Capitolo 8

"Daniè." Gabriele continuava a tormentare il braccio del suo compagno di banco con la punta della matita da almeno due minuti. All'inizio con delicatezza, quasi come se volesse attirare la sua attenzione senza disturbarlo, poi con una crescente insistenza che tradiva un certo nervosismo.

"Oh, ma che vuoi?" Sbottò il ragazzo, sollevando bruscamente la testa dal banco. Aveva cercato di riposare gli occhi per qualche minuto, ma l'intrusione di Gabriele aveva spezzato quel breve sollievo. Si girò verso l'amico, il viso distorto da una rabbia malcelata e dalla stanchezza che gli pesava sulle spalle.

"Tutto ok?" Chiese, con un'espressione che tradiva una preoccupazione sincera. Il suo viso, segnato da una leggera ansia, sembrava offrirgli quella compassione e quella pietà che Daniele aveva sempre desiderato dai suoi genitori, ma che raramente aveva ricevuto. Doveva decisamente smettere di collegare qualsiasi avvenimento della sua vita a loro.

"Sì, tutto perfetto." Rispose, ma il tono della sua voce lo tradiva.

"E dai, lo so che stai mentendo" insistette Gabriele scrutando il volto dell'amico, cercando di penetrare quella maschera di indifferenza che Daniele cercava disperatamente di mantenere.

"E che ti devo dire, Gabri? Come devo stare? Quel pezzo di merda ha deciso di farci vincere," esplose infine, rivelando con un tono amaro il motivo del suo turbamento.

"In che senso? Di chi parli?" Domandò Gabriele confuso, il sopracciglio leggermente alzato mentre cercava di mettere insieme i pezzi di quel puzzle.

"Di Andrea, il capitano. Io lo conoscevo prima. Mi aveva provocato, ma non pensavo fosse così pezzo di merda."

"In che senso lo conoscevi pri—" iniziò a dire... Ma fu bruscamente interrotto.

"Santorini, Trumatina, eh basta però! Sto cercando di ascoltare la lezione!" Li interruppe bruscamente Francesca, la nuova ragazza trasferitosi quest'anno nella loro classe, che si era girata verso di loro con un'espressione di fastidio e un pizzico di superiorità. Aveva gli occhi stretti in una smorfia. La stavano disturbando.

"E tu chi cazzo saresti?" Risposero in coro i due ragazzi, sorpresi dall'intromissione di quella che per loro era ancora poco più di un'estranea.

"Santorini e Trumatina, fuori!" Sibilò la professoressa senza nemmeno alzare lo sguardo dai suoi appunti, con un tono di voce che non lasciava spazio a repliche.

"Che due coglioni," esclamò Gabriele mentre si alzava, portandosi le mani dietro la testa con un'espressione che oscillava tra il rassegnato e il beffardo. Uscì dall'aula con un'aria di sfida, come se fosse fiero di non aver capito perché tutti ce l'avessero con lui. Daniele invece seguiva il compagno con un'espressione di pura esasperazione che tradiva un malessere più profondo di una semplice punizione scolastica. La docente stava scrivendo sul registro di classe elettronico la loro nota disciplinare.

Durante la ricreazione, il cortile della scuola era animato da gruppi di studenti che chiacchieravano, ridevano e si rincorrevano. Il gruppo di Daniele, Gabriele e Giovanni si era radunato sotto un vecchio albero, uno dei pochi angoli ombrosi in quella giornata di sole. Gabriele stava raccontando a Giò la conversazione avuta poco prima con il ragazzo, cercando di trasmettere la gravità della situazione con gesti ampi e concitati.

"Ti dico che Daniele lo conosceva" insisteva Gabriele, quasi spazientito dal fatto che il ragazzo non sembrasse cogliere la rilevanza della cosa.

"Scusa, ma perché non ci ha detto nulla?" Domandò perplesso incrociando le braccia sul petto e inclinando leggermente la testa.

"Ma che ne so, Giova', ma che ne so! Se lo incontro gli spacco la faccia," replicò Gabriele, visibilmente arrabbiato, stringendo i pugni come se si preparasse già a mantenere quella promessa. La tensione era palpabile ma Daniele, disteso sull'unica pensilina disponibile in tutta la scuola, sembrava isolato da tutto quel trambusto. Completamente esausto guardava il cielo azzurro sopra di sé, cercando di ignorare la conversazione e di trovare un po' di pace. La sera prima non era riuscito a prendere sonno e ora il suo corpo sembrava sul punto di cedere.

"Sentite, adesso non è un problema a cui dobbiamo pensare. Che cazzo facciamo sabato?" Intervenne Gabriele, cambiando bruscamente argomento nel tentativo di riportare l'attenzione su qualcosa di più leggero, qualcosa che potesse distrarli da quella tensione.

"Oh ma che palle! Pensi sempre a quello," rispose Daniele, un po' infastidito dall'insistenza dell'amico. La sua voce tradiva un sottile desiderio di lasciarsi alle spalle le questioni complicate, almeno per un po'.

"Senti, qui ci dobbiamo organizzare. Io di essere solo senza ragazza anche basta" dichiarò Gabriele con un'espressione seria che tradiva un malcontento profondo. Non era la prima volta che sollevava l'argomento, ma quel giorno sembrava particolarmente deciso.

Daniele e Giovanni non avevano mai avuto una ragazza e lo sapevano bene. Anche se nessuno lo diceva apertamente, il fatto che Gabriele fosse l'unico del gruppo con una certa esperienza rendeva la sua frustrazione ancora più tangibile.

"Ma che parlo a fare con due zitelli come voi?" Concluse Gabriele, alzandosi di scatto e iniziando a correre via, lasciando gli amici di stucco. Giovanni, nonostante la sorpresa, non perse un secondo a rincorrerlo, con un misto di rabbia e divertimento.

Daniele li osservò per un attimo, poi scoppiò a ridere. Una risata forte, spontanea, che sembrava riecheggiare nel cortile e per un attimo cancellare tutto il peso che sentiva dentro. Nonostante tutto, voleva bene ai suoi amici. A volte pensava che fossero gli unici a volergli davvero bene e quella consapevolezza gli dava un po' di sollievo in mezzo a tutto il caos della sua vita.

Tornato a casa da scuola, Daniele si trovava in cucina con sua madre. L'unica donna di casa era intenta a preparare del petto di pollo arrostito, uno dei piatti che Daniele odiava con tutta la sua anima. Erano tre i cibi che non poteva sopportare nemmeno in fotografia: al primo posto le uova; al secondo il radicchio e al terzo quello che aveva davanti al piatto. Amava invece i cibi fritti, una passione che contrastava con la sua vita da atleta, ma che non avrebbe mai ammesso apertamente.

"Mangia che ti fa bene" gli disse la madre senza distogliere lo sguardo dalla padella. Daniele si sedette a tavola forzando un sorriso mentre infilava il forchettone in quella proteina che avrebbe preferito evitare. Mangiare quel pasto era per lui un atto di dovere più che di piacere.

"Grazie mamma," mormorò alla fine del pranzo. Prima di prepararsi per andare all'allenamento, aiutò sua madre a sparecchiare e a pulire la cucina.

Il bus era molto affollato quel pomeriggio e Daniele si chiese il perché. Non era abituato a vedere così tanta gente a quell'ora. Si fermò più volte a determinate fermate, facendo entrare sempre più persone, tanto che Daniele fu costretto a rimanere in piedi tenendosi al corrimano con una mano mentre con l'altra scorreva il dito sullo schermo del suo cellulare intento a scrivere messaggi nel gruppo che aveva in comune con Giovanni e Gabriele.

Alzò gli occhi per guardarsi intorno, sentendo la musica rimbombare nelle sue orecchie. L'atmosfera del bus era un misto di odori, rumori e voci sovrapposte. Daniele si sentiva distaccato, quasi isolato in una bolla, mentre tutto intorno a lui si muoveva con un ritmo frenetico. Quel giorno c'era qualcosa di strano nell'aria, e no, non parlava del tizio che non si metteva il deodorante prima di uscire di casa posto accanto a lui; parlava del fatto che la città fosse in subbuglio per qualcosa. Vi erano bandiere colorate ovunque, con ragazzi che correvano a destra e a sinistra.

"Coach mi deve spiegare per quale cazzo di motivo quelli ci hanno fatto vincere" sbottò Dario, furioso, con gli occhi che brillavano di un'ira malcelata. Un po' come tutti lì dentro, era tormentato dall'idea che la vittoria fosse stata concessa per pietà o per qualche oscuro motivo che sfuggiva loro.
Daniele se ne stava in disparte, la schiena appoggiata al muro del palazzetto e la palla fra le mani che roteava su se stessa con un'espressione che oscillava tra l'indifferenza e la preoccupazione. Gabriele e Giò erano accanto a lui; il primo stava giocando sul suo cellulare, mentre il secondo scorreva il feed del suo social network preferito cercando di ignorare la discussione.

Daniele si stava annoiando a sentire quella conversazione che sembrava non avere una fine. Il suo allenatore non dava spiegazioni perché in fondo neanche lui sapeva il perché di quella strana vittoria. Ma Daniele sapeva che stesse mentendo, lo percepiva da quei silenzi troppo lunghi, da quelle frasi tronche.

"Vabbè ragazzi, giochiamo dai. Se ci sarà mai una prossima volta li stracciamo" cercò di sdrammatizzare uno dei compagni, cercando di riportare un po' di serenità nel gruppo.

"Certo che ci sarà una prossima volta. Vi ho iscritto al torneo delle provinciali," annunciò l'allenatore con un sorriso furbo, come se avesse appena svelato il finale di una sorpresa ben riuscita. Il cuore di Daniele iniziò a palpitare più forte. Il pensiero di affrontare nuove sfide, nuove partite lo riempiva di un misto di eccitazione e ansia.

"Coach, ma che sta dicendo?" Gabriele e Giovanni, fino a quel momento concentrati sui loro cellulari, li lasciarono cadere sul pavimento, ancora accesi, per avvicinarsi al gruppo, visibilmente curiosi e agitati.

"Volevo darvi la buona notizia fra qualche giorno, ma siete così insistenti che non potevate aspettare proprio" rispose l'allenatore con un tono che non lasciava dubbi sulla sua decisione. "Comunque vedendo come avete giocato bene lo scorso sabato, penso che ci siano delle buone probabilità che non faremo così schifo per le provinciali... e quindi vi ho iscritto." Mentre tutti cominciavano a metabolizzare la notizia, Daniele sentiva il cuore battere sempre più forte. Le provinciali non erano una cosa da prendere alla leggera. Significavano allenamenti più duri, una pressione costante e la consapevolezza che tutti i loro sforzi avrebbero avuto un impatto reale.

Si stavano preparavano a uscire dal palazzetto, Gabriele si avvicinò a Daniele dandogli una pacca sulla spalla. "Spacchiamo" disse, cercando di infondergli un po' di coraggio. Daniele annuì, ma nel suo sguardo c'erano delle sfumature di dubbio. Fuori l'aria era fresca e frizzante. Il sole stava calando, tingendo il cielo di sfumature rosate e arancioni. Il ragazzo si fermò un attimo a contemplare quella scena, cercando di trovare in quel tramonto la forza di affrontare tutto ciò che lo aspettava. I suoi amici erano già avanti, ridendo e scherzando come se nulla fosse cambiato. E forse, pensò, era proprio quella la forza del loro legame: la capacità di trovare leggerezza anche nei momenti più difficili.

Decise di seguirli con un sorriso appena accennato sulle labbra. Aveva ancora molte domande, molti dubbi, ma almeno sapeva di non essere solo. E in fondo, forse era proprio questo ciò di cui aveva bisogno per affrontare le sfide che sarebbero venute.

Quella sera si trovava a scorrere sul suo cellulare quando la sua attenzione venne catturata da un suggerimento: "profili che potresti conoscere". C'era una foto, un'immagine che lui riconobbe immediatamente. Andrea Giubilia, così si chiamava. Aveva nuovamente tentato di prenderlo in giro, pubblicando una serie di foto nel suo profilo. Lui nel loro magazzino/infermeria. Lui che scorreva l'Ace. Lui che osservava il sole attraverso la finestra dello stesso magazzino.

Daniele si alzò dal letto dove era disteso, si appoggiò alla tastiera che ardeva sotto il calore delle sue dita e si infilò gli occhiali da vista. Quel bastardo stava cercando di provocarlo ancora, ma questa volta non avrebbe ceduto.
***

Salve!!

Questo capitolo non doveva uscire così, doveva esserci tutta un'altra scena ma il mio cervello ha deciso così e quindi l'ho dovuto assecondare. Comunque mi farebbe piacere se doveste notare degli errori / virgole / incongruenze nella storia così che io possa aggiustarli!! Non vi preoccupate di farli anzi mi fa molto piacere !!

So che magari per alcuni già essere all'ottavo capitolo e ancora non è successo niente fra i due potrebbe dare fastidio ma questa è una enemies to lovers e purtroppo se non c'è un po' di sano odio... 💔

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