29. Un giocatore?

«Non dovevi prendere qualcosa?»

«Sì, la prendo mentre usciamo.»

Si infilarono le scarpe, poi Luca inserì l'allarme, chiuse la porta di casa, aprì la cassapanca sul portico e prese una palla da basket, che fece impallidire Elia.

«Non vorrai farmi fare sport, vero?»

«Beh, non ti farebbe male.»

«Che cooosa? Ripetilo se hai il coraggio!»

Risero entrambi, poi Luca fece un passaggio a Elia che gli finì sul petto e per poco non lo fece cadere all'indietro, mentre la palla, dopo aver rimbalzato in solitaria un paio di volte, senza essere intercettata nemmeno per sbaglio, rotolò giù dai tre gradini del portico, verso il vialetto.

«Non me l'aspettavo, mi devi avvisare.»

«Credevo avresti allungato le mani per prenderla, che ne so che stoppi le palle da basket di petto come se fossero da calcio!» Mentre recuperava la palla, qualche metro più in là, vide la macchina di sua madre superare il cancello e avvicinarsi. «Merda.»

«Che succede?»

«Niente, mia madre. Sarebbe strano schizzare in macchina e andare via subito, vero?»

«Luca, rilassati. Siamo solo venuti a prendere questa per fare due tiri a canestro.» Gli prese la palla dalle mani. «Si dice così, giusto? Cercherò di sembrare etero e sportivissimo e in grado di farci qualcosa, con questa.» Fece il rimbalzo più storto della storia del basket, quindi la afferrò con due mani. «Ecco, magari la tengo in mano e non la faccio più cadere, sai, per essere più credibile. E prometto che non le dirò nemmeno che preferisco le palle di suo figlio e cosa ci faccio, va bene?» provò a scherzare, ma Luca non riusciva a rilassarsi, la voce di Elia si allontanava in modo proporzionale all'avvicinamento di sua madre.

«Luca? Non parlerò nemmeno, va bene? Meglio?»

«Ok. Cioè, no. Parla pure... aspetta, non è che ti serva il mio permesso... parla quanto vuoi o non parlare, è lo stesso. "Ok" nel senso che mi calmo. Siamo solo venuti a prendere questa, non abbiamo scritto in faccia cosa abbiamo appena fatto, vero?» ripeté a sé stesso, per convincersi. Aveva buttato il preservativo così in fondo nel cestino del bagno che non lo avrebbero mai trovato; forse aveva sbagliato, avrebbe dovuto portarlo con sé e buttarlo in un cestino per strada. Se adesso sua madre, rientrando in casa, avesse davvero rovistato nella sua spazzatura? Avrebbe capito che era stato usato con Elia? Aveva lasciato anche il letto un po' sfatto e forse non aveva cambiato abbastanza aria, e poi c'erano due asciugamani da bidet usati nel cesto dei panni. Si sarebbe chiesta perché due? I polmoni iniziarono ad essere più piccoli, capaci di trattenere solo poca aria alla volta.

«Luca, respira. Stai andando in iperventilazione. A meno che non mi ispezioni il buco del culo, è impossibile che se ne accorga, te lo prometto.»

Lo guardò male per quel commento inappropriato: era una cosa seria e lui ci scherzava in quel modo! Ma appena incontrò il suo sguardo e la sua espressione da furbetto, non riuscì a trattenere un sorriso. Tutta la sua ansia si spense lentamente, nel contatto visivo con Elia.

Si stavano ancora guardando quando sua madre parcheggiò e scese dalla macchina. «Ciao Luca.»

«Ciao mamma.»

La donna si avvicinò ai due e guardò Elia con curiosità.

«Salve signora.»

Evitando di fare le presentazioni, Luca prese la parola per divincolarsi il prima possibile da quella situazione. «Stavamo andando a fare due tiri al campetto qui sotto. Siamo venuti solo a prendere questa.»

«Non sei tu che sei entrato un'oretta fa, più o meno? Mi è arrivata la notifica dell'allarme.»

«Sì, prima abbiamo visto degli esercizi di matematica insieme, sai, per il recupero» improvvisò.

«Ah, allora tu sei il ragazzo delle ripetizioni di matematica! Dici che Luca ce la farà a rimettersi in pari per gli esami?» E ora? Elia avrebbe capito? Gli avrebbe retto il gioco?

«Penso di sì, si impegna molto e impara davvero in fretta. Sono sicuro che sta già recuperando alla grande.» Forse sua madre non si era accorta di nulla, ma Luca aveva capito dall'intonazione della voce di Elia, che stava trattenendo a stento una risata nell'esprimere tutti quei doppi sensi. E nonostante la situazione più che drammatica, veniva un po' da ridere anche a lui.

«Sì, lo so che si impegna tanto. E non è stupido, eh!» specificò sua madre.

Grazie per la precisazione, mamma.

«È che sin da quando era bambino ha sempre avuto problemi con la matematica e i calcoli, è disordinato e trascrive male le cose. Le regole le capisce, sulla teoria non ha problemi, ma tra un passaggio e l'altro degli esercizi fa errori di disattenzione, copia male i segni, i numeri. Io e suo padre alla fine ci abbiamo rinunciato. Se tu riesci a trovare un metodo ti paghiamo anche il doppio, guarda!»

Ok, quello era umiliante. Non aveva parlato a Elia delle sue difficoltà con le materie scientifiche, si era soffermato a dire che aveva qualche problema nel primo quadrimestre, senza scendere troppo nei dettagli. Come minimo Elia avrebbe pensato che era stupido.

«Non abbiamo ancora stabilito la mia tariffa, ma le farò sapere se la situazione è così disperata da chiedere subito un aumento.» Elia scherzò e Luca vide l'effetto che fece anche a sua madre. La vide ridere di gusto, divertita e piacevolmente colpita dalla personalità del ragazzo.

Stai parlando e scherzando con il mio ragazzo, mamma. Guardaci, non sarebbe bello se potessimo farlo anche dopo aver saputo la verità? Saremmo sempre noi, gli stessi di adesso.

«Ho appena comprato delle scarpe e una borsa» continuò lei a scherzare «fammi sapere se devo riportarle indietro perché andremo improvvisamente in bancarotta!»

«La finite di prendermi in giro voi due? Elia, andiamo?»

«Sì, andiamo. Luca ha accettato di ricambiare le lezioni di matematica con quelle di basket, sa, per fare colpo con le ragazze.» Oh, quella era davvero bella. Era sconvolto dalla facilità con cui inventava storie e sembrava convincente.

«Forse ci sono più probabilità che tu insegni qualcosa a lui anche su quel fronte. Non si vedono molte ragazze qui.»

«Mamma! Non credo che sia interessante.»

«Scusa, non volevo mettervi in imbarazzo.»

«Non si preoccupi. Arrivederci allora.»

«Ciao ragazzi. Elia giusto? Piacere di averti conosciuto. Fermati a cena una sere di queste, se ti va.»

«Volentieri. Basta che poi non mi scalate la cena dalla parcella.»

Sua madre rise di nuovo.

Guardalo bene mamma, il ragazzo che adesso trovi adorabile diventerà l'abominio che mi ha deviato, appena ti dirò tutto.

Ripresero a parlare solo una volta in auto, mentre si avviavano verso il cancello e poi fino in fondo alla via.

«Ripetizioni di matematica?»

«Lascia stare, è una lunga storia.»

«Se vuoi te le posso dare davvero. Non credo che da settembre ad oggi abbiate fatto molto, posso dare un'occhiata al libro.»

«Hai sentito mia madre, non ho difficoltà a capire la teoria, è che sono stupido, scrivo male e faccio errori di distrazione.»

«Sono abbastanza sicuro che tua madre abbia detto proprio che non sei stupido, in realtà.»

«Sì, ma è un po' deprimente che abbia dovuto specificarlo, come se in realtà lo pensasse.»

«Ma se la matematica non è nelle tue corde sin da quando sei bambino perché hai scelto un liceo scientifico?»

«È propedeutico a Economia o Ingegneria, che sono le facoltà che mio padre si aspetta che frequenti.»

«Economia o ingegneria, come no! Ma se sei una capra in matematica!»

«Grazie tante!»

«Ma è vero! Se le tue inclinazioni sono di un altro tipo dovresti seguire quelle. Spero davvero che iscriverti a Lettere non sia una cosa detta tanto per dire, ma che lo farai davvero, alla fine. Mi dispiacerebbe vederti un corso di laurea che va contro ciò che vuoi.»

Ma io già ci vivo andando contro ciò che voglio. Prima di te, almeno.

Parcheggiarono la macchina di Elia poco prima della salita. In quel brevissimo tragitto aveva notato la spia del serbatoio accesa, ma non sapeva come proporgli di dividere la spesa senza offenderlo. Quella settimana Luca era stato a casa sua il lunedì e il martedì e poi Elia lo aveva sempre riaccompagnato. Il mercoledì l'aveva accompagnato in tre centri sportivi che ospitavano squadre di basket dove Luca aveva preso informazioni per un possibile inserimento, e quel giorno l'aveva scarrozzato dall'altra parte della città per portarlo dalla sua psicologa, e poi di nuovo a casa sua.

«Riesci a tornare a casa senza fare benzina?»

«Sì, non preoccuparti.»

«Posso contribuire?»

«Non serve, ce la faccio.»

«Lo so che non serve, ma prendiamo sempre la tua macchina perché io non guido. Se ce l'avessimo entrambi faremmo un po' a testa no? Non ho mai visto quella spia spenta, sei sempre in riserva, ho paura che prima i poi tornando a casa resti a piedi.»

Elia sospirò. Stava cedendo.

«La prossima settimana, mio fratello fa il pomeriggio in ospedale, se tengo duro fino a domani farà lui il pieno.

«Allora se la prossima settimana ci vediamo posso pagare i biglietti del pullman?» Non era la stessa cosa, ma era già qualcosa, l'avrebbe considerata una vittoria.

«Io ho l'abbonamento. Ma perché, tu no?»

«No, io no.»

«Cioè paghi il biglietto ogni volta?»

«Sì, beh... non capita spesso. Prima c'era Yuri, ora mi porta mio fratello e ora all'uscita... beh, ci sei tu che mi porti da te e poi mi riaccompagni a casa.»

«Cavolo, sei proprio un bel principesso!»

«Ancora per poco, tra un po' sarò un operaio.»

«Non farmici pensare.» Elia gli lanciò un'occhiata maliziosa, prima di riportare lo sguardo sulla strada.

«Ecco, è qui. Fermati qui.» Anche senza ulteriori indicazioni, il campetto era impossibile da non notare. Luca era emozionato all'idea di entrare con lui. Elia aveva dimostrato la sua scarsa predisposizione al basket, ma non era per quello che erano lì. Voleva condividere con lui un luogo speciale, pieno di ricordi piacevoli e rifugio per molti dei suoi momenti tristi.

Elia parcheggiò proprio davanti al campetto recintato e spense la macchina. Luca palleggiò fino alla porticina della recinzione, poi prese la palla con la sinistra e con la destra abbassò la maniglia per entrare. L'aveva fatto milioni di volte, da quando era bambino, era un gesto così automatico che nemmeno guardava cosa stesse facendo. C'era però qualcosa di diverso, perché la porta non si aprì.

«Non ci credo.»

La palla gli cadde da sotto il braccio ed Elia la raccolse dopo un paio di rimbalzi, prima che finisse in strada, per poi tornare da lui.

«Che succede?»

«È chiuso.»

«Hai dimenticato le chiavi?»

«Non ci sono mai state chiavi. Non c'è mai stato un lucchetto, prima di oggi.» Calciò la rete, da sempre una protezione per non fare uscire la palla dal campo, mai per non fare entrare qualcuno. Lui. Era appena stato tagliato fuori dal suo posto felice, il suo rifugio, il suo luogo di terapia. Nel vederlo così alterato Elia sussultò.

«Scusa, non ce l'ho con te. Mi fa solo incazzare che sia arrivato a tanto.»

«Chi?»

«Indovina.»

«Ma mica può farlo. Dammi quella pietra, ti faccio vedere come si sfascia un lucchetto. Gliene facciamo cambiare uno al giorno, vedi che gli passa la voglia di metterli. Sarà l'incubo di tutte le cazzo di ferramenta della zona!»

«Non possiamo, è suo.»

«Cosa, il campo? Scherzi?»

«No, Yuri viveva qui vicino, prima. Si sono trasferiti un paio d'anni fa, dopo quello che è successo. Suo padre ha comprato il terreno e ha fatto costruire il campetto per noi quando eravamo piccoli, ma l'ha lasciato aperto per far giocare chiunque.»

«Chiunque che adesso se la prenderà in quel posto perché a Yuri gira così?»

Luca non aveva pensato che a rimetterci non sarebbe stato solo lui. A frequentare quel posto c'erano ragazzi e bambini di tutte le età, che colpe ne avevano, loro, dei casini tra lui e Yuri? Perché dovevano pagarne le conseguenze?

Prese il telefono, le mani gli tremavano per la rabbia. Elia non gli disse nulla, non cercò di dissuaderlo o calmarlo, e lui fece partire la chiamata. «Davvero hai chiuso a chiave il campo?»

«Sì.» Dall'altra parte del telefono Yuri era calmo, come se stessero parlando del tempo.

«E tutti quelli che ci venivano?»

«Quattro gatti.»

«Comunque ci venivano.»

«Erano scrocconi. E visto che tu non sei più in Sisport non ha senso tenere aperto anche per te, per farti allenare per giocare contro di noi?» Giusto, Yuri non sapeva che la ricerca di una nuova squadra aveva dato esiti poco incoraggianti. Nessuna Under 20 prendeva nuovi giocatori che avevano già diciannove anni. Il giorno dei giri nelle varie palestre Elia gli aveva detto che avrebbero chiesto ancora, ma lui aveva deciso di rimandare all'Università il discorso basket, sperando, intanto, di non arrugginirsi.

«Yuri, sei serio?»

«Sono serio quanto te. Vatti ad allenare a parco Dora.»

«Sì, forse è quello che farò. Ah, e vaffanculo anche a te e alla porta, Yuri.»

Riagganciò, per poi scagliare il telefono a terra e aggrapparsi con le dita di entrambe le mani ai quadrati rovesciati dell'intreccio della rete, passando lo sguardo da un punto all'altro, dai canestri alle scalinate, come se da quel momento gli sarebbe stato precluso anche guardare e ricordare. Strinse così tanto le dita che erano ormai insensibili quando Elia le sfiorò con le sue.

«Tieni.» Gli passò il telefono che gli aveva recuperato da terra. «Credo che ti serva uno schermo nuovo.»

«Scusa, non volevo sclerare così.» L'impressione che aveva dato di sé a Elia era più importante di qualsiasi telefono.

«Non devi scusarti, io avrei fatto peggio. Per esempio, se mi dicessi dove abita Yuri andrei a fargli un saluto.»

«Non servirebbe a niente. Credo che sia ora di lasciare andare un po' di cose.» Guardò ancora una volta oltre la rete, le righe a terra sbiadite, così come erano sicuramente scolorite le loro iniziali, scarabocchiate sul metallo dell'impianto di uno dei canestri.

Yuri non lo sa, ma mi ha fatto un favore, mi sta aiutando a lasciare andare il passato. Non i ricordi o le cose belle, ma la paura.

«E ora per favore, puoi prendere i soldi per la benzina? Penso di averne abbastanza, per oggi e per un po', di persone orgogliose!»

Elia soppesò quelle parole, poi scosse la testa, sospirò e infine accettò. «Va bene, per questa volta dividiamo, ma ricordati che ti devo otto euro!»

«Non avevamo trovato un accordo?» Lo spinse un po' con la spalla, ridacchiando. Nonostante tutto aveva ancora voglia di sorridere, grazie a lui, ignaro che il suo tempo stesse già per scadere. 

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