23. Assunto?

Quando si sedette a tavola, Luca non era più ottimista come un paio d'ore prima. Aveva provato a sondare il terreno con suo fratello per capire se avrebbe avuto un alleato in casa al momento del coming out con il resto della famiglia, ma era così andata male che il momento di dichiararsi sembrava ancora più lontano, adesso. Sarebbe tornato al piano originale? Diploma, poi via di casa subito dopo, con i primi guadagni di un lavoro qualsiasi? Anche se il programma ufficiale prevedeva un appartamento da dividere con Yuri e Rebecca e studiare quello che avrebbero voluto i loro genitori, Luca aveva modificato quello scenario, sostituendo la casa in centro con una catapecchia in qualche zona dove l'affitto era sotto i cinquecento euro al mese per un monolocale, frequentare Lettere e, aggiunta recentissima, ospitare Elia a dormire da lui tutte le sere. Si concesse di distrarsi mentre Matteo e suo nonno parlavano di lavoro, di come il giovane portasse avanti egregiamente l'azienda di famiglia. Sua madre non poteva essere più felice di così, per aver ceduto il proprio posto di dirigenza al suo figlio maggiore, in modo che lei potesse stare a casa a prendersi cura della famiglia. Matteo la rendeva orgogliosa, si vedeva dal modo in cui lei seguiva quella conversazione. Parlando di lavoro avrebbero potuto arrivare anche al dolce senza interruzioni; quindi, Luca provò a rilassarsi e a ritrovare lo stato d'animo ottimista di poco prima, che era durato fino al suo ingresso nella stanza di Matteo.

«E tu, Luca? A scuola come va? Hai deciso dove iscriverti l'anno prossimo?»

«Credo di sì» rispose al nonno quasi sovrappensiero.

«Davvero?» Lo stupore di suo padre era così fastidioso che fu quasi felice di come decise di continuare quella conversazione.

«Sì, penso che mi iscriverò a Lettere.»

«In che senso?» chiese il nonno.

«Nel senso che mi iscriverò alla Facoltà di Lettere e Filosofia.»

«E per fare cosa?» continuò suo nonno.

«Per studiare?»

«Non essere irriverente. Fai la persona seria.» Suo padre lo guardò con una severità che gli aveva visto poche volte negli occhi.

«Anche questa, Luca?» Matteo invece scosse la testa, sconsolato.

Sì, oltre a gay, anche futuro uomo di Lettere, e allora?

«Sono serissimo. Intendo studiare lì, non ho ancora deciso quale corso in particolare, ma sarà in quella Facoltà.»

«Non hai risposto alla mia domanda. Cosa intendi fare una volta laureato in Lettere? Vuoi diventare scrittore?» incalzò il nonno.

«Perché no.»

«E cosa vorresti scrivere, un libro sul basket?» lo canzonò suo padre.

Forse pensi di sapere cosa voglia dire, ma vivere nel mirino dei bulli non è una passeggiata e non prenderla male se ti dico che non sono sicuro tu possa farcela da qui al diploma.

Elia aveva sottostimato la sua resistenza. Con i bulli ci conviveva da quasi vent'anni.

«E anche se volessi fare lo scrittore? Pensi che non avrei argomenti a parte il basket?»

«Sì, per esempio?» lo provocò ulteriormente il padre.

«L'amore, per esempio.»

«Luca mi passi l'acqua?» Era più che ovvio che Matteo stesse cercando di interrompere quel discorso prima che Luca potesse spingersi troppo in là, ma più suo fratello faceva così, più a lui veniva voglia di vuotare il sacco.

«L'amore? Finalmente tu e Rebecca avete deciso di mettervi insieme?»

«No, mamma, tra me e Rebecca non c'è niente, quante volte te lo devo dire?»

«Perché no? È diventata proprio una bella ragazza, guarda che se non ti sbrighi si fa avanti Yuri!»

«Auguri allora!» Gli veniva da ridere. Forse fino a Natale Yuri aveva avuto qualche speranza con Rebecca, ma dopo il loro litigio, a causa di ciò lei aveva scoperto sul suo conto (e di come era successo), Luca dubitava che sarebbero tornati amici, figurarsi qualcosa di più!

«Che vorresti dire, scusa?»

«Niente, mamma, è che siamo tutti quanti solo amici d'infanzia, è difficile che una cosa del genere si trasformi in altro.»

«A proposito di Yuri.» Il padre prese la parola, alzando la voce più del necessario, per far tacere l'inutile chiacchierio degli altri. «Ho parlato con suo padre ed entrambi sono molto dispiaciuti che tu non possa partecipare più alla gita. Forse sono stato un po' troppo severo, ormai sei grande, non ha più senso metterti in punizione. È la gita dell'ultimo anno, sarebbe un peccato se ti perdessi questa esperienza con Yuri e i tuoi compagni. Lui ci tiene molto, non voglio essere quello che si mette in mezzo.»

Certo, non vuoi scontentare lui, ma avresti scontentato me. Quando mi importava qualcosa mi hai portato via questa possibilità, ora che non me ne frega nulla me la restituisci solo per ciò che suo padre penserebbe di te come genitore.

«E poi abbiamo già pagato, sarebbe un peccato.»

Abbiamo già pagato.

Credo che sopravvivremo anche senza rimborso.

Lo aveva deriso, quando Luca aveva provato a fare leva su quell'argomentazione, mentre ora era lui il primo a servirsene. Quanto potevano essere ipocriti in quella famiglia?

«Io ho altri programmi per quella settimana.» Non doveva cedere.

«Che programmi?» chiese sua madre, mettendo a tavola gli antipasti.

«Ho preso degli impegni con una persona.»

«Che persona? È una ragazza?» insistette, lei.

«Margherita, la smetti di pensare a far fidanzare i nostri figli? E poi Luca è ancora troppo giovane, deve prima laurearsi e trovare un lavoro decente, con la testa che si ritrova ci manca solo una ragazza a distrarlo e fargli perdere tempo!»

«Ma non si può pensare sempre al dovere, no? Ci vuole un po' di amore nella vita, giusto tesoro?»

Giusto mamma, ma tu mi ameresti ancora se sapessi chi voglio amare io?

«Non è una ragazza.» Era quello il momento?

«Si tratta di quel tipo delle ripetizioni di matematica?» Matteo arrivò in suo soccorso, peccato che non volesse il suo aiuto, non così. Voleva solo togliersi quel peso dallo stomaco. Chissà se i pranzi della domenica avrebbero avuto sapore, una volta libero.

«Eh?» Di che stava parlando?

«Non avevi detto di volere recuperare matematica?»

«Ehm, sì.»

«Ma puoi benissimo farlo quando torni» tagliò corto il padre.

«Ormai ho detto che non vado, si sono già organizzati per le stanze senza di me, non voglio incasinare tutto. E poi quest'anno non sento questo gran legame con i miei compagni, starò bene a casa, cioè a scuola, visto che dovrò comunque essere presente dentro l'istituto. Avrò modo di ripassare e avere lezioni semi-private con gli insegnanti che non partono. Mi serve, ne ho bisogno.»

Ho bisogno di non andare dall'altra parte d'Europa con un gruppo di persone che mi parla a malapena, lasciando qui l'unica persona che mi fa stare bene, al momento.

«E poi approfitterò per cercare un'altra squadra di basket.»

«Hai lasciato la Sisport?» Incredibilmente, il nonno sembrò interessato, persino con tanto di dettagli sul nome della società sportiva che Luca aveva abbandonato.

«E tu lasci che molli così?» chiese l'uomo a suo genero.

«Cosa dovrei fare, incollargli la palla al gomito? Se vuole smettere, che smetta! Tanto diceva di non essere bravo.»

«Ma come mai hai lasciato, tesoro? Era troppo impegnativo?»

«No, mamma, è che non mi trovavo più con la squadra.»

«Insomma,» lo interruppe il padre, prima che lui potesse dire altro, «non leghi con i compagni, non ti trovi più con la squadra, non pensi alle ragazze... Stai diventando uno di quegli asociali nerd che non parla con nessuno? E poi Lettere e Filosofia! Finirai disoccupato e disperato, mantenuto a vita.»

Luca fissava il bicchiere davanti a sé. Si era sempre chiesto se fosse tipo da "mezzo pieno" o "mezzo vuoto". La sua vita era decisamente da "mezzo vuoto", ma ci voleva una gran dose di forza d'animo per trascinarsi, un giorno dopo l'altro, verso un futuro migliore in cui poteva solo sognare, al momento; quindi, poteva considerarsi anche un po' da "mezzo pieno". Comunque, non avrebbe risolto la questione lì su due piedi, dato che quel bicchiere era troppo sfocato per capire quanta acqua contenesse. Oltre quel pezzo di vetro, anche suo fratello, su cui aveva riposto le sue speranze, stava diventando una figura sfocata. Doveva tenere duro, non poteva assolutamente piangere e dare loro quella soddisfazione. Alzò lo sguardo per impedire alle lacrime di cadere e incontrò quello di Matteo, stranamente fermo, risoluto.

Dopo un secondo il maggiore guardò il padre. «Gli dai tregua?»

«Come scusa?» rispose l'uomo.

«Dagli tregua con la storia dell'Università e del lavoro, è ancora in quinta, fagli finire l'anno. E anche se volesse fare il mantenuto, cosa che so non essere così, non credo ci manchino i soldi per farlo! E tu, mamma, basta con le ragazze, ok? Quando ne conoscerà una che vorrà portare a casa sarai la prima a saperlo.»

Luca sbatté le palpebre, confuso, mentre Matteo continuava a difenderlo.

«Ha già i suoi problemi a cui pensare senza doverci aggiungere altro carico.»

«Che problemi? Luca, hai qualche problema? Hai bisogno di parlare con qualcuno?»

«Mamma, ti prego, non chiamare Don Piero!» Matteo chiuse quel discorso sul nascere, visibilmente infastidito.

Luca lo guardò in silenzio. Lo stava difendendo o sotto sotto lo derideva per quello che gli aveva confessato poco prima? Non capiva, non era preparato ad averlo schierato così apertamente dalla sua parte. L'avrebbe sostenuto anche nel coming out o il suo intervento era fumo negli occhi per distrarre i genitori ed evitare che Luca lo facesse?

Dillo pure, che problemi ho, se vuoi. Io non ho più le forze.

«Che problemi vuoi che abbia? I problemi che hanno tutti alla sua età!» minimizzò Matteo. Ok, almeno l'ipotesi che si stesse prendendo gioco di lui si poteva scartare.

«Tu non eri così» commentò il padre, versandosi dell'acqua, con una lentezza che a Luca fece venire i nervi. Ci provava gusto a mantenere l'attenzione su di sé più del necessario ogni volta che faceva o diceva qualcosa (spesso sgradevole nei suoi confronti).

«Con tutto il rispetto, papà, ma tu questo non lo sai, non sai proprio niente dei problemi che avevo alla sua età o di quelli che ho adesso.»

Luca afferrò il suo bicchiere, ora un po' più a fuoco, e bevve un lungo sorso. Nemmeno lui sapeva niente dei problemi di Matteo, l'aveva sempre considerato più grande, più forte, più amato dai loro genitori, "normale", e quindi al riparo da ogni tipo di preoccupazione. Ma ovviamente non era così. Sentì che si era comportato da egocentrico ed egoista, si era concentrato solo sui suoi, di problemi. Essere fratelli era come essere amanti o essere amici, una strada a doppio senso, e Luca aveva sbagliato ad aspettarsi qualcosa da parte di Matteo, senza preoccuparsi più di tanto di lui. Forse, alla loro età, ormai era tardi per recuperare, per avere quello che avevano Elia e Federico. Ed era anche colpa sua.

«Non vi manca niente, che problemi potete mai avere?» chiese la mamma, con un tono sempre più apprensivo.

«Lasciamo perdere, mamma, davvero. Comunque, Luca vuole lavorare, se il nonno è d'accordo penso che gli troverò un posto da noi.»

«Luca deve pensare agli esami.» obiettò suo padre.

Luca è presente. Non parlate di me come se non ci fossi.

Ma non riusciva a intervenire, a dire una parola in sua difesa: era diventato tutto troppo surreale.

«Beh,» si intromise a quel punto il nonno, «visto che sulla carta il capo sono ancora io e l'azienda appartiene alla mia famiglia,» scandì bene quelle ultime due parole, forse a beneficio del genero, «penso che potrebbe essere una buona idea iniziare a capire come funziona, mentre guadagna qualcosa per le sue spese, per responsabilizzarsi. Ai giovani d'oggi viene dato tutto, quello che chiedono e quello che non chiedono, così almeno capirà il valore dei soldi e delle cose, e magari capirà che studiare Lettere e vivere povero non fa per lui.»

Peccato, stava andando così bene, fino alla parte dell'Università.

«Perché vuoi lavorare?» Suo padre si rivolse direttamente al figlio, questa volta dimenticandosi di accompagnare le sue parole con un gesto che catalizzasse l'attenzione di tutti su di lui.

«Se non mi iscriverò dove vuoi tu, immagino che non mi pagherai la retta e il resto. Allora dovrò farlo da solo.»

Scusa nonno, mi sa che le tue previsioni erano sbagliate.

«Facile, nell'azienda del nonno. Vuoi essere autonomo ma poi ti fai raccomandare.»

«Ti lamenti sempre che è un bambino, lascia che cresca e che si faccia le ossa. Un giorno l'azienda sarà anche sua, almeno così avrà un piano B e avrà imparato qualcosa quando la storia di Lettere sfumerà.»

E grazie a te per la fiducia, Matte.

«E che cosa pensi di fargli fare senza diploma?»

«Quello che sa adesso lo saprà tra quattro mesi, non mi serve che abbia finito il programma di storia del Novecento, papà! A me non serve che mio fratello abbia un titolo di studio per assumerlo. E poi abbiamo operai molto in gamba in grado di seguirlo e insegnargli il loro lavoro, se non ha paura di sporcarsi un po' le mani.»

A proposito di mani, la madre gliene prese una e la strinse un po'. Lui si voltò lentamente a guardarla, ancora stordito dal film a cui stava assistendo: altre tre persone della sua famiglia che parlavano del suo futuro e di lui, come se non fosse presente.

«Ha ragione Matteo, sei diventato grande e io non me ne ero accorta» sussurrò quasi per non farsi sentire dal marito, per poi dargli un bacio sulla guancia.

«Ma se i suoi voti caleranno lascerai subito» fu l'ultima parola del padre. Si era perso il resto dei discorso e degli accordi che prendevano sulla sua vita.

«Sei d'accordo?»

No.

Come un pesciolino, nel tentativo di fuggire via da quella rete di famiglia disfunzionale, si era trovato imprigionato in un groviglio da cui sarebbe stato ancora più difficile liberarsi. Che fosse proprio quello il piano del fratello? Legarlo a lui e a quel lavoro, per vincolarlo all'azienda di famiglia e ai segreti che, per continuare a farne parte, doveva mantenere?

«Sì» si trovò a rispondere per mettere a tacere tutti loro e la sua voce interiore.

Nella sua stanza, poco dopo pranzo, prese il telefono e cercò il contatto di Elia. Si erano scambiati i numeri e gli aveva chiesto il permesso di scrivergli, ma ora faticava a rompere il ghiaccio. Alla fine, decise per un semplice: "Che fai?"

"Sniffo le lenzuola dove l'abbiamo fatto in cerca di ispirazione per masturbarmi."

"Ok, buon divertimento."

Seguì la foto di un carrello di un supermercato mezzo pieno di prodotti.

"Sì, sono uno di quelli che fa la spesa la domenica, non scagliarmi contro il sindacato dei cassieri. Mia madre è di riposo oggi, l'accompagno. Perché? Volevi fare qualcosa?"

"No, niente, ti ho scritto così, tanto per..."

"Ok."

Dopo qualche minuto, arrivò un'altra foto, con un pacco di cerali e un pacco di merendine.

"Sei tipo da latte e cereali o caffè e brioche, al mattino?"

"Yogurt e cereali."

"Avrei potuto buttarci sopra dei soldi! Che cereali?"

"Gli anellini al miele, perché?"

"Per quando dormi di nuovo da me. Stamattina c'era solo caffè con imbarazzo e fratello, la prossima volta faremo meglio. Che yogurt?"

"Bianco."

"Cavolo, mi devo dare alle scommesse!"

Il fatto che Elia pensasse alla sua colazione gli fece provare l'illusoria sensazione di far parte di una famiglia amorevole. Ma la famiglia di Elia non era la sua, per quante colazioni potesse fare a casa loro, e quel sentimento durò poco.

"Sai, l'ho detto a mio fratello. Che sono..."

"... Non più vergine?"

"No, che non mi piacciono le ragazze."

"Puoi scrivere la parola GAY, Luca, il telefono non ti esploderà tra le mani. E com'è andata?"

"Credo male, ma non sono ancora tanto sicuro. Ah, e poi credo di aver trovato un lavoro."

Elia non rispose subito, probabilmente impegnato con la spesa. La risposta gli arrivò dopo un'oretta, mentre lui stava ancora valutando se quel lavoro sarebbe stata una cosa buona o no. L'avrebbe comunque perso, una volta via di casa, quindi aveva senso imparare a fare qualcosa per poi mollare tutto? Però era forse l'unica occupazione abbastanza flessibile e adattabile ai suoi orari che gli avrebbe permesso di studiare. Ma lavorare per l'azienda di famiglia valeva, per considerare i soldi guadagnati come "suoi"? Calcolando di dover fare un part time, avrebbe avuto abbastanza soldi, a giugno, per l'anticipo dell'affitto di una casa? Forse per quello sì, ma non per la prima rata delle tasse universitarie. Era stato così stupido a non iniziare a lavorare prima!

"Che lavoro è? Le scarpe?"

"No, un'altra cosa." Si vergognava. Azienda di famiglia suonava così snob!

"Come sei vago! Se vai su OnlyFans lo faccio con te e dividiamo, non essere avido."

"No, non è quello. Lavorerei nell'azienda di mio nonno. Lo so, non è una gran cosa, visto che sono praticamente raccomandato, però posso continuare a studiare, così."

"Che azienda è?"

"Fanno occhiali da vista. Credo che sarò al piano di sotto, nel reparto produzione, non dove si assemblano e confezionano.

"Farai l'operaio quindi?"

"Sì, perché?"

"E ti sporcherai?"

"Può essere."

"Avrai una di quelle tute blu scuro, magari salopette?"

"Non lo so, forse. Ma perché?"

"Credo di avere trovato l'ispirazione per masturbarmi."

"E se avessi un camice bianco da laboratorio, invece?"

"Puoi intascarti un paio di occhiali per abbinarlo?"

"Io ho già degli occhiali, da riposo. Li uso solo a casa, per leggere o studiare."

"Stai scherzando?"

Luca prese gli occhiali dal comodino, li indossò, poi si fece un selfie. Otto o nove, in realtà. Era la prima volta che si scattava una foto che qualcun altro avrebbe visto; quindi, non era sicuro del risultato finale, ma ne scelse una e la inviò comunque.

Dopo qualche minuto dalla visualizzazione Elia rispose: "domani te li porti dietro, a scuola?"

"Va bene."

"E poi vieni da me all'uscita?"

"Sì."

"Puoi metterti anche camicia e il maglione più accollato e da bravo ragazzo che hai?"

"Mi devo vestire come se andassi in Chiesa?"

"Sì, se puoi."

"Con gli occhiali?"

"Sì, e porta qualcosa per pulirli, dopo. Cioè... se la cosa può interessarti, sennò niente."

Luca restò con il telefono in mano mezzo minuto buono, a guardare l'ultima frase con un certo sospetto, poi credette di capire.

"Sei un pervertito."

"Non più di tanto. Però tu non sai dirmi di no, l'hai detto tu."

"Pensi che approfitterai ancora molto di questa cosa?"

"Non più di tanto." Ripeté Elia. Luca sorrise guardando lo schermo. Il modo in cui era riuscito a fargli tornare il sorriso con quelle battutine era pura magia. E sì, la cosa stranamente lo interessava e lo intrigava. Dopo un altro scambio di messaggi Elia gli confessò che stava davvero per andare a masturbarsi e Luca fu combattuto sul fare altrettanto, ma alla fine scelse di recuperare un po' di sonno. La stanchezza mentale ultimamente si faceva sentire più di quella fisica che provava di solito dopo gli allenamenti. Si svegliò quando ormai fuori era già buio, e nell'accendere la luce, notò sul comodino un foglietto. Prendendolo vide le tre banconote da cento euro subito sotto.

"Te li scalo dal primo stipendio. M."

Non capiva. Cos'era cambiato da quella mattina, in suo fratello? Ripercorse mentalmente tutta la loro conversazione e poi la prima parte del pranzo, fino al suo intervento e a quella proposta di lavoro e alla fine capì: suo fratello provava pena per lui, Luca era un caso così disperato che Matteo era stato mosso da compassione e pietà nei suoi confronti. Non era proprio quello che si era aspettato, ma era già di più di quanto qualcuno avesse mai fatto per lui in quella casa; quindi, con lo spirito del bicchiere mezzo pieno, decise di considerarla una cosa positiva. Per il momento.

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