11. A un passo fuori?

«Hai poi pensato a quella cosa che ti ho detto su Carlotta?»

Fino a quel momento era andato tutto bene. Dopo la scuola erano passati a casa sua e mentre lui era di sopra per prendere il cambio, Rebecca aveva chiacchierato amabilmente con sua madre.

«È davvero bello che Luca si prenda cura di te e che venga a farti compagnia per non lasciarti sola, ma se volessi fermarti qui per noi non ci sarebbero problemi, lo sai.»

«Lo so, grazie, ma devo proprio andare, o Ettore farà i bisognini in tutta la casa.»

«Va bene, ma fate i bravi, mi raccomando.»

«Ma certo, stai tranquilla. Te lo riporto domani dopo la scuola più in forma che mai.»

Nel sentire questo scambio di battute, mentre scendeva le scale, si era chiesto con quale titolo sua madre si permettesse di dire che "andava bene", dando così il suo permesso ai due di passare la notte insieme, e si raccomandasse con loro di "fare i bravi". Sapevano tutti che si augurava una storia tra i due, c'era una specie di gara silenziosa, tra la famiglia di Yuri e la sua, per quale dei loro figli si sarebbe fidanzato con Rebecca, prima o poi. Eppure l'apparenza, il fingere che lasciando due adolescenti da soli non sarebbe successo niente per tutta la notte, veniva prima di ogni altra cosa. Ovvio, nel loro caso non sarebbe davvero successo nulla, ma sua madre lo ignorava; lui e Rebecca potevano dormire insieme, se erano state fatte loro le raccomandazioni di non commettere imprudenze. Tanto bastava per mettere al sicuro la coscienza e il senso di responsabilità dei loro genitori.

Avevano pranzato da lei, come promesso, con cibo preparato da qualcun altro, poi si erano spostati al piano di sopra, in camera di Rebecca, per guardare qualcosa in tv. Lei si era seduta sul letto, sistemando i cuscini dietro la testa come schienale, mentre Luca si era accomodato su una poltrona sul lato opposto.
Tra loro non c'erano mai state situazioni equivoche o momenti di imbarazzo, ma Luca cercava comunque di mantenere una certa distanza, per evitare che troppa vicinanza potesse mettere a disagio l'amica. Adesso, però, parlare della questione Carlotta, metteva a disagio solo lui.

«No, scusa. Cioè sì, ci ho pensato, ma la mia idea è sempre la stessa, mi dispiace. Non voglio illuderla, preferisco essere sincero.»

«Ma è carina, è anche simpatica. Dovete solo prendervi un caffè per conoscervi bene, non ti piace proprio? Io vi vedo bene insieme.»

«Lo so che è carina, però non è proprio il mio tipo.»

«E allora quale sarebbe il tuo tipo? Sai che non l'ho ancora capito?»

Luca si rese conto della sua espressione leggendo quella dell'amica, che infatti disse subito: «Dalla tua espressione si direbbe che, più che un tipo, esista già una persona in particolare. Non siamo più sul generico, ho ragione?»

«Purtroppo, sì» ammise.

«Perché purtroppo, scusa? No, aspetta, non dirmelo. Per favore non dirmi che sono io. Ti voglio bene e non voglio spezzarti il cuore. Ma se stai per dire che sono io fermati subito: non voglio rovinare la nostra amicizia, ma io non posso ricambiarti, quindi preferirei non dicessi nulla, davvero.»

Gli veniva da ridere per quanto fosse fuori strada, ma anche per quanto sarebbe stato più facile se Rebecca avesse indovinato. Certo, dalla sua reazione non sembrava che Luca avrebbe avuto fortuna, con lei, ma sarebbe stato più facile spiegare il suo cuore infranto, in quel caso.

«Mi fai parlare?»

«Sì, scusa. In effetti sarebbe sbagliato negarti di dire quello che provi, però ci sperissimo che tu non stia per fare il mio nome, sarebbe troppo brutto e poi...»

«È Elia» la interruppe bruscamente, prima che partisse per un altro dei suoi discorsi incasinati.

«Come?»

«È Elia. Il tipo di persona che mi piace è Elia. Anzi, la persona che mi piace è Elia. E, a scanso di equivoci, non mi piacciono sia le ragazze che i ragazzi, mi piacciono solo i ragazzi. Lui, in particolare. Carlotta non avrebbe avuto comunque avuto nessuna speranza.»

«Oh.» fu la reazione immediata dell'amica, che lo guardò per mezzo minuto senza dire altro, per poi, tutt'a un tratto, aggiungere un: «Ooohhh» più lungo e consapevole della portata di quella confessione.

«Già.» Per l'imbarazzo Luca non sapeva cosa altro aggiungere. Immaginava che per Rebecca non sarebbe stato un problema, ma era comunque in apprensione nell'attesa della sua reazione. Non poteva perdere anche lei, dopo Yuri.

«Oh, Luca, mi dispiace.»

Ecco, non si aspettava una festa, ma nemmeno compassione. Non le aveva detto di essere malato, perché doveva dispiacersi per lui?

«Sinceramente non è proprio la reazione che mi aspettavo.» Abbassò lo sguardo sulle sue mani, che si torturavano l'una con l'altra, in un nervoso groviglio di dita e nocche.

«No, scusa. Oddio scusa, aspetta, fammi spiegare. Non mi dispiace che ti piaccia un ragazzo, è una cosa bella, insomma, che ti piaccia qualcuno. Iniziavo a pensare che fossi una specie di robot asessuato. No, aspetta, anche se fossi asessuato andrebbe bene lo stesso, ma poi non sono io che devo stabilire se una cosa può andare bene o no, non lo deve decidere nessuno, se non te stesso, quindi per me è ok, ma non ci sarebbe bisogno di dirlo perché per me sei sempre ok, che ti piaccia Elia o Carlotta. È comunque un sollievo sapere che non sono io. Non che non ci sia nulla che non vada in te, sei adorabile e sei un bel ragazzo, ma anche io ho un altro tipo, aspetta. Mi sono persa. Stavo dicendo: mi dispiace perché non deve essere facile per te, con i tuoi, dopo quello che è successo a Gabri, e Yuri. Oddio, lui lo sa? Sì, per forza lo sa, allora perché tratta Elia in quel modo orribile? Oddio, lo fa per ostacolarvi, perché pensa che così resterai etero o qualche strana teoria messa in testa da qualche sedicente psicologo amico loro? No, non credo. Ma quindi lo hai detto prima a lui? Mi sento la ruota di scorta, ma lo sono sempre stata, sin da bambina, solo perché non so fare gol in quello stupido canestro.»

«Rebe, ti ho già spiegato che...»

«Che se la palla entra in un canestro non fai gol, ma punti.»

Lei prese fiato e lui rilasciò quello che aveva trattenuto nei polmoni per l'ansia da giudizio negativo. Si guardarono negli occhi e nello sguardo di Rebecca, Luca lesse solo dolcezza e comprensione.

«Lo sa qualcun altro?» gli chiese, cercando di ridurre al minimo il fiume di parole e di domande che, Luca ne era sicuro, le scorreva nella testa in quel momento.

«Beh, credo che Elia ne abbia una vaga idea, visto che ieri l'ho baciato e poco fa ho fatto una mezza scenata per il suo ex.»

«Hai capito, il rubacuori!» Ridacchiò, per poi ricordare la conversazione avuta all'uscita con Elia: «Cavolo, il suo ex! Tutto quel discorso su quanto fosse bello e tenebroso! Mi dispiace, non avevo idea. Avresti potuto farmi il segnale numero uno, avrei smesso di parlare.»

«Ma poi avrei dovuto spiegarti il motivo del segnale e non ero sicuro di dirtelo. E ti ho anche fatto il segnale numero due, mi sono grattato la guancia, ma mi hai completamente ignorato!»

«Ma quando, scusa?»

«Mentre insistevi perché Elia venisse alla tua festa. Al momento non siamo esattamente a posto, io e lui, per questo non volevo che lo invitassi.»

«Eh, ma io ero concentrata su di lui, come potevo immaginarlo? Non sembra uno che riceve molti inviti alle feste da parte dei nostri compagni e stava dicendo di non essere il benvenuto, volevo assicurarmi che capisse che invece lo era eccome, tra me e i miei amici. Cosa ne so che proprio il mio migliore amico, che fino a stamattina credevo fosse etero, certo magari con i gusti un po' difficilotti, l'ha baciato e poi ci ha litigato? È una cosa nuova per me, eh. A proposito, tu lo sai da quanto? Sempre? Io solo da tre minuti!»

«In modo confuso credo dalla prima media, ma l'ho messo a fuoco solo un paio d'anni dopo.»

Calò di nuovo il silenzio. Non c'era bisogno di commentare cosa fosse successo un paio d'anni dopo la terza media. Luca abbassò di nuovo lo sguardo sul tappeto ai piedi del letto di Rebecca. E adesso? Stava avendo pietà di lui?

«Tutto da solo?» gli chiese lei, piano.

«Sì.»

«Perché non sei venuto da me? Io ci sono sempre stata per te, sai? Non ti fidavi abbastanza?»

Non era quello il punto.
«Mi vergognavo, mi vergogno ancora per essere così.» Finalmente l'aveva detto.

«E di cosa, scusa? Della direzione in cui ti tira il pacco? Mica l'hai decisa tu. E anche se fosse così, se un giorno ti fossi svegliato dicendo "sai che c'è, da oggi mi piacciono i maschi" non ci sarebbe comunque niente di male, sarebbero solo fatti tuoi. E, beh, dei maschi in questione.»

«Sì, in linea teorica è tutto molto bello, ma in pratica, lo sai com'è. La tua famiglia non è tanto diversa dalla mia o da quella di Yuri o di Alex. Come ti sentiresti, in un contesto del genere, se fossi lesbica?»

Rebecca ci pensò seriamente, restando in silenzio per tutto il tempo che le serviva per mettersi nei panni dell'amico: non aveva preso quella domanda alla leggera e Luca gliene fu davvero grato.

«Sola. Mi sentirei sola, confusa e spaventata. Ma io sono più intelligente di te e al tuo posto avrei fatto affidamento sugli amici, quelli decenti, non tu-sai-chi.»

«Sei solo arrabbiata con lui, ma c'è un motivo se si sta comportando male.»

«Certo che c'è un motivo, so anche qual è!»

«Davvero?»

«Sì, che è uno stronzo.»

«No, davvero, lui...» provò a spiegarle perché Yuri avesse assunto quell'atteggiamento, da qualche mese a quella parte, ma lei lo interruppe bruscamente, si alzò in piedi e fece il giro del letto per raggiungerlo: «Non stiamo parlando di lui adesso, ma di te. Per prima cosa,» lo abbracciò, tenendolo stretto, «se anche tu ti senti solo, confuso e spaventato come mi sentirei io al tuo posto, ci tengo a dirti che non è veramente così, che io sono dalla tua parte, qualsiasi cosa succeda, ok?»

Luca si aggrappò a quell'abbraccio e sentì gli occhi pungere. Tutto quello che avrebbe voluto sentirsi dire dai suoi genitori, da suo fratello, da Yuri e dagli altri amici, era lì, in quelle parole e in quell'abbraccio. Avere qualcuno dalla sua parte a prescindere da tutto, dal suo essere e dalle sue scelte era una sensazione inedita per lui: per la prima volta da moltissimo tempo si sentiva a posto, giusto, degno di essere accettato e amato per la persona che era. Era stato così stupido a nascondersi anche da Rebecca, aveva sprecato tempo ad avere paura del giudizio, quando avrebbe potuto trovare nella loro amicizia il sostegno di cui aveva bisogno, una piccola luce in tutte le tenebre in cui gli sembrava di vivere da mesi, anni.

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