Capitolo 4
Daniele continuava a porsi le stesse domande mentre si avviava verso casa: perché un padre non avrebbe dovuto allenare suo figlio? Se il ragazzo veniva bullizzato, non era forse naturale che il padre intervenisse per aiutarlo? Non riusciva a smettere di pensarci, i pensieri martellavano nella sua testa, ruotando in cerchio, proprio come la palla da volley che continuava a palleggiare mentre percorreva i pochi isolati che separavano la palestra da casa sua. Dopo un'ultima alzata al volo, entrò in casa.
"Uhm come è andata oggi?" La voce di sua madre lo colse di sorpresa mentre si sedeva a tavola. Stava arrotolando gli spaghetti nella forchetta, assorto nei suoi pensieri. "Tutto bene..." rispose distrattamente, continuando a girare la forchetta in senso orario, come se cercasse qualcosa di più nelle sue parole.
Sua madre, distogliendo lo sguardo dal telegiornale, si girò completamente verso di lui. "C'è qualcosa che non ti piace?" insistette, intuendo il suo stato d'animo.
Daniele scosse la testa. "No no è solo che sabato abbiamo un'amichevole. Niente di eccezionale, ma... se avete voglia potreste venire." C'era un filo di speranza nella sua voce, come se quel piccolo invito potesse ricucire qualcosa di strappato da tempo.
"Oh Dani possiamo provarci ma sai che lavoriamo" rispose sua madre con un tono gentile, ma rassegnato.
"Tranquilla mamma; non ti preoccupare" annuì cercando di non mostrare la delusione. Continuò a mangiare in silenzio, lasciando che il ticchettio dell'orologio riempisse il vuoto nella stanza.
Quella notte fu il boato dei fuochi d'artificio a svegliarlo, esplodendo proprio davanti a casa sua. I ragazzi del quartiere avevano deciso di festeggiare, senza alcun riguardo per l'ora tarda. Daniele si rigirò nel letto, tentando di ritrovare il filo del sogno interrotto, dove stava già pianificando gli schemi da usare nella partita di sabato. Gabriele e Giò lo accompagnavano in quel sogno, esultando e proclamando: "Questo sarà il nostro anno!" Daniele sorrise nel sonno, avvolto da un senso di soddisfazione.
Il mercoledì a scuola fu un vero incubo. Due ore di italiano, due di matematica e due di inglese si erano susseguite come una maratona senza fine. Durante l'intervallo, Giò si accese una sigaretta e si lasciò andare a un lungo sospiro. "Sono stremato" annunciò, esalando una nuvola di fumo nell'aria calda del cortile.
I tre amici si erano ritagliati un angolo nascosto nella vasta struttura scolastica. L'edificio, con i suoi tre piani imponenti, il chiostro centrale e il grande parcheggio, sembrava quasi una piccola città. Nonostante tutto, né Daniele né i suoi amici possedevano una macchina o un motorino. Si spostavano a piedi o con i mezzi pubblici, come la maggior parte degli studenti. Giò, avendo il loro stesso programma ma invertito, spesso condivideva con loro le anticipazioni delle lezioni future, un vantaggio di cui tutti approfittavano.
"Mi sa che il coach domani ci darà la formazione per sabato" disse Daniele, interrompendo la trance in cui era caduto, osservando ipnotizzato una fila di formiche che trasportavano briciole lungo il muro.
"Vi confesso che ho un po' paura," ammise Daniele, ancora immerso nei suoi pensieri.
Giò lo guardò perplesso. "Paura di che cosa esattamente? Tu sicuro farai parte della formazione; oggi devo batterti se voglio esserci io" ribatté Giò con un sorrisetto, gettando la sigaretta a terra e spegnendola con un gesto secco.
Il pomeriggio in palestra, il coach aveva in serbo una sorpresa per loro. "Volevo provare un piccolo trucco oggi, perché non vi scambiate i ruoli?" annunciò stringendo la sua cartellina e fissando i suoi ragazzi uno ad uno.
"Ma che significa, Coach? Io come schiacciatore non è che sia proprio una cima! Ma secondo lei, perché faccio il libero?" protestò Dario, subito sostenuto da una marea di lamentele da parte degli altri ragazzi.
Daniele, pensandoci su, intervenne: "Ragazzi, a me sembra un'ottima tecnica. Non è giusto che solo Dario faccia il libero, senza offesa Dario. Se un giorno ti dovessi infortunare, chi ti sostituirà in campo? Non è giusto né per te né per noi." Il mormorio di disapprovazione si trasformò lentamente in un'accettazione riluttante.
Dario sorrise, dandogli manforte: "Ed è così che si fa, Capitano!" "Daniele, oggi farai il centrale, e l'alzatore sarà Gabriele," annunciò il coach, completando la formazione del giorno. Daniele, nonostante il cambio di ruolo, non si sentì particolarmente a disagio. Grazie alla sua altezza, sapeva che con un po' di impegno avrebbe potuto fare un buon lavoro.
Il primo e unico set, tuttavia, si rivelò un disastro. La mancanza di coordinazione era evidente: Gabriele non capiva gli schemi, Giò come libero era inadeguato, Dario non riusciva a schiacciare perché non arrivava all'altezza necessaria, ed Edoardo, schierato come opposto, era semplicemente impacciato. Gli unici che se la cavarono furono Lucio e Daniele. La squadra avversaria, i Gialli, non avendo cambiato i propri ruoli, li sconfisse con un sonoro 25 a 5.
Il coach non si trattenne: "Ragazzi, avete fatto schifo. I Gialli vi hanno letteralmente schiacciato." Nonostante la sconfitta, Daniele ridacchiò. La sfida era stata inaspettata, ma interessante. Uno dei ragazzi dei Blu chiese, quasi per sfida: "Coach, possiamo rifarlo anche domani?"
"Così vi schiacciamo di nuovo?" rispose uno dei Gialli, divertito. Mentre gli altri ridevano e scherzavano, Daniele si allontanò dall'euforia generale per andare a controllare se Giulio fosse al solito posto. Il sorriso di Daniele si allargò quando lo vide: il ragazzo stava scrivendo qualcosa sul suo quaderno, girato di spalle. "Eccoti!" esclamò Daniele, felice.
"Eccomi!" sorrise Giulio, girandosi verso di lui e chiudendo il quaderno con uno scatto, prima di riporlo nello zaino. "Ci vediamo alla chiusura qua dietro, okay?" aggiunse, volendo essere sicuro. Daniele era tutto accaldato e sudato, ma il pensiero di una doccia rinfrescante, appena tornato a casa, lo rincuorava.
"Sì! Fai con calma, io nel frattempo ripasso greco per domani!" rispose Giulio, indicando il quaderno nello zaino con un sorriso. Daniele ricambiò e si allontanò.
Poco dopo, il coach si rivolse alla squadra: "Ragazzi, vi ricordo l'amichevole di questo sabato. Domani vi darò la formazione ufficiale. Sappiate che, se questa partita andrà bene, potrei avere una sorpresa per voi." Una sorpresa? Daniele si chiese di cosa potesse trattarsi. Magari finalmente avrebbero ricevuto delle magliette come una vera squadra. Deciso, si scambiò uno sguardo d'intesa con Gabriele e Giò. Avrebbero vinto, con o senza di lui.
Successivamente, Daniele trovò Giulio dietro il capannone della palestra. "Allora, le basi le sai?" chiese Daniele, pronto a insegnare.
"In che senso le basi?" rispose Giulio, incuriosito.
"Palleggiare in aria, schiacciare, ricevere—"
"Oh sì sì, mettimi alla prova!" lo interruppe Giulio, impaziente.
"Perfetto!" Daniele gli lanciò una palla, ma Giulio la mancò clamorosamente. Daniele non riuscì a trattenere una risata. Giulio, imbarazzato, cercò di giustificarsi: "Non mi prendere in giro... l'hai lanciata male!" Ma Daniele, ormai in preda a un attacco di risa, non riusciva a smettere.
"Scusa scusa" riuscì a dire tra le risate, "ma devi ammettere che è stato troppo divertente!" Mentre parlava, imitava scherzosamente Giulio, il che lo faceva ridere ancora di più.
"Hai finito?" chiese Giulio, visibilmente irritato, battendo nervosamente il piede per terra.
"Okay, la smetto. Ti faccio vedere come si fa, va bene? Non mi picchiare!" rispose Daniele, cercando di calmarsi.
Passarono il resto del pomeriggio lì, dietro il capannone. Daniele insegnò a Giulio tutte le basi della pallavolo, insieme a qualche tecnica di sua invenzione e trucchi per evitare infortuni durante le partite vere. Alla fine dell'allenamento improvvisato, Giulio, sudato ma entusiasta, si complimentò: "Daniele, ma tu sei un talento nato! Non capisco perché non provi qualche selezione."
Daniele scosse la testa con un sorriso amaro. "Ah, ma che dici... ci sono ragazzi tremila volte più bravi di me. Non basta la tenacia e il talento, ci vuole fortuna, forse anche troppa. E sai come la compri, la fortuna? Con il denaro. Senza offesa Giulio ma io non ho davvero un soldo. Non posso permettermi tutto quello. Belle le sfide... ma a volte devi guardare il portafoglio e dire: 'Sai che c'è? Forse sto bene dove sono'. Non posso permettermi di andare in una palestra privata, non abbiamo neanche la divisa... siamo ragazzi che vogliono semplicemente portare avanti una passione, niente di più." Si fermò di colpo, rendendosi conto di aver detto troppo. "Mi sa che ho straparlato? Mi dispiace, scusa."
Giulio, colpito dalla sincerità di Daniele, si avvicinò e gli toccò il braccio in segno di solidarietà. "No, scusa me; sono stato invadente, dovevo farmi i fatti miei. Perdonami."
Un silenzio imbarazzante calò tra i due. Giulio finse di controllare l'orologio e, con sorpresa, esclamò: "Scusami è decisamente tardi!" Daniele annuì e finse un "sì, hai ragione" mentre preparava le sue cose per andare a casa. Si salutarono, promettendosi di incontrarsi sempre alla stessa ora l'indomani.
Mentre si dirigeva verso casa, Daniele si sentiva strano, scosso. La questione dei soldi non era mai stata un problema per lui, semplicemente non ne aveva. Ma si chiedeva se davvero avrebbe potuto aspettare le selezioni under 17 e 19. Se avesse avuto un po' di denaro, avrebbe potuto davvero giocare in nazionale? Queste domande lo tormentavano, accompagnandolo per tutta la notte. E l'indomani a scuola fu particolarmente difficile.
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