Capitolo 21
Mi svegliai con la voce di mia madre tutta esaltata.
Gettai un'occhiata alla sveglia constatando che erano solo le nove del mattino. Da quando non facevo più il tutoraggio con Akira, nei weekend mi svegliavo come minimo a mezzogiorno, per poter recuparare le ore di sonno che perdevo durante la settimana.
Mi stiracchiai e mandai un messaggio di buongiorno ad Akira, dandomi del perfetto idiota. Perché continuavo ad assillarlo quel povero ragazzo? Mica stavamo insieme!
A quel pensiero arrossì. Che idee mi passavano per la testa, per di più di primo mattino?
Urgeva rinfrescarmi le idee. Per questo mi sedetti sulla sedia a rotelle per raggiungere il bagno, ma non prima di aver fatto scivolare il telefono nella tasca della felpa che indossai. Malgrado fosse metà dicembre e ancora autunno faceva abbastanza freddo. Quando avevano intenzione di accendere i caloriferi?
Fu mentre mi sciaquai il volto con l'acqua fredda (manco la neve era così gelida!) che mi arrivò la risposta di Akira.
Ma perché continuava a darmi retta? Dovevano farlo diventare un santo!
Non mi aspettavo, però, che fosse un tipo così mattiniero.
Ovviamente con la scarsa curiosità da pettegolo che mi caratterizzava gli domandai cosa stesse facendo.
Lui di rimando mi mandò una foto dal lavoratorio di microbiologia.
Sorrideva all'obiettivo e indossava il camice che gli stava da dio...cioè gli donava una certa aria da scienziato. Ecco, nulla più.
Per un attimo pensai se fosse impazzito ad andare a scuola a che di sabato ma subito dopo mi ricordai che c'era l'Open day. Doveva avermi accennato il giorno prima qualcosa, ma preso da chissà pensieri profondi come pozzanghere mi era quasi del tutto sfuggito.
"E ti stai divertendo?" scrissi ancora.
"Un po', anche se il nostro obiettivo è rendere più apetibile la scelta della nostra scuola. Sai che ci sarebbe stata bene anche la tua presenza?"
"Seeeh come no. I prof mi adorano così tanro che mi vorrebbero vedere anche di sabato" risposi con sarcasmo. Sinceramente mi immaginavo quasi tutti i miei prof a ballare la macarena per festeggiare la mia non presenza.
"Non essere severo con te stesso. Sono certo che se imparassero a conoscerti veramante cambierebbero senza dubbio idea".
"Sei troppo ottimista".
"Te stesso e il mondo ti sminuiscono, Luca-chan" ribattè e a quelle parole ebbi un tuffo al cuore. La sincerità con cui Akira mi parlava era disarmante e di fronte a queste constatazioni così scritte non sapevo mai come comportarmi. Anche perché se lui ci credeva perchè non dovevo farlo io?
Feci per ringraziarlo quando fui interrotto dal bussare alla porta.
«Luca hai finito in bagno? Vieni che c'è una sorpresa» disse mia madre dalla parte opposta della porta.
"Scusami Aki ma ti devo lasciare. Ci sentiamo dopo" lo salutai e lui mi rispose prontamante con un pollice alzato.
Rimisi il cellulare nella tasca della felpa e uscì dal bagno per dirigermi verso il soggiorno, da cui sentivo provenire la voce di mia madre.
Quando entrai rimasi fermo sull'uscio.
La stanza era disseminata di qualche oggetto destinato ai felini, ma ben poca roba ripetto a quella che avevo elencato mentalmente e ad Akira che pensavo servisse per un gattino.
Mia madre reggeva tutta soddisfatta un portantino rosso e blu (combinazione peggiore non poteva trovarsela?), sul divano erano poggiate invece una lettiera azzurrina, una cesta riempita da un morbido cuscino, qualche giochino di dubbia entità e un collarino anch'esso azzurrino.
«Finalmente sono arrivate le cose che avevo ordinato. Credi che per il gattino possano andare bene?» domandò felice
Non dovevo pensare che mia madre fosse tornata a volermi bene come prima, ma il suo pensare a Freddy mi fece quasi (quasi) salire le lacrime agli occhi.
«Luca, stai...»
Cosa stavo... Mi portai le mani sul volto e me le ritrovai bagnate. Stavo davvero piangendo?
«Mi é finita della polvere negli occhi» m'inventai ben sapendo che lei non ci sarebbe mai cascata per una scusa talmente banale e patetica.
Difatti mi fissò in modo di chi la sa lunga ma non replicò.
Mi annunciò anche che la veterinaria aveva chiamato per poter andare a riprendere Freddy e mi propose di andarci insieme. Era da tanto tempo che non facevo qualcosa con mia madre, tipo...dai tempi della prima media, l'età a cui si pensava di essere troppo grandi per andare in giro con i propri genitori.
Sinceramente avevo nulla da fare ed ero consapevole che ormai sveglio mi sarei annoiato a morte. Di studiare anche no! Era già tanto che facessi quello che mi serviva per non prendere insufficienze. Per questo acconsentì e vidi per la prima volta mia madre sorridere sinceramente, come non accadeva dal mio incidente. Forse io ero quello che aveva perso più di tutti ma anche lei ne aveva risentito.
Per questo feci una colazione veloce, una semplicelkce croissant e una tazza di caffè e mi fiondai in camera a vestire, dato che non avevo questa gran voglia di andare in giro con il mio pigiama blucerchiato. I tifosi della squadra avversaria non avrebbero capito tutto il suo fascino, per questo optai per una maglia bianca, una felpa pesante e pabtalini fi tuta chiusi in fondo, ad avvolgere i monconi. Il tessuto aveva una consistenza del tutto diversa dagli incavi delle protesi...a pensarci mi saliva una certa frustrazione. Perché non mi ero alzato il giorno prima?
Perché non dopo tutte le mie fantasticherie di tornare a camminare?
Perché non dopo la mia insofferenza a state seduto troppo a lungo? A volte stare sulla sedia a rotelle mi faceva male alla parte bassa della schiena, per cui le protesi avrebbero risolto non poche problematiche.
E invece...
«Luca, sei pronto?»
«Si. Arrivo» dissi recuperando ul cellulare, non mi sarebbe servito granché ma mi faceva sentire più tranquillo e raggiunsi mia madre già in attesa dalla porta di casa.
«Sono talmente contenta che possiamo fare qualcosa insieme che mi sembra di sognare» esclamò lei su di giri, e per quanto fossi felice per lei non condividevo poi tutta questa fibrillazione.
Sarebbe stata una luuuunghissima mattinata.
Allo studio veterinario fummo accolti dalla stessa donna a cui avevamo affidato Freddy, difatti, non appena mi vide, mi gettò un'occhiata irritata. Non doveva esserle andato giù il mio comportamento ma non era l'unica. Doveva mettersi in coda se voleva riprendermi o insultarmi.
Con mia madre invece cambiò drasticamente approccio, diventando tutta zucchero e miele.
Con estrema gentilezza scomparve nel retro, da cui sentivo provenire versi di vari animali, ricoverati per vari problemi.
La veterinaria tornò quasi subito con Freddy e a stento lo riconobbi.
Il pelo, gli occhi erano gli stessi, per cui era davvero lui, però aveva messo su un po' di peso e sembrava molto più in forma. Il mio piccolo guerriero aveva vinto la sua battaglia e non potevo che esserne fiero.
Me lo feci consegnare mentre mia madre firmava una serie di scartoffie, per i vaccini e le visite periodiche che andavano fatte.
Subito Freddy si accoccolò tra le mie braccia e cominciò a mordicchiarmi le dita, gesto che faceva più il solletico che male.
Mia madre arrivò subito dopo annunciandomi che potevamo tornare a casa, ma prima che raggiungessimo la macchina mia madre cominciò a fare moine a Freddy che pareva apprezzare questo interesse nei suoi confronti.
Che felino ruffiano!
Il tragitto verso casa fu riempito dalle chiacchiere senza sosta di mia madre (era da tempo che non la sentivo parlare così tanto) e da Freddy che cercava di infilarsi nella tasca della felpa, come a volersi proteggere da tutto quel fiume di parole. Quanto mi sarebbe piaciuto farlo io stesso.
Quando finalmente arrivammo a casa il primo istinto fu quello di rintanarmi in camera mia assieme a Freddy, ma realizzai alla fine che fosse meglio che il gattino si ambientasse nella nuova casa.
Per questo tenendolo sempre seduto sulle gambe gli feci fare un rapido giro della casa, con una leggera difficoltà a muovermi tra la mobilia dato che mio padre aveva fatto in modo di lasciare ogni cosa com'era, a volte mi incastravo da qualche parte e le manovre erano tutt'altro che facili. Comunque mi stavo un poco divertendo, mi sentivo troppo un agente immobiliare e sinceramente non ero certo che Freddy mi capisse fino in fondo.
Mi fermai infine in salotto dove mia madre aveva lasciato i vari accessori per lui.
Sul tavolino intravidi il collarino munito di medaglietta e campanella. Era giunto il momento di metterglielo, e inutile dire che fu uno scontro titanico che si concluse con la vittoria del sottoscritto non senza ferite. Quanto cazzo graffiavano le sue unghie?
Per farlo calmare lo poggiai dentro la cuccia, una cesta in vimini con un cuscino imbottito color azzurro, in cui Freddy si acciambellò, continuando a osservarmi come una tigre. Meno male che non lo fosse sul serio altrimenti sarei stato morto stecchito.
Mio padre rincasò in quel momento, era andaro un attimo nel suo studio a recuperare dei fogli per la pratica che stava seguendo, di una tizia che voleva che il marito le lasciasse la casa e i soldi in banca per il suo sostentamento. E già che c'era perchè non si teneva pure le sue mutande? Da che avevo capito lei l'aveva tradito con un collega di quest'ultimo ma dopo che il marito era giunto a conoscenza della tresca si era scoperto che lei era incinta. Da ciò le richieste che avrebbero portato l'uomo sul lastrico e senza un tetto sulla testa.
Mio padre per quanto avesse un carattere di merda, che in parte purtroppo avevo ereditato, era davvero in gamba nel suo lavoro ed ero più che convinto che l'uomo sarebbe stato spacciato.
Transitò in salotto gettando una brevissima occhiata sia a me che a Freddy.
«Ciao papà» lo salutai mentre il gattino alzò la testa, incuriosito dalla nuova presenza.
Lui come mi ero aspettato non mi rispose, ormai dovevo essermi abituato, e si diresse inizialmente verso la camera da letto, che condivideva con mamma, da cui emerse pochi minuto dopo con la tenuta comoda da casa per dirigersi verso il suo studio.
Fu proprio in quell'istante che Freddy saltò dalla cuccia per sgusciare in camera dei miei genitori.
Feci appena in tempo a vederlo saltare sul letto e...liberare l'intestino dagli...ehm...scarti biologici sulla gamba dei pantaloni del completo da sartoria di mio padre, uno dei tanti che si era fatto confezionare.
Peccato che mio padre ebbe la mia stessa idea e non appena vide lo scempio sui suoi pantaloni il volto gli divenne paonazzo.
«Chi ha defecato sui miei pantaloni?» tuonò abbandonando la sua solita aria seria per sostutuirla da un volto paonazzo e distorto dalla rabbia.
Beh, di certo non ero stato io, gli avrei voluto rispondere per sottolineare l'ovvietà della cosa.
Lo vidi girarsi con fare assassino verso Freddy, che si era spostato sul lato opposto del letto a leccarsi la pelliccia, per poi fare lo stesso con me come se fosse colpa mia se il gatto si fosse comportato in quel modo. Sinceramente, se questo era il modo per farlo tornare finalmente a considerarmi avrei ordinato a Freddy di graffiarli con le unghie.
Mia madre entrò nella stanza in quel momento, sul volto un'epsressione perplessa.
«Cos'è successo?»
Vidi mio padre cercare di calmarsi prima di parlare. «Quel...quel...felino mi ha sporcato i pantaloni da lavoro».
Mia madre si voltò verso di me con espressione affranta.
«Non vorrete mandarlo via spero» mi ritrovai a dire velocemente. Sarebbe stata la volta buona che avrei mandato mio padre a quel paese.
«Non ero del tutto convinto ma dopo questo...quella bestia se ne deve andare» rispose lui riassumendo il suo modo di fare granitico.
«Non possiamo farlo. Non ha nessuno al mondo. Morirà se lo abbandonassimo».
«Se è destino».
«Ne ne frega un cazzo del destino!» ribattei con foga tanto che Freddy si spaventó e andó a rintanarsi sotto il letto. Solo perché aveva la sensibilità di un pezzo di legno non significava che doveva comportarsi così in modo disumano.
Mio padre si rabbuiò.
«Non ti devi assolutamante permettere di usare quel tono con me Luca. Sono tuo padre e mi devi rispetto».
"Lo stesso che riservi a me da dopo l'incidente?", avrei voluto rinfacciargli mentre tra noi si scatenavano nubi e fulmini. Fu mia madre che si frappose a salvare la situazione che sarebbe degenerata un chissà che insulti.
«Diamo a Luca la possibilità di insegnare al gattino alla vita di casa» disse, con una determinazione nella voce che non mi sarei mai aspettato.
Mio padre la fissò un attimo appena prima di sospirare. «E sia. Ma se ciò non accadrà sapete cosa succederà». E a quelle parole lasciò la stanza per rinchiudersi nello studio.
Mia madre sospirò e richiamò Freddy che fece capolino da sotto il letto con fare timoroso. Lei lo prese delicatamante in braccio e me l'appoggiò sulle gambe su cui lui si acciambellò sornione.
«Sarai in grado di farlo Luca. E se avessi bisogno di aiuto io ci sono, lo sai» mi rincuorò mia madre accennando un debole sorriso.
Non mi accorsi delle lacrime fin quando lei non mi si avvicinò e mi avvolse tra le braccia, facendomi poggiare la guancia contro il suo addome.
Per la prima vera volta da dopo l'incidente la sentì vicino.
Addestrare un gatto non era per nulla una cosa facile.
Dopo il mio rapido sfogo mi ero fiondato in camera, collegandomi al pc per cercare su internet qualsiasi informazione potesse tornarmi utile.
Se avessi digitato peró sulla barra di ricerca un qualcosa del tipo: "come convincere il gatto a non fare pipì o altro sui vestiti del proprio padre" di certo non mi sarebbe comparso nulla di utile.
Dopo un paio d'ore di ricerca mi ritrovai con il cervello completamente esaurito.
Mia madre era entrata a un certo punto per portare qualcosa da mangiare a me e Freddy che subito da bravo ruffiano cominciò a farle le fusa, facendolo somigliare a un trattore. Dopo aver riportato i piatti sporchi in cucina, a pranzo finito, mi portò la lettiera e tutti i vari aggeggi che piazzò in un angolo della stanza.
Riempìla lettiera con quella che pareva una strana sabbia dall'odore insolito e subito Freddy andò a curiosare. Peccato che tra la curiosità e l'uso corretto della lettiera c'era di mezzo l'oceano, ma non avrei demorso! Avrei insegnato a Freddy a comportarsi come un perfetto gatto domenstico, o non mi chiamavo Luca Tremonti. Ormai era diventata una questione di principio oltre che una garanzia per Freddy di avere una vita agiata e piena di affetto come meritava.
Le ore passarono abbastanza in fretta con me che cercavo di convincere Freddy a seguire le mie indicazioni e mia madre seduta per terra a distrarlo con uno di quei giochi per cui i gatti inpazzivano. Grazie tante mamma!
Per questo quando suonò il campanello, e lei andò ad aprire, pensai che fosse un regalo dal cielo.
Quando vidi chi fosse l'artefice se avessi avuto le gambe gli sarei andato incontro e l'avrei abbracciato per la troppa commozione.
Aspetta...abbracciato? Davvero avevo pensato questo?
Un abbraccio da amici, si sarebbe stato questo, nulla più, pensai in preda l'imbarazzo.
"Seh, credici" sentì sussurrare la solita vocina, che ignorai bellamente. Speravo che qiesto non fosse il primo passo per la via della follia.
Akira si fece strada e mi si avvicinò non prima di aver coccolato in po' Freddy che parve apprezzare. Chi non avrebbe trovato piacevole il suo tocco?
Un attimo...cos'avevo appena pensato? Va bene, dovevo darmi assolutamente una calmata. Un bel respiro profondo mi avrebbe senza dubbio aiutato e così feci. Peccato che alle mie narici arrivò il dolce profumo di Akira, un bel mix di agrumi che mi diede subito alla testa.
Dovevo assolutamente prendere un poco le distanze.
«Tutto bene Luca-chan?» mi domandò lui preoccuapto vedendomi con le mani strette sul corrumano nel disperato tebtativo di trattenere i miei pensieri su di lui tutt'altro che puri.
«Perfettamente» formulai a stento.
Lui parve credere alla mia bugia, o se non l'aveva fatto almeno non me l'aveva rinfacciato e di questo gliene fui grato, e si sedette a pochi passi da me, stavolta ero io a osservarlo dall'alto in basso.
«Cksa stavi facendo di bello?»
«Insegnavo a Freddy come comportarsi da bravo gatto» risposi mentre Akira divertiva il gattino con lo stesso giochino che aveva usato mia madre fino a poco prima.
«E sta andando come avevi previsto?»
Gettai la testa all'indietro, sospirando sconsolato. «Per niente» ammisi. Già Freddy aveva una conce reazione pari alla mia, con mia madre che aveva catturato quel nanogrammo di attenzione a cui potevo aspirare ero riuscito a combinare poco e niente con lui. Lo riportai ad Akira che scoppiò a ridere, alcune ciocche corvine gli finirono sul viso.
«Ma si infierisci pure. Tanto sono io che deve fare i salti mortali no?»
«Scusami Luca-chan» rispose tra una risata e l'altra. «É solo che l'hai detto in modo troppo...buffo».
Fosse stato qualcun altro l'avrei insultato pesantemente per un'affermazione così, ma dato che si trattava di Akira non mi diede fastidio.
«Te invece? Com'è andato l'open Day?» domandai incuriosito.
«Abbiamo avuto un sacco di gruppi che giravano e la maggior parte dei ragazzini secondo me ce li siamo conquistati» annunciò Akira tutto soddisfatto.
«Nah. Secondo me hanno fatto di più i laboratori di chimica. Vuoi mettere il saggio alla fiamma o le reazioni di precipitazione? Quello si che gli fa credere di venire qua e poter fare l'alchimista».
«Quello non lo nego, dato che è chimica la mia preferita, ma vuoi mettere anche le piastre di coltura dei batteri o i vetrini di tessuti umani?»
«Non parliamo di microscopi ti prego» lo implorai e notando la sua espressione perplessa spiegai. «Il prof continua imperterrito a tenerli sul bancone a cui non arrivo. Ok che è quello il posto in cui dovrebbero stare però non è colpa mia se non sono raggiungibili».
«E non ha pensato di spostare uno a un'altezza più accessibile?»
«Ma va! Quel prof è sensibile quanto un cactus. Anzi no, sarebbe un insulto nei confronti dei cactus».
«E al coordinatore della tua classe?»
«La coordinatrice é quella di matematica...non mi vorrebbe vedere manco in foto, figurati se vado a chiedergli una cosa simile».
«Sei lì per imparare. È un tuo diritto avere tutti gli strumenti che lo permettano» dichiarò Akira abbastanza preso.
Sorrisi amaramente. «Quasi tutti i miei prof pensano che sia uno stupido per cui se anche non abbia i mezzi sarebbe lo stesso».
«Non è giusto».
«Lo so. Ma è questa l'etichetta che mi hanno cucito addosso ed è ormai da anni che le cose stanno così. Credimi, ormai mi sono abituato al loro astio nei miei confronti».
«Ma non sei quello di un tempo Lu».
«Credi che non ne sia consapevole? Ogni volta che vedo questo corpo ricordo che cos'ho perso».
«Non dicevo in quel senso » precisò frettolosamente lui. «Dicevo in termini caratteriali».
Mi stava forse dicendo che prima avessi un carattere di merda? Ne ero consapevole ma sentirmelo dire da Akira era tutta un'altra storia.
Liquidai il discorso chiedendogli poi chi altri c'era con lui. E mi pentì di averlo fatto.
«C'erano due BA* di quarta e per il tuo corso c'era la tua ex, Agnese».
«Ah» mi limitai a dire. Non mi aspettavo che ci andasse.
«È una ragazza simpatica. Mi ha raccontato alcuni aneddoti che ti riguardano».
Sicuramente quelli più imbarazzanti, poco ma sicuro.
«Non voglio parlare di lei» troncai anche se in fondo, una minuscola parte di me, voleva sapere come stesse.
«Luca lei non é affatto una cattiva persona».
«Mi ha tradito con il mio ex migliore amico e, sospetto, da prima dell'incidente. Ho tutto il diritto di non voler avere a che fare con lei».
Akira mi fissò per un attimo. «Mi sembrava un po' triste, come se la sua vita fosse...»
«Avrà capito che scegliendo Ippolito non ha fatto un bell'affare. Ti prego Aki, non parliamone più».
Parlare di lei risvegliava troppi ricordi, sopratutto felici in sua compagnia e non era quello che volevo.
Lui annuì e lo ringraziai silenziosamente.
«Luca-chan, per le protesi...» esclamò lui e mi pentì di aver fatto cambiare argomento. Distolsi lo sguardo e mi allontanai un poco.
«Non...non so cosa mi sia preso» ammisi. «É come se il mio corpo si fosse bloccato completamente. Per quanto cercassi di imporre al mio corpo di alzarsi...non ci sono riuscito». Mi portai le mani sul volto. «Mi sento assolutamente inutile».
Akira stette in silenzio per un po', garantendomi ancora la sua presenza grazie al suo respiro.
«Non sei inutile» disse, e quando tolsi le mani vidi che cercava di restare calmo ma i suoi occhi lo tradivano. Era visibilmente arrabbiato, ma non riuscivo a capire.
«Akira cosa...»
«Sono tutte cazzate» continuò lui. Sì, senza dubbio era furioso. Era la seconda volta che lo sentivo dire una parolaccia e mi lasciò shockato come se fosse la prima. «Dopo tutto quello che hai passato é assolutamente normale non sentirsi pronti».
Forse avevo capito dove voleva andare a parare. Mi rabbuiai e lo fissai intensamente nelle sue iridi ossidiana.
«Pensi che sia debole?» domandai. Un conto era che ne fossi consapevole io, l'altro che a dirmelo fosse un'altra persona. Era una cosa che mi aveva sempre dato fastidio, per questo cercavo sempre di nascondermi dietro a una facciata di pura testardaggine.
«No, solo in difficoltà ad accettare la possibilità che le cose non vadano come vuoi».
Incredibile, aveva centrato il punto. Forse era per questo che mi piaceva.
Come amico. Assolutamente come amico, puntualizzai subito.
«E questo fa di me allora una testa di cazzo» ribattei, cercando di smorzare il momento.
Cambiammo argomento nuovamante e chiacchierammo di altro, parole più innocue di quelle appena passate, e nel mentre facevamo giocare (o meglio impazzire) il piccolo Freddy, completamente ignaro di ogni cosa. Un meno di qualche ora avevamo toccato i punti più dolenti della mia esistenza, tralasciando l'incidente che rimaneva quello nei mei pensieri ventiquattro ore su ventiquattro.
Arrivò infine il momento per Akira di tornare a casa. Mi salutò, dalla porta, con un sorriso prima di annunciare (pareva quasi una minaccia) che ci saremmo visti lunedì.
Passò poco che arrivò l'ora di cena che consumai in silenzio sotto lo sguardo di rimprovero di mio padre che ancora mi colpevolizzava per quello che aveva fatto Freddy.
Quando rientrai in camera trovai proprio il diretto interessato a fissarmi intensamente.
«Cosa guardi palla di pelo?» gli domandai. Chissà perché il mio cervello pensava che lui avesse capito un qualcosa che al monento mi sfuggiva.
Mi gettai sul letto, fissando poi il soffitto.
Avevo di nuovo avuto quei pensieri nei confronti di Akira. Dovevo stare attento. Non volevo perderlo ed ero certo che se avessi cominciato a provare qualcosa di diverso da una semplice amicizia, anche se ormai era inutile negarlo a me stesso avevo già cominciato a fare, non sarebbe stato semplice stargli accanto.
E poi c'era la faccenda Agnese. Era bastato il suo tradimento e la presenza di Akira a condannare all'oblio la nostra storia?
Mi ritornò alla mente il giorno in cui c'eravamo messi assieme.
E fu con quel ricordo che mi addormentai.
***
Eravamo in prima superiore.
La chiesa era gremita di gente, per darle l'ultimo saluto.
Avevo trovato posto nella quinta fila di panche a fianco a Ippolito, e dalla mia posizione potevo vedere Agnese e i suoi parenti.
Lei era piegata leggermente in avanti la mani davanti al viso, si vedeva lontano un miglio che stava piangendo. Sembrava piccola e indifesa. Era già piuttosto minuta ma lì piena di dolore sembrava sottile.
Potevo quasi sentirlo sulla mia pelle, violento come tanti piccoli aghi, e potevo comprenderlo dato che era molto attaccata a sua zia, nonché la nostra ex maestra d'asilo, Matilde.
La sua morte era stata inutile. Una vendetta da parte della sua ex collega nonché arpia sadica, Tiziana.
Matilde aveva avuto il coraggio dopo anni in cui la collega aveva maltrattato i bimbi prima verbalmente e poi negli ultimi tempi fisicamente, a denunciarla.
Per cause a me ignote quella donna era riuscita a trovare un nuovo lavoro. Ma per quanto la vita fosse stata anche troppo gentile con lei non si era mai staccata dal suo sentimento di rancore.
E infine era accaduto.
Era come se il destino fosse ormai segnato, una casualità le aveva fatte incrociare. La maestra Matilde che attraversava la strada sulle strisce con le buste della spesa e appesantita dell'addome rigonfio del figlio che stava aspettando, la maestra Tiziana in auto di ritorno dal lavoro.
Non ci aveva pensato due volte a cogliere l'occasione. L'aveva nessa sotto e dopo l'arrivo in ospedale erano morti sia lei che il bambino.
Agnese mi aveva dato la notizia dopo essere uscita dall'ospedale. Non l'avevo sentita così disperata in tutta la sua vita.
Il funerale fu celebrato dopo una settimana, il tempo per poter procedere con l'autopsia da parte della scientifica e all'interrogatorio a cui avevo accompaganto Agnese ad assistervi in una stanza adiacente, celati agli occhi di quella donna che aveva ammesso tutto con una tale crudeltà che mi fece domandare se fosse davvero umana o un mostro.
Agnese era scoppiata a piangere tra le mie braccia e avevo avuto bisogno di tempo per calmarla e accompagnarla a casa.
Le ero stato accanto tutta la notte, lei sdraiata a pancia in su sul suo letto, io seduto per terra a fianco che le tenevo la mano. La sua presa era ferrea sulla mia, come se avesse paura di perdere anche me. Non l'avevo mai vista in quello stato e nel profondo mi sentì impotente.
Al funerale vidi solo l'ombra della ragazza che era, e avevo timore di perderla.
Non l'avrei mai lasciata andare in balia delle sue emozioni negative.
A funzione finita mi ero avvicinato a lei e alla sua famiglia. Dopo aver fatto le mie condoglianze lei mi aveva preso per mano e condotto fuoi dalla chiesa, conducendomi in un punto un poco isolato dove potevamo stare tranquilli.
Non appena fummo da soli lasciò la mia mano e si allontanò un poco prima di scoppiare in un pianto a dirotto.
Non potevo stare lì a non far nulla mentte lei era così disperata.
Mi posizionai alle sue spalle e l'avvolsi tra le mie braccia.
«Non meritava una morte così» le mormorai e avvertì i suoi singhiozzi.
«Mi manca».
«Lo so. Ma pensa che adesso è in un luogo migliore di questo, dove non c'è odio e vendetta».
«Ma tu non credi nel Paradiso» disse lei, facendomi sorridere.
«Non ho detto che lo sia. Se sei puntigliosa significa che ti senti un po' meglio».
Lei si sciolse dal mio abbraccio per potersi mettere di fronte a me. «Lu posso chiederti una cosa?»
«Qualsiasi cosa» risposi prontamente ed era vero. In quell'istante avrei pure venduto la mia anima se me l'avesse chiesto.
«Mi prometti che non mi abbandonerai mai?»
«Perché mai dovrei farlo?»
«Non lo so. Ho paura che poi alla fine ti stuferesti e mi abbandonerai anche te».
«Ma cosa stai dicendo? Io ci sarò sempre per te».
Lei mi prese le mani e se le avvicinò al viso, facendo aderire i miei palmi sulle sue goti bagnate di lacrime.
«Mettiti con me Lu» disse a bruciapelo lasciandomi per un attimo spiazzato.
Notando che titubavo lei si affrettò ad aggiungere: «Se non vuoi capisco. Sono stata troppo diretta, scusami. Fa cone se non avessi detto nulla».
La tristezza che trasudavano le sue parole fu l'ultima goccia che fece traboccare il vaso.
L'attirai a me prima che lei potesse allontanarsi e poggiai le labbra sulle sue. Sapevano di lacrime e dolore.
Speravo che quello le potesse bastare come risposta.
Angolino autrice:
Buonsalve :3
Scusatemi davvero per il ritardo ma sono davvero presa con il lavoro 😭
Cercherò di non farvi attendere troppo...scusatemi davvero 😭
Ne approfitto per ringraziare chi segue la storia ❤️
Adiós!
FreDrachen
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top