Capitolo 2
Katie
«Dio, che stronzo!» urlo di rabbia mentre esco dall'ufficio dell'addetto alle pubbliche relazioni di un'azienda, dopo l'ennesimo colloquio andato a male.
Dovrei averci fatto il callo oramai, ma proprio non ci riesco. Non voglio rassegnarmi e gettare anni di studio per degli stupidi pregiudizi della gente.
«Che si fottano pure!» sbuffo, mentre frustata e rassegnata mi avventuro lungo i marciapiedi della Lexington Avenue cercando di calmarmi.
«Maledetto idiota!» continuo a imprecare mentre i passanti mi fissano inorriditi.
«Qualche problema?» grido a una donna che si ferma a fissarmi con insistenza.
La donna sbotta a ridere e per nulla intimorita dal mio sguardo, risponde «Non io, certamente. Sembra piuttosto che tu non abbia avuto una gran bella giornata!»
Parla bene la tizia, è vestita nel suo costoso tailleur raffinato, dal cui costo posso pagarmi l'intero anno d'affitto.
«Non che questi siano affari suoi, ma credo che sia un eufemismo. Non vorrei essere scortese ma visto che me lo chiede, ogni volta che ho colloquio di lavoro, gli intervistatori mi sbattono la porta in faccia» rispondo. Non so neanche io perché giustifico il mio comportamento a un'emerita sconosciuta.
La donna mi guarda incuriosita, squadrandomi dalla testa ai piedi.
«Eppure hai un aspetto molto gradevole, quindi credo che il problema sia altrove. Perché non andiamo a prenderci un caffè così ne parliamo?» dice la donna.
«Una psicologa in cerca di clienti?» le chiedo irritata.
La donna scoppia a ridere divertita «Malgrado abbia una specializzazione in questo ramo, non sono interessata alla professione. Venga, non ha nulla da temere, le offro un caffè così ne parliamo.»
Non so perché, ma questa donna mi piace. Sarà il suo modo di parlare, sarà perché mi guarda sinceramente interessata o semplicemente perché ho bisogno di confidare a qualcuno la mia frustrazione, quindi decido di accettare il suo invito.
«Vada per il caffè, tanto per oggi non ho altri colloqui, e nessun'altra porta cui sbattere contro.» rispondo ancora infastidita dal ricordo dell' ennesimo incontro andato a male.
La donna annuisce soddisfatta.
«Più avanti c'è una graziosa caffetteria, Little Collins, dove servono degli ottimi cappuccini e fanno dell'eccellente caffè. Andiamo» dice la donna mentre si avvia nel luogo citato.
La seguo senza obiettare, tanto non ho niente da perdere e il mio turno al ristorante non inizia se non a tardo pomeriggio.
Appena giunti sul luogo, la donna si accomoda ad un tavolo e m'invita a sedermi al suo fianco.
«Prima di iniziare credo che siano d'obbligo le presentazioni. Il mio nome è Stephanie Wilson e non sono una psicologa in cerca di clienti.» chiarisce la donna, accompagnando le sue parole con un sorriso. «Facciamo un gioco. Finga che io sia l'ennesimo colloquio della giornata, quindi mi parli di lei e cerchi di impressionarmi.»
«Che fa mi prende in giro?» le chiedo fra l'ironico e l'infastidito.
«Tutt'altro, non è mia intenzione. Non le costa nulla giocare ed io odio prendere il caffè da sola. Voglio solo aiutarla. Cominci pure.»
Che cosa bizzarra! Che cosa voleva dimostrare?
«Se è quello che vuole, giochiamo» rispondo. «Il mio nome è Katie William, mi sono laureata in Business Administration alla Stuart di Chigago, dove ho ottenuto due master MBA il 505 e il 522 con un punteggio GMAT di 780 e punteggio AWA 4. 7 poi ho conseguito un MMS (Master MarketingResearch) , uno stage di tre mesi alla GfK di Chicago e qui finisce la mia storia. Sono rientrata a New York da circa otto mesi, molto fiduciosa, ma finora tutto quello che raccolgo dopo un mio colloquio, non è altro che "le faremo sapere", oppure un "mi dispiace signorina Williams ma al momento non abbiamo posizioni aperte per lei».
«Waoooo Katie, posso darti del tu?» chiede la donna, senza in realtà attendere una risposta. «Hai un curriculum sorprendente! Sei assunta!»
«Magari fosse così semplice! Sulla carta tutto è perfetto, fino a quando non scoprono il mio legame con Dean Williams» rispondo rassegnata.
«Io non sto assumendo, Dean Williams, ma Katie Williams» risponde Stephanie con tono serio e deciso.
«Ti ringrazio Stephanie, ma il gioco non mi diverte più e non paga il mio affitto e le mie bollette»
«Non sto per nulla giocando Katie, ti sto assumendo davvero. Sono Stephanie Wilson, CEO della Global Service».
Aspetta un attimo! Sono seduta con Stephanie Wilson? La stessa Stephanie Wilson della Global Service? Quante probabilità possono esserci di imbattermi in lei, dopo che avevo per anni sognato di lavorare nella sua compagnia ed era stata una delle prime a sbattermi la porta in faccia?
Meno di Zero!
«Cosa?» sto sognando o son desta? «Non stai scherzando vero? Mi stai veramente offrendo un lavoro alla Global Service?» chiedo incredula.
«Non scherzo mai su queste cose, Katie. Sarebbe da sciocchi non averti a bordo nella mia compagnia con la tua competenza» dice la donna senza esitare.
«Non ti preoccupa che io sia la figlia di Dean Williams?» chiedo perplessa.
«Come ho già detto prima non sto assumendo lui, ma te. Non sei responsabile delle azioni di tuo padre e mi dispiace che finora sei stata giudicata, solo in base a queste» replica Stephanie.
Quindi conosce anche mio padre? E chi non lo conosce? Mi sarei meravigliata del contrario!
«Non riesco ancora a crederci. Ti prego dimmi che non sto sognando!» chiedo incredula.
«Non stai sognando Katie. Che ne dici se ora vieni con me nel mio ufficio e fissiamo un appuntamento per domani mattina con la mia responsabile gestione risorse umane, mentre intanto ti consegno una copia del contratto di lavoro?» dice la donna divertita.
No. Non sto sognando a quanto pare! Mi sta veramente offrendo un lavoro! Stento ancora a crederci, mi sta offrendo un lavoro e nientemeno nella sua compagnia!
«Dico che sarebbe fantastico, grazie Stephanie» rispondo ancora incredula.
«Aspetta a ringraziarmi cara ragazza. Non sai in che guaio stai cacciandoti! Sono un vero tiranno con i miei collaboratori. Quindi se vuoi provare a metterti in gioco sul serio, l'offerta è sul piatto. Dimostra chi sei a queste mummie imbalsamate in doppiopetto. Rimpiangeranno il giorno in cui ti hanno voltato le spalle e sbattuto fuori la loro preziosa azienda.» dice ammiccandomi con l'occhio.
«E il caffè?» chiedo, perché ancora non lo abbiamo preso.
«Lo prenderemo nel mio ufficio» dice Stephanie, prendendo la sua borsetta. «Andiamo» aggiunge con tono perentorio.
Per la seconda volta in un giorno, seguo questa donna senza obiettare. Per lo meno questa volta, so, dove la mia vita sta andando. Uno strano scherzo del destino. Ho sognato questo per otto lunghi mesi e mai avrei immaginato che sarebbe successo in questo modo!
Seguo silenziosamente Stephanie che prosegue spedita lungo i marciapiedi della Lexington Avenue senza neanche sincerarsi se la sto seguendo oppure no. Ha un'andatura decisa e sicura. Alcuni uomini la guardano incedere ammirati. Giunte davanti alle vetrate della Global service, Stephanie si arresta e la invita a precederla nell'entrata.
L'ampia hall è quasi deserta, ma dietro le vetrate che si estendono nella vetrata posteriore, vi è un'attività frenetica. Stephanie si dirige verso di essa e imbocca un lungo corridoio, voltandosi di tanto in tanto per accettarsi che io la segua.
Giunte di fronte ad una porta che già in passato avevo varcato, mi ritrovo di fronte l'arcigna e boriosa signora Cambell, con la quale ho sostenuto il colloquio qualche mese prima.
«Signora Cambell, mi dia una copia per un contratto di secondo livello per la signorina Williams da inserire nella squadra della signorina Morgan.»
«Ma signora Wilson, la signorina Williams ha già sostenuto un colloquio presso il nostro ufficio e ritenuta non idonea» dichiara la donna.
«Come? Quando e chi ha sostenuto tale colloquio?» chiede Stephanie sorpresa.
«Circa sei mesi fa, signorina Wilson. Fu intervistata da me personalmente» risponde l'acida signora Cambell.
«E mi dica signora Cambell, per quale motivo, lei ha ritenuto la signorina Williams non idonea per quest'azienda?» chiede Stephanie irritata.
< Non ricordo esattamente signora Wilson. Dovrei riprendere in mano il fascicolo, mi dia qualche giorno e le farò sapere> dice la donna a disagio.
Io ricordo perfettamente come si svolse quel colloquio. Quell'acida donna mi aveva trattata come spazzatura. Ricordo ancora le sue velenose parole: "Signorina Williams, perché ha presentato la sua candidatura per una posizione che lei non potrà mai occupare, visto il suo scomodo cognome?" -sputò velenosa -"Suo padre è la feccia della società. Nessun nostro cliente vuole aver nulla a che fare con uno come lui!" Mi spiace per lei, ma sa come va il mondo: le colpe del padre ricadono sempre sui figli".
Sono ben consapevole di cosa mio padre ha fatto e in che situazione di degrado ha gettato la mia famiglia, ma ritengo ingiusto che io e i miei famigliari ne dobbiamo pagare lo scotto. Io e mio fratello non siamo responsabili delle sue azioni; il che non ci rende dei complici ma piuttosto delle vittime.
«Da quello che so, la signorina Williams ha tutte le carte in regola per ricoprire una posizione in quest'azienda, anzi mi chiedo come mai non sia ancora nel nostro organico, giacché aveva presentato la sua candidatura.» le dice Stefanie piuttosto contrariata. «Katie sarebbe così cortese a darmi una copia del suo curriculum? Magari la signora Cambell, non ha prestato molta attenzione quando l'ha visionato in passato» dice Stephanie, allungando nel frattempo il suo braccio nella mia direzione per prendere il mio fascicolo e poggiandolo sulla scrivania della signora Cambell, che nel frattempo si agita nervosamente sulla sedia, quasi fosse sul rogo.
Sorrido soddisfatta, finalmente posso avere la mia rivincita su quest'arrogante stronza.
La signora Cambell, sfoglia distrattamente il fascicolo, che secondo me ricorda perfettamente.
«Signora Wilson, nulla indica che la signorina Williams non abbia le carte in regola se non fosse per il fatto che è figlia del signor Dean Williams> dice la stronza.
«Quindi deduco che lei ha rifiutato di assumere la signorina Williams in base a degli sciocchi pregiudizi e sbagliate considerazioni. Ora mi dica quante candidature intervistate da lei, hanno subito la stessa sorte?> chiede Stephanie infuriata.
«Signora Wilson, ho sempre svolto il mio lavoro in modo impeccabile, valutando ogni candidatura in base alle necessità dell'azienda e alle possibili conseguenze, proteggendo il buon nome della Global Service.> si giustifica la donna.
«Quindi, secondo i suoi criteri di valutazione, io Stephanie Wilson, non dovrei lavorare qui. Giusto, signora Cambell?» chiede Stephanie incredula.
«Non nel suo caso Signora Wilson. Non faccio discriminazioni in base alle preferenze sessuali.» Ha la faccia tosta di rispondere la signora Cambell.
«Quindi in quanto lesbica, sarei assunta in quest'azienda. Ma se fossi la figlia del signor Dean William, no. La prego mi spieghi il suo ragionamento. Temo di non essere in grado di comprenderlo.»
«Io credo che sia abbastanza ovvio» dice la donna con presunzione.
«Io non lo credo. Mi spieghi: in che modo la signorina Katie Williams può nuocere alla nostra azienda?» chiede contrariata.
«I nostri clienti potrebbero terminare i loro rapporti con noi, se sapessero del legame della signorina Williams con Dean...» esordisce la stronzetta petulante.
Sinceramente mi chiedo come riesca a mantenere quella sua espressione del cazzo, quando io al suo posto sarei sprofondata nel pavimento.
«Non vada oltre signora Cambell. Ho ascoltato fin troppo le sue stronzate!» dice Stephanie infuriata. «Quando io l'ho assunta anni fa, ero stata ben chiara. Nessun pregiudizio. Vedo che lei ha ignorato completamente le mie direttive. Ritengo che alla luce dei fatti, la sua collaborazione per quest'azienda non sia più richiesta. La invito caldamente a rimuovere i suoi oggetti personali dalla sua scrivania e a recarsi in amministrazione per comunicare la sua partenza: le saranno pagate tutte le sue spettanze, ma mi creda dovrei citarla per danni. Chissà quante candidature lei ha bocciato in base ai suoi giudizi basati su pregiudizi e preconcetti.»
«Signora Wilson, la prego di credermi, ho agito sempre per il bene della compagnia, non credo di meritare un tale trattamento» si giustifica la signora Cambell.
«Signora Cambell ringrazia il fatto di essere una donna. Se fosse stata un uomo, l'avrei buttata fuori dall'ufficio a calci nel sedere» dice Stephanie guardando la stronza in cagnesco.
«Katie Vieni. Andiamoci a prendere il meritato caffè. Credo che per questa mattina abbia già rimosso sufficiente spazzatura!» dice Stephanie uscendo dall'ufficio facendomi strada lungo il corridoio.
E' ormai ora di pranzo, quando esco dalla Global Service, soddisfatta e con in mano il contratto di lavoro che tengo come una reliquia.
Da domani inizierà la mia nuova vita, al diavolo quindi la mia divisa da cameriera succinta e le scarpe da quattro soldi che il proprietario ci costringe ad indossare.
Negli ultimi mesi per guadagnarmi il pane e pagare affitto e bollette, ho accettato di lavorare in un piccolo ristorante, il cui proprietario non è un tipo raccomandabile. Stasera presenterò finalmente le mie dimissioni, lasciandomi alle spalle mesi di continue molestie e sguardi viscidi e inappropriati.
Non capisco come Sara la mia amica e coinquilina riesca a resistere in quel locale così a lungo.
Quando mio padre gettò la nostra famiglia nel baratro e fui costretta a uscire da casa, Sara mi offrì il suo aiuto e la possibilità di lavorare nello stesso ristorante dove lei prestava servizio. Accettai di buon grado il suo aiuto, visto tra l'altro la poca scelta che avevo. Molte, che reputavo amiche, quando successe il fattaccio, mi voltarono le spalle con la stessa velocità di un battito di ali.
Lei fu l'unica a restarmi accanto, fregandosene delle chiacchiere e dei giudizi della gente perbene.
Vi starete chiedendo cosa mio padre abbia fatto per incasinare così la mia vita e quella della mia famiglia. Io invece mi chiedo cosa non ha fatto. Credo che abbia infranto così tante leggi che andrebbe riscritto l'intero codice penale e civile. Frode, evasione, prostituzione, truffa, appropriazione indebita, sono solo alcuni dei reati a lui ascritti. La lista è assai lunga e neanche io, la ricordo tutta. Quando scoppiò la bomba, avevo appena conseguito il mio MMS, l'intero mio mondo cadde come un castello di carta. Mia madre, una donna fragile e incapace di affrontare la vergogna si è tolta la vita pochi giorni dopo in uno squallido motel, dove si era rintanata per sfuggire allo sguardo di biasimo della "buona società". Mio fratello fortunatamente era lontano di casa e da qualche tempo oramai lavorava come Geologo marino per un'importantissima azienda petrolifera. Io ero rimasta sola e inerme alla valanga di cattiverie e pietose occhiate della gente. Continuamente additata e condannata per delle colpe che non avevo commesso. Per mesi le autorità mi avevano interrogato in cerca di un mio coinvolgimento agli affari di famiglia. Ma, di fatto, io ero all'oscuro di tutto, come del resto mia madre e mio fratello. Avrei potuto tranquillamente trasferirmi in un altro stato, in un'altra città. Ricostruirmi una vita senza problemi, ma non ho potuto farlo. New York era la mia casa, la città in cui ero nata, dove avevo vissuto, dove avevo conosciuto l'amore e quella che mi avevano distrutto il cuore.
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Nd A
Ciaoooooo, un nuovo capitolo spero ne abbiate apprezzato la lettura. Aspetto i vostri commenti. Alla prossima! Baciiiii :******
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