Capitolo 7
Era ormai arrivato da più di dieci minuti davanti alla porta dell'appartamento del teppista ma non aveva avuto coraggio di suonare o bussare. Christopher si ritrovava a camminare lungo il corridoio, da una parte all'altra, indeciso sul da farsi. Lui voleva parlargli, doveva assicurarsi della veridicità di quella notizia. Perché, fino a quel momento, nessuna voce su Victor era vera. Era un ragazzo come tutti gli altri e che la vita si era divertita a castigarlo con il cancro. Si fermò davanti alla porta. Se avesse continuato avrebbe consunato il pavimento formando solchi come nei cartoni animati. Fece un respiro profondo e, lentamente, avvicinò la mano al campanello. Il portone si aprì prima ancora che potesse suonare, una figura alta e muscolosa si palesò dinanzi a lui. Delle iridi verdi lo scrutavano sorprese. Perché Daniel stava lasciando Price da solo? Distinto il biondino indietreggiò per lasciarlo passare mentre il moro socchiudeva la porta.
«Che ci fai qui, Chris? Non dovresti essere a scuola?» iniziò allontanandosi dalla porta.
«Tu non dovresti stare con Vick?» rispose con tono accusatorio.
«Quello che faccio non deve interessarti.» puntualizzò il maggiore, seccato. «Non so perché tu sia tornato ma, lasciati dire che tu non vai bene per lui. Ti conosco da sempre, sei l'amico d'infanzia del mio fratellino, ti ho visto intraprendere relazioni con numerose ragazze e lasciarle dopo una settimana scarsa. Ti sei solo divertito con loro. Vick ha bisogno di stabilità, di relazioni durature. Lo faresti solo soffrire.» lo ammonì, lapidario.
«Non so cosa ci sia tra voi, ma sono certo che colui che non vada bene sia tu. Dean mi ha raccontato che, nonostante tu avessi una ragazza, hai continuato a spassartela passando di fiore in fiore. Perciò, fatti i cazzi tuoi.» puntualizzò irritato, trattenerndosi dal non urlargli contro come suo solito. Lo superò dirigendosi verso il portone, «Non tornare. Anche se sei il fratello maggiore del mio migliore amico, non avrò pietà». Detto questo entrò silenziosamente chiudendosi la porta alle spalle. Dall'ingresso si poteva vedere l'open space. A sinistra vi era una cucina povera con un piccolo frigorifero basso. Sopra vi erano attaccate delle calamite colorate, come se volessero rallegrare l'ambiente. Verso l'ingresso, sempre alla sinistra, vi era un tavolo lungo e rettangolare in legno scuro ed usurato, privo di coperture o tovaglie. Le sedie, dello stesso materiale, erano consumate allo stesso modo. A destra, invece, vi era il piccolo salotto. Il divano permetteva, a chi vi si sedeva, di dare le spalle alla porta e dirigere la propria attenzione al televisore incassato nel muro. Le due poltrone, ai lati, riprendevano il colore beage del divano. Al centro vi era un tavolino basso in vetro con i piedi in legno. Dinanzi, invece, si estendeva un corridoio con ai lati delle porte in legno chiaro. Ma, ciò che lo destabilizzò fu Victor che, anche se di spalle, era seduto sul divano. Piangeva a dirotto mentre con la mano sinistra si stringeva i capelli. Non era la prima volta che lo vedeva piangere, ma era la prima che lo vedeva così distrutto. Si avvicinò al lato del divano, il viso rosso faceva contrasto con la mano pallida vicino ad esso. Le lacrime solcavano quelle gote fino a posarsi sui Jeans. La schiena curva, il capo chino. «Vick» sussurrò, quasi timoroso di rompere quel silenzio. Il pianto s'interruppe immediatamente, stroncato, tagliato di netto. Il capo del teppista si sollevò lentamente, quelle iridi oceano profondo, contornate dal rosso, lo guardavano sorpresi. Cosa ci faceva lì Christopher? Poggiò a peso morto la mano sinistra che prima stringeva i capelli azzurro elettrico. Le pupille migrarono altrove, timorose del giudizio del ragazzo, un sorriso amaro solcò quel volto stravolto.
«Com'è possibile che nei momenti meno opportuni ci sia tu? È la terza volta che mi vedi piangere.» tirò su con il naso, si leccò velocemente le labbra salate. «Perché sei tornato?»
«Volevo parlarti», ammise senza sotterfugi.
Le mani tremolanti tentarono di asciugare le lacrime, «Di cosa?».
«Ho sentito che tua madre ha il cancro, è vero? Non volevi farmi entrare a casa tua perché non volevi che la vedessi?» chiese diretto, quasi brutale.
«Mia madre è morta di cancro tre mesi fa», ammise semplicemente. White si dovette sedere, poggiò i gomiti sulle ginocchia e passò entrambe le mani tra i capelli color biondo cenere.
«Tuo padre?», una risata acida, in risposta, squarciò le pareti.
«Con la sua segretaria, con i suoi figli perfetti, nella sua villa.»
«C-Che?» sollevò la testa per incrociare i suoi occhi, feriti.
«Tradiva mia madre ancora prima che io nascessi con la sua segretaria. Poi, quando è nato il mio fratellastro, ha mollato me e mia madre.» quel sorriso triste e forzato incrinò quelle labbra sottili. «Quell'uomo è un cliché vivente», ridacchiò.
«Smettila di ironizzare» asserì, secco.
«Cosa dovrei fare se non ironizzare?! Crollare?!» urlò esasperato, «Non posso permettermelo!».
«Non sto dicendo questo! Ma smettila di sminuire il tuo dolore!», Price deglutì con gli occhi lucidi. Lo scrutò a fondo, quel viso sofferente, poi sospirò. Sapeva che non voleva esporsi più di così davanti a lui, doveva cambiare discorso. «Posso farti una domanda?»
L'azzurrino esitò un pò, distolse lo sguardo posandolo sul tavolino. «Ormai...» sussurrò a fatica mentre si sporgeva verso il pacchetto di sigarette, ne estrasse una e, come un deja vù, cercò di mettersela tra le labbra.
«Cosa c'è tra te e Daniel?» chiese, facendo sussultare il suo interlocutore per la domanda inaspettata. Quel bastoncino di tabacco cadde dalle dita finendo a terra.
«Cavolo... » sussurrò mentre prendeva coraggio per raccoglierla.
«Non prenderla, tanto non te la lascerò fumare comunque», aggiunse poi.
«Sei peggio di una suocera», sospirò, «É il mio ex fidanzato».
Boccheggiò, tutto si sarebbe aspettato tranne che loro due fossero stati insieme. «E perché vi-»
«Perché lui non voleva una relazione a distanza. Ma la verità è che, oltre alla predisposizione al tumore, ho ereditato anche la predisposizione alle corna da mia madre». Lo interruppe, intuendo la domanda.
«Quindi quella misteriosa ragazza che "aveva accalappiato Daniel" eri tu?», Victor annuì.
«La sua famiglia non sa nulla della sua sessualità, ti chiedo di essere discreto e di tenere questa notizia per te».
«Mi hai preso per un pettegolo?»
«No, ti ho preso per il re dei pettegoli», lo schernì ed il biondo si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo.
«Quindi sapevi che ti tradiva?» domandò tornando al discorso originale. All'annuire del ragazzo, «Perché? Perché non lo hai mollato subito?»
«Perché L'amore rende stupidi», un sorriso amaro si dipinse sul suo volto. «O forse perché avevo bisogno di sentirmi protetto ed al sicuro.» ammise subito dopo, «Mia madre entrava ed usciva dall'ospedale, non avevo amici. L'unico con cui potevo sfogarmi era lui. Ora lascia che ti faccia io una domanda». White sembrò rizzare le orecchie come un cane, «Perché mi fai tutte queste domande? Perché sei interessato a ciò che c'è tra me e Danny? Perché mi stai aiutando?»
«Questa è più di una domanda»
«Non cambiare discorso. Qual'è il tuo secondo fine?»
«Non c'è nessun secondo fine Signor ghiacciolo. Hai semplicemente attirato la mia attenzione», ammise sincero. «Pensavo fossi un teppista e, vederti piangere in ospedale, mi aveva alquanto destabilizzato. Non pensavo fossi il tipo, le voci su di te dicevano solo il contrario. Ma poi mi sono avvicinato a te, hai demolito tutti gli stereotipi con tutti i presupposti che mi ero fatto su di te». "E non riesco a starti lontano ed ignorarti" pensò.
«Capito», sembrò pensieroso al riguardo. «Tu invece non li hai demoliti i miei di presupposti. Non so nulla di te».
«Cosa vuoi sapere?», si distese sullo schienale del divano.
«Non lo so, la tua famiglia?»
«A casa siamo in quattro: Mia madre Melanie, mio padre Charles, mia sorella minore Ellen ed io», elencò diligentemente. «Siamo una famiglia normale, sono un ragazzo normale», aggiunse guardandolo negli occhi lucidi che non facevano altro che rendere l'azzurro delle iridi più intenso.
«Perché non ne sembri contento?»
«Perché sento che la mia vita è vuota.»
«Questo perché non dai valore ad ogni singolo fatto che ti succede, non ti fermi a guardare le "piccolezze", i dettagli.»
«Non pensavo mi avresti fatto la predica», disse tra il divertito e lo scocciato.
«Ti sto dicendo di goderti appieno la vita, di non lasciatela scivolare via come sabbia tra le dita. Pensa: "se morissi adesso, sarei soddisfatto?" e fai di tutto affinché, la risposta a questa domanda, sia positiva.»
«Mi stai suggerendo di cogliere l'attimo?», al responso positivo, si avvicinò al ragazzo lasciandogli un bacio sulla guancia.
Scemato lo stupore iniziale, sospirò «Smettila di prendermi per il cul-». Ma Chris non lo fece finire posando le proprie labbra sulle sue. Un leggero bacio a fior di labbra, tanto delicato, quando devastante. Entrambi ne uscirono confusi e destabilizzati. Entrambi poterono cogliere l'insicurezza nelle pupille dell'altro. Lo stupore nelle iridi che si mescolavano. Era un semplice bacio, dato d'impulso. Eppure...
§
Dean camminava a passo svelto per i corridoi della scuola in cerca della figura riccioluta di quell'idiota del suo amico Joshua. Chris aveva ragione, per la prima volta nella sua vita. Doveva chiarire al più presto con il castano o sarebbe stato sempre peggio. Gli studenti affollavano il passaggio, indaffarati nelle loro attività ricreative. Il moro si muoveva tra la folla come un salmone nuota contro la corrente di una piccola cascata nel fiume. Se conosceva bene Josh come pensava, sapeva dove trovarlo. Uscì velocemente dalla struttura, scese velocemente gli scalini bianchi con le ringhiere in ferro, verniciati di un rosso acceso, quasi abbagliante. Ed a passo veloce si diresse verso il campo del club di atletica leggera. Come aveva supposto, il riccioluto era lì che correva sulla pista. Le gambe muscolose ci contraevano alla corsa, i pantaloncini di qualche sottomarca, rossi e grigi, sembravano accompagnare i movimenti come se gli fossero stati cuciti addosso. La felpa grigia gli copriva il suo corpo asciutto e muscoloso. «Josh! » urlò, ma l'amico sembrava ignorarlo. Sbuffò, davvero stava facendo il bambino? Davvero lo stava ignorando? Iniziò a rincorrerlo, «Josh! » urlò ancora, «Cazzo, fermati!». All'aumentare della velocità del castano, fu certo che lo avesse sentito, anche se vi erano altri studenti. Accelerò anch'egli fino a tirargli la felpa. Entrambi inciamparono a terra e Mcdaniel finì inesorabilmente sopra a quell'infantile del suo amico. Entrambi avevano il fiatone.
«Togliti», fu la prima parola che gli pronunciò dopo la litigata.
«No, ora devi ascoltarmi!», gli bloccò le braccia.
«Ci stanno guardando tutti, togliti Dean!»
«Se non mi ascolti ti bacio davanti a tutti, così poi ci guardano meglio», lo minacciò. Sapeva benissimo che quel folle era capace di farlo davvero.
«Poi Wendy sarà gelosa se mi baci», lo schernì con tono acido.
«Ascolta, mi dispiace! A me lei è sempre piaciuta ma, quando ho saputo che piaceva anche a te, ho deciso di farmi da parte. Alla fine sono scoppiato e da ubriaco l'ho baciata. Mi sono sentito una merda, soprattutto per non essere stato sincero con te! Ma ti assicuro che ho agito a fin di bene!» ammise sincero.
«Bene, adesso ti ho ascoltato. Lasciami.» concluse con tono freddo e distaccato.
«Non fare il bambino! Sono venuto qui per risolvere!»
«Non capisci, vero? Ciò che mi ha ferito di più è il fatto che tu non sia stato sincero con me! Cosa mi assicura che tu, adesso, lo sia?!»
«Ci conosciamo da tanto tempo, lo sai che sono sincero!»
«No, non lo so», le iridi castane sfiorarono quelle cerulee del moro.
«Vuoi buttare una lunga amicizia nel bidone dell'immondizia così?»
«Sei stato tu quello che l'ha voluta cestinare così», sussurrò rendendo la frase udibile a malapena al suo interlocutore.
«Vuoi che lasci Jones?» asserì secco.
«No».
«Cosa devo fare per farmi perdonare?»
«Alzarti, incominci ad essere pesante», i due scoppiarono a ridere.
«È tutta massa muscolare», disse alzandosi e porgendo a Lloyd una mano per aiutarlo.
«Si, come no.» accettò l'aiuto, «Ed io sono un unicorno che vomita arcobaleni». Lo canzonò con quel sarcasmo che spesso utilizzavano tra loro.
«No, tu sei un unicorno che scorreggia arcobaleni.» lo corresse come se fosse un discorso serio. Gli circondò le spalle con un braccio mentre camminavano, «Comunque puzzi come un caprone» aggiunse.
Il riccioluto si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, «Ha parlato il prato fiorito».
«Josh», tornò serio, «Mi dispiace, davvero».
«Era palese che a Jones piacessi tu e non io. Perciò, va bene così».
«E se ti presentassi qualche ragazza per farmi perdonare?»
«No, per un po' farò a meno delle ragazze».
«Ricordati di cancellare la cronologia al computer allora», lo schernì, riferendosi ai video per adulti che solitamente si usano per "momenti di solitudine".
«Ma che bastardo! Non intedevo quello!», lo spinse a modi scherzo.
«Va bene, va bene», alzò le mani in segno di resa, «Ma nel caso...», lo punzecchiò con il gomito ammiccando, muovendo ripetutamente le sopracciglia.
«Sei un idiota», alzò nuovamente gli occhi al cielo, già esausto. «Cambiando discorso, hai visto Chris?»
«Ti sei perso un po' di cose, mentre ti cambi ti spiego la situazione», in risposa Lloyd annuì fermamente.
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