Epilogo
Era trascorso poco più di un anno, difficoltoso e doloroso da affrontare, da quel giorno. Christopher aveva deciso di prendersi comunque un anno sabbatico, senza però rimanere con le mani in mano: aveva trovato lavoro, o meglio, Charlie aveva sfruttato le sue conoscenze e amicizie per procurargliene uno, nel locale di Bob Harden dove Victor aveva lavorato per anni.
Mentre preparava la sua valigia per partire finalmente per il college ed incamminarsi a piccoli passi verso la carriera da architetto, ripensò ai suoi amici che erano andati avanti per la loro strada e che lo attendevano metaforicamente, perché erano stati accettati ognuno da college diversi, da poco più di dodici lunghi mesi. Dean frequentava il corso di letteratura inglese con il sogno di diventare un professore di lettere, mentre Joshua studiava per diventare un professore di educazione fisica. Era ironico come entrambi avessero deciso di intraprendere una carriera per diventare docenti, non che Chris riuscisse ad immaginarseli. Se ci pensava, vedeva solo dei futuri studenti traumatizzati da un professore pettegolo e uno paranoico. Ridacchiò tra sé e sé, mentre chiudeva la valigia poggiata sul letto in camera sua: quel giorno era il suo turno di partire per il college.
«Vorrei dire che mi mancherai, ma tra qualche giorno ti raggiungerò anche io.» affermò Ellen con ironia dall’uscio della porta. Anche lei sarebbe presto partita per seguire il corso di biologia nella stessa università. A Christopher non dispiaceva l'idea di poter incrociare per pura casualità sua sorella, ma saperla lì accendeva automaticamente il suo interruttore da fratello iperprotettivo, aggiungendo una preoccupazione in più.
Qualche giorno prima, Ellen aveva partecipato alla festa organizzata da Diana, la sua migliore amica, che avrebbe lasciato lì a Boston perché aveva deciso di non frequentare il college per focalizzarsi sulla gestione de L’Edera e aiutare sua zia Patricia; lo stesso locale dove Daniel lavorava tutt’ora in pianta stabile come barista. «Non ho potuto godermi nemmeno un anno come fossi figlia unica». Si finse rammaricata, prima di ricevere in risposta una matura linguaccia da parte del fratello maggiore, che ricambiò con altrettanta maturità.
«Sappiamo entrambi che avresti pianto e ti sarei mancato.» Christopher afferrò la valigia. «Sono il tuo adorato fratellone.»
«Certo.» affermò con condiscendenza. Ellen non lo avrebbe mai ammesso, almeno non in modo diretto; era un errore che non avrebbe mai compiuto, non aveva alcuna intenzione di regalargli un’occasione in più per stuzzicarla.
Chris setacciò con sguardo attento la propria camera, passando le sue pupille dal soffitto, fino alla moquette, nel tentativo di imprimersi ogni anfratto, ogni minimo granello di polvere, nella memoria. Non vi avrebbe fatto subito ritorno. Scese le scale con sua sorella al seguito. Attraversò l'ingresso e trovò George che stava finendo di sistemare i bagagli nell’auto, parcheggiata nel vialetto di casa White, mentre Melanie guardava suo marito dal portico tentando di non piangere e tirando, di tanto in tanto, su con il naso.
«Parti di già?» chiese quest'ultima con occhi lucidi, dopo aver adocchiato quasi con timore la valigia nella sua mano.
«Si, devo fare una deviazione prima di partire.» le ricordò il figlio.
Il padre chiuse il portabagagli, si strofinò le mani come se volesse pulirsele e si avvicinò a loro. «Quando arrivi chiamaci.»
«Anche se dovesse succedere qualcosa.» s’intromise Melanie ansiosa, gli altri tre alzarono gli occhi al cielo.
«Cosa dovrebbe succedere?» domandò Ellen.
«Andrà bene, non ha tre anni.» tentò di rassicurarla il marito, «Per qualsiasi evenienza sa che può chiamarci.»
«Su l'età avrei da ridire.» commentò Ellen, guadagnando l'ennesima linguaccia dal diretto interessato. «Visto?» lo indicò.
La madre negò lentamente con il capo, tra l’incredulità e il genuino stupore. «Voi due rovinate ogni momento commovente.» si trovò a constatare, non era la prima volta che accadeva una discussione infantile tra loro. Spesso accadeva nei luoghi pubblici, attirando su di loro l'attenzione boriosa di sconosciuti passanti. All'inizio, la donna li aveva ammoniti, poi vi aveva rinunciato facendosi delle risate di cuore.
Si salutarono, Melanie non riuscì a rispettare il suo buon pronostico di non piangere all’affermazione: «I miei bambini sono cresciuti così in fretta.» mentre il padre appariva stranamente tranquillo. Forse perché Chris li avrebbe rivisti tra un paio di giorni, nei dormitori del college per aiutati nel trasloco di Ellen.
«Fai attenzione!» gli rammentò George, prima che uscisse con l'auto dal vialetto.
Da dietro al vetro del finestrino, Christopher annuì, si immise in strada e partì lasciandosi alle spalle la sua casa pregna di ricordi che andavano dalla sua infanzia, fino alla recente e ancora in corso adolescenza. Un senso di malinconia prese possesso di sé. Stava facendo passi avanti verso l'età adulta non senza intoppi. Era riuscito ad uscire quasi totalmente dalla sua apatia, anche se ogni tanto ribussava alla porta della sua mente e ci ricadeva. Ma quando quei momenti, sempre più sporadici, si ripresentavano, lì accoglieva alla stessa maniera della felicità, sentendosi vivo.
§
Il silenzio che ricopriva il cimitero gli lasciava sempre un retrogusto amaro e malinconico che lo inquietava. Ogni più piccolo suono si amplificava, perfino la brezza tenue, che giocava tra i rami e le foglie degli alberi, sembrava urlare; le chiome degli alberi ondeggiavano. Quel posto mite era pieno di gente che era stata, le lapidi nascondevano storie che i defunti proprietari non erano più capaci di raccontare.
Guardò la tomba curata dinanzi a sé, seduto a terra sull’erba a gambe conserte. «Parto per il college.» raccontò, ancora con un velo d’incredulità nella voce e un sorriso triste dipinto sulle labbra. «Chi se lo sarebbe mai immaginato?» Si allungò in avanti e sfiorò la foto con i polpastrelli prima di alzarsi. «Io vado, ma tornerò presto a trovarti. Te lo prometto.» Avrebbe mantenuto la promessa, quella volta. Ci sarebbe riuscito.
Charlie lo affiancò, gli strinse affettuosamente una spalla osservando la foto sorridente di Hanna, che non risentiva dello scorrere del tempo. «Tua madre sarebbe fiera di te.»
«Dici?» domandò titubante con gli occhi puntati al nome inciso sulla pietra.
«Sei qui, vivo.» annuì, «E parti per il college.»
«Ti direi che è scontato, ma non lo è. Niente nella vita lo è.» Victor abbassò lo sguardo sulle punte vissute delle converse. Nelle settimane antecedenti all'intervento, spesso si era domandato se, mentre compiva semplici azioni quotidiane, sarebbe stata l'ultima volta: «Sarà l'ultimo biscotto?» si era chiesto mentre ne mangiava uno, «Forse questa è una delle ultime volte in cui lo guardo.» mentre osservava Charlie preparare la cena o «Se lo iniziassi a leggere, riuscirei a finirlo?» fissando un libro tra gli scaffali della camera che era diventata ufficialmente di Charlie; impregnando quei presunti ultimi ricordi di tristezza e malinconia. Provava rammarico al pensiero che l’ultimo ricordo con Christopher sarebbe stato quella litigata e che, quel momento, potesse sovrascrivere tutti i più bei ricordi che avesse di lui, lasciandolo con i soli senzi di colpa e l’immagine di Chris in lacrime. Quei pensieri gli lasciavano un senso di pesantezza che riusciva a celare solo con il silenzio. Non li aveva raccontati a nessuno, tenendosi, come aveva sempre fatto, tutto per sé, e apparendo un ragazzo ancora più silenzioso e distratto di quanto in realtà non fosse. Con la testa colma di ansia e angoscia, che facevano chiasso, non era riuscito a goderseli a pieno, quei presunti ultimi momenti. Al contempo, si contrapponeva la leggerezza della morte: ogni sofferenza si sarebbe conclusa. Una piccola parte di sé si sentiva sollevata.
Charlie aveva incominciato a porgli, sempre con più irritante frequenza se andasse tutto bene, ma Victor aveva sempre evitato di rispondere, optando per un grugnito indefinito, che poteva significare che andasse tutto bene e allo stesso modo che tutto fosse andato in malora, o facendo cadere oggetti con finta casualità nelle sue vicinanze, dai bicchieri, al telecomando, ai libri che leggeva.
Lo zio si era sentito costretto a non indagare oltre, facendo cadere lì la conversazione e rimandandola ad un altro momento. Ciò non gli impedì di lanciargli delle occhiatacce sospettose. Charlie sapeva che, se avesse insistito, il ragazzo avrebbe trovato un modo per dilazionare o gli avrebbe riservato altre risposte sfuggenti.
Dopo un anno difficile però, Vick era uscito dalla malattia con un solo polmone; persino respirare gli sembrava qualcosa di stupefacente e magico.
Charlie lo fece voltare verso di sé e gli cinse le spalle. Sostenne il suo sguardo. «Io, quello stronzo di tuo padre e tua madre siamo fieri di te, Testa di rapa.»
«Non starai mica piangendo?» Vick sbattè le ciglia un paio di volte, nel tentativo di impedire alle lacrime di scivolare sul suo, di volto, più che su quello dell’uomo. «Rimango nello stato, non parto mica per Phoenix.» Lo punzecchiò, riferendosi alla sua fuga in Arizona, e anche a Duke, che stava frequentando lì il college per diventare un infermiere; Charlie gli aveva prestato il suo vecchio appartamento a patto che lo tenesse pulito e che avesse mandato a quel paese Thomas almeno una volta al giorno. L'uomo non era sicuro che stesse mantenendo i patti sulla seconda invalicabile e la più importante clausola.
«Per me potevi partire anche per la California.» gli fece una boccaccia, da uomo maturo.
A Victor sarebbe piaciuto, ma non se l'era sentiva di allontanarsi da Boston. Soprattutto perché avrebbe dovuto sottoporsi periodicamente a dei controlli e si sentiva più sicuro continuare ad essere seguito da Barlow, che da un altro medico sconosciuto.
Salutò sua madre e uscirono dal cimitero. Nell'ultimo anno erano successe molte cose: era stato bocciato per le troppe assenze e aveva dovuto rifrequentare l'ultimo anno di liceo per diplomarsi; in concomitanza a dei cicli di Chemioterapia adiuvante. Suo zio, suo padre e Mark avevano preso la decisione, con le sue vane lamentele iniziali, e ritenuto necessario avesse un supporto psicologico; le sue azioni autodistruttive non erano passate inosservate come Victor aveva sperato. Però, era grazie a quel percorso psicoterapeutico che era finalmente riuscito a stare meglio, a sistemare il rapporto, ancora non privo di dissapori, con suo padre Thomas, a riuscire a far visita ad Hanna ogni volta che voleva e a ricominciare a riconoscere il proprio riflesso davanti allo specchio. I problemi non si erano dileguati, non erano svaniti nel nulla, ma lo aveva aiutato a raggiungere un equilibrio. Era in qualche modo riuscito a riappropiarsi del proprio corpo.
«La carrozza si tramuterà in zucca.» lo citò una voce familiare, che lo spinse a sollevare velocemente il capo in quella direzione.
Victor gli sorrise; Christopher lo attendeva poggiato sul cofano della propria auto.
«Qui la Principessa Susie sei tu!» gli si fece vicino e gli lasciò un bacio sulle labbra che fu naturalmente ricambiato. «Non fregarmi le battute!»
«Ah, la gioventù!» sospirò platelamente Charlie premendosi una mano sul cuore. Vide il nipote ruotare gli occhi. «Partite subito?» domandò mentre Vick prendeva a spostare i propri bagagli dall’ auto di suo zio a quella dello Stalker; non erano molti, avrebbe fatto ritorno a Boston nel fine settimana.
«Si, dobbiamo fare una deviazione.»
Victor aggrottò le sopracciglia, «Che deviazione?»
«È una sorpresa.» gli lanciò un sorrisino furbo, prima di lasciargli un bacio sulla guancia.
«Mi raccomando, fate attenzione.» ribadì Clark rindossando il suo ruolo da adulto, che non sempre gli calzava a pennello. «Se avete bisogno, per qualsiasi cosa, non esitate a chiamarmi.» Poi si rivolse a Chris, «Soprattutto se inizia a fare l'idiota, non esitare.»
«Si, capo.» fece il saluto militare.
Price allargò le braccia con stupore. «Vi ricordo che io sono qui», fece notare loro, indicandosi.
Charlie e Chris si lanciarono un cenno con il capo, annuendo una volta sola.
Non lo trattavano più come un malato, ma come un bambino. «Vi sento e vi vedo.» aggiunse seccato.
I saluti furono brevi, Christopher avrebbe riacconpagnato Victor a Boston quello stesso fine settimana, ma ciò non impedì un abbraccio tra lui e Clark. Entrambi, anche se non erano stati protagonisti di quella malattia, l'avevano vissuta di rimando, al fianco di Victor. Non era stato facile nemmeno per loro, Price lo sapeva; si era trovato nella medesima situazione con Hanna, prima di prendere il suo posto. Non per questo, Vick aveva reso loro le cose più semplici.
«Fate attenzione!» li salutò Charlie. Fece loro cenno con la mano, mentre loro ricambiavano il saluto attraverso il finestrino. Poi divennero mano a mano sempre più piccoli, fino a scomparire.
Rimanere solo nell'appartamento di Hanna lo spaventava, perché la sua mente era tutt'altro che silenziosa come voleva far credere. Quando per puro caso aveva ammesso ad alta voce quella paura, in una delle serate con il suo vecchio gruppo di amici, incapace di tenersi quei timori per sé, gli avevano dato dell'idiota senza attingere a parole lenitiva e dolci.
«Quando quel Testa di rapa partirà per il college rimarrò solo nel vecchio appartamento di Hanna.» aveva sospirato, dopo essersi autoinvitato nell'ufficio di Harden, come succedeva almeno una volta a settimana, guardando la bottiglia di birra che teneva in mano.
«Quando eri giovane sostenevi molto di più l'alcol.» commentò Bob, prima di bere un sorso del suo Brandy.
«Concordo.» si aggregò Mark, al fianco del proprietario, che finalmente si era preso una serata libera dal lavoro.
Clark aveva lanciato loro delle occhiatacce torve. «Sono ancora giovane.» li corresse.
«E io sono la fata madrina.» lo schernì Thomas, alzando gli occhi al cielo.
«E allora dov'è la tua bacchetta magica, Signora Fata Madrina?» aveva ribattuto acido.
I due si erano fissati per un secondo e, quando sul viso di Price aveva incominciato a spuntare un sorriso malizioso, tentò di corregersi: «Credo che la battuta mi sia uscita male.»
«È colpa dell'alcol.» Barlow aveva sghignazzato, prima di ritornare all'argomento iniziale: «Non sei solo, Charlie. Verrò a trovarti più spesso.»
«Vorrei dire la stessa cosa, ma sei peggio dell’erpes e ti trovo sempre qui nel mio ufficio.» scherzò Bob, «Ma d'ora in avanti non dovrai più scassinare la porta, sarà sempre aperta per te.»
Il petto di Clark si era riscaldato, dubitava fosse colpa dell'alcol. «Che ingrato pezzo di merda.» gli fece una smorfia, poi bevve la birra per celare un sorrisino.
«Io verrò a romperti le palle, invece.» si era aggiunto Thomas.
«Ne avrei fatto a meno, di te.» rispose Charlie sardonico. «Ma se proprio devi.» borbottò sommesso.
Ne era stato contento, inspiegabilmente anche anche della prospettiva della presenza più frequente di Thomas, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
Ne aveva parlato anche con Liam, il suo migliore amico, che aveva dovuto lasciare in Arizona, e si stupì di ricevere altre rassicurazioni.
«Non sono mai venuto a Boston.» aveva esordito per telefono, «Mi piacerebbe vederla». Per poi invitarlo a sua volta a tornare, di tanto in tanto, a Phoenix.
Charlie aveva notato anche la scelta ponderata del nipote di frequentare un college limitrofo e poco distante da casa. Non era certo fosse compreso in quelle motivazioni che lo aveva spinto a quella decisione, ma gliene fu ugualmente, e silenziosamente, grato.
§
Alla radio, “Somebody To You” dei The Vamps, cantavano in sottofondo. La melodia, per gran parte coperta dal vento che sferzava dai finestrini abbassati dell'auto in marcia, arrivava ovattata alle loro orecchie. Victor, seduto sul sedile passeggero, rimaneva in silenzio ad osservarsi la mano, che faceva ondeggiare e planare fuori dal finestrino. Indossava una maglietta nera a maniche corte, con la stampa di un torace scheletrico, che Chris riteneva di pessimo gusto da quando il teppista gli aveva spiegato che la portava per pura ironia sul suo unico polmone rimasto, assecondava l'aria che entrava nella vettura; era più grande di un paio di taglie.
Christopher, invece, era attento alla strada, tenendo il volante con la mano sinistra e la destra poggiata sul cambio. L'occhio, senza volerlo, si posò per un istante sull’unico tatuaggio che aveva deciso di farsi: la scritta “Time” appena sotto la piega interna del braccio. Un sorriso si formava sulle sue labbra ogni volta che lo aveva sotto gli occhi, che fosse per pura casualità o che lo cercasse di proposito per ammirarlo. Quel tatuaggio, era nato per pura fatalità dettata dalla sua impulsività dopo uno dei cicli di Chemioterapia a cuiVick si era dovuto sottoporre dopo l'intervento; dove Chris era rimasto al suo fianco in pianta stabile a stringergli la mano. Lo aveva riaccompagnato a casa, lo aveva fatto sedere sul divano e gli aveva preparato una tazza di tè.
«Ho notato una cosa.» aveva esordito il teppista mentre lo stalker poggiava la tazza fumante sul tavolino basso e si sedeva al suo fianco.
«Cosa?»
«La parola “tempo” sembra tornare spesso, tra di noi.»
Christopher aveva meditato su quella constatazione per un paio di minuti, arrivando alla conclusione che era vero. Spesso nelle loro conversazioni i temi ricorrenti erano la vita, la morte e soprattutto di tempo, che scivolava via. «Non ci avevo mai pensato.» Successivamente, gli venne un’idea: «Hai un foglio e una penna da prestarmi?»
«Vuoi metterti a fare i compiti adesso?» Vick fece un espressione sofferente, avrebbe solo voluto riposarsi senza pensare a nulla in particolare, ma si ritrovò a cedere alla sua insistenza. «In camera mia.» sospirò.
White prese tutto l'occorrente, lo poggiò sul tavolinetto e lo fissò.
Con un sopracciglio sollevato, Victor continuava a non comprendere cosa gli fosse passato per la testa: «Adesso sembri un maniaco.» Pensava che lo leggesse nel pensiero? «Sei inquietante.» aggiunse timoroso.
Chris sbattè le palpebre, ricordandosi che preso dall'entusiasmo non gli aveva dato alcuna spiegazione. «Scrivi la parola “tempo” sul foglio.»
«Perché?»
«Perché voglio tatuarmela.»
Alla confusione sempre più presente sul volto ancora emaciato di Price, Chris si rese conto di doversi spiegare meglio: «Così mi ricordo che devo vivere, che il tempo scivola via.»
La mano malferma di Victor tracciò delle lettere storte, tremanti e deformi, ma leggibili; imperfette come le emozioni che viveva ogni giorno, come l'apatia che lo schiaffeggiava ancora di tanto in tanto. Il teppista, però, si era lamentato: «Non tatuarti quello sgorbio, se proprio vuoi che te la scriva io, aspetta che mi riprenda almeno un po'.» ma a nulla era valso. A Christopher piaceva così com'era. «Ti pentirai.» gli aveva detto Vick quando glielo aveva mostrato per la prima volta, ma non era successo.
E anche in quel momento, lungo la strada per il college, quel tatuaggio continuava a piacergli.
«Posso sapere dove mi stai portando?» domandò Victor per l'ennesima volta, continuando a giocare con la mano. «Non è che vuoi portarmi in un luogo isolato e uccidermi? Guardando tra i bagagli… » si voltò verso i sedili posteriori, «Una pala potrebbe benissimo confondersi.»
«È difficile amarti in questo momento.» bonfonchiò White inserendo la freccia. Parcheggiò l'auto sul ciglio della strada.
Oltre il grigio dell'asfalto, erano circondati dal verde. Alberi alti, imponenti, con una chioma che lentamente sarebbe ingiallita fino a tingersi di colori caldi, dall’arancione al rosso, e cadere infine a terra. Tra le cortecce presenziava uno spazio erboso, costellato sporadicamente da piccoli fiorellini selvatici. La brezza che pareva averli seguiti dal cimitero, danzava tra i rami formando delle verdi onde con le foglie. Se si rimaneva in silenzio, perfino il rumore somigliava all'acqua del mare che s’infrageva sugli scogli. Un piccolo laghetto, molto distante dalla strada, specchiava quieto il cielo.
«Oh, Dio…» sibilò Price con stupore. Era un posto magico, come se fosse isolato dal mondo intero, dove persino gli uccellini si ravvedevano dal cinguettare liberamente per non rompere quella barriera che separava quel posto dalla realtà. Una battuta fuori luogo gli si formò sulla punta della lingua, ma si trattenne, ritrovandosi a boccheggiare senza trovare le parole.
«Bello, vero?»
Il teppista serrò la bocca e annuì fermamente.
«Ho trovato questo posto per caso, facendo un giretto a vuoto quando i miei mi hanno regalato la macchina.»
«Perché mi hai portato qui?» si volse verso di lui, «E perché proprio adesso?»
«Non ci arrivi?» chiese Chris slacciandosi la cintura prima di scendere. Victor lo imitò, mentre lui faceva il giro della vettura.
«”Distendersi su un prato fiorito”.» disse, ma la frase apparve più come fosse una domanda.
«Manca il terzo punto, ricordi? Volevo farlo prima di partite per… » Christopher gli sorrise. Il teppista ricambiò, prima di iniziare a correre verso il laghetto. «Hey!» urlò Chris.
«Chi arriva ultimo è una Principessa Stalker!» gridò con ilarità dietro di lui, continuando a correre tra l'erba. Victor, in quel momento si sentì leggero come non lo era mai stato. Il venticello che gli remava contro, che smuoveva la natura attorno a loro, che gli accarezzava il viso e s’infilava tra i capelli che finalmente erano ricresciuti. Con il fiatone si fermò nel bel mezzo del prato, l'erba alta fino ai polpacci. Non fece in tempo a guardarsi indietro, che Chris gli si era buttato di peso tra le braccia, cadendo a terra tra qualche sporadico fiore. «Sembra la scena di una di quelle pubblicità da famigliola felice!» esordì ridendo insieme a White che si sollevò sui gomiti per guardarlo ridere.
Le risa scemarono lentamente, lasciando il posto a sguardi e fiatoni. Christopher avvicinò il viso al suo e lo baciò, in quella bolla estesa lungo il perimetro di quel luogo. Il teppista lo avvolse in un abbraccio stretto, si arpionò a lui stringendo tra le dita il tessuto della maglia. Quel bacio protratto, lasciò loro le labbra rosse che riempì l'altro di soddisfazione.
Christopher su toglise da sopra di lui rotolando al suo fianco. «Mi dispiace che non ci siano tanti fiori.» Non lo avrebbe mai portato nello stesso prato in cui si stendevano Hanna e Victor, Chris non voleva insinuarsi in quel posto intimo e in quei ricordi. Voleva crearne di nuovi insieme a lui, in un altro luogo, in un altro prato fiorito.
Entrambi volgevano lo sguardo al cielo, limpido, senza una nuvola a coprirlo, con le schiene ben piantate a terra e le spalle che si sfioravano con quella dell’altro. Sembrava uno di quei cieli estivi, forse sarebbe stato uno degli ultimi fino all'anno successivo, quando sarebbe tornata l'estate.
«Non fa niente. Abbiamo svolto anche il terzo punto della lista,» ricapitolò il teppista, poi afono aggiunse: «Adesso abbiamo finito.» Era sollevato ma, nello stesso istante, quell’euforia che pensava di provare se fosse vissuto abbastanza da completarla, sbiadiva velocemente. E molti “se” e “ma” affollarono i suoi pensieri. Se avesse portato Christopher nel posto in cui sua madre gli aveva confessato di essere una malata terminale quando lui credeva di esserlo? Con il senno di poi, non avrebbe mai scelto quei punti della lista, ma si costrinse a rispettare i desideri del vecchio e più giovane sé disilluso, solo e con l'unica prospettiva di una morte imminente.
«Scrivine altri.» Chris scrutò i capelli biondi, tendenti al rossiccio, del suo Teppista da strapazzo; non li aveva più tinti da quando avevano cominciato a ricrescere, non doveva più evitare di somigliare a qualcuno, non doveva più evitare niente di sé. Si apparteneva. Il septum brillava alla luce del sole, creando una strana e piccola ombra al disotto.
«Scriviamoli insieme.»
Il suo Signor Stalker ghignò lepido. «Va bene.» gli si avvicinò ed iniziò ad elencare: «Punto sei, baciarti.» unì le loro labbra, poi sfiorò la sua lingua con la propria; «Punto sette, farlo senza interruzioni.»
Victor iniziò a ridere di gusto. «Stai dando ancora di matto.»
Si baciarono ancora, fino a consumarsi le labbra. Il telefono di Christopher squillò,come il più terrificante, per il Signor Stalker, dei dejavu. Ma questa volta non se ne curò, lo ignorò. Erano rintanati nella loro bolla, lasciando tutto il mondo fuori.
Entrambi i ragazzi sapevano che quella lista non avrebbe mai avuto fine, almeno fino a quando il tempo, che scivolava via dalle loro mani, come sabbia tra le dita, non lo avrebbero vissuto tutto, consumato, usato ogni minuto. Ogni momento, un attimo alla volta.
Note a piè di pagina:
Queste sono le ultime, non mi sembra vero.
Vi condivido il video della canzone citata (presente anche nella playlist su Spotify), nel caso voleste ascoltarla.
Non so per voi, ma per me parla di Christopher.
Poi, siccome mi sono divertito con un po' di grafica, vi condivido l'immagine di come immagino il tatuaggio di Chris. (Ovviamente voi potete immaginarlo come volete!)
In fine, ne approfitto per fare dei brevi ringraziamenti qui (preferisco qui, piuttosto che creare un capitolo a parte che interessa a pochi, ma ci tengo molto).
Ringrazio di cuore Elle_Jenny, sato1603 e una personcina che vuole rimanere nell'anonimato. Grazie per avermi sopportato, supportato e di credere in me, anche quando sono io il primo a non farlo.
Ringrazio tutti voi lettorɜ per essere arrivatɜ fino alla fine. Per aver letto, commentato, per le correzioni...
E mi sembra azzeccato, a questo punto, salutarvi con un: Carpe diem!
— Aki
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