Capitolo 18

Per quanto si scappi lontano
il passato non si può dimenticare.
E torna.
Torna sempre.
A perseguitarti con la sua presenza.

Nik's pov

Sono fiero di Alya, di quello che ha detto, di come si è comportata. La amo. La amo alla follia e pensare di vivere senza di lei mi distrugge da dentro. Cammino a testa alta per i corridoi, schivando le matricole del primo anno che barcollano sotto al peso degli zaini. Poverini, col tempo capiranno che portarsi ogni giorno il materiale a scuola non è poi così necessario, solo che loro riceveranno l'armadietto dalla seconda. Non so perché, ma è una regola della scuola, per i primini niente armadietto.

Dov'è Florence adesso? Per una volta che sono io a cercare lei com'è possibile che sia sparita nel nulla?
La trovo in mezzo ad un gruppetto di ragazze e mi chiarisco la voce perché si volti.

<<Andiamo.>> Le ordino prendendola per un braccio e trascinandola nel seminterrato. La nostra è una scuola vecchia, si trattava di un vecchio ospedale psichiatrico, chiuso cento anni fa circa e riadattato come istituto scolastico. I muri sono stati ridipinti di fresco, ma nelle aule e nei corridoi alleggia ancora un'atmosfera greve e pesante, come se le anime di quei poveri disgraziati vivessero ancora qui, intrappolate nei muri e pronte a ghermire con i loro artigli di follia chiunque si avventurasse da solo tra queste pareti.

Girano pure leggende su studenti che dopo essere andati da soli nei sotterranei sono impazziti. Io penso che sia solo una trovata degli insegnanti per impedirci di andare di sotto. Si tratta di un seminterrato vasto e largo, formato da un dedalo di corridoi che portano chissà dove, un luogo buio e poco frequentato, perfetto per le coppie che vogliono appartarsi da sole.

Scendiamo le scale in silenzio, attenti ad eventuali rumori che potrebbero indicare l'arrivo di qualcuno e, una volta arrivati alla porta in ferro che separa la scuola dai sotterranei, Florence estrae dalla tasca una chiave rubata in segreteria anni fa da chissà chi e che poi è in qualche modo è arrivata nelle sue mani. Apre la porta che stranamente non cigola mai e sgattaioliamo dentro, percorrendo il corridoio buio che ci si para davanti.

Raggiungiamo un ripostiglio, che ormai conosciamo bene quanto le aule di sopra e ci chiudiamo la porta alle spalle.
Florence non aspetta un secondo di troppo e preme le sue labbra sulle mie mentre le sue mani corrono alla zip dei miei pantaloni.

La lascio fare e ringrazio il buio che nasconde la mia espressione bramosa ma indifferente. So che è un paradosso, ma non è Florence che voglio, e il mio sguardo minaccia ogni volta di tradirmi, per questo quando scopiamo non la guardo mai negli occhi.
Sento la ragazza piegarsi fino ad avere la testa tra le mie gambe, ma non è di questo che ho voglia adesso, per cui l'afferro per i capelli setosi e la spingo contro la parete. Mi ha già calato i boxer, per cui procedo a rimuovere anche la sua biancheria e sto per entrare dentro di lei quando sento il mio telefono squillare. Lo ignoro e faccio voltare Florence, in modo che mi dia le spalle. La penetro con un colpo deciso e spinto e la sento gemere tra il dolore e il piacere mentre comincio a muovermi dentro e fuori da lei.

Il telefono squilla ancora.
E ancora. La scopo con la suoneria delle chiamate in arrivo in sottofondo, e, mentre lei ansima contro alla parete, controllo stizzito lo schermo. è mia madre, ma perché cazzo mi sta chiamando se sa che sono a scuola?

Sono tentato di ignorare la chiamata, ma poi vedo un messaggio nuovo, nella chat archiviata.
Comincio a tremare e mi fermo, non sento il verso di protesta di Florence che mi incita di continuare, non la sento chiedermi se sto bene, l'unica cosa che riesco a sentire è un fastidioso ronzio nelle orecchie che cresce pian piano fino a diventare un boato incostante. Per un attimo vedo tutto nero, poi esco dalla ragazza di fronte a me e mi rialzo i pantaloni con gesti meccanici, come se fossi un automa.

<<Non abbiamo ancora finito!>> Protesta la ragazza, ma non la guardo nemmeno. Mi precipito fuori dallo stanzino, fuori dai sotterranei, corro per i corridoi con aria allucinata. Gli studenti che mi incontrano mi scrutano straniti, inciampo nei miei stessi piedi, incrocio Stanley, Raphael, pure quel coglione di Dorian Sepherd.

Colgo la loro confusione, ma non mi fermo, corro finché non sono in cortile, finché non sento di nuovo l'aria fresca pungermi il volto, ma anche se la sento pizzicarmi le guance non vuole scendere nei polmoni, non vuole permettermi di respirare. Mi dirigo a passo spedito verso i cancelli della scuola, e sto per scavalcarli, quando sento come una calamita sulla nuca che mi obbliga a guardarmi indietro. I miei occhi incrociano quelli smeraldo di Alya. Dura tutto una manciata di secondi, ma è come se le nostre anime si intrecciassero di nuovo, come facevano quando le stavo vicino.

Prima di quella notte.
Prima di denunciare quell'uomo.
Prima che lo prendessero.
Prima che gli dessero l'ergastolo.
Lei dice qualcosa a Carrie, poi comincia a correre verso di me e io mi libero di questi secondi d'incanto. Scavalco il cancello e sparisco tra i vicoli. Non ho più certezze, tranne che Alya debba starmi lontana ora più che mai.

Cinque anni fa

Sono in un tribunale, lo hanno dichiarato colpevole.
Lo hanno dichiarato colpevole e questo dovrebbe farmi sentire più leggero, più sereno. Dovrei andare da Alya, dirle che le ho detto quelle cose per tenerla al sicuro e che ora il pericolo è passato.

Incrocio lo sguardo dell'uomo trattenuto dalla polizia. Il suo nome è Carter Norris, ed è un assassino. Ha rapito, torturato e ucciso una decina di persone, cinque delle quali erano bambini. è un mostro.

I suoi occhi sono dei pozzi neri, pieni di pazzia, intelligenti e crudeli, sembrano prometter dolore. Non ci vedo odio, e questa è la cosa peggiore, perché l'odio acceca, quella furia fredda e calcolatotrice che mi scruta invece no. Mi guarda come se fossi la sua prossima sfida. Il suo prossimo obiettivo. Non può farmi più niente, né a me, né ad Alya, eppure ho paura. Ho paura di avere appena guardato negli occhi la morte.

Muove le labbra biancastre e sottili, non dice niente, ma capisco lo stesso.
Una promessa silenziosa e alla quale credo ciecamente.
Tornerò a prenderti.
Ha detto.

Adesso

Corro tra le strade di città, sento i clacson suonarmi contro mentre attraverso lontano dall strisce pedonali rischiando di essere investito una decina di volte.
Non so dove andare, per cui vado nel posto dove tutto è cominciato. Scendo sulla spiaggia e mi passo le mani tra i capelli, tirando le ciocche bionde come per risvegliarmi da un brutto sogno. Il mare oggi è molto mosso, le onde scure si infrangono contro la sabbia dorata sollevando schizzi di spuma candida come le nuvole che macchiano il cielo azzurro di bianco brillante. Muovo un paio di passi incerti.

Cosa devo fare adesso?
Cosa devo fare?
Cosa posso fare?

Nulla, nulla che io non abbia già fatto. L'ho denunciato già una volta, ma è scappato, e si ricorda della sua promessa.
Sto venendo a prenderti, dice il messaggio. Improvvisamente, come attirato dal canto di una sirena mi muovo in avanti, verso l'acqua, verso le correnti scure che sembrano ammaliarmi con il loro sciabordio violento e potente. Oggi è uno di quei giorni dove sono le onde a comandare, infatti in spiaggia non c'è nessuno. Per di più c'è anche molto vento e credo che in serata possa piovere.

Faccio un passo avanti.
Poi un altro.
E un altro ancora. Raggiungo l'acqua e sento le scarpe inzupparsi. Rabbrividisco per il freddo e vado ancora avanti, ignorando il gelo che mi cola nelle ossa come acciaio fuso. Riesco a pensare solo a quanto sarebbe facile continuare ad avanzare ed arrendermi alle onde.
Cinque anni fa ci ho pensato, ora però non ho uno scopo a impedirmi di avanzare ancora di più.

Le correnti mi trascinano dove non tocco, l'acqua ancora ghiacciata mi brucia gli occhi e non riesco a tenerli aperti, per questo non vedo arrivare l'onda che mi trascina giù con sé, cerco di tornare su, di risalire, ma la corrente è forte e io sono stanco di lottare. Mi abbandono ai flutti che mi trascinano sempre più giù.

E giù.
E giù.
E giù.

I miei polmoni anelano disperatamente dell'aria, e, quando respiro una gran boccata d'acqua, so che in qualche modo sarebbe dovuta finire, ma meglio così che darla vinta a quell'uomo. Meglio andarmene a modo mio.
Mi si appanna la vista, ma mi sembra di scorgere un volto. Sorrido, l'ultimo viso che vedo nella mia vita è quello di Alya, la mia anima gemella.
Poi il buio.

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