Capitolo 32 parte 2
Quasi mi cascò la mascella non appena nel ritrovarmi di fronte Quattrocchi, seppellito sotto strati di vestiti per proteggersi dal freddo. A proposito di freddo, cominciavo a sentirlo anch'io, visto che avevo aperto in maglia a maniche corte e pantaloncini corti, per colpa di mia madre che da freddolosa alzava il riscaldamento tanto da trasformare casa in una sauna.
«Non vorrei risultare scortese, ma potresti farmi entrare? Fa piuttosto freddo».
Ma va, capitan Ovvio!
«Cosa ci fai qua? E come fai a conoscere il mio indirizzo?» domandai con sospetto. Ora avrei scoperto che si trattava uno stalker. Che inquietudine!
«È stata una cosa lunga. Ho chiesto in segreteria, spiegando le motivazioni e loro, e vedendomi disperato, visto che mi hai ignorato, hanno chiamato tua madre per avere la conferma di poter divulgare questa informazione. Ed eccomi qui» terminò con fare soddisfatto.
Avevo seguito solo la metà del suo discorso (nel mio cervello si stava propagando il termine stalker in ogni neurone) ma adesso mi toccava risolvere questa grana.
«Bene. Spero che ti ricordi la strada per tornare indietro perché sarà proprio quello che farai».
Feci per chiudere ma la sua mano fu più lesta del mio gesto.
«Dobbiamo fare il lavoro di biologia».
«Ti ho già spiegato come la penso. Non ho alcuna intenzione di stare in compagnia un minuto di più con uno come t...»
Mia madre spuntò da dietro la schiena di Quattrocchi.
Non poteva arrivare prima a salvarmi la vita?
«È un tuo amico Luca?»
Piuttosto che essere amico di uno così mi sarei buttato sotto un treno.
«Per niente» risposi all'unisono con lui: «Siamo compagni di classe».
Gli rifilai un'occhiata gelida intimandolo a sparire, meglio ancora vaporizzarsi nel nulla. Puff, come se non fosse mai esistito.
«Dobbiamo fare un lavoro di coppia insieme di biologia» aggiunse, ignorando palesemente la mia intimidazione.
Che razza di stronzo!
«E cosa ci fai ancora qui fuori? Luca facciamolo entrare prima che gli venga un malanno».
«No» mi limitai a rispondere per non cadere nell'insulto.
«Non comportarti come un bambino. Prima iniziate prima finite, no? Per poi avrei la spesa da poggiare».
Mi feci da parte, osservando un Quattrocchi vittorioso, incazzato come una iena.
Se pensava di aver vinto si sbagliava assolutamente di grosso.
Seguì di malavoglia mia madre e Quattrocchi che subito si comportò come se fosse stato a casa sua, cominciando a elogiarla e a toccare tutto.
Dovevo forse amputargli le mani per farlo smettere? Una soluzione un po' drasticamente splatter, ma mi intrigava abbastanza.
Dopo essere stato convinto (o meglio stressato) da mia madre lo portai in camera mia, con l'unico pensiero che prima iniziavamo, prima si toglieva dalla mia vista.
Anche qui cominciò a tastare qualsiasi cosa.
Possibile che dovesse avere questa mania di toccare tutto?
Non lo sopportavo. Come osava profanare con le sue mani il porter stagionale della mia squadra del cuore? E poi la mia prima coppa vinta a un campionato di calcetto di quartiere quando ero in quinta elementare?
Intravidi Freddy entrare nella stanza e analizzare con i suoi occhi felini il nuovo arrivato. Gli feci un cenno con la mano in direzione di Quattrocchi cercando di non farmi vedere da quest'ultimo.
Avrei tanto voluto ordinargli un epico: "Freddy attacca!" ma il diretto interessato avrebbe capito e non sarebbe servito a nulla.
Speravo di avere instaurato un legame talmente saldo con il gattino da fargli capire il mio desiderio.
Freddy cominciò ad avvicinarsi a Quattrocchi tanto da commuovermi. Bravo Freddy!
Pensiero che mi rimangiai dopo neanche un nanosecondo quando quel traditore di palla di pelo non si comiciò a strusciare sui suoi pantaloni, emettendo fusa che sentivo anche dalla mia posizione.
Dovevo chiamarlo Giuda, altro che come il fantastico cantante!
«Quanto ha?»
«Chi?» domandai ritornando in me, trovandolo a fissarmi, facendomi sentire a disagio.
Lui mi fissò come fossi scemo. Quanto volevo tirargli qualcosa.
«Come chi? Il tuo gatto. È davvero adorabile».
«Qualche mese, non so di preciso» snocciolai voltandomi di lato per non vederlo. Magari così il fastidio sarebbe diminuito.
«Ma come fai a non saperlo? É il minimo che dovresti sapere visto che...»
E che cavolo! Aveva proprio scocciato!
«Cazzo ne so io! L'ho trovato per strada ma non so da quanto».
«Oh» si limitò a dire.
Solo oh? Ed era il primo della classe? Dubitavo delle sue capacità mentali.
Continuò a coccolarlo pensoso.
«Non ti immaginavo tipo da gatto».
«Ah davvero? Cosa pensavi in realtà?»
«Mi sembri più da iguana o da serpente. Sono animali che potrebbero rappresentarti».
«Mi stai per caso dando del rettile?»
«Beh si. Insomma, sei sempre stata una persona irraggiungibile e dall'incidente sempre più chiusa. Guardi con freddezza tutti quelli che ti stanno attorno. Tutti tranne quel ragazzo».
Parlava un po' troppo. E poi non ero un rettile. Solo perché non avevo voglia di avere a che fare con il resto dell'umanità, con le dovute eccezioni, non significava che fossi apparentemente privo di sentimenti.
E prima...ero davvero così spocchiosamente snob e con la puzza sotto il naso?
«Sbaglio o sei venuto qui a rovinarmi il sabato per il lavoro di microbiologia? Non ha senso psicanalizzarmi».
Lui alzò lo sguardo su di me. «Vorrei solo capirti».
«E io non vi tengo. Prima cominciamo prima ognuno torna per la sua strada».
Passammo le ore successive in silenzio, rotto dai nostri respiri, quello di Quattrocchi fastidiosamente rumoroso come se avesse le vie del naso otturate dal muco.
La ricerca consisteva nel cercare e avere poi la capacità di descrivere modi per purificare le acque dolci.
Una palla, ma il programma era così. Preferivo di gran lunga quello di terza dove avevamo iniziato con tecniche di riconoscimento di molecole organiche per poi passare a preparazione di vetrini da osservare al microscopio ottico. Altro che quello che ci aspettava in futuro. Ora c'era l'acqua, poi saremmo passati a procedure indirizzate al campionamento dell'aria e poi del suolo. Che pizza!
Con la coda dell'occhio, mentre ero intento a scarabocchiare appunti su un foglio di quello che trovavo, notavo che Quattrocchi cercava di parlarmi ma sembrava desistere grazie alla mia scarsa voglia di dialogare.
Quando si alzò per andare un attimo in bagno, togliendosi così dalle palle per qualche minuto scrissi prontamente ad Akira. Avevo bisogno di sentire, o meglio leggere, una voce amica.
Tu:
"Somiglio per caso un rettile?"
La sua risposta arrivò dopo poco.
Akira:
"Come mai questa domanda? O.o"
Tu:
"Lo sembro? £.£"
Akira:
"No...non credo. Perchè?"
Gli raccontai brevemente la mia discussione con Quattrocchi. A racconto finito impiegò qualche minuto per rispondere.
Akira:
"Forse all'inizio si. Sei una persona che mostra il suo vero io solo a pochi, mentre con gli altri assume un atteggiamento spavaldo per celare il proprio io"
Akira aveva senza dubbio un futuro da psicologo.
Subito dopo aggiunse:
Akira:
"In verità ho sempre pensato a te come un panda minore"
Ma che bello! Di male in peggio.
Tu:
"O.O come mai un falso procione?"
Akira:
"In verità non so. Solo che mi sembra un animale un po' goffo come te quando devi manifestare i tuoi veri sentimenti"
La discussione stava prendendo una piega un po' troppo assurda per i miei gusti.
Tu:
"Tutto ciò è troppo strano"
Akira:
"XD Sei te che hai cominciato questa strana discussione :')
Hai visto che ha nevicato? Ti andrebbe quando hai finito il lavoro di fare una passeggiata insieme?"
A quella richiesta sentì le guance andare in fiamme. Che scemo mi sentivo a infervorarmi per un'apparente cazzata come quella. Eppure fu quella semplice richiesta a risollevarmi il momento, sgonfiandomi subito dopo. C'era solo un piccolo dettaglio che si frapponeva con prepotenza tra il desiderio e la possibilità di esaudirlo.
Tu:
"Con la sedia a rotelle rischio di impantanarmi nella neve"
Questo limite fisico mi faceva sentire imponente. Dovevo mettere sempre più impegno nell'uso delle protesi per potermi liberare così da queste catene invisibili che mi tenevano prigioniero nella loro morsa invisibile.
Akira:
"Vero...£.£ posso però venire lo stesso? Avrei desiderio di vederti"
Tu:
"C'è da chiederlo? Sai che casa mia è sempre aperta per te"
Fino a qualche mese prima non avrei mai pronunciato parole simili e così dolci. La gente con il tempo cambiava e talvolta in meglio, come sentivo mi era accaduto a livello emotivo. Anche Agnese a volte si lamentava del mio scarso romanticismo quando stavamo insieme. Con Akira era un qualcosa di naturale, e questo lato del mio carattere un po' impacciato da un lato mi incuriosiva, ma dall'altra mi terrorizzava.
Come aveva detto Akira la barriera tra me e il resto del mondo stava cominciando a crollare e non avevo voglia che altri lo vedessero.
Akira:
"Perfetto! A dopo!"
Riposi il telefono sul letto e ripresi in mano gli appunti che avevo ultimato dopo le ricerche fatte su internet.
A proposito...ma quanto ci metteva Quattrocchi in bagno? Era stato divorato dal gabinetto?
Sperarci non era illecito.
Continuai a sottolineare ciò che mi sembrava più utile, scartando il resto.
Quattrocchi tornò reggendo un pacco di biscotti.
«Tua madre pensava che potessimo avere fame e così...ecco tieni».
Me lo porse, notando subito che si trattava di biscotti con gocce di cioccolato sopra. I dolci che preferivo dopo i Bueno.
Mi ritrovai a ringraziarlo con un cenno del capo per poi aprilo e quasi tuffarmici dentro con la faccia. Avevano un profumo talmente invitante che a stento mi trattenni dal cacciarmeli tutti in bocca.
Mormorò qualcosa a voce bassissima, che sembrava una cosa simile: «Non sei affatto come sembri».
«Eh?»
Lui di tutta risposta si aggiustò gli occhiali a disagio.
«Dicevo, hai trovato qualcosa d'interessante?»
Lo fissai per un po' con fare sospettoso. Non me la raccontava giusta, ma se voleva raccontarmi balle l'avrei lasciato fare.
Gli passai il foglio e lo vidi strizzare gli occhi per decifrare la mia fantastica e incomprensibile calligrafia.
«Mi sembrano ottimi spunti da cui partire» finì infine.
"È ovvio che lo siano, li avevo trovati io!" pensai con un moto d'orgoglio salirmi nel petto.
«Ma non è abbastanza per finire il lavoro oggi».
Eh?
Come?
COSA?
Ma col cazzo! Mi stava sottraendo tempo che non sarebbe tornato indietro e ora mi stava dicendo che ciò che avevo fatto fino a quel momento erq quasi del tutto inutile?
Bussarono alla porta prima che avessi il tempo di lanciargli la lampada che avevo sul comodino.
Il volto di mia madre fece capolino dallo spiraglio della porta che aveva appena aperto.
«È arrivato Akira. Stavi aspettando una sua visita?»
Colsi subito la palla al balzo. Dovevo ricordarmi di fare un monumento a quel ragazzo.
«Già. Infatti, credo che per oggi siamo a posto così. In fondo Gianbattista mi ha appena fatto notare che non riusciremo a finire oggi».
Gli rivolsi l'occhiata eloquente di levarsi dalle palle e sperai che ci arrivasse da solo.
Akira fece la sua entrata nella stanza in quel momento.
«Konnichiwa Luca-chan» mi salutò lui con un sorriso, che si smorzò un attimo nel notare Quattrocchi.
Ah già vero, c'era ancora lui.
Akira non si lasciò andare per il momento di stallo e si fece avanti con una mano tesa. «Sei un compagno di classe di Luca, giusto? Mi chiamo Akira».
«Si, ti conosco già. Abbiamo partecipato alle Olimpiadi della chimica insieme l'anno scorso. Sono arrivato secondo, dopo di te».
Sbaglio o sentivo un leggero setore di gelosia provenire da quest'ultimo? Quanto ci godevo!
Il sorriso di Akira vacillò e per un attimo pensai che non si ricordasse di lui. Non potevo fargli tutti i torti, anch'io avrei cercato di dimenticarmi un tipo del genere.
«Quest'anno hai intenzione di partecipare?»
«Non ho molta voglia di arrivare di nuovo secondo. E poi vorrei concentrarmi in vista della maturità» rispose lui.
Che palleeeeee che era!
«A me piacerebbe partecipare» mi scappò e subito Akira e Quattrocchi si voltarono nella mia direzione.
Cos'avevo detto di così strano?
«Tu?» domandò Quattrocchi apparentemente con fare involontario.
«Si, io. C'è qualche problema per caso?»
Lui portò le mani di fronte a sé.
«No, è solo che...non me l'aspettavo da uno come te».
Mi stava per dando dell'idiota?
Glielo chiesi con freddezza e lo vidi muovere i piedi a disagio.
«No, è che...»
«Parteciperò e ti dirò una cosa. E ti dirò di più, se ci sarai anche te ti batterò e così dovrai ammettere di aver avuto torto su di me».
Lui si mostrò sempre più a disagio.
«Credo che possa andartene. Non vorrei farti perdere tempo con una causa persa come me».
Lui provò a dire qualcosa ma si bloccò. Raccolse le sue cose e abbandonò la stanza lasciando me e Akira da soli.
«Non volevo che assistessi a questa scenata» mi scusai voltandomi nella sua direzione.
Lui fece spallucce. «Devo solo ammettere che hai avuto poco tatto con lui».
«Mi ha dato dell'idiota in pratica. Mi sono solo girate le palle in quel momento».
Lui cercò di soffocare una risata prima di propormi di prepararmi per fare il giro concordato. Ero ancora scettico ma mi fidavo del fatto che Akira non mi avrebbe abbandoanto tutto solo al freddo in caso di problemi.
Non me lo feci ripetere due volte e, dopo essermi preparato vestendomi pesante per affrontare il freddo esterno, seguì Akira fuori dalla stanza, ma il mio corpo si irrigidì subito alla vista della figura di mio padre che era tornato dal lavoro. Per un attimo fui tentato a frappormi tra lui e Akira, per paura che potesse contaminarlo in qualche modo con il suo essere crudelmente freddo.
Lui ci vide, alzò un sopracciglio biondo. Da fuori gli assomigliavo abbastanza. Stessi capelli biondo scuro che lui teneva di solito allisciati all'indietro, stessa corporatura robusta ma non troppo e se avessi avuto la possibilità di stare in piedi avremmo avuto anche la stessa altezza.
Gli occhi erano l'unica cosa che avevo in comune con mia madre e a detta sua di suo padre, che era morto assieme a nonna quando avevo solo un anno, investiti sulle strisce pedonali da un pazzo ubriaco. Sembrava una tradizione di famiglia macabra farsi investire. Avevo sentito anche della storia di un cugino di non so che grado che era stato messo sotto da un trattore. Insomma, i mezzi a quattro ruote non erano dalla nostra parte.
Mio padre fissò, con i suoi occhi castani che però riuscivano a trasmettere un freddo paragonabile ai ghiacciai montani, Akira, squadrandolo come se fosse chissà che oggetto di scarso interesse.
«Tu sei?»
«Gommennasai. Non mi sono presentato. Mi chiamo Akira Vinciguerra» rispose Akira inchiandosi un poco, in pura tradizione giapponese.
Mio padre stette in silenzio, prima di pronunciare parole per cui avrei preferito che rimanesse muto.
«Non pensavo Luca che passassi del tempo con persone del genere» disse rivolgendosi a me, non considerando che il diretto interessato del suo discorso era a soli pochi passi.
Feci per parlare ma mia madre decise di intervenire in quel momento.
«State andando a fare due passi? Mi sembra un'ottima idea. Divertitevi» esclamò lei e colsi l'occasione al volo di allontanarci.
Akira non pareva turbato dalla maleducazione di mio padre però sapevo che dentro c'era rimasto male. Le sue origine mezzo giapponese facevano fare pensieri ingiusti e talvolta razzisti nei suoi confronti, non riuscivano a vedere appieno ciò che era veramente ossia un italiano fatto e finito come potevo esserlo io e tutti gli altri.
Mi diressi verso l'ingresso per permettere ad Akira di mettersi le scarpe e io di infilarmi capellino e avvolgermi una sciarpa attorno al collo. Ci preparammo in silenzio, silenzio che ci permise di ascoltare la discussione tra i miei.
«Cosa ci fa quel ragazzo a casa nostra?»
«È amico di Luca. È colui che gli ha fatto ripetizioni per permettergli di tornare a scuola».
«Quello lì? Seria? Cosa potrà mai insegnare un immigrato a un italiano come noi? Certo che la scuola d'oggi sta cadendo davvero in basso se permette a certa gente di frequentarla».
Mano a mano che continuava a parlare sentivo montare il sangue alla testa. Strinsi i pugni per cercare di trattenermi dall'uscire dalla stanza e affrontare mio padre in modo non solo verbale.
«Akira è un bravo ragazzo ed è amico di nostro figlio. Mi basta solo questo» tagliò corto mia madre.
Osservai Akira che doveva senza dubbio aver sentito tutto.
«Non dare retta a quello che ha appena detto. Mio padre è solo uno stronzo».
Lui mi rivolse un sorriso triste e annuì. Gli feci cenno di seguirmi e senza guardarmi indietro guidai Akira fuori.
Come avevo pensato era davvero difficoltoso muoversi con la sedia a rotelle ma per fortuna potevo contare su Akira che mi spingeva da dietro nei momenti più difficoltosi, senza farmi pesare nulla. Era uno dei tanti motivi lo adoravo.
«Dove mi stai portando?»
«Non lontano» disse solo, osservandomi con una strana scintilla negli occhi.
In effetti mi condusse ai giardinetti poco distante da casa e completamente deserti. Solo i pazzi avevano il coraggio di uscire con un tempo del genere. In effetti nè io nè lui potevamo definirci nella norma.
«Mi hai portato qui solo per farmi morire assiderato?» scherzai, anche se non ero poi così lontano dalla realtà.
Lui sorrise, la sua figura vestita completamente di nero in contrasto con lo sfondo candido che ci circondava. Piccoli fiocchi di neve cominciarono ad addornare i suoi capelli corvini stretti in un codino. Mi fermò di fianco a una panchina su cui si era formato uno spesso strato di neve. Fu in quell'istante che mi venne un'idea.
Cogliendo un suo momento di distrazione mi affrettai a raccoglierne un po', modellandola per formare una palla di neve dall'aspetto strano e irregolare.
Ma prima che potessi anche solo alzare il braccio per lanciarla fui colpito in pieno viso. Dopo essermi ripreso dalla sorpresa trovai Akira piegato quasi in due dalle risate.
«Scusami Luca-chan. È stato più forte di me».
«Non mi dire che mi hai portato qui a sommergermi di neve?»
Lui inclinò la testa di lato con un sorriso furbo. «Beccato».
Aveva un aspetto angelico che tradiva la sua natura demoniaca. E io c'ero caduto in pieno.
«Se è così prendi questa».
Lanciai la palla di neve che avevo preparato poco prima e l'avrei beccato se non fosse che si scostò di lato, scansandola.
Non mi diedi per vinto e cominciai a prepararne altre, subito imitato da Akira.
Ebbe inizio la battaglia di palle di neve più epica della storia. Io ne vinsi alcune, Akira le altre.
Alla fine mi trovai quasi a corto di fiato, mezzo infreddolito eppure vibrante di energia. Non mi ero mai divertito così tanto.
Akira si lasciò cadere sul tappeto di neve e cominciò ad allagare braccia e gambe creando così il tipico angelo di neve dei film.
«Sai una cosa? Mi sono proprio divertito» ammisi e lui voltò la testa nella mia direzione, osservandomi dal basso.
«Anche io» si ritrovò d'accordo.
«Sarebbe bello se fosse sempre così» continuò, pur sapendo che fosse una cosa irrealizzabile.
Eravamo in Liguria, per di più in una città costiera. Era già tanto che fosse nevicato una volta in modo così copioso da creare quel panorama quasi da cartolina.
«Dovresti tornare a casa. Stai tremando di freddo e non vorrei che ti venisse nuovamente la febbre».
Mi accorsi solo dopo le sue parole che si, stavo sbattendo i denti e stringevo le braccia attorno al torace.
Ma non avevo questa gran voglia di rientrare.
Glielo dissi e lui mi fissò intensamente.
«È per via di tuo padre?»
Annuì. «Dall'incidente sembra che mal sopporti la mia presenza. Forse per lui sarebbe meglio che non esitessi» ammisi. Il comportamento di mio padre mi aveva dirottato verso quei pensieri.
Akira distolse lo sguardo, alzandolo verso il cielo che si era già scurito.
«Vorrei poterti dire che non è così ma con mio padre ho capito che a volte è così che le cose vanno».
Ripensai a quello che mi aveva raccontato su di lui e mi sentì una persona meschina. Mi lamentavo di un padre che a stento mi rivolgeva la parola e quando lo faceva era meglio per lui che stesse zitto, mentre per Akira era stato la situazione era ben più grave. L'aveva quasi ucciso.
«Quando arriverà il momento giusto andiamo a convivere. Così ci libereremo di parenti inutili» dissi senza filtri, senza pensarci troppo. Era ciò che avevo cominciato a desiderare.
Lui mi fissò con aria sorpresa e le guance tinte di rosso, colorito non del tutto derivato da freddo a cui eravamo sottoposti.
Lui borbottò qualcosa a bassa voce che non capì per poi si offrì di riaccompagnarmi a casa, dopo essersi rialzato. Non ne avevo voglia, volevo stare ancora in sua compagnia, dimenticarmi per un attimo del mondo che ci stava attorno per concentrarmi unicamente del momento al suo fianco.
Ma il tempo era scorso inesorabilmente e per questo mi arresi.
Quando arrivò il momento di separarsi gli strinsi un poco la mano, e lui sorrise per poi augurarmi buona serata seguita dalla promessa di rivederci il lunedì successivo prima di entrare per andare a fare colazione assieme. Non vedevo l'ora.
Rientrai a casa dopo che mia madre ebbe aperto la porta dopo il suono del campanello.
La seguì poi in cucina, gettando distrattamente lungo il tragitto una fugace occhiata alla figura di mio padre seduta sul divano a guardare la tv. Il servizio trasmesso dal tg stava riportando un fatto di aggressione, in un'altra città, a una coppia omosessuale.
«Ma guarda questi froci. Cosa pretendono? Se stessero al loro posto...»
Strinsi i denti e le mani sul corrimano della sedia a rotelle cercando di trattenermi. Purtroppo era per gente come mio padre che Akira viveva nella paura di poter essere se stesso, e così molti altri ragazzi. Per me non ci sarebbero stari problemi di quel tipo. Stavo con Akira? Erano cazzi miei di come vivevo la mia vita, e di certo non dovevo nulla a gente che pareva avere un manico di scopa infilata su per il...
«Noto che ti sei divertito con Akira» disse mia madre con un sorriso non appena la raggiunsi.
Non avevo voglia di parlare di quelle cose con lei. Pensava che tra noi fosse come prima ma si sbagliava di grosso. E poi avevo paura che se mi fossi confidato mi sarebbe scappato qualche dettaglio della mia relazione con Akira. Anche se per me non era un problema, gli avevo fatto una promessa che non mi sarei mai rimangiato.
«Mamma ma da quando hai preso quei biscotti? È da tempo che non lo facevi» domandai invece, per cambiare argomento.
«Infatti non li ho presi io. Li ha portati il tuo compagno di classe, Gianbattista giusto?»
La fissai come se stesse scherzando ma mi resi conto che non fosse così. Era stato un bel gesto e io l'avevo trattato di merda.
L'indomani mi sarei dovuto far perdonare in qualche modo.
Angolino autrice:
Buonsalve :3 non sono sparita...il lavoro è stato pesante in questo periodo ma ho continuato a scrivere appena possibile.
Spero che l'attesa sia stata ripagata ❤️ (scusatemi se non sono più veloce ad aggiornare 😭)
Adiòs!
FreDrachen
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