31. Non raggiungibile?
Quando Elia riprese il telefono, quella sera, si stupì della totale assenza di notifiche da parte di Luca. Si erano scambiati un paio di messaggi prima di pranzo, poi Luca aveva cancellato i loro programmi per quel pomeriggio senza dargli ulteriori spiegazioni e lui aveva supposto che si sarebbero sentiti prima che andasse al concerto, ma non era successo. Allora l'aveva chiamato, ma non era riuscito a mettersi in contatto con lui: spento o non raggiungibile. Controllò ancora l'ultimo messaggio mandatogli prima di entrare al locale: una sola spunta grigia. Forse, pensava, alla fine lo schermo aveva ceduto e Luca si era ritrovato con un display, se non addirittura tutto il telefono, da cambiare, impossibilitato a comunicare con lui e con tutti gli altri. Quel silenzio, però, non era da lui. Luca avrebbe trovato un altro modo per contattarlo, anche solo per augurargli buona serata, avrebbe potuto scrivergli su Instagram dal tablet o dal computer, per esempio; c'erano un sacco di modi per sentirlo, se avesse voluto. Cos'era adesso quel vuoto? Gli mancava, ma soprattutto iniziava a preoccuparsi. Non aspettò neanche che il primo gruppo iniziasse a suonare, salutò gli amici senza chiedere un passaggio per evitare di dare spiegazioni e cercò il primo pullman che lo portasse dalle sue parti. Era deciso a prendere la macchina e andare sotto casa di Luca, senza nemmeno sapere cosa avrebbe fatto una volta lì, né quale fosse la sua finestra o come avrebbe fatto a superare il cancello. Si sentiva una specie di stalker maniaco del controllo. Magari Luca era da qualche parte, a una festa da ricchi, a godersi qualche disgustoso cocktail colorato senza pensare alla batteria scarica del suo telefono, ignaro dello stato d'agitazione in cui aveva gettato il suo ragazzo. Perché si preoccupava così tanto? Avrebbe fatto bene a starsene buono e aspettare che si facesse vivo lui, magari una volta tornato a casa e messo sotto carica il telefono. Quante volte Mauro era sparito per intere ore, con quella scusa, per poi sbucare come niente fosse una volta a casa? Poteva succedere, in fondo. Già, ma Mauro l'aveva anche tradito, e magari proprio in quelle occasioni. Luca però non avrebbe mai fatto una cosa simile, era impensabile: prima di tutto non era quel tipo di persona, e poi era troppo innamorato di lui anche solo per guardarsi intorno. Di questo Elia non poteva dubitare. Tutte queste considerazioni rafforzavano l'idea che ci fosse qualcosa che non andava e lo rendevano ancora più inquieto.
Quando entrò in casa trovò suo fratello sul divano, ancora con la divisa del lavoro, intento a mangiare una pizza direttamente dal cartone appoggiato sulle sue gambe. «Come mai a casa così presto?»
«Così» rispose chiudendosi la porta alle spalle. «La mamma?»
«Da Antonio. È passato il tuo ragazzo.»
«Che ragazzo?»
«Perché, quanti ne hai? Il bell'addormentato, comunque.»
«Luca è passato da qui?» Ok, adesso davvero c'era qualcosa di strano. Era passato da lì senza avvisarlo? Perché?
«Sì, ti cercava, ha lasciato una scatola. Ti avviso che se è droga non ne voglio sapere.»
«Come sarebbe che ha lasciato una scatola?»
«Ha suonato e gli ho detto che non c'eri, allora mi ha chiesto di lasciare qui una cosa per te, sono sceso e mi ha dato quella.» Federico indicò un pacco regalo, incartato con la carta di Super Mario, sul tavolo. «Mi ha detto che non poteva più tenerla e non sapeva se dove stava andando avrebbe avuto abbastanza spazio, senti non ho capito tanto bene. Era agitato, sembrava di fretta. Per quello ho pensato fosse sospetto.»
Elia si avvicinò al pacchetto e capì subito.
«Non è droga.»
«E che cos'è?» Federico intanto si era alzato, la sua curiosità era superiore alla sua voglia di pizza, e si era avvicinato al fratello.
«È il mio regalo di compleanno.»
«È un po' in anticipo, strano.»
«Sì, strano.» Prese il telefono e provò di nuovo a chiamarlo. Ancora spento o non raggiungibile.
«Beh, non lo apri? Non vuoi sapere cos'è?»
Quello era l'ultimo dei suoi pensieri. Dov'era Luca, cosa gli era successo? Perché aveva portato lì quel pacco, cos'era successo a casa sua?
«Non è importante adesso, aprilo tu se proprio ci tieni. A che ora è passato, era a piedi? Era da solo?»
«Era in macchina con una tipa, mi pare.» Rebecca?
«Che macchina? Una Mini?»
«Sì, una di quelle bianche bicolor.» Elia lo ignorò e afferrò di nuovo il telefono, che rischiava di cadergli, da quanto gli tremavano le dita. «Davvero non ti interessa?» Federico gli mostrò il pacchetto, scartato per metà. Si vedeva già cos'era: una Nintendo Switch Lite gialla, il colore che avrebbe scelto Elia. In altre circostanze avrebbe gioito a dismisura per quel regalo, ma mancava ancora una settimana, non avrebbe dovuto riceverlo così.
«Perché cazzo lo hai aperto?»
«Mi hai detto tu che se ero curioso avrei potuto aprirlo io.»
Non doveva andare così. Doveva essere Luca a darglielo. Lui avrebbe voluto dirgli che era troppo, ma alla fine, per non spegnare il suo entusiasmo e il suo sorriso per averlo reso felice, avrebbe accettato e l'avrebbe riempito di baci e Luca lo avrebbe guardato con i suoi bellissimi occhi pieni di amore per lui.
«Rimetti tutto a posto. Manca ancora una settimana. Lo aprirò con lui.»
«Che ne sai, forse è un regalo d'addio, magari non ti sopporta più e non sa come dirtelo.»
Ignorò le battute del fratello, e chiamò Rebecca almeno sei volte, trovando anche il suo telefono spento, prima che lei si degnasse di tornare raggiungibile. A quella notifica la chiamò altrettante volte, ma lei non rispose. Nel frattempo, era già uscito con la macchina e si era avviato verso il precollina dove viveva Luca. Sapeva di non trovarlo più lì, ma da qualche parte doveva iniziare a cercarlo, in casa sarebbe impazzito. Dove cazzo era finito? Quando Rebecca richiamò era ormai a cinque minuti da casa di Luca, prese in mano il telefono prima ancora di accostare, senza nemmeno mettere la freccia. Fortunatamente non c'era nessuno dietro, ma Federico, sul lato del passeggero, imprecò, prima di venire zittito da un'occhiataccia, mentre lui rispondeva: «Dov'è?»
Dall'altra parte della linea Rebecca lo salutò sottovoce. Perché parlava così? Dov'era? In ospedale forse?
«Sta bene?» Un groppo in gola gli impedì di chiedere altro e trattenne il fiato finché non sentì l'altra rispondere.
«Sta bene. Smettila di chiamarmi se non rispondo. I miei mi stanno addosso, vogliono sapere dove si è nascosto. I genitori di Luca li hanno chiamati. Ti sto chiamando adesso mentre loro sono di nuovo al telefono.»
«Ma lui dov'è?»
«Adesso è da un amico, non poteva stare da me, l'avrebbero cercato qui visto che l'ultima volta che è uscito eravamo insieme. Devono credere tutti che non so nulla o non mi daranno tregua.»
«Ma cos'è successo?»
«Sapevi che se ne voleva andare, vero?»
«Sì, ma credevo l'avrebbe fatto dopo il diploma.»
«Beh, le cose si sono complicate in fretta, ha dovuto andarsene oggi stesso. È stato bruttissimo, prima ancora di caricare la macchina suo padre è rientrato e ci ha beccati, non gli ha lasciato prendere niente, nemmeno il computer o un libro, solo uno zaino con l'essenziale.» E il regalo di compleanno per lui era in quella borsa, nelle cose essenziali? Quanto poteva essere stupido? Gli veniva da piangere, da rimproverarlo, prenderlo a pugni, stringerlo forte, abbracciarlo, insultarlo.
«Dimmi dov'è, lo vado a prendere.»
«Te l'ho detto, è da un amico.»
«Quale amico?» Yuri no di certo. Sorvolando sul fatto che erano in pessimi rapporti, i genitori di Luca lo avrebbero cercato anche lì.
«L'hai conosciuto forse, è un nostro amico. Non lo troveranno, non lo conoscono, stai tranquillo.»
«Perché non avete chiamato me?»
«Siamo passati, ma non c'eri. Credo che sperasse che gli chiedessi di restare da lui, ma è meglio così. Da Thomas starà bene, è un buon appoggio.»
Thomas? Non era il momento di essere gelosi, ma quel pensiero fu più forte di lui, sfuggì al suo controllo e gli procurò una punta di fastidio.
«Mandami le coordinate.»
«Non posso, i miei mi controllano il telefono, ho paura di non fare in tempo a cancellare il messaggio. Ma ti do l'indirizzo, ok? Segnatelo al volo.»
Elia strappò dalle mani il telefono al fratello e scrisse nelle note l'indirizzo e il cognome del citofono, dopodiché Rebecca aggiunse, a memoria, il numero di telefono di Ken massaggiatore, che Elia scrisse con ancora più fastidio.
«Quando vai digli che io non posso contattarlo adesso, ma che tra stasera e domani mattina gli farò avere un nuovo telefono e, se riesco a farmi dare qualcosa da Matteo, anche delle cose sue. Devo capire se suo fratello è con lui o contro di lui, prima e sperare che si prenda almeno cura del gatto, per adesso.» Poi ci fu un attimo di silenzio e la ragazza aggiunge: «Devo andare. Fai il bravo», e riagganciò.
Come sapeva che avrebbe voluto fare un casino a casa di quel tipo? Perché Luca non aveva chiesto a Federico di farlo entrare e non lo avevano aspettato? Perché non lo avevano fatto chiamare da suo fratello, visto che avevano spento i loro telefoni? Invece erano andati a scomodare un tizio a caso che non c'entrava nulla, per chiedergli ospitalità. L'avevano escluso, tagliato fuori dalla vita di Luca proprio quando aveva più bisogno di lui. Lui non era forse abbastanza? Avevano pensato che non sarebbe stato d'aiuto? Per un attimo considerò di lasciar perdere: se Luca non lo aveva voluto con sé, allora che si fottesse. Sarebbe tornato a casa a farsi i fatti suoi e l'avrebbe lasciato con quel bellimbusto. Ma a casa c'era quella console ed Elia non riuscì a pensare che Luca non era riuscito a prendere nemmeno un libro o il computer, ma aveva preso quella. Per lui. Anche in un momento del genere aveva pensato a lui. Si guardò intorno, con un senso opprimente di rabbia e impotenza che gli cresceva a una velocità spaventosa. Avrebbe voluto spaccare qualcosa. E poi lo vide, quel cazzo di lucchetto. Ecco cosa poteva rompere.
«Guida tu.» Quando tornò alla macchina suo fratello scese senza protestare e si sistemò sul lato del guidatore.
«Voglio andare a casa di quegli stronzi e spaccare tutto. Dare fuoco alla loro cazzo di dépendance, rapire quello stupido gatto che mi odia e demolire il resto della casa.»
«Luca è lì?»
«No, lo sta ospitando uno.»
«E...?»
«E sono incazzato, va bene?»
«Perché non si è fermato da noi? O perché è da quel tale?»
Bella domanda. Entrambe le cose, forse, ma era soprattutto altro a farlo vibrare di nervosismo. «Anche, ma non è quello. Sono incazzato perché non se lo merita. Tra tutte le persone che conosco non c'è nessuno che meriti la merda che ha dovuto sopportare meno di lui. I suoi sono degli stronzi omofobi e bigotti, mentre lui è così dolce che... insomma, anche loro non meritano lui!»
«Perché, se fosse stato un tipo cazzuto e antipatico avrebbe meritato una cosa simile?»
Elia si voltò verso il fratello, che intanto aveva abbassato il finestrino e si era acceso una sigaretta. Perché non si muoveva a partire? «Non ho detto quello. È che lui non deve stare male, ok? Mi fa incazzare che possa soffrire, vorrei che stesse sempre bene, che non fosse mai triste o ferito. Muoio dalla voglia di prendere a calci chiunque gli faccia del male. Ti giuro, sto seriamente considerando di andare lì e fare un macello.»
«Non servirebbe a niente, quindi calmati. Vuoi una sigaretta anche tu?»
«Che razza di infermiere sei? Non dovresti fumare né offrire sigarette agli altri!»
«Tecnicamente non sono un medico, quindi sticazzi.» fece ancora due tiri, poi la spense e si mise la cintura di sicurezza. «Dove devo andare?»
«Via Garibaldi.»
«In centro a Torino? Ma non era a casa di un amico? Tu sei qui a disperarti e quello se ne sta da qualche parte a fare serata?»
«È un appartamento, ok?»
Federico mise in moto, fece inversione e lanciò un'occhiata al fratello: «Vuoi dire che ci vivono lì? Credevo fossero solo negozi e uffici, magazzini al massimo. Chi vive in pieno centro?»
«Qualcuno pieno di soldi che può offrire più di un divano con le molle scassate a un ospite, magari? Adesso per favore guida e stai zitto!»
«Guarda che sono venuto per te, eh! Mi hai detto che avremmo dovuto salvare il tuo bello da una famiglia di pazzi fanatici religiosi e farlo scappare. Se i piani cambiano non è colpa mia, sono solo curioso.»
«Non è il mio bello.»
Non è venuto da me. perché non sei venuto da me?
Guardò fuori, con gli occhi lucidi.
«Ma se due minuti fa hai detto che lo vorresti proteggere da tutto il male del mondo?»
«Perché cazzo fai così? Non è quello che ho detto.»
«Ma il senso è lo stesso. Sei praticamente fottuto.» Sì, lo era. «E questo tizio da cui sta, è un amico o...?»
«Sempre per curiosità?»
«No, per sapere se devo scendere anche io o se posso aspettarti in macchina o farmi una birra, intanto.»
Elia dovette pensarci. Thomas era un amico? Di sicuro non suo, ma di Luca? Di certo presentarsi lì con Federico, pronto a scattare per ogni parola fuori posto, ancora peggio di lui, non sarebbe stato un buon modo per iniziare una conversazione. E poi, di quel tizio in fin dei conti gli importava poco niente, voleva solo vedere Luca.
«Puoi andare a bere, ma resta in zona, ok?»
«Va bene, chiamo Chris e Dome, saranno in zona, ma resto nei paraggi. Scrivimi per qualsiasi cosa.»
«Grazie. Davvero.»
«Ho detto a Mauro che stavi scopando con un tipo molto più bello di lui e imbarcato di soldi. Se perdi questo Luca passerò per cazzaro, e non mi va.»
«Cos'hai fatto? La smetti di provocarlo? E poi, perché fare una cosa simile?»
«Perché deve capire cosa si è perso, non se ne è reso conto abbastanza.»
Avrebbe voluto discuterne, ma decise di lasciare perdere. Un fratello attaccabrighe invadente e protettivo era molto meglio di quello che era capitato a Luca e a tanti altri, non era il caso di fare lo schizzinoso, in un momento come quello. «Che altro gli hai detto?» chiese per curiosità.
«Che fa schifo come batterista metal e di darsi al punk.» Quella frase completamente fuori contesto e tipica di Federico lo fece ridere, sollevandogli il morale di qualche millimetro e l'altro approfittò dello spiraglio per dirgli: «Stai tranquillo, tra poco saremo lì. Sei anche fortunato che ci sia io, perché avresti trovato parcheggio come minimo all'alba, a quest'ora di sabato.»
«Sono davvero fortunato che ci sei tu. In tutti i sensi.»
«Non diventarmi smielato, adesso.»
«Però è vero.»
«Diciamo che non tutti hanno il fratello che si meritano, nella nostra famiglia la fortuna in questo senso te la sei beccata tutta tu.»
Elia sorrise appena, ancora teso, ma sempre più ottimista, man mano che si avvicinavano al centro. Luca era sempre più vicino. Lo avrebbe visto, si sarebbe accertato che stesse bene. Dal telefono del fratello copiò il cognome e il numero di Thomas, poi lo collegò all'autoradio e lasciò che fosse la musica a riempire il silenzio in cui si chiuse. Non voleva più parlare di Luca, voleva solo vederlo e dirgli che andava tutto bene, dargli un pugno per non averlo aspettato, baciarlo e consolarlo, sgridarlo per non avere avuto fiducia in lui e poi trascinarlo a casa sua. Era lì che doveva stare, con lui. In un modo o nell'altro si sarebbero organizzati.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top