianco.
«Dove hai imparato a guidare così bene?» mi chiese guardandomi.
«A scuola giuda?» scherzai giocherellando con il mazzo di chiavi. Sorrisi vedendo, con la coda degli occhi, Justin alzare gli occhi al cielo.
«Sono serio. Rispetto ad altre donne con cui sono stato in macchina tu sei bravissima. Hai riflessi, non hai paura della velocità, sai alternare bene le marce e credimi, è un grande punto a tuo favore. L'anno scorso mia madre ha dovuto buttare la macchina perché dalla quinta è passata alla seconda e si è rotto tutto» risi e lasciai le chiavi sul grembo, poi mi tenni con i gomiti e mi stesi sulla carrozzeria.
«Prima di tutto, la sua macchina non ha marce! Quando mamma è morta ho cominciato a ricercare momenti che potevano farmi sentire viva. Non mi sono chiusa nell'alcool, né ho fatto uso di droghe e non sono mai nemmeno andata ad una festa. Al contrario, ho cominciato a fare bungee jumping, a scalare montagne senza nessuna imbracatura, a fare paracadutismo, nuoto tra gli squali, anche a correre con l'auto. Venivo sempre qui quando volevo staccare dalla realtà e stare da sola»
«Ma non eri tu quella che diceva di non voler fare surf per gli squali?»
«La mia è una paura più che fondata» mi girai verso Justin che mi guardava da sotto la montatura dei suoi occhiali da sole. «Una volta ero in una di quelle gabbie di ferro che ti fanno vedere da vicino gli squali. Ero insieme ad altre due persone e, non so come, una delle due si è fatta uno squarcio nella tuta con l'attrezzatura. Il sangue ha attirato gli squali che hanno cominciato a mordere la gabbia da ogni direzione ed io ho avuto una paura tremenda! Da allora fatico ad andare al mare, preferisco di gran lunga la piscina» rabbrividii al ricordo di quella giornata. Justin mi toccò con la sua spalla.
«Sono contento che non siano riusciti a mangiarti» sbottò facendomi ridere.
«Anch'io lo sono» risi ancora.
«Come hai scoperto queste strade per correre? Non penso che una ragazza in cerca di esperienze spericolate possa trovare queste strade da sola. Casa tua e a un'ora e mezza da qui. Come ci sei arrivata?»
Fissai il mio sguardo all'orizzonte. Il sole di mezzogiorno era alto in cielo e rifletteva sull'acqua. «L'anno scorso ero in autostrada e ho fatto vari sorpassi mentre ero sui 180. All'epoca usavo spesso la macchina di papà. Poi una macchina ha cominciato a seguirmi, mi ha fatto gli abbaglianti e mi sono fermata pensando che fosse la polizia invece erano due ragazzi che quando mi hanno vista correre hanno pensato di farmi i complimenti» risi al ricordo. «Questi ragazzi organizzavamo corse d'auto e mi hanno chiesto di partecipare a quella che avrebbero avuto di lì a pochi giorni. Ho accettato»
«Hai vinto?»
Scossi la testa. «Ero prima fino all'ultima curva, poi la marcia non è entrata e l'altra auto mi ha superata. Sono arrivata seconda per questione di millimetri»
«Peccato, volevo vantarmi di te con mio fratello!» guardai Justin con le sopracciglia corrugate. Rise e fece ridere anche me. «Hai continuato a fare la fuori legge per tanto?»
«No, ho corso solo due volte, ho deciso di uscire dal giro ancor prima di entrarci. Non mi piaceva fare cose fuori legge e poi quello stesso periodo suo padre aveva cominciato ad avvicinarmi. Riuscì a farmi capire che non avevo bisogno di provare emozioni forti per sentire di essere viva davvero, erano le persone che mi stavano affianco a rendermi viva. Mio padre, mio fratello, i miei amici. Tutti loro erano la prova che io c'ero. E ho scoperto che cantare attorno al fuoco insieme alle persone che amo riesce a farmi sentire più viva di quanto mi sono sentita viva quella volta che sono entrata in quella gabbia circondata dagli squali. Dio, sembrava quasi stessi per morire dalla paura!»
Mi alzai dal cofano dell'auto e alzai le braccia per stiracchiarmi. Poi mi girai verso il sole e chiusi gli occhi sentendo il suo calore sul viso. Anche in quel momento mi sentivo viva. Insieme a Justin ero anche completa. Per rendere perfetto quel momento, volevo solo che lui mi abbracciasse da dietro e guardasse il sole con me. Ma non lo fece e non gliene diedi una colpa, sapevo che non poteva e che, se lo avesse fatto, mi avrebbe solo illusa. Però venne al mio fianco, mi sfiorò la spalla con la sua. «Qui è davvero bello» disse. «Sì, davvero bello» replicò. Aprii un occhio e lo beccai a guardarmi. Arrossii ma cercai di non darci peso. Non potevo arrossire per ogni frase che diceva, per ogni sguardo che mi rivolgeva e per ogni sorriso che faceva.
«Cosa le piacerebbe fare adesso?» chiesi al mio professore girandomi verso di lui. Mi si avvicinò di un passo, poi si fermò.
«Mi piacerebbe passare altro tempo con te, però la nonna mi ha mandato un messaggio dicendo che papà voleva parlarmi quindi penso sia meglio tornare a casa. Potremmo fermarci prima a mangiare qualcosa al ristorante, se ti va» scossi la testa e presi le chiavi dell'auto dalla tasca.
«Mangerà qualcosa a casa mia e poi andremo in ospedale. Non accetto un no come risposta, ho già cucinato ieri sera per oggi quindi salga in macchina e non faccia storie»
Justin rise ma mi seguì in macchina. Non obiettò quando salii al lato del guidatore e misi in moto. Anzi, una volta indossata la cintura di sicurezza lo vidi rilassarsi sul sediolino e godersi il viaggio. Guidai molto piano rispetto a come avevo guidato fino a un'ora prima, Justin sembrò apprezzarlo molto perché non mi diede indicazioni su come guidare o cosa fare. Anzi, stette in silenzio tutto il tempo, sembrava quasi che stesse pensando e non volli disturbarlo chiedendogli qualcosa. Quel momento era a dir poco perfetto, non avrei potuto desiderare di essere in un posto migliore. Con Justin mi sentivo a casa. Sembrava quasi che lui fosse la mia casa.
Arrivammo all'Upper East Side all'una e dieci, parcheggiai sotto al mio palazzo qualche minuto dopo. Scendemmo dall'auto e salimmo con l'ascensore fino al mio piano, poi entrammo in casa e Justin si guardò intorno.
«Mi piace casa tua» si tolse il giubotto e lo appese all'appendiabiti, feci lo stesso anch'io.
«La adoro anch'io. Soprattutto amo l'impianto di riscaldamento, pensi che dormo a mezze maniche la notte. Mentre io scaldo la pasta al forno vuole fare un giro?»
«Me lo farai fare tu non appena avrai acceso il forno» annuii e mi avviai in cucina seguita dal mio professore. Accesi il forno e scaldai la mezza teglia di pasta che era rimasta la sera prima. Nel frattempo apparecchiai anche la tavola e misi un po' di musica in sottofondo, poi portai il mio professore a vedere casa mia partendo dalla camera di mio padre. Continuai poi con quella di mio fratello, il bagno, il ripostiglio e finii con la mia camera. «Qual è il tuo colore preferito?» mi chiese ridendo. Risi anch'io, quasi la gran parte dei miei mobili era in verde acqua e in argento.
«Guardi che questa camera ha il suo stile» mi sedetti sul materasso morbido, Justin si sedette al mio fianco.
«Perché è tua?»
«Certo, se fosse stata di qualcun altro sarebbe stata una camera da letto qualsiasi» sciolsi i capelli e li tirai su di nuovo per sistemarli. Una volta fatta meglio la coda, mi sistemai anche lo scollo a barca del maglione che lasciava spalle e collo scoperti.
«Interessante..» Justin si mosse sul mio materasso, lo guardai in modo strano. «Mi stavo solo accertando di una cosa»
«Cosa? Se fa rumore?» mi alzai dal letto e mi girai di spalle cercando di pensare a qualcosa da fare. Avevo appena capito perché Justin si era messo a saltare sul letto e dire che ero arrossita è un eufemismo. Il biondo si alzò e mi raggiunse con un solo passo. Da dietro, mi attirò a sé per i fianchi. «Quel materasso è omologato solo per dormire» mi lasciai sfuggire. Sentii il respiro caldo di Justin sul collo e le sue braccia stringermi. Non avevamo detto che dovevamo cercare di mantenere le distanze? Probabilmente non ci saremo mai riusciti.
«Chi te lo dice?» mi sussurrò all'orecchio. In modo dolce mi girò verso di sé. Mi guardò negli occhi e il rossore sulle mie gote sembrò dare una risposta silenziosa alla sua domanda. «Oh, tu sei..»
«Sì» sussurrai, riferendomi alla mia verginità.
«Sono desolato, io.. sono stato del tutto inopportuno» Justin fece un passo indietro per allontanarsi da me, ma le mie mani si mossero da sole e lo fermarono. Gli portai una mano sul collo, una dietro la schiena. Con tutto il coraggio che avevo incrociai i suoi occhi.
«Non importa» dissi. In quel momento, da soli e in camera mia, ebbi un coraggio e una forza che mai avrei immaginato ci fosse in me. «Adesso mi lasci fare» ordinai.
Justin sorrise e lasciò che mi avvicinassi a lui. Portai la testa sotto l'incavo del suo collo, le mie braccia circondarono quest'ultimo con molta forza. Lui mi strinse per i fianchi, mi attirò ancora di più a sé. Riuscivo a sentire il suo cuore battere. O forse era il mio. Ero così agitata che mi sembrava di essere appena scesa da un treno in corsa senza farmi del male. Essere stretta tra le braccia di un uomo, le sue braccia, mi faceva sentire la ragazza più felice del mondo.
Inspirai il suo profumo e lasciai che le mie mani scendessero fino a fermarsi sul suo petto. Lo allontanai poco da me per guardarlo negli occhi ma lui non mi lasciò. Avvicinai la mia fronte alla sua. Chiusi gli occhi e respirai il suo odore. In quel momento, tra le sue braccia, ero davvero a casa. Non era il luogo a fare la differenza, era lui. E desiderai immensamente non dover dar conto alla realtà: una realtà in cui lui era il mio professore di filosofia ed io la sua alunna, dove io e lui non potevamo essere niente di più di quello che il sistema scolastico aveva scelto per noi.
In quel momento realizzai che provavo davvero qualcosa per lui. Non potevo più nasconderlo, era così punto e basta. Provavo qualcosa per lui che andava oltre l'amicizia che avevo con suo padre e il nostro rapporto a scuola. Andava oltre per quanto riguardava la mia conoscenza. Non avevo mai provato qualcosa del genere per qualcuno, non avevo mai provato un sentimento simile nemmeno per mio fratello ed io amavo mio fratello. Per Justin provavo una strana sensazione che partiva dal cuore e finiva nel basso ventre. Una strana voglia di baciarlo mentre ci stendevamo sul letto. Il desiderio che le sue mani mi accarezzassero il viso in ogni momento della giornata. Che i suoi occhi guardassero soltanto i miei.
Sospirai e portai la testa sotto al suo collo ancora una volta.
«Mi dispiace tanto» sussurrai, non sapevo se a lui o a me stessa.
Mi dispiaceva averlo trascinato in quella situazione.
Mi dispiaceva avergli aperto il mio cuore.
Mi dispiace essermi innamorata di una persona che per me era impossibile da ottenere.
Mi venne un'improvvisa voglia di piangere ma cercai di non farlo. Justin mi baciò i capelli e lo sentii sospirare. Non sapevo che tipo di sospiro era. Non sapevo se era sollevato o amareggiato. Non sapevo cosa provava e mi chiesi se provava proprio ciò che provavo io ma mi sembrò impossibile. Per lui io ero solo un alunna. Niente di più, niente di meno.
«Aria» Justin mi richiamò. Mi baciò i capelli e tornai a guardarlo negli occhi. «Non senti anche tu puzza di bruciato?»
Corrugai le sopracciglia e odorai l'aria. Strabuzzai gli occhi quando mi resi conto di avere ancora la pasta al forno. «Oh mio Dio! La pasta!» urlai.
Corsi in cucina e aprii il forno. La pasta non era bruciata, ma delle castagne che erano cadute sulla base del forno e che io avevo dimenticato sì.
E questa è la storia di come, causa momento romantico rovinato, cominciai a non cuocere più le castagne al forno.
Spazio autrice.
Hello!
Come state? Qui tutto più o meno bene. Diciamo che io sono l'ansia e lo stress fatta persona, quindi sono davvero pochi i giorni in cui mi sento al top del top. E oggi non è uno di questi, ma non importa.
Stamattina mi sono svegliata con la nostalgia assurda di una persona. Si chiama Chiara, eravamo molto amiche, ma io finisco sempre per allontanare le persone a cui voglio bene. E niente, spero che stia bene, che le cose col suo fidanzato vadano bene e che stia ancora lavorando. Quando ha preso la patente avrei voluto dirle che ero fiera di lei, ma non ce l'ho fatta. Sono così un caso perso quando si tratta di amicizia, raga. L'unica persona che non ho mai allontanato è il mio fidanzato.. Sono proprio fantastica.
Vi chiedo scusa per questo piccolo sfogo ma avevo proprio bisogno di scrivere queste quattro righe a qualcuno.
Per quanto riguarda il capitolo, vediamo che Aria e Justin hanno un certo feeling, non trovate? Ma le cose sembrano andare troppo bene per i due piccioncini.
Spero restiate aggiornati!
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo nei commenti.
Detto questo,
Love you!
-Sharon.
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