Capitolo 36 (Seconda parte)
Aveva passato i giorni seguenti a fingere, con scarsa credibilità, che il pranzo non lo preoccupasse affatto. La sera in cui aveva convinto Chris ad accompagnarlo, Victor non aveva quasi chiuso occhio. Ma era rimasto tranquillo, coccolato dal calore del suo ragazzo, sotto le coperte. Non aveva avuto sintomi, se non un senso di gonfiore per aver mangiato nonostante l'inappetenza. Il nervosismo era stato evidente i giorni successivi, con le sue risposte monosillabi, il suo costante mordersi pellicine immaginarie alle dita tanto da formarle e la voglia di nicotina a ribussare persistente alla sua porta. Se gli avessero offerto una sigaretta avrebbe ceduto, ne era certo. Sabato era arrivato e solo in quel momento, in macchina, davanti alla residenza White ad attendere la sua Principessa Susie, stava pensando che avrebbe potuto dare forfait. Aveva fatto una cazzata ad accettare? Era troppo tardi per rifiutare? Perché si era fatto convincere da Duke? In fondo non erano affari suoi, no? Stava mettendo tutto in discussione. Gonfiò le guance e sbuffò, lasciandosi andare sul sedile del guidatore. Si sentiva in colpa per il fratello? Thomas aveva fatto lo stronzo e a pagarla erano i suoi figli. Sussultò quando sentì bussare al finestrino.
Christiopher gli fece cenno e lui abbassò il vetro.
«Muoviti Pricipessa», esordì sardonico, «I leoni saranno affamati.»
«Questa volta so che la carrozza non si sarebbe trasformata in zucca, me la sono presa comoda.» lo stuzzicò, poi indicò con il capo dietro di sé. «Le nostre fan ti salutano.»
«Che fan?» Price sbirciò oltre, Ellen e Diana lo stavano salutando dalla finestra al piano terra. Ricambiò confuso il saluto con un cenno con la mano e un sorrisino incerto in volto.
«Ellen e Diana dicono che il santo tra i due sei tu.» lo informò lo stalker, prima di fare il giro dell'auto e sedersi al sedile passeggero. Si allacciò la cintura.
«Hanno ragione.» Vick mise in moto l'auto e partì.
«Sei agitato.» dedusse, non era una domanda. White poteva solo immaginare quanto fosse stato difficile per Victor accettare l'invito, ma sapeva anche che ne aveva bisogno.
«No, in fondo è solo un pranzo, no? » il teppista strinse un po' di più la presa sul volante. «Forse», ammise dopo qualche minuto di esitante silenzio.
Christopher si limitò ad annuire mentre curiosava in auto. Sui sedili posteriori c'era un incarto proveniente dalla pasticceria. «Pasticceria?»
«È una torta alla crema», rispose Victor alla domanda implicita, «Il vecchio l'ha comprata apposta, dice che è buona educazione portare qualcosa quando si è invitati. Io gli ho risposto che bastava la mia stupenda e meravigliosa presenza, ma lui mi ha guardato come se fossi pazzo e stessi dicendo eresie.» La mancata risposta costrinse il teppista ad occhieggiare il ragazzo al suo fianco, scoprendo che lo stava fissando come se avesse appena detto una stronzata. «Andiamo, non guardarmi anche tu in quel modo!» Price era passato dal mutismo a parlare senza tregua, come acqua fuoriuscita da una piccola crepa di una diga.
«Quale modo?» sghignazzò Chris, facendo il finto tonto.
«Con quello sguardo accondiscendente.» cercò di mascherare la sua ilarità mordendosi il labbro inferiore.
White era riuscito a strappargli finalmente un sorriso vero dopo giorni. «Ricordami perché ho accettato di accompagnarti.»
«Perché non hai trovato una scusa credibile.»
«Giusto» Christopher annuì come se si fosse appena ricordato che la sua inventiva era così tanto scarna da non essere riuscito ad inventarsi una giustificazione plausibile per rifiutare.
Si fermarono ad un semaforo. «E anche perché baci la terra dove cammino, sono la luce dei tuoi occhi.» aggiunse Price teatralmente poggiandosi una mano al petto come se fosse Romeo e stesse chiamando Giulietta alla finestra. «Sono il motivo per cui ti svegli la mattina.»
«Già, pensavo che fossi rumoroso solo durante il sesso, invece anche come sveglia non te la cavi male.» Chris ricordava nitidamente come si era svegliato la mattina seguente alla prima notte passata assieme. Lo aveva sentito rigirarsi tra la sue braccia tutta la notte, cosicché perfino lui aveva fatto fatica ad addormentarsi. La notte era stata piacevole. Probabilmente entrambi sapevano che l'altro era sveglio, ma non avevano osato parlare. Erano rimasti in silenzio tra i respiri e la quiete notturna; la reciproca presenza era sufficiente in quella stanza buia. Poi White si era finalmente addormentato, svegliandosi solo quando ormai la luce del sole bussava dalla finestra, con un teppista che gli sussurrava zozzerie come allenamento per un futuro fantasma-gorico.
«Che vuoi farci? È una delle mie tante qualità.» esordì Price prima di incrociare gli occhi con i suoi ed iniziare a sghignazzare insieme come due bambini. Scattò il verde e l'auto ripartì.
§
Victor accostò vicino al marciapiede, dinanzi alla residenza Price. Spense il motore e la scrutò dal finestrino, non l'aveva mai vista da così vicino. Ogni volta che era stato costretto a passarci davanti, l'aveva solo addocchiata di sfuggita, preso dalla curiosità ma allo stesso tempo con una stretta di rabbia mista ad invidia a stringergli il petto. Ma ora era lì, fermo, a fare paragoni con il proprio appartamento. Dal giardino curato, al portico in legno pitturato di bianco, il tavolino con le sedie... Che ci faceva lì? «Ho fatto una cazzata.» esordì a mezza voce.
«Che cazzata?»
«Non dovevo accettare, in realtà non ne capisco nemmeno il motivo.» si costrinse a distogliere lo sguardo dal piccolo angolo del giardino tempestato di fiori colorati, per postarlo su White. «Perché sono qui?»
«L'hai mai vista?» domandò, riferendosi a Margaret, l'attuale moglie di suo padre.
«No», negò con il capo come se si stesse rispondendo da solo. «Basta, ce ne andiamo. Diciamo che non mi sono sentito bene, oppure che ci ho ripensato. Va bene tutto, ci penseremo dopo a cosa dire, ma ce ne andiamo.» fece per avviare il motore ma Christopher lo fermò poggiando una mano sulla sua.
«Sappiamo entrambi che se non entriamo potresti rimpiangerlo.» Gliela strinse e iniziò a carezzargli il dorso con il pollice. «Non so cosa ti abbia spinto ad accettare, se per Duke, per Margaret... o per Thomas. Ma sei qui, siamo qui. E tu non sei un vigliacco.»
«Io sono un codardo, Christopher.» puntualizzò, è per questo che aveva scritto la lettera.
«Invece sei la persona più coraggiosa che io conosca.» lo contraddì serio, deciso. In pochi avrebbero fatto tutto ciò che stava facendo e affrontando il teppista, nemmeno se ne rendeva conto.
«Allora dovresti rivalutare le persone che frequenti.» lo schernì ironico.
Christopher gli diede un bacio a stampo. «Adesso la tua immaginazione viaggia veloce. Ti sei fatto un'idea di lei, della loro casa, della loro famiglia che probabilmente, sicuramente, non corrisponde al vero.» Poggiò la fronte sulla sua continuando a sostenere il suo sguardo, «Sono sicuro che lo capirai.»
«Cosa?»
«I motivi per cui hai ceduto all'invito.»
Vick pensava di esserne a conoscenza, ma da quando aveva reso tutto reale coinvolgendolo, le sue sicurezze erano vacillate. Era confuso, per l'ennesima volta non riusciva a comprendersi appieno. Si leccò fugace il labbro inferiore guardandosi le mani e torturandosi le dita. «Andiamo?»
«Andiamo.» annuì.
Muti scesero dalla macchina, si diressero alla porta in legno scuro, elegante. Sul campanello una targa incisa di metallo lucido ricordava loro i proprietari.
«Benvenuti nella mega tana dei leoni da sogno più lussuosa di Malibù.» fece finta di leggere il teppista ad alta voce con il suo solito sarcasmo misto a cinismo, come se vi fosse davvero scritta quella frase sulla targa.
Chris alzò gli occhi al cielo, «Dovresti suonare.»
«Dici che ci aprirà il domestico? Mi immagino già Alfred pronto dietro la porta.» sussurrò mentre premeva il campanello. Si sistemò il berretto sulla testa e prese alcuni respiri profondi. Il suo sarcasmo fuoriluogo era un buon segno.
Non si sarebbero mai aspettati che, ad aprire la porta e ad accoglierli, fosse proprio lui: Thomas Price. Alla figura dell'uomo, Christopher vide formarsi il ghiaccio negli occhi del ragazzo al suo fianco.
«Siete arrivati», sorrise prima di portare l'attenzione su suo figlio. «Fino all'ultimo ho avuto timore che mi dessi buca», ammise facendosi da parte per farli entrare.
«Facevi bene ad avere paura.» lo ghiacciò entrando e porgendogli il vassoio, come se non vedesse l'ora di liberarsene. «Lui è Christopher.»
«Piacer—»
«Ci conosciamo già.» lo interruppe Thomas, scrutando White da capo a piedi. Ricordava di averlo visto in compagnia di Duke e Elisabeth a scuola e anche l'incontro in ospedale, quando Victor era stato ricoverato. «A quanto pare ciruisci i miei figli.»
Si sentì giudicato, a disagio. Chris era sempre stato il ragazzo bello e popolare che tutti osservavano da lontano con invidia e desiderio. Mai aveva ricevuto questo trattamento distaccato, poco amichevole e ostile se non da Vick. «Io non circuisco nessuno, frequentiamo la stessa scuola.» tentò di giustificarsi, come se dovesse farlo. Lo stava facendo sentire come se avesse infranto la legge.
«È il mio ragazzo. C'era lui al mio fianco quando non avevo nessuno accanto.» Non avrebbe mai perso l'occasione per fargli pesare i suoi errori, era più forte di lui.
«Victor, io...» boccheggiò, incapace di ribattere. La tensione si tagliava con il coltello.
Christopher strinse la spalla al suo ragazzo e sorrise. «La ringrazio per l'invito», mandò un'occhiataccia di rimprovero al teppista, «Anche a nome di Vick.»
Thomas gli riservò uno sguardo pieno di gratitudine, forse aveva sbagliato a giudicarlo così prematuramente. «Ci fa piacere.»
«Anche se teoricamente ho accettato l'invito di Duke, non il tu—» provò a sottolineare Victor, ma fu interrotto dalla gomitata di ammonimento del ragazzo. Gli aveva chiesto di controllarlo o il pranzo sarebbe finito con una litigata, ma gli stava rovinando tutto il poco divertimento.
«Io finisco di preparare gli ultimi documenti.» Il padrone di casa indicò con il capo la porta del suo studio alla fine del corridoio, «Duke e Beth dovrebbero essere di ritorno.» fece strada verso il salotto open space con la cucina, da lì riuscivano scorgere Margaret in cucina mentre preparava il pranzo.
«Documenti?» chiese Chris, non aveva mai capito che genere di lavoro svolgesse il Signor Price, tanto da occupare gran parte del suo tempo.
«Mi sto occupando dei permessi per il progetto di un nuovo centro commerciale, partiranno i lavori a breve.»
«Mentre se ne occupa posso farle qualche domanda?»
Vick si ritrovò ad osservarlo accigliato. Christopher lo aveva informato della sua decisione sull'anno sabbatico per decidere il percorso universitario da intraprendere, per capire se quella era la strada giusta per lui, se fare l'architetto gli piacesse davvero o meno. Ma dall'entusiasmo che stava mostrando, dall'interesse, da quella scintilla negli occhi, sembrava che di dubbi non avesse. Ne era certo, gli stava sfuggendo qualcosa.
«Certo, volentieri!» rispose l'uomo. Duke non voleva seguire le sue orme, ma ciò non significava che non voleva passare il testimone e insegnare il mestiere. Poggiò la torta sull'isola in cucina con gli ospiti al seguito, «Margaret, hanno portato il dolce.»
La donna lasciò i fornelli e li salutò con un sorriso. «Non dovevate! Se a voi non dispiace, lo mangiamo tutti insieme dopo pranzo. Che ne pensate?»
«Non credo ci siano problemi.» rispose White al posto di Victor, che sembrava essere affetto da mutismo improvviso. «Vero, Vick?» lo richiamò spalleggiandolo amichevolmente.
«Si.» sibilò il diretto interessato mettendo le mani in tasca.
«Tesoro, finisco gli ultimi documenti e arrivo.» il marito le lasciò un dolce bacio a stampo. «Victor, tu..»
«A me non interessa.» rispose netto alla domanda implicita. Per un'attimo, gli sembrò che il padre sperasse in una risposta positiva. Non aveva avuto speranza con Duke, sperava che fosse lui ad ereditare lo studio?
Thom strinse le labbra e annuì, «Allora... Io e Christopher andiamo in ufficio.» Lanciò un'ultima occhiata a Margaret, prima di sparire con Chris dietro la porta che dava sul corridoio.
In cucina il silenzio volava sulle loro teste come una nuvola di piombo. Price rivolgeva l'attenzione ovunque tranne che alla donna, evitando d'incrociare il suo sguardo.
«Mi consigli di metterla in frigo?» domandò Margaret afferrando il vassoio.
«Si, c'è la crema.» Dal canto suo, Vick aveva preso a parlare svelto e in modo distaccato come se avesse timore di dire qualcosa di troppo.
La matrigna aprì l'enorme frigo a due ante e vi inserì la torta. «Siediti, manca ancora un po'. Duke dovrebbe tornare dagli allenamenti e Beth dovrebbe farsi riaccompagnare dalla sua amica.»
Gli parlava come se lo facesse da sempre, con una punta di dolcezza. Aveva pietà di lui? Il ragazzo si sedette sullo sgabello all'isola. Per lui era strano poter vedere la donna di cui suo padre si era innamorato e che lo aveva spinto a lasciare sua madre. Non aveva mai avuto modo di vederla, nemmeno in foto, tanto meno d'incontrarla. Di lei era venuto a conoscenza solo per puro caso del suo nome; era una completa sconosciuta. Quell'insolita situazione era decisamente fuori dalla sua zona di conforto. Non sapeva come porsi, non sapeva cosa pensasse di lui. Provava pena? Christopher aveva ragione, la sua immaginazione aveva viaggiato molto in tutti questi anni. Prese a giocherellare con le dita e a molleggiare con una gamba.
«Ti va un succo di frutta?»
«No, grazie.» si riposizionò il cappello, già in ordine.
«Senti, Victor», prese parola Margaret dopo minuti di tensione. «Io so che mi odi, lo capisco, ma sappi che non è ricambiato. Quando Thomas mi ha proposto di farti venire a vivere qui sono stata subito d'accordo.»
«Io non ti odio.» Price incrociò per la prima volta il suo sguardo, «C'è stato un periodo in cui ti ho odiata e ti ho dato la colpa per tutto.»
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Ho saputo la verità. Poi è arrivato il cancro.»
«La malattia di Hanna?»
«La mia. Non voglio sprecare il mio tempo provando rancore, non ha senso.» Sentiva che per lui la parola "odiare" portava un sentimento troppo grande. Si sistemò il berretto per l'ennesima volta, ormai era divenuto una specie di tic. «Ti immaginavo diversa, pensavo...»
«Pensavi che fossi la matrigna cattiva.» lo interruppe con un sorrisino a mezza bocca.
In verità, Vick la immaginava come la donna perfetta, come aveva percepito Duke quando lo incrociava per i corridoi prima di conoscerlo. Molte volte si era sentito inferiore, a paragonarsi a loro. Molte volte si era sentito solo, ad aspettare l'arrivo di suo padre. Non la odiava, ma non poteva evitare di provare rancore, nonostante tutto. Nonostante avesse appena affermato il contrario, era un ipocrita.
«Non avrei mai potuto odiarti, sei un ragazzo e non hai colpe. La colpa è solo degli adulti, me compresa.» gli si parò davanti, «Per questo ti chiedo scusa.» Da madre, poteva solo immaginare come si sentisse Hanna nel sapere che suo figlio aveva pagato, per errori altrui, più di tutti.
Vick non voleva le sue scuse, non avrebbero cancellato ciò che aveva provato, non avrebbe modificato il passato. Strinse i pugni e li nascose sotto il piano in marmo, sulle cosce. Si morse l'interno della guancia. Nemmeno quel rancore aveva più senso, eppure non poteva cancellarlo. Non ci riusciva.
«Sono tornato.» Entrambi si voltarono verso l'ingresso della cucina, nessuno dei due lo aveva sentito rincasare: Duke saettava lo sguardo tra lui e sua madre. «Vick», lo salutò con un cenno del capo. Ancora quello sguardo colpevole, quelle spalle quasi ingobbite come se portasse un elefante sulla schiena.
«Maschione.» ricambiò con un'alzata di sopracciglia.
«Bentornato», lo accolse la madre con un caldo sorriso prima di tornare ai fornelli. «Come sono andati gli allenamenti?»
«Come al solito», atono aprì il frigo per prendere una bottiglietta d'acqua. «Vado a cambiarmi. Mi fai compagnia, Victor?», guardò il fratello e con un cenno lo intimò a seguirlo.
Il teppista annuì seguendolo al piano di sopra, fino alla sua camera. Entrando si guardò attorno, tenendo le mani nelle tasche della felpa. «Maschione, questa stanza trasuda testosterone da ogni angolo.» lo punzecchiò sedendosi sulla scrivania, perché la sedia era occupata da una pila informe di vestiti. Non capiva come Duke riuscisse a dormire con quel cumulo d'abiti a fissarlo nel buio, con il rischio che si trasformi in fantasma o in un'inquietante sagoma di un assassino.
«Mi ero dimenticato del tuo sarcasmo.» Duke spalancò l'armadio e iniziò ad armeggiare con gli indumenti all'interno.
«Perché mi hai sequestrato da tua madre?»
«Avevi una faccia allucinata che chiedeva aiuto, toglierti da quella situazione scomoda era il minimo.» lanciò alcuni vestiti sul letto. «Christopher?» domandò a bruciapelo.
«Di sotto, a parlare di scartoffie e progetti con Lo Stronzo.» prese a farsi gli affari di Duke spulciando tra i quaderni sulla scrivania, afferrando matite nel portapenne e rigirandosele tra le mani.
«Che ricordo, gli è sempre piaciuta l'edilizia.» si sfilò la maglia e i pantaloni della tuta, «Volevo presentarglielo, ma non ho fatto in tempo prima che Beth e Chris rompessero.»
Vick annuì lentamente fissando il pavimento, sovrappensiero. Christopher era davvero così confuso sulla strada da intraprendere? «Che ti ha detto?»
«Chi?» il quarterback corrugò la fronte dopo essersi sfilato la maglia e i pantaloni della tuta.
«Il Bastardo Merdoso.» Victor si scoprì di fantasiosa inventiva nel trovare sempre nuovi epiteti colorati e veritieri per riferirsi a suo padre.
Duke gli diede le spalle e continuò a cambiarsi. «La verità. Se non fosse stato per me, papà sarebbe rimasto con te e tua madre.»
«Te lo ha detto lui?»
«No, ma...»
«Thomas non amava più mia madre, probabilmente era questione di tempo prima che si lasciassero.» scese dalla scrivania, ma vi rimase appoggiato con il sedere. «Non appropiarti colpe dei nostri genitori.»
Il quarterback si voltò di scatto, «Ma hai pagato tu per i loro errori! E pensare che ti odiavo, quando quello legittimato a farlo invece eri tu!» esclamò sfregandosi la fronte con i polpastrelli.
Odio. Quella parola sembrava essere divenuta una costante nella vita di Vick. «Ero invidioso, si.» ammise.
«La vita non è stata gentile con te.» e lui ci aveva messo del suo. Quando era arrivato a quella conclusione, i sensi di colpa lo attanagliavano in una presa ferrea.
«La vita non lo è mai.»
«Dalla malattia...» continuò come se fosse un elenco. Ed eccolo, quello sguardo che il teppista tanto odiava.
«Devi smetterla, Duke.»
«Di fare cosa?»
«Di guardarmi in quel cazzo di modo!» iniziò ad urlare. Si staccò dalla scrivania, «Come un cane bastonato che si addossa colpe e che prova pietà per me! Smettila!» allargò le braccia. «Non ho bisogno di essere compatito da nessuno, Duke! Tutti non fate altro che guardarmi e vedermi solo come "Il Victor Malato"!» Non avrebbe mai ammesso ad alta voce che aveva finito per crederci, che anche lui allo specchio vedeva il riflesso di un malato. Gli bastava il suo, di sguardo. Lo fronteggiò, anche se Duke in confronto a lui era una montagna muscolosa e ben piazzata, mentre lui poteva essere al massimo il ramoscello secco in giardino.
Duke si ritrovò a boccheggiare senza riuscire a dire alcunché, fino a rinunciare e serrare le labbra in una linea sottile.
Si scrutarono in silenzio, immobili come se durante un combattimento, nel riprendere fiato, attendessero il contrattacco dell'avversario. Il primo a parlare fu Duke: «Ehm... Volevi rassicurarmi e dirmi di non prendermi colpe, giusto?» socchiuse gli occhi sollevando un sopracciglio.
Il teppista corrugò la fronte. «Si.»
«Allora sono alquanto confuso.»
Vick aveva alzato la voce e si era inalberato senza rendersene conto. «Ad essere sinceri, anch'io Maschione.»
Scoppiarono a ridere, erano più simili di quanto credessero. Se glielo avessero fatto notare qualche mese fa' non ci avrebbero mai creduto.
«Non volevo urlarti addosso, scusa.» Aveva perso il controllo, troppi pensieri e preoccupazioni si erano accumulati.
«Non volevo guardarti in quel modo, mi dispiace.» Duke si passò una mano sul viso, «È che ho pensato che io non sarei mai stato capace di affrontare quello che stai affrontando tu e ci ho messo anche il carico da novanta. Volevo solo rimediare dandoti una mano.»
Adesso era il turno di Vick di boccheggiare come un pesce, rimasto accorto di parole. Sbuffò aggiustandosi il berretto, «È tutto okay. Ricordati solo che la colpa è Del Bastardo Coglione.»
In risposta alzò gli occhi al cielo con un sorrisino ad arricciargli i lati della bocca, «Ricevuto.»
«Non vorrei interrompere il vostro momento fraterno...» Una voce femminile li costrinse a voltarsi. Elisabeth li guardava imperscrutabile allo stipite della porta. Quando era tornata a casa? «...ma il pranzo è pronto.»
«Come mai sei venuta tu a chiamarci? Detesti farlo.» domandò il quarterback con sospetto.
«Perché al piano di sotto abbiamo sentito le urla e il sasso batte le forbici.» sformò le labbra in una smorfia seccata.
Fantastico, avevano sentito tutto. Si prospettava un pranzo doppiamente imbarazzante.
«Muovetevi, ho fame.» li incitò la ragazza. Prima di scendere fulminea in cucina aggiunse: «Ah, Vick, sono contenta che tu abbia accettato di venire. Spero sarà il primo di tanti pranzi in famiglia.»
Il primo di tanti? Victor si era pentito perfino del primo, e non era ancora cominciato. Quella casa lo metteva a disagio, lo faceva sentire sbagliato. Anche se cercava di impedirselo, non faceva altro che fare paragoni tra la sua vita e la loro, tra il suo appartamento e la loro lussuosa e perfetta villa da sogno, anche se lui non aveva nulla di sbagliato, come non l'aveva casa sua. «Tua sorella non sta correndo un po' troppo?» Si voltò a guardarlo, quello sguardo sembrava svanito quasi completamente. Sperava di avergli strappato di dosso quelle colpe che non gli appartenevano ma che gli si erano comunque aggrappate addosso.
«Ti ricordo che è anche tua sorella.» lo spintonò giocosamente.
«Non lo avrei mai detto.» rispose sardonico il teppista.
Scesero trovando Thomas e Christopher parlare tra loro, seduti già al tavolo da pranzo insieme ad Elisabeth, intenta a pigiare sul telefono. Victor si sedette al fianco del suo ragazzo, mentre Duke vicino a Beth.
Fu Margaret ad interromperli, portando il cibo in tavola. «Non si parla di lavoro mentre si mangia: è la regola.» li ammonì perentoria.
«Hai ragione.» annuì il marito, dando via ad un silenzio imbarazzante.
Nessuno dei presenti sapeva cosa dire, di cosa parlare. In verità, sembrava che i Price che abitavano lì non fossero abituati a pranzare assieme, a comunicare tra loro.
Christopher sfiorò il ginocchio con quello di Vick lanciandogli un sorriso rassicurante, mentre il teppista punzecchiava, come da abitudine, le pietanze nel piatto.
«Vi abbiamo sentiti urlare.» Il padre saettò lo sguardo da Vick a Duke mentre prendeva un boccone di lasagna. «Avete litigato?»
«No.» rispose Duke.
«Può darsi.» mentì il teppista nel medesimo istante con voce leggermente più alta da sovrastare quella del fratello, guadagnandosi la sua occhiata confusa.
«Avete litigato o no?» ripropose il genitore.
«Vick, che hai in mente?» sibilò invece Chris.
Beth continuava a messaggiare distrattamente mentre mangiava.
«Niente telefono a tavola.» l'ammonì Margaret.
La ragazza sbuffò, «Ma mamma!»
«Niente "ma"!»
Victor temporeggiò bevendo un sorso d'acqua. «Si, abbiamo litigato.»
«Perché?» chiesero in coro Thomas, Christopher e lo stesso Duke, curiosi. Il che, creò ancora più confusione tra i presenti. Era un idiota? Non poteva assecondarlo?
Victor sollevò gli occhi al cielo, «Lasciamo stare.» Si sforzò di mangiare qualcosa, non voleva creare sospetti e dar loro motivo per porre domande scomode a cui non aveva alcuna intenzione di rispondere.
Elisabeth tolse il telefono, «Contenta?»
La madre annuì soddisfatta.
Thomas li fissò in cerca di risposte prima di sospirare arreso, non riusciva a comprenderli. «Victor, so che non sei qui per me, ma ti ringrazio.»
Il figlio sollevò le sue iridi azzurre e le posizionò, affilate come lame, su quelle simili e allo stesso tempo differenti di Thomas.
«Desideravo da tempo un pranzo con tutti i miei figl—» provò a continuare il discorso.
«Non rovinare tutto.» lo interruppe il teppista, «Non ho voglia di sembrare il cattivo.»
«Victor, non rispondergli così. È sempre tuo padre.» s'intromise la matrigna, lapidaria.
Come risposta, Victor sollevò le sopracciglia e con un'espressione di finta sorpresa esclamò in modo teatrale: «E chi se lo aspettava?»
White spalancò gli occhi e tentò di richiamarlo con una gomitata.
«Va tutto bene, Margaret. Un rapporto non si costruisce in un giorno e le colpe non si cancellano con una passata di spugna.» Il marito tentò di tranquillizzarla, grato per aver preso le sue difese.
«Eppure ci voleva Vick per riunirci ad un tavolo a parlare.» affermò Elisabeth ghiacciando i presenti e brinando le pareti della stanza. Aveva appena servito la verità a tavola su un piatto d'argento.
«Vero.» le diede man forte Duke, «È da tanto che che non mangi con noi, papà.»
Margaret abbassò leggermente il capo nel suo silenzio assenso.
«Mi dispiace non essere molto presente, cercherò di rimediare.»
«Felice di esservi stato utile, niente assegni scoperti.» Victor li avvisò sarcastico, indicandoli con la forchetta, riuscendo ad alleggerire l'atmosfera e strappare qualche risatina.
Chris con occhi teneri gli sorrise accarezzandogli la nuca e negando lentamente con il capo.
La sensazione che Christopher gli stesse nascondendo qualcosa, però, era ancora lì, ad insinuarsi come un tarlo nel cervello di Victor.
Angoletto a piè di pagina:
Non sono solito prendermi degli "spazio autorǝ", ma volevo solo avvisarvi che dal prossimo capitolo inizia "l'arco finale" (mi sento molto Horikoshi mentre lo dico).
Spero davvero che la storia vi stia piacendo!
A presto.
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