Capitolo 8
Osservò attentamente quelle iridi ambrate, come ipnotizzato, saettando di tanto in tanto su quelle labbra che avevano sfiorato le sue. Era tutto maledettamente sbagliato. Il biondo lo aveva baciato d'impulso, senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni. I respiri si mescolavano come se non aspettassero altro ma, solo quando Chris si ritrasse, tornò a respirare normalmente. Poteva ancora sentire il calore casto di quelle labbra sulle sue. Nell' appartamento troneggiò il silenzio pieno di pensieri rumorosi, urlanti. Nessuno dei due osò proferire parola.
§
Era seduto su una di quelle sedie scomode di plastica, nel corridoio dell'ospedale. Molleggiava la gamba sinistra, agitato. White aveva dormito a casa dell'azzurrino, dopo aver avvisato i suoi genitori. Nulla era cambiato, si erano parlati solo lo stretto necessario. L'atmosfera aveva continuato ad essere tesa come una corda di un violino. Passò le proprie dita slanciate tra le ciocche bionde, doveva risolvere. Doveva pensare a qualcosa per togliere quel muro che Victor aveva creato tra loro, ma come? Infilò le mani nelle tasche ed aggrottò la fronte quando sentì della carta all'interno. Estrasse quel foglietto leggendovi il contenuto: era "la lista della spesa" del teppista. Il primo punto era «"Mangiare un gelato nella gelateria vicino alla spiaggia"», sussurrò, leggendolo. «"Fare una camminata lungo quella spiaggia"», il secondo. Vi era una sola gelateria dove si poteva arrivare in spiaggia senza prendere alcun mezzo. Si alzò entusiasta dalla sedia, aveva trovato un modo.
Intanto, nell'ambulatorio, il dottor Mark Barlow cambiava la medicazione della cannula di Price. «Come ti senti oggi?» chiese mentre finiva di bendare il braccio.
«Ho ancora dolore ma, rispetto a ieri, riesco a muovermi meglio.» rispose con voce flebile.
«Non potrai bagnarlo, ti darò una protezione per poterti lavare», continuò diligentemente mentre prendeva qualcosa da uno dei cassetti della scrivania.
«Va bene, la ringrazio», scese dal lettino.
«Oltre quel ragazzo, chi ti sta aiutando?»
«Nessuno, non ne ho bisogno» asserì secco, quasi brutale. «Ci vediamo settimana prossima, dottore», finì sbrigativamente calcando l'ultima parola. Reggendosi allo stipite aprì finalmente la porta dell'ambulatorio per uscire. White era corso immediatamente verso di lui facendogli da sostegno per camminare. Il silenzio durò fino alla vettura ma, quando si accorse che la strada intrapresa non era la solita, aggrottò la fronte e lo riguardò perplesso. «Dove stiamo andando?», ruppe il silenzio.
«Allora mi rivolgi la parola», constatò sarcasticamente mentre guidava.
«Non vorrai mica portarmi in un bosco, uccidermi e seppellirmi lì, vero?» rispose con lo stesso tono, reggendo il gioco.
Il biondo scoppiò in una grassa risata, «Ma quanta fantasia hai?»
«Christopher, dove stiamo andando?» tornò con tono serio. White poté dire di sentirsi quegli occhi color cielo puntati su di sé, quasi a fulminarlo.
«Stiamo andando nel primo punto della tua lista», ammise infine.
«Lista?» chiese mentre cercava di ricordare. «Quella lista» constatò, «Il primo punto, potremmo saltarlo?»
«Perché? Stiamo andando in gelateria».
«Non mi va, ho la nausea», sibilò sincero. «Non ho molta voglia di mangiare».
«Anche questa mattina non hai mangiato molto, devi sforzarti di mangiare», lo ammonì.
«Si mamma chioccia», lo canzonò, «Ma non mangerò comunque il gelato» ammise.
«Non vuoi farmi compagnia?», l'azzurrino sbuffò.
«Va bene» si arrese, sapeva che Christopher non avrebbe ceduto.
§
Si sedettero in uno dei tavolini fuori dalla gelateria, dopo aver ordinato i gelati all'interno.
«Cosa ti ha detto il medico?» chiese Chris, tentando di non far tornare quel silenzio imbarazzante.
«Che non posso bagnare i punti, perciò dovrò stare attento quando mi lavo», rispose diretto mentre estraeva il pacchetto di sigarette e l'accendino dalla tasca. I loro sguardi non si incrociarono nemmeno una volta, Victor lo stava evitando di continuo.
«Perché mi fai ripetere sempre le stesse cose?» sbuffò, «Non puoi fumare!»
«Smettila» asserì lapidario, «Non sei mia madre. Sono libero di fumare quanto voglio».
«No che non lo sei! Hai il- », il tono di voce era leggermente più alto ma fu subito interrotto.
«Io farò la stessa fine di mia madre. Tanto vale godermi il tempo che mi rimane.» gli occhi si fecero lucidi mentre estraeva delicatamente la sigaretta dal pacchetto. La posizionò tra i due strati sottili di carne alla bocca e la accese.
«Se ne sei così sicuro, allora perché stai facendo la chemioterapia?», strinse i pugni sul tavolino.
«Perché una parte di me continua a sperarci, continua a sperare che per me un futuro ci sia», strinse gli occhi e se li toccò con l'indice ed il pollice. Non doveva piangere. «E tu, non dovresti perdere tempo con me».
«Mi stai cacciando via dalla tua vita?», era più un'affermazione che una domanda.
«Lo faccio più per te che per me», si giustificò, «Sopratutto dopo quello che è successo ieri».
«Non lo stai facendo per me, sei un codardo! Tu non vuoi fidarti di me, tu pensi di essere in grado di fare tutto da solo. Ma non puoi, di questo sono sicuro».
«Pensi di conoscermi dopo solo due giorni scarsi?»
«No, sei tu che lo pensi su di me. Se mi importava che avessi il cancro non ti avrei baciato! Io voglio starti accanto, aiutarti!»
«Perché?!» iniziò ad urlare, «Perch- ». Un attacco di tosse gli impedì di continuare. Tutto sembrò andare a rallentatore, Chris che prontamente si alzava dalla sedia, che lo aiutava ad alzarsi mentre lui si reggeva la bocca. La cameriera che stava per portare i gelati ordinati al loro tavolo, confusa. Il biondo che lo accompagnava velocemente all'interno del locale, che chiedeva al suo posto la chiave del bagno. Finalmente all'interno dei servizi, Vick si sorresse sul lavabo con una mano mentre, l'altra, continuava a tenerla davanti alla bocca. La tosse non sembrava volesse cessare, le lacrime iniziarono a solcare il viso ormai rosso dallo sforzo a cui il corpo era sottoposto. L'ossigeno sembrava rifiutarsi di invadergli i polmoni, entrare in contatto con gli alveoli dove avrebbe trovato dei globuli rossi, in fila indiana, pronti per lo scambio tra ossigeno ed anidride carbonica. Cercò invano di riprendere a respirare ma, la tosse, perpetua, continuava ad impedirglielo. Le gambe sembravano tremare e, una mano calda, calma, gli accarezzava la schiena. Come per rassicurarlo di non essere solo. L'attacco cessò all'improvviso, proprio come era arrivato. Poggiò, con il palmo verso l'alto, la mano sporca di quel liquido carminio. Il silenzio interrotto solo dal respiro ritrovato dell'azzurrino, la mano che continuava ad accarezzargli la schiena, premurosa. Si lavò le mani tremolanti mentre il biondo continuava ad acacrezzargli gentilmente la schiena. Si asciugò le lacrime e, con gli occhi rossi, incrociò quelle iridi ambrate che lo scrutavano preoccupate. «Grazie», sussurrò con voce roca. Dalla gola sembrava accendersi un fuoco che bruciava arrivando fino alla trachea.
White gli rispose con un semplice sorriso, «Ti fa male la gola?». L'altro ragazzo si limitò ad annuire lievemente, «Mangiamo un po' di gelato? Poi andiamo in spiaggia se te la senti». Victor si limitò ad annuire.
§
La spiaggia era estesa, vuota, sembrava non avere fine. La sabbia pallida sfiorava l'acqua cristallina del mare, quello specchio d'acqua che rifletteva la luce solare. Il sole ergeva sopra di loro, contornato da quell'azzurro mare chiamato cielo. Camminavano lentamente lungo la spiaggia, Price si fermò a mirare l'orizzonte, ammaliato. Poteva intravedere degli scogli fare capolino. Chiuse gli occhi, la brezza marina gli accarezzò quel pallido viso asciutto. Passava tra le ciocche azzurre, quasi timidamente, spostandole leggermente. Il suono delle onde del mare che si infrangeva sugli scogli, sulla spiaggia, pareva il fruscio delle foglie quando il vento camminava tra loro, tra i rami degli alberi. Inspirò a pieni polmoni quell'odore tipico che riusciva a calmarlo. Ma la mente, come al solito, gli faceva brutti scherzi. Quella discussione avuta con Daniel gli invase la mente, i pensieri, come un camion che superava il limite di velocità in autostrada.
«Fammi capire bene, sei venuto qui per offrirmi la tua pietà?», posò lo sguardo su di lui, un sorriso amaro incrinava la bocca. «Fottiti Danny! ».
«Pensi davvero questo di me?!» alzò la voce, «Pensi davvero che Chris sia migliore di me?!»
«Perché diavolo continui a metterlo in mezzo?!» chiese esasperato.
«Perché preferisci lui a me! Io sono venuto perché mi sono accorto di aver commesso un errore. Sei la cosa migliore che mi sia capitata.» ammise senza esitazione.
«Lo preferisco a te perché lui non mi ha tradito con altre donne come hai fatto tu!» affermò, ma subito dopo si pentì. Lui lo aveva sempre saputo ma, aveva sempre fatto finta di non vedere. Faceva male, si, ma non era stato capace di lasciarlo. Ed adesso, i nodi stavano venendo al pettine.
«Cosa?» stupito, con le palpebre spalancate e gli occhi sgranati. «Tu lo sapevi?»
«Si» sussurrò, flebile. Come se si vergognasse di quella verità. «Ti amavo troppo per mollarti», un sorriso amaro solcò quel viso, nascondendo la smorfia di dolore perenne che la chemioterapia gli stava procurando.
«Cazzo...», sussurrò passandosi una mano tra i capelli neri come la pece. «Io...» balbettò.
«Perciò, non osare più intrometterti.»
«Devo» affermò, «Non so se tu e Chris state insieme ma, sono sicuro che lui non fa per te. Lo conosco da quando era uno stupido marmocchio. Ogni volta che si è trovato la fidanzata, dopo una settimana o poco più, la mollava. Si divertiva e poi la gettava via. Lui non fa per te, tu sei per le relazioni serie e stabili», asserì poi.
«Nonostante tu lo sappia mi hai comunque tradito», infilò il dito nella piaga. «Ed hai avuto anche il coraggio di chiedermi di tornare insieme», constatò amareggiato.
«Mi dispiace, ma sono cambiato», si scusò. «Ma non provare a cambiare discorso, Vick». Si sedette al suo fianco, «Ti sto dicendo la verità, sono consapevole, ormai, che non tornerai con me»,sospirò. «Devi sapere che lui è stato con Beth ed è stata la relazione più duratura che abbia avuto, che io sappia».
«Vattene»,strinse il tessuto dei pantaloni.
«Cosa?»
«Vattene!» urlò, sforzandosi. «Non voglio più vederti!»
«Ma che ti prende?! Hai bisogno di me, adesso».
«Ho detto di andartene», asserì lapidario, incrociando il suo sguardo deciso con quello confuso del moro.
«Torno più tardi», disse alzandosi dal divano.
«Non tornare», ribadì.
Quelle parole lo avevano ferito, aveva potuto udire il suo cuore in mille pezzi. Aveva potuto udire il suo cuore ferito, spezzarsi, provocando lo stesso suono di vetri rotti. Si era innervosito, aveva perso il controllo. Danny non era pentito, aveva affrontato la cosa come se il tradimento costante fosse qualcosa di poco conto. E poi, era riuscito a fargli cambiare idea su quel biondo che, nel bagno della gelateria, lo aveva aiutato. Quel biondo che lo aveva accompagnato alle visite in ospedale, che era rimasto al suo fianco durate la chemioterapia. In due giorni gli era stato più vicino lui che qualsiasi altra persona nella sua vita, esclusa sua madre. E, inevitabilmente, sapere che Christopher era stato con molte ragazze senza impegnarsi davvero, sapere che era stato con Elisabeth, aveva fatto sì, senza rendersene conto, che ergesse un muro tra loro. Schiuse le palpebre e posò lo sguardo sul soggetto dei propri pensieri. Era sbagliato. Basarsi sulle voci senza sapere se fossero fondate o meno. Era stato stupido, al contrario di White, lui aveva creduto a quelle persone senza esitazione invece di chiedere direttamente a lui.
«Come ti senti?» ruppe il silenzio, avvicinandosi.
«Dobbiamo parlare», affermò con tono serio. Si sedette sulla sabbia, seguito dal biondino che si sedette al suo fianco.
«Vick...» sibilò, preoccupato.
«Oltre alla mia malattia, c'è un altro motivo per cui io ti sto allontanando. E quella motivazione è ingiustificata e sbagliata», ammise a capo chino. Non riusciva a guardarlo, a sostenere il suo sguardo.
«Quale?»
«Ho saputo che non hai avuto relazioni durature» sibilò insicuro, torturandosi le dita.
«Quindi è per il bacio?» constatò, era più un'affermazione che una domanda. All'annuire dell'azzurrino continuò, «Si, è vero». Le iridi azzurre incrociano finalmente quelle color miele di White, incredule. «Ma penso tu sia diverso. Non sono mai stato interessato ad un ragazzo prima di te, non nego di non essere confuso.» ammise passando le dita tra le ciocche mosse, bionde. «Quelle ragazze erano noiose, monotone, scontate. Tu, tu mi attiri a te come una calamita. Sei ironico, perspicace, intelligente. Mi piace anche litigare con te, fare pace, scherzare, punzecchiarci a vicenda. Mi piace stare in tua compagnia, Vick. E non mi sono pentito di averti baciato».
«Non ti stai confondendo con l'amicizia?» provò a chiedere, pensieroso.
«Non ho mai avuto l'impulso di baciare quell'idiota di Dean» disse, poi scoppiò a ridere al sol pensiero.
«Ma lui non ha il mio Charme», rispose con tono sarcastico, ridacchiando. «Christopher» lo richiamò, serio, dopo che le risate scemarono via. «Lascia che ti ponga un'ultima domanda», iniziò. «Una delle tue ex ragazze si chiama Elisabeth?». Christopher si ritrovò ad aggrottare la fronte, confuso. «Castana, occhi azzurri...» provò a descriverla, cercando di aiutare la memoria del ragazzo. Doveva aver avuto molte ragazze e ciò, anche se non lo ammetterà mai, gli diede leggermente fastidio.
«Si, se non sbaglio adesso segue il corso di storia con Ellen.» disse con le sopracciglia aggrottate, confuso più di prima, dopo che la sua memoria fu rinsavita. «Ma cosa c'entra?» chiese poi.
«Ti ricordi il suo cognome?»
Il biondo sembrò pensarci su, poi sgranò gli occhi, guardando il teppista. «Elisabeth Price»
«Elisabeth Price», dissero all'unisono. «La mia sorellastra», aggiunse poi Victor, lasciando il suo interlocutore interdetto. Non poteva crederci, la ragazza con cui aveva avuto la relazione più duratura era la sorellastra del teppista che, adesso, aveva al suo fianco.
«Com'è piccolo il mondo, eh?» ironizzò, ancora, Vick. Ma, questa volta, il biondo non ricambiò.
§
Nell'ambulatorio regnava il completo silenzio mentre, Mark, fissava il suo telefono poggiato sulla scrivania. Si sedette su quella sedia nera in pelle, girevole. Sbuffò passandosi una mano sul viso per poi tirare indietro i suoi capelli brizzolati che arrivavano alle orecchie. Doveva farlo, per il bene del ragazzo, lo aveva promesso ad Hanna. Prese lo smartphone in mano e cliccò su quel contatto già pronto sullo schermo. Mise l'apparecchio all'orecchio, dall'altro lato iniziò a squillare.
«Mark?», chiese stupita, la voce maschile dall'altro capo.
«Thomas», affermò il medico.
«Non mi aspettavo mi chiamassi. Non ci sentiamo da...», esitò, «Da un po'» sviò il discorso. «È successo qualcosa?»
«Anche se vorrei rimproverarti per non esserti presentato al funerale di Hanna, vorrei ricordarti che hai un figlio.» iniziò lapidario.
«Dove vuoi andare a parare?»
«Victor ha il cancro. Da medico avrei dovuto mantere il segreto per privacy ma, da amico di Hanna ed il tuo, mi sono sentito in dovere di dirtelo.»
«Da quando?» domandò secco, dopo qualche secondo di silenzio.
«Ieri ha iniziato la chemioterapia. Quel ragazzo si ostina a voler fare tutto da solo.» sospirò, «Proprio come Hanna».
«Maledizione...» sboccò l'uomo.
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