Capitolo 10

Che Marco fosse una persona strana lo aveva capito fin da subito. Odiava chi gli mentiva; non riusciva a sopportarlo. Non sapeva neanche chi fosse quel ragazzo, eppure, sentiva un'inquietudine crescente. Si girò completamente verso di lui mentre le catene dell'altalena cigolavano. L'aria fredda dell'autunno gli scompigliava i capelli e le sue ciglia tremavano per il vento pungente. Il cielo era coperto da nubi grigie che sembravano annunciare pioggia imminente.

"Tutto bene Dianè? Chi è?" Giovanni smise di discutere con Tiziano e si avvicinò all'amico con un'espressione incuriosita.

"Ciao mi chiamo Marco!" Il ragazzo mantenne la stessa espressione mentre si rivolgeva anche al suo migliore amico. Daniele non poté fare a meno di pensare, per l'ennesima volta, di avere una calamita per i casi umani.

"Uhm?" Giovanni si girò verso di lui aspettando una risposta. "Tutto okay credo..." rispose lui con un tono basso, quasi impercettibile, cercando di nascondere il disagio che cresceva dentro di lui. Nel frattempo anche gli altri ragazzi si erano avvicinati formando un piccolo gruppo intorno a loro. Le guance di Daniele andarono a fuoco mentre il cuore gli batteva forte. Sentiva un nodo allo stomaco e il respiro si faceva corto. Le mani iniziarono a sudare, un chiaro segno del suo imbarazzo. Odiava stare al centro dell'attenzione e ora tutti lo fissavano.

"Va bene... mi sa che devo andare decisamente via adesso." Marco, intuendo di non essere particolarmente benvenuto, salutò rapidamente e si dileguò oltre il cancelletto del parco. Il suo passo era rapido quasi come se fuggisse da quella strana situazione.

"Ma la vuoi smettere di dare confidenza anche ai randagi più disperati?" Gabriele fu il primo a rompere il silenzio con il solito tono sarcastico che usava per sdrammatizzare anche se il suo commento colpì nel segno.

"Scusate ma non è colpa mia se mi ha parlato. Cosa dovevo fare? Alzarmi e andarmene?" rispose difendendosi. Sentiva un misto di frustrazione e vergogna che lo divorava.

"Sì! Si chiama avere paura del prossimo!" ribatté l'altro incrociando le braccia. "Tu non sai mai chi ti può capitare davanti. Prima quel tizio che stava nel nostro magazzino... come si chiamava?" si voltò verso Giovanni cercando il suo supporto. Il diretto interessato alzò le spalle, non riusciva a ricordarsi. "Dai Giova! Il capitano di pallavolo di quelli lì!"

"Ah sì! Giulio?"

"Andrea." Daniele lo corresse corrugando le sopracciglia. "Sì, sì, come si chiama. E poi lui... la vuoi smettere?"

Daniele si sentiva travolto dalle parole dell'amico. "Mi stai facendo la paternale perché sono una brava persona?" chiese, cercando di mantenere la calma, ma il tono della sua voce tradiva la crescente irritazione.

"Sì! Cosa ci guadagni ad essere così disponibile? Chi è che poi ci rimane male e fissa la lavagna o fa finta di dormire in classe, pensando a quello che gli capita? Io o tu?" Chiese quasi come nel sfidarlo. Le sue parole erano come stalattiti nel cuore del ragazzo sull'altalena.

Il suo viso era ormai completamente rosso, le orecchie bruciavano e sentiva come se tutto il corpo fosse in fiamme per l'imbarazzo. Fiorenza e Giulia si unirono alla conversazione, appesantendo ulteriormente l'atmosfera.

"Gabri ha ragione... Ti ricordi l'anno scorso? Quando quel tizio si era avvicinato a noi mentre stavamo mangiando il gelato? Tu gli hai offerto metà del tuo biscotto e lui ti ha riso in faccia e se n'è andato?" Giulia fece una smorfia di disapprovazione mentre parlava.

"Sì! E quella volta che eravamo in fila per il firmacopie di quel cantante che piace tanto a Fiorenza? Un tizio cercò di parlare con lui, e come un allocco si fece fregare il posto in fila perché quello l'aveva già fatto con altre dieci persone prima di lui!"

Daniele si sentiva sopraffatto. Le parole dei suoi amici, seppur piene di verità, lo facevano sentire inutile, come se essere gentile fosse un difetto. Gli venne da piangere ma trattenne le lacrime a fatica. Non voleva mostrarsi vulnerabile davanti a tutti. Tuttavia non poteva negare che loro avessero ragione. Dava sempre troppo di sé, cercava di essere onesto, disponibile e ogni volta finiva per sentirsi usato.

Si alzò dall'altalena mentre il vento freddo sembrava intensificarsi sferzandogli il volto. Gli alberi attorno si agitavano facendo cadere foglie gialle e arancioni che volteggiavano nell'aria, quasi come se il mondo intero fosse in sintonia con il suo stato d'animo. Sentiva il bisogno di andarsene di allontanarsi da quella situazione che lo faceva sentire piccolo e inadeguato.

"Te la sei presa?" Il messaggio di Gabriele fece tintinnare il suo cellulare, interrompendo il silenzio nella sua stanza. Si trovava disteso sul letto con gli occhi fissi sulle stelline fluorescenti attaccate al soffitto. Quella sera sembravano brillare un po' meno quasi come se anche loro fossero stanche o tristi. La finestra scricchiolava sotto la pressione del vento, che stava aumentando. Forse la pioggia, minacciata per tutto il giorno, era davvero in arrivo.

Daniele sospirò profondamente sentendo un senso di pesantezza. Il telefono vibrava ancora tra le sue mani. Si fermò a fissarlo pensando a cosa rispondere. Avrebbe voluto digitare un secco "No", come a voler chiudere subito quella conversazione. Ma si bloccò. Ci ripensò e decise di ignorare il messaggio, lasciando il telefono sul comodino accanto a lui.

Si voltò su un fianco, cercando conforto nel buio della stanza. Gli sembrava che anche il soffitto fosse più lontano del solito, come se tutto stesse lentamente sfuggendogli di mano. Era davvero troppo disponibile? La gente si approfittava davvero di lui? La domanda gli rimbombava in testa, e ogni volta che cercava di scacciarla, tornava più insistente.

Ripensò a quel Marco. Gli aveva dato corda senza pensarci come sempre faceva. Una persona normale, forse, si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata o perlomeno sarebbe rimasta in silenzio lasciando che la situazione si sgonfiasse da sola. Ma lui no. Lui, come al solito, aveva cercato di essere gentile, disponibile, anche se sentiva che qualcosa non andava.

"Che problema ho?" Si chiese. La domanda gli girava in testa come un pensiero ossessivo. Il rumore del vento si fece più forte e le prime gocce di pioggia cominciarono a picchiettare contro il vetro. Fuori le nuvole coprivano il cielo stellato, l'aria sembrava carica di elettricità. Era come se tutto quella sera gli stesse dicendo che aveva sbagliato. Che, ancora una volta, aveva messo gli altri al primo posto ignorando se stesso. Si addormentò a fatica e l'indomani le occhiaie si mostrarono come segni indelebili sotto i suoi occhi stanchi.

Decise di andare ad allenarsi vicino al parchetto di casa sua. Prima, però, si fermò al bar accanto, un locale piccolo e accogliente con tavolini all'aperto, dove il sole del mattino illuminava le sedie in ferro battuto. Entrando l'odore di caffè fresco e cornetti appena sfornati riempiva l'aria. Daniele si avvicinò al bancone e ordinò un dolcetto alla marmellata, il suo preferito. Il bar era semplice, con tovaglie a quadri sui tavoli e qualche pianta verde vicino alla vetrina. La luce del sole filtrava attraverso le tende, creando un'atmosfera rilassante. Mentre aspettava il suo dolce, notò che al parchetto non c'era quasi nessuno. Il cielo era limpido senza una nuvola all'orizzonte e l'aria fresca del mattino lo rinvigoriva.

"Daniele? Sei tu?"

Proprio mentre stava per prendere le monete dal portafoglio sentì una voce familiare. Si voltò, confuso, e si trovò faccia a faccia con Tommaso, dietro la cassa.

"Ciao?" rispose Daniele ancora sorpreso.

"Ciao! Non pensavo fossi davvero tu! Lo sapevo che ci saremmo incontrati di nuovo" disse il ragazzo con un sorriso divertito mentre prendeva il dolcetto da dietro il bancone da sua madre che lo aveva confezionato in una bustina di carta.

Daniele si sentì un po' a disagio ricordando l'episodio passato quando aveva lasciato Tommaso alla fermata dell'autobus un po' perplesso e immobile.

"Sì, scusa per la volta scorsa, io—"

"Lascia stare," lo interruppe il diretto interessato. "Hai avuto ragione non puoi seguire degli sconosciuti solo perché te lo chiede qualcuno. Non te ne faccio una colpa tranquillo" aggiunse con tono rilassato mentre sua madre serviva un altro cliente. Daniele ridacchiò imbarazzato e cercò di concentrarsi sul contare i soldi. La madre di Tommaso, dal fondo del bancone, lanciò uno sguardo di approvazione al figlio che stava cercando di chiudere la transazione.

"Ah, sì, scusa," disse Daniele posando finalmente le monete sul bancone. "Sono un euro e venti, giusto?" Il ragazzo annuì passandogli lo scontrino e la piccola busta. "Ti stavi allenando?" chiese notando la palla da pallavolo che l'altro teneva sotto il braccio.

"Sì, mi piace venire qui la mattina quando non c'è molta gente. Vuoi provare?" disse poi indicando la palla con un sorriso. Tommaso si girò verso sua madre che alzò gli occhi al cielo, ma gli fece cenno di andare con un gesto indulgente.

"Okay, ma non sono molto bravo" con un mezzo sorriso i due ragazzi si avviarono verso il parco.

"Ne vuoi un pezzetto?" chiese l'altro addentando la sua colazione e offrendo gentilmente un morso all'amico. Tommaso rifiutò con un gesto della mano. "Ne mangio fin troppi, mia madre ne porta a casa un sacco. Ancora non capisco come faccio a non ingrassare" scherzò.

Daniele rise. "Beato te! Io posso concedermene uno ogni tanto... la dieta non me lo permette" disse alzando il cornetto come se fosse un piccolo premio da conquistare.

"Dieta? Perché?" Tommaso lo guardò curioso mentre camminavano fino alla panchina sotto l'ombra di un grande albero. "Devo rimanere in forma se voglio rendere bene agli allenamenti!"

Daniele si sedette appoggiando la palla accanto a sé. Il ragazzo, intanto, tirò fuori un pacchetto di sigarette e ne porse una all'altro. "No, grazie" rifiutò lui con un sorriso. "Non fumo."

"Giusto, la carriera prima di tutto, eh?" scherzò Tommaso accendendosi una sigaretta e prendendo un tiro.

"Eddai, non mi conosci neanche e già mi dai del fissato?" rispose il ragazzo ridendo.

"Ma sì! Guarda come sei carino con i tuoi pantaloncini, la magliettina con il numero dietro, la palla e quella fascetta per capelli" ridacchiò indicandolo.

"Sono carino, eh?" scherzò Daniele ma notò subito che Tommaso si irrigidì leggermente. Cercò di rimediare. "Scusa, non volevo sembrare sgarbato... era solo una battuta."

"Figurati" rispose lui con tono più serio prendendo un altro tiro di sigaretta. "Lo facevo per te... sai sono trans e pure gay, vedi che fortuna" aggiunse con un sorriso amaro.

Daniele rimase sorpreso dalla sincerità improvvisa del ragazzo. Sembrava molto più diretto e meno giocoso rispetto a prima. Forse era a disagio o magari cercava solo di rompere il ghiaccio in un modo tutto suo.

"Non è un problema, lo sai, vero?" disse Daniele guardandolo con sincerità.

"Anche tu sei gay?" rispose lui fissandolo con uno sguardo curioso.

Daniele scosse la testa. "No io no."

"Okay capisco."

"Non mi credi?" Chiese di rimango lanciando la palla in aria e riprendendola con una mano.

"Finché non provi, non puoi saperlo" rispose Tommaso. "Molti etero fanno finta di esserlo solo perché non hanno mai provato nemmeno a baciare qualcuno dello stesso sesso. Magari non è il tuo caso... ma succede spesso. Conosco una ragazza trans che pensava di essere etero, poi ha provato con una ragazza, ed è scattata la scintilla."

Daniele ascoltò, annuendo pensieroso. "Capisco... non mi era mai successo di doverci pensare così."

"Ma sì, vivitela libera. Un bacio non si nega a nessuno," concluse Tommaso spegnendo la sigaretta sotto la suola della scarpa. Un gesto inusuale, non l'aveva mai visto fare.

Daniele rimase in silenzio per un attimo. Quel Tommaso così schietto e malinconico gli sembrava diverso dal ragazzo spigliato che ricordava sull'autobus di qualche giorno prima. Qualcosa in lui era cambiato e Daniele lo percepiva chiaramente.

"Stai bene?" gli chiese posandogli una mano sulla spalla. Tommaso si voltò di scatto sorpreso dal contatto. "Sì, tutto okay," rispose con un sorriso forzato. Daniele, però, non era convinto. Lo sguardo sfuggente di Tommaso, il modo nervoso in cui tamburellava le dita sul ginocchio... qualcosa non andava. Ma decise di non insistere.

"Ti andrebbe davvero di conoscerci meglio?" chiese Tommaso al limite dell'imbarazzo. "Magari ci scambiamo i numeri... possiamo parlare, qualsiasi cosa." Le sue guance erano di un rosso vivido, le orecchie dello stesso medesimo colore. Stava praticamente andando a fuoco.

Daniele sorrise. L'idea di Tommaso gli sembrava dolce, anche se l'amico si sentiva probabilmente un po' insicuro. Nessuno gli aveva mai chiesto di voler essere suo amico così apertamente. Era sempre lui a doversi fare in quattro per tenere insieme le relazioni.

"Certo" rispose tirando fuori il cellulare e passandolo a Tommaso che inserì il suo numero rapidamente. "Fammi sapere quando vuoi vederci."

Ed ecco che c'era cascato con tutte le scarpe. Di nuovo.

***
Per chiunque sia ancora qui, grazie di cuore per
aver letto il capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate se c'è qualcosa che non vi convince o altro, io rimangono sempre a disposizione per chiarire qualche dubbio. 🫶🏻

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