Capitolo 33 parte 2

Arrivai in tempo per il fischio d'inizio. La maggior parte dei compagni di Akira non li conoscevo e non mi interessava sapere chi fossero. Intravidi Pigmalione in difesa che sentendo lo sguardo su di sé si voltò completamente verso di me facendomi l'occhiolino. Che tipo strano.
Akira era stato mandato in attacco, non so se costretto o per puro masochismo. Forse entrambe le cose perché osservava di fronte a sé con estremo terrore ma con in fondo allo sguardo la consapevolezza di potercela fare. Lo chiamai e gli feci due pollici alzati nel tentativo di mostrargli la mia vicinanza, a cui lui rispose con un timido sorriso.

Sentì una mezza risatina provenire alla mia destra e voltando il capo trovai Ippolito che mi osservava divertito.

«Come ti senti ad essere messo in disparte, eh Luca? Ti dimostrerò che la nostra squadra può cavarsela anche senza la tua presenza».

Questo era palese visto che si vedeva lontano un miglio che nessuno di loro era un agonista come lui o come ero stato io. Anzi, sarebbe stato imbarazzante se avessimo perso contro di loro. Avrei goduto un sacco.

Speravo che le mie brevi indicazioni che avevo scritto via messaggio la sera prima ad Akira potessero servire. Nel corso delle varie lezioni di quei mesi l'avevo visto impegnarsi tanto, sarebbe stato infelice se non fosse riuscito nel suo intento.

Mi posizionai in uno dei lati della palestra in modo da avere la visuale sull'intero campo da gioco.

La squadra della mia classe era costituita per la maggior parte dei suoi componenti da gente che non sapeva manco che forma avesse un pallone da calcio. Il prof doveva essere nella disperazione più assoluta se aveva reclutato Quattrocchi e l'aveva inserito in difesa. Era una squadra che puntava tutta sul gioco di Ippolito, l'unico che forse avrebbe potuto fare qualcosa. Studiai gli avversari e mi resi conto che nessuno si preoccupava per il mio ex migliore amico, fatta eccezione di Akira e un poco Pigmalione che lo stava osservando dal suo posto in difesa. Il resto o pensava che non avrebbe dato il meglio di sé per via del fatto che ai suoi occhi poteva sembrare una partitina insignificante oppure erano dei completi deficienti.

Per questo, dopo aver tirato su a sorte, al fischio d'inizio la squadra di Akira partì subito all'attacco con aria spavalda, tentando con un affondo nel tentativo di destabilizzare la difesa con un attacco diretto, tentativo che andò a vuoto dopo la chiusura da parte dei miei compagni Yassine e Matteo La Terza che prontamente passarono il pallone a Ippolito che partì con un contropiede nel tentativo di spiazzare la squadra avversaria, gesto che funzionò perchè lo portò a segnare il primo gol a freddo a neanche un minuto di gioco.

Imprecai tra me e me. La classe di Akira non doveva demoralizzarsi, altrimenti sarebbe stata inesorabilmente sconfitta.

Cercai lo sguardo di Akira per suggerirgli l'azione successiva.

Dapprima provai con il labiale, senza successo perchè lo vidi aggrottare le sopracciglia confuso. Passai quindi ai gesti con le mani sperando che capisse qualcosa di più.

Lo vidi annuire in modo impercettibile e lanciarsi in avanti diretto al punto in cui sarebbe atterrato il pallone dopo la rimessa in gioco.

Akira arrivò un attimo prima di Ippolito e mise in atto un "boba" un po' immaturo ma efficace, facendo tunnel, lasciando il suo avversario disorientato un attimo di troppo, permettendo ad Aki di mantenere il possesso palla.

Si fece largo tra i miei compagni, del tutto sorpresi che fosse riuscito ad anticipare un professionista come Ippolito, che vidi rimanere fermo nello stesso punto, testa china e pugni stretti. Infine lo vidi alzare la testa e voltarla verso di me, una maschera di pura rabbia. Negli ultimi anni il ragazzo introverso e debole aveva lasciato spazio a ciò che sembrava serbare nel cuore: una persona orgogliosa e un poco arrogante, caratteristiche che si erano intensificate da quando aveva cominciato a giocare in serie A.

Poi fece un sorriso per nulla cordiale, pericoloso. Aveva intuito che l'intuizione di Akira non era stata casuale ma che c'era stato il mio zampino.

Lo vidi poi spostare lo sguardo su un Akira esultante dopo aver messo a punto il primo gol della sua squadra.

Oh oh. Qualcosa mi diceva che l'avevo messo nei casini.

Per tutto il primo tempo Yassine esercitò un pressing su Akira continuo su indicazione di Ippolito, libero di mettere in atto un forcing che portò la classe dei biotecnologi ambientali già sotto di cinque gol. Dopo aver scoperto il mio innocuo coinvolgimento cercarono di interrompere in modo permanente il nostro contatto visivo, lasciandolo così disorientato. Lui aveva voglia di fare ma era del tutto privo dell'ottica calcistica, ma malgrado tutto provò comunque a mettere in atto qualche azione, ma subito veniva bloccato da qualcuno. Oltre a lui fu solo Pigmalione a provare a fare qualcosa, cercando di recuperare palla durante i passaggi nella sua area. Ma anche lui, per quanto ci mettesse impegno, era inerme di fronte a una squadra plasmata dal gioco di Ippolito, proprio lì al centro della scena a godersi il momento.

Strinsi le mani sul corrimano. Fui preso da un impeto di profonda gelosia. Dovevo esserci io in quel momento in campo. Forse avrei gioito in modo più controllato rispetto al mio solito, ma sarei stato senza dubbio carico d'adrenalina e non di frustrazione come in quel momento.

Perso nei miei pensieri cupamente profondi, non notai che, oltre che essere iniziato l'intervallo e che entrambe le squadre erano andate a rinfrescarsi e idratarsi per il secondo tempo, si era palesata Agnese al mio fianco finchè non prese la parola.

«Posso sedermi accanto a te?»

Strinsi i denti, non la volevo vicino ma non le potevo negare di sedersi dove le pareva. Era stata gentile a chiedermelo, come se volesse tener conto dei miei sentimenti.

"Ma non si è fatta problemi a lasciarti per mettersi con Ippolito" mi sussurrò malignamente la mia voce interiore.

Lei interpretò il mio silenzio come un assenso perché si sedette a terra al mio fianco, stringendo contro il petto le ginocchia.

Restammo in silenzio per un po' lei che cercava il mio sguardo, io che cercavo di ignorarla e concentrando l'attenzione su un punto indefinito della palestra, tutto purché questo significasse non lei.

«È da tanto che vorrei parlarti» disse infine, vedendo che non avrei ceduto.

«Non abbiamo nulla da dirci» risposi a denti stretti.

Non era vero. C'erano parole silenziose che volevano essere pronunciate, ma che per il bene di quello che ci aveva legato per tutti quegli anni era meglio tenerle silenziate.

«Vorrei parlare di noi, di quello che è successo».

Lo sapevo. Non volevo, non mi sentivo ancora pronto ad affrontare quella discussione.

Stetti in silenzio, sperando che capisse il mio rifiuto.

Ma non fu così.

Lei allungò la mano per poggiarla sulla mia stretta sul corrimano, e al suo solo sfiorarmi la ritrassi come se mi fossi scottato.

«Smettila. Non abbiamo nulla da dirci. O meglio, ci sarebbe tanto ma non ho la voglia e il tempo di farlo. Hai fatto una scelta no?»

«Davvero credi che per me sia stato facile?» mi domandò di rimando lei con le lacrime agli occhi.

Mi stava prendendo in giro? Come poteva comportarsi a quel modo?

Questo suo modo di fare mi diede talmente fastidio che partì in quarta. Sapevo che mi sarei pentito dopo per quello che avrei pronunciato, eppure in quel momento sentivo di non farcela più a trattenermi.

«Mi avete tradito. Eravate le persone a cui tenevo più in assoluto mi avete voltato le spalle! Tra voi era cominciata già da prima dell'incidente vero? Non è possibile altrimenti il tempismo con cui vi siete messi assieme».

«Non è così semplice. Le cose sono...»

«A me lo sembrano invece. Ti eri stufata di me e ti sei messa con lui. Tanto era solo questione di tempo no? Avevo notato che non stavi più bene con me da mesi. Ma dirmelo magari mi avrebbe fatto fare meno pensieri e sensi di colpa per una colpa non mia».

Lei si ritrasse sempre più triste e avvilita. «Smettila».

«Ma dai, proprio adesso che ci siamo messi a parlare come desideravi te?»

Quell'ultima frase la dovetti aver pronunciata troppo alta perchè mi accorsi quasi subito che gli altri erano tornati dal loro intervallo e si stavano disponendo in formazione sul campo, gli occhi puntati su di noi. Aleggiava in aria una certa tensione, e capì quasi subito che era rivolta tutta verso il sottoscritto.

Avvertì mormorii, occhiate giudicanti.

Smettetela, non capite nulla.

Strinsi le labbra cercando in tutti i modi di non aggravare la situazione.

«Luca...» provò a intervenire Agnese subito affiancata da Ippolito.

«Sei davvero un ipocrita a trattarla in questo modo. E poi con che diritto?»

Ma senti da che pulpito mi veniva la predica!

«Mi stai pigliando per il culo?»

Forse non lo pensai solo ma lo ripetei a voce abbastanza alta da farmi sentire da lui perchè mi afferrò per il bavero della maglia.

«Chi ti credi di essere a trattarla a questo modo?»

«La difendi? Dopo come l'hai trattata negli ultimi tempi? Sei davvero un...»

Il pugno arrivò improvviso tanto che mi accorsi di tutto quando cominciai ad avvertire la guancia destra pulsare.

Attorno avvertì la maggior parte dei presenti a incitare una rissa. Per quei profani era molto più interessante della partita che stavano disputando.

Diversamente da quello che ci si poteva aspettare da una situazione simile scoppiai inconsciamente in una risata di cuore. Nel frattempo Ippolito si era allontanato un poco sorpreso dalla sua reazione, le nocche della mano arrossate, e mi osservava come se fossi una nuova specie aliena, facendo aumentare le mie risate.

«Sei rimasto esattamente come un tempo. Sei un debole e non appena ti viene detto reagisci inconsciamente» dichiarai asciugandomi una lacrima dall'occhio destro e sfoderando un sorriso. Ippolito se l'era presa con la persona sbagliata, credevo che in questi anni avesse capito ma a quanto pare non era così.

Il prof accorse in quel momento, dopo aver sentito il vociare dei nostri compagni.

«Cosa sta succedendo qui?» tuonò lui notando subito il mio viso arrossato e la mano di Ippolito.

«Voi tutti e due con me. Voi preparatevi per il secondo tempo!»

Gli altri si sparpagliarono subito per rimettersi in formazione mentre noi seguimmo in silenzio il prof che ci condusse in una delle stanze adiacenti dove teneva il materiale per il primo soccorso.

Giunti all'interno, null'altro che un quadrato senza finestre con un armadio chiuso e uno di quei lettini per far stendere il mal capitato di turno, ci passò del ghiaccio secco da applicare sulle nostre parti doloranti. Il contatto con la superficie fu nell'immediato piacevole, ero abituato a utilizzarlo dopo le partite, non per Ippolito che fece una smorfia di dolore. Trattenni un sogghigno. Che debole che era.

Il professore ci chiese nuovamente cosa fosse successo. Io non dissi nulla, volevo che fosse Ippolito a tirare fuori le palle e ad ammettere le sue colpe. Ma lui stesse ostinatamente in silenzio, la mascella contratta e la mano libera chiusa a pugno.

Il prof ripeté la domanda seguita dalla minaccia che ci avrebbe condotti dal preside.

Trattenni un moto di stizza. Eh no! Finire nei casini per colpa sua anche no!

Fu allora che raccontai tutto, con Ippolito che mi fissava con occhi dardeggianti.

A fine racconto il prof rivolse a entrambi (manco fosse stata colpa mia) un'espressione stanca.

«Non dovreste comportarvi così, non alla vostra età. Per il momento la visita dal preside ve la evito, però non posso non segnalare questo comportamento. Scriverò una nota a entrambi e...»

Alt! Fermi tutti! Avevo sentito bene?

Ripetei quell'ultima domanda interiore sperando di aver sentito male. E invece...

«C'è del concorso di colpa. Russo non doveva colpirti ma tu non dovevi provocare».

Assunsi un'aria innocente. Io provocare? E quando l'avrei fatto? Era lui che si era messo in mezzo in affari che lo riguardavano meno di zero.

Lo feci presente e lui mi lanciò un'occhiata eloquente.

«Lo sai perché Luca. Hai quel tuo modo di fare...come dire piuttosto provocatorio a volte. Anche se questo non giustifica la reazione sproporzionata di Russo».

Abbassai lo sguardo e sorrisi aspramente. «Alla fine va sempre così. Sbaglio io e ne fate una tragedia anche quando le cose sono poco gravi, le fa Ippolito ben più gravi e non fate nulla. Mi sembra che vi siano delle leggere ed evidenti preferenze da parte vostra o sbaglio?» a quelle ultime parole alzai lo sguardo, trasudando frustrazione da tutti i pori. Vidi le spalle del prof irrigidirsi. Fece tornare Ippolito in palestra annunciando la sua sostituzione in campo con la loro riserva, e dopo un'occhiata carica d'odio nei miei confronti lasciò la stanza, lasciandoci soli.

«Spiegami quando l'ho fatto con te» ribattè calmo lui incrociando le braccia contro il suo petto muscoloso.

In effetti lui era forse l'unico che non mi trattava come uno scemo oppure come un cactus sotto il sedere.

Stetti in silenzio continuando a rimanere sulle mie posizioni. Stavolta avevo ragione, non ammettevo repliche e non avevo alcuna intenzione di cedere.

«Ecco è questo l'atteggiamento che ti dicevo prima. Questo sguardo di sfida. Luca, ci sono momenti in cui si ha ragione a impuntarsi mentre nelle altre è meglio fermarsi prima di superare il limite. Capisci dove vorrei arrivare con il mio discorso?»

Annuì frettolosamente per potermene andare. Dovevo calmarmi un attimo ma con di fronte il prof era difficile.

Lui emise un sospiro, e mi poggiò una mano sulla spalla stringendola un poco, prima di tornare ad arbitrare la partita.

Rimasi per tutto il tempo ad aprire e chiudere la mano libera a pugno, l'altra che premeva con forza la borsa di ghiaccio secco ormai mezzo sciolto, rischiando di romperlo.

Ero incazzato nero, e se avessi avuto a che fare con qualsiasi essere umano l'avrei mandato elegantemente a quel paese senza pensarci.

Sentivo le urla d'incitamento e gli esultare ai gol da parte di entrambe le squadre.

Ora che Ippolito era fuori dal gioco, almeno una gioia quella mattina, non poteva andare peggio della partita sostenuta dalla 4BA. Avevo origliato i discorsi di due ragazzi di quella classe che si lamentavano di un loro compagno che, durante un'azione decisiva e fondamentale per il risultato della partita che le li avrebbe portati avanti nel girone, aveva sbagliato il tiro dopo il passaggio del pallone esattamente di fronte alla porta vuota, un tiro facilissimo da risultare quasi imbarazzante, regalando la giocata alla squadra avversaria, permettendole così di segnare il gol decisivo del loro 3 a 2. Non meritava di perdere, come classe non era affatto male in verità, c'era anche un mio ex compagno di squadra, un certo Eugeo. Un giocatore nella media, visto che non prendeva sul serio il sacro gioco del calcio, lo si intuiva durante le sue prestazioni che lo facesse solo per hobby. Il calcio andava reso la propria vocazione di vita se davvero si voleva combinare qualcosa di buono. Erano stati però battuti da una delle classi più forti, gli informatici della 4AI, anche loro con un mio ex compagno di squadra Damiano, attaccante che era quasi arrivato al mio livello. Quasi.

Quando mi sentì poi più calmo raggiunsi gli altri, stabilendomi dalla parte opposta rispetto a prima. Agnese sembrava scomparsa chissà dove, poco mi importava.

Il risultato era cambiato un poco. I gol della mia classe erano aumentati di due, gli avversari avevano rimontato e ora si trovavano a tre gol di distacco.

Forza, potevano farcela! Non potevano sprecare questa occasione più unica che rara.

Akira mi notò solo quando mi passò accanto, in possesso e diretto verso la porta avversaria.

Mi rivolse un'espressione preoccupata a cui risposi con un debole sorriso, come a rincuorarlo.

Lui non parve del tutto sicuro ma si riconcetrò sul gioco. Peccato che la sua giocata, che poteva avere del potenziale, fu interrotta bruscamente da Yassine che commise un fallo talmente palese che avrebbe meritato il cartellino giallo. Inaspettatamente il gioco continuò senza problemi, al che il mio spirito calcistico mischiato alla frustrazione accumulata quel giorno, non ce la vide più.

«Quello era da cartellino giallo! Era talmente palese che pure un cieco lo capirebbe».

L'arbitro alias il professore mi fissò duramente e con un gesto mi allontanò dal bordo campo. Vidi Ippolito posizionato nella mia postazione precedente sorridere sotto i baffi, beccandosi per questo da parte mia un bel dito medio. Era tutta la mattina che desideravo farlo, ora mi sentivo molto meglio.

Lui mi fissò male ma non m'importava nulla. Raggiunsi la zona assestante dove c'erano i tavolini da ping pong, stranamente a un'altezza a cui ci sarei riuscito ad arrivare con la sedia a rotelle.

C'erano gli altri ragazzi che non facevano parte della squadra di calcio, ma non appena mi videro si allontanarono in tutta fretta,forse per paura che chiedessi di poter fare una partita.

E questo mi fece ancora di più l'incazzatura.

Con un moto di stizza mi allontanai, uscendo nel corridoio limitrofo alla palestra. Avevo una voglia matta di tornarmene a casa e a gettarmi sul letto e non vedere più un essere umano per il resto della mia vita.

Per questo quando sentì la porta alle mie spalle fui sul punto di girarmi e ad aggredire, chiunque fosse, con tutti gli insulti che conoscevo. Mi girai comunque ritrovandomi Akira di fronte che fece istintivamente un passo indietro alzando un poco le mani come in segno di resa. O per tranquillizzarmi.

Cazzo, come l'avevo guardato per averlo spaventato a tal punto?

Mi sentì un'autentica merda!

Mi portai la mano alla bocca, spaventato da quello che il mio corpo stava provando fino a quel momento, e paura per quello che stavo per fare ad Akira.

Lui mi si avvicinò e mi fece poggiare la testa sul suo petto, prima di avvolgerla tra le sue braccia in una sorta di abbraccio.

Quello era uno dei pochissimi gesti gentili che avevo ricevuto durante la mattinata e abbatté ogni difesa.

Mi ritrovai a piangere, cosa che non facevo in nessuna occasione (forse si, l'avevo fatto solo la volta in cui la mia squadra del cuore era finita in serie B) ben che meno di fronte a un'altra persona. Forse solo di fronte a lui avrei sentito davvero la necessità di sfogarmi.
Lui, ero certo, non mi avrebbe mai giudicato, lo si intuiva dal suo atteggiamento. Mi lasciai andare, sentì le sue dita lunghe e sottili passarmi tra i capelli in lievi carezze.

Rimanemmo qualche minuto in silenzio e in quella posizione finché non avvertì il fischio di fine, solo a quel punto mi staccai da lui che fece un passo indietro per osservarmi in viso.

«Come mai qui? La partita...»

«Tu sei molto più importante» mi interruppe lui.

Avrei voluto dissentire, non esiste nulla di più importante del calcio, ma quel suo gesto mi scaldò il cuore. Mi porse un pacchetto di fazzoletti che estrasse dalla tasca dei pantaloncini che indossava, seguendo le mie indicazioni dettagliate. Non mi ricordavo che avessero delle tasche così capienti. Erano mesi che non indossavo un indumento simile, forse sarei riuscito in futuro a rifarlo. Speravo il prima possibile. Mi soffiai il naso e asciugai gli occhi. Mi diressi in bagno, con Akira sempre vicino, per sciacquarmi il viso. Anima viva doveva anche solo pensare a uno sfogo simile da parte mia.

«Stai bene? Se vuoi possiamo...» cominciò a dire lui immobilizzandosi non appena sentì le voci degli altri in avvicinamento. Si allontanò un poco prima che gli altri ragazzi di entrambe le classi si riversassero dentro come una mandria impazzita. Quelli della mia classe sembravano su di giri, per cui dedussi che la squadra dei biotecnologi ambientali era stata messa ko.

Li ignorai, avvertendo su di me occhiate severe, che mi lasciai scivolare sul corpo come una coperta, incurante del fastidio che si lasciavano dietro. Cosa voleva dirmi Akira prima che venisse interrotto?

Non l'avrei mai saputo, per questo odiai il resto dei presenti più di prima.
Prima che qualcuno mi rivolgesse la parola uscì dal bagno per rintanarmi in un angolo tranquillo. Akira mi seguì a distanza di poco per non dare nell'occhio.

Mi si sedette di fianco, la testa reclinata da poterla poggiare sulla mia coscia destra.

Osai allungare una mano per passarla in mezzo ai suoi capelli setosi.

«Ti ho mai detto che ho un debole per i tuoi capelli?» me ne uscì, facendolo ridacchiare.

«Sei il primo a dirmelo, famiglia a parte. Ho sentito voci che mi davano dell'effemminato, facendomi arrivare al punto di pensare di tagliarli...»

«Non devi dare retta alle cazzate che escono dalla bocca della gente. Se ti piaci così non vedo perché non dovresti farlo per colpa di persone il cui unico hobby è parlare col...per dare aria alla bocca».

Sarei stato più indecoso nell'esprimermi se non fosse che avrei rovinato delle parole abbastanza sagge per essere uscite dalla mia bocca.

Akira poggiò una mano sulla mia e la strinse un poco.

«Come farei a vivere senza la tua saggezza?»

Gonfiai un poco il petto per darmi un po' di arie.

«Non puoi. La mia saggezza è leggendaria a tracciare la via per uno stile di vita senza seccature».

Non era vero. Erano più le volte in cui mi scontravo con qualcuno che altro, ma Akira parve apprezzare il momento, visto che avvertivo il suo capo sussultare mentre il corpo era attraversato dalle risa.

«Ma certo, inferisci contro la mia magnificenza» lo punzecchiai aumentando le risa.

Si staccò e lo vidi asciugarsi una lacrima dall'occhio.

«Scusami Luca-chan. Mi ha fatto troppo ridere come l'hai detto». Gli lasciai un attimo per riprendersi per poi chiedergli di getto: «Usciresti con me?»
Lo feci senza pensare, era un'idea che mi ronzava nella testa ormai da tempo, malgrado non fosse proprio il momento adatto per proporglielo avevo deciso di provarci comunque.

Quella domanda dovette prenderlo in contropiede perchè lo vidi aggrottare le sopracciglia pensoso.

«Ma già lo facciamo».

Mi inumidì le labbra. «Io parlavo di un appuntamento. Di quelli veri, senza sminuire le nostre uscite».

Lo lasciai con un'espressione spiazzata. Era troppo presto? Forse si, erano passate solo poche settimane da quando avevamo deciso di mettersi insieme in gran segreto. Forse era questo che lo preoccupava? Il fatto che se fossimo stati visti avremmo mandato all'aria tutto?

«Non pensavo a cose strane, tranquillo. Avrei optato per una cena in pizzeria e poi cinema» cercai di rassicurarlo, senza cambiare molto la situazione. Distolsi lo sguardo sentendomi infinitamente colpevole. Forse l'avevo forzato troppo, non dovrei correre così all'inizio di un rapporto, soprattutto dopo quello che lui aveva dovuto sopportare.

«Si beh, mi sembrava una cosa cosa bella da fare, ma se non te la senti ti capisco, e...»

«Quando?»

Riportai lo sguardo su di lui e lo vidi pieno di determinazione, manco dovesse partecipare a una missione super difficile e pericolosa.

«Sabato?» domandai di rimando, sorpreso che non mi avesse mandato a cagare.

Lui si alzò, abbozzando un sorriso timido. «Direi che si potrebbe fare. Perché no?»

«Non mi sembri convinto. Se non te la senti non vorrei forzarti in alcun modo».

«No, sono felice che me l'abbia proposto». Azzardò uno sguardo verso la porta da cui eravamo entrati. «Forse è meglio tornare indietro prima che ci vengano a cercare».

Che lo facessero così li avrei mandati a quel paese uno ad uno, ma seguì diligentemente Akira.

Ero su di giri per questo nuovo tassello che andava ad aggiungersi alla nostra storia.

In fondo cosa mai sarebbe potuto capitare?


~Glossario calcistico:

Affondo: passaggio atto a superare la linea di difesa

Contropiede: azione di ripartenza da una situazione di attacco di una squadra a una situazione favorevole alla squadra avversaria, utilizzata per cogliere impreparata la difesa

Gol a freddo: gol segnato nei primissimi istanti di gioco.

Rimessa in gioco: ripresa del gioco dopo una qualsiasi interruzione

Boba: tipo di dribbling inventato da Andrés D'Alessandro che consiste nel poggiare la pianta del piede sul pallone, spostarlo verso una direzione e rapidamente calciare verso la direzione opposta superando così il marcatore. Spesso, per la posizione dell'avversario, viene seguita da un tunnel.

Dribbling: gesto tecnico consistente nel superare l'avversario con la palla al piede grazie a una rapida mossa atta a disorientarlo.

Tunnel: gesto tecnico consistente nel far passare la palla fra le gambe di un avversario.

Pressing: tattica di gioco che prevede il disturbo costante verso il portatore di palla da parte di avversari, al fine di prevenire passaggi e recuperare palla.

Forcing: azione d'attacco continua e insistente.

Angolino autrice:

Eccomi con la seconda parte del capitolo 33 :) è stato un po' complessa la sua stesura visto che Luca ci teneva a farmi utilizzare termini tecnici per descrivere la partita che si è tenuta ^^" spero vi sia piaciuto :3
Nel prossimo ci sarà un appuntamento...cosa potrà mai accadere? 🤷🏽‍♀️ vi fidate della "fortuna" di Luca?🙈🤣
Ringrazio davvero tantissimo tutti voi che seguite la storia ❤️

Al prossimo capitolo!
FreDrachen

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