Capitolo 36 (Prima parte)
Martellando distrattamente il dito sul tavolo e dondolando pigramente la gamba accavallata sull'altra, Victor osservava, con un sopracciglio alzato, suo zio Charlie ed il Signor Stalker, autoinvitatosi nel suo appartamento dopo le lezioni, parlare tra loro come se lui non fosse lì e non potesse sentirli. Non ricordava il momento preciso in cui avessero legato così tanto, si era voltato un secondo e li aveva trovati a complottare contro di lui con poca discrezione. White sorrise e il suo sguardo si ammorbidì. Christopher non aveva fatto alcuna obiezione quando lo aveva informato delle sue intenzioni di incontrare Thomas da solo, gli aveva rivolto un semplice sguardo deciso ed aveva annuito fermamente. Dopo, non aveva posto alcuna domanda, consapevole che gli avrebbe raccontato tutto quando sarebbe stato pronto. Lo aveva semplicemente guardato ed aveva sorriso dolcemente sfiorandogli timidamente le dita fino ad intrecciarle con le sue. Se ci ripensava, Vick poteva ancora sentire la sensazione di calore che si propagava dai polpastrelli. Si era sentito capito, protetto, perché Chris era lì con lui, nonostante tutto. Però, non aveva avuto il coraggio di dirgli che era stato invitato per una cena nella perfettissima e lussuosa casa Price.
«Vieni da me per una cena» se n'era uscito Thomas.
Vick lo aveva fissato per alcuni secondi prima di scoppiare a ridere. La risata si era spenta lentamente quando si era reso conto che l'uomo non lo aveva accompagnato nell'ilarità. Aggrottò le sopracciglia, «Non era una battuta?»
«No, Victor.» sospirò prima di prendere un sorso della sua bevanda calda.
«Andiamo, non puoi dire sul serio!» allargò le braccia.
«Sono serio invece.»
«No, sei coglione.» lo corresse sbuffando ed appoggiandosi sullo schienale della sedia. «Non ci vengo a cena da te a Malibù nella tua perfetta megavilla da sogno.»
«Non vivo a Malibù e non è una megavilla.» aveva replicato alzando gli occhi al cielo.
«Era una battuta con un fondo di verità», sbuffando poggiò il gomito sul bracciolo e la guancia sul palmo aperto. «Non ci vengo comunque, scordatelo.»
Erano andati avanti a discuterne per diversi minuti: Vick non aveva ceduto, non avrebbe mai accettato l'invito nemmeno se il padre si fosse cosparso di benzina con la minaccia di darsi fuoco. Anche se, con quel presupposto, avrebbe ottenuto l'effetto contrario. I giorni successivi anche Elisabeth aveva tentato di convincerlo, senza alcun successo. Aveva ceduto solo quando era stato Duke a proporgli un pranzo. Non solo perché aveva invitato anche Chris, e quindi non avrebbe dovuto entrare nella gabbia dei leoni da solo, ma perché lo aveva guardato con quegli occhi colpevoli che non riusciva a comprendere. Si pentì di non aver chiesto a Thomas cosa gli avesse raccontato. Non erano affari suoi, eppure si sentiva in qualche modo stranamente responsabile.
«Vick è d'accordo?» domandò Chris riportandolo al presente. Solo in quel momento si rese conto di aver tenuto lo sguardo fisso sulla superficie anonima del tavolo per tutto il tempo. Si morse il labbro e sollevò lo sguardo su Christopher che aveva un sorriso furbo sulle labbra.
Charlie lo indicò con un cenno del capo, «Che importa se è d'accordo quel Testa di rapa?» mise due cucchiaini di zucchero nel caffè. «Piuttosto, avvisa i tuoi genitori, ragazzo.»
Victor aggrottò le sopracciglia, «Riguardo cosa?» Saettò lo sguardo tra lo zio ed il Bodyguard iperprotettivo, osservandoli in modo sospettoso.
«Rimango qui per la notte.» Il volto di White si illuminò. Estrasse il cellulare ed iniziò a pigiare velocemente sullo schermo mentre il viso del teppista sembrava aver perso maggiormente colore.
Price non voleva che rimanesse per la notte. Per lui sarebbe stato più difficile non farsi sentire da entrambi durante uno dei suoi attacchi di tosse o delle corse in bagno. Ogni volta che Charlie lo scopriva, il senso di colpa per aver aggiunto l'ennesima notte insonne alla sua lista, gli provocava un peso nel petto. Sentiva come se accettare l'aiuto altrui fosse sbagliato, gli lasciava una sensazione di pesantezza all'altezza del petto che non riusciva ad inquadrare, come se guardasse una foto sfocata e cercasse di capire cosa ritraesse senza alcun successo. In fondo, era sempre riuscito a cavarsela da solo. Se Chris fosse rimasto a dormire, quella sensazione si sarebbe accentuata. Senza contare che non voleva che scoprissero del sangue durante i suoi attacchi sempre più frequenti: solo il dottor Barlow ne era a conoscenza. Si ritrovò a spostare il berretto sopra la testa, muoversi sulla sedia come se fosse tappezzata di spilli e ad annuire impercettibilmente evitando i suoi occhi.
Christopher aggrottò la fronte, «Stai bene? Non vuoi che rimanga?»
«Certo che vuole, si sta solo facendo paranoie come suo solito.» lo ragguagliò Clark.
Victor lo fulminò con lo sguardo. «Vecchio, non devi prepararti per la tua serata al Bingo dell'ospizio?»
«Vedi?» continuò facendogli l'occhiolino, come se il nipote non fosse lì.
Sbuffò. «'Fanculo» borbottò.
«Vick, mi presteresti il caricatore del telefono?» cercò di cambiare discorso. Quando sarebbero stati soli avrebbe sicuramente approfondito la questione, sapeva che il teppista nascondeva ogni sua preoccupazione dietro a sorrisi tirati e battute sarcastiche. Ma bastava osservare i suoi occhi, i dettagli che divenivano evidenti solo quando si iniziava a conoscerlo, per capire che non andava bene come voleva mostrare. «Ho la batteria quasi scarica, mi sono scordato di ricaricarlo ieri sera.»
«In camera mia, primo cassetto della scrivania.» Vide il Signor Stalker annuire e sparire in corridoio.
Silenzio, ancora quel rumoroso silenzio che aveva iniziato a detestare con tutto se stesso. Sospirò, «Che stavi cercando di fa—»
«Sembra che tu stia regredendo, più che migliorare.» lo interruppe Charlie, avanzando verso di lui. Poggiò la tazza fumante sul tavolo e lo scrutò con fermezza mentre il ragazzo evitava di incrociare gli occhi con i suoi.
«Che vuoi dire?» sussurrò, come se avesse timore.
«Non fare il finto tonto con me, Victor. Ti stai rintanando di nuovo in quel bozzolo di solitudine nel tentativo di tenere fuori il resto del mondo.» Strinse le mani sullo schienale della sedia vuota dinanzi a sé. «Mostrare la propria fragilità non è sintomo di debolezza.»
«Non ho mai affermato di essere forte.» lo corresse il nipote, come se con quelle parole potesse ribaltare la conversazione a proprio favore.
«Sei la persona più forte che io conosca», lo contrastò invece l'uomo. «Ma ricorda che non sei solo. Hai persone che ti vogliono bene, che si preoccupano per te anche se sei una Testa di rapa che non dà mai retta a nessuno.»
Ne era consapevole, eppure si sentiva ugualmente solo: la morte stava avvolgendo solo lui e non voleva trascinare nel dolore le persone che amava. «Lo so.»
«Allora chiedi e accetta aiuto se ne hai bisogno.»
Vick annuì una sola volta in modo netto, consapevole che non sarebbe mai riuscito ad afferrare quella mano tesa dinanzi a sé.
§
Christopher spalancò lentamente la porta della camera di Victor. L'aveva già vista, eppure sembrava la prima volta. La stanza rispecchiava esattamente il suo proprietario che a primo acchitto poteva sembrare scarna e priva di personalità. Ora vedeva i dettagli, notava pezzi di Victor sparsi qua e là, invisibili ad occhi sconosciuti. Dai titoli dei libri, con la costa intatta, in ordine nella libreria a l'anta dell'armadio leggermente socchiusa dove faceva capolino un bordo di una felpa dal colore scuro. Si avvicinò alla scrivania, il cestino di fianco era ricolmo di cartacce appallottolate quasi con rabbia, caotici. Sul ripiano, il "Barattolo delle parolacce" aveva ancora il cioccolatino al suo interno. Si perse ad osservarlo con un sorriso tenero alle labbra. Di fianco, un quaderno con su scritto "Letteratura Inglese" sulla copertina, dove dei fogli all'interno sembravano esservi stati infilati di fretta. Era venuto a conoscenza che avevano la medesima insegnante e che assegnava le stesse tracce per ogni classe dello stesso anno. Si guardò intorno con circospezione. Victor non si sarebbe arrabbiato se avesse sbirciato il suo tema, giusto? Si ripromise mentalmente di prendere spunto senza copiare e, come se quella promessa lo leggitimasse ad invadere la privacy di Victor, iniziò a sfogliare il quaderno. Cadde a terra un foglio di carta bianco, ripiegato più volte su sé stesso. Curioso, lo raccolse e lo aprì. Si bloccò.
"Ciao Principessa Susie! "
Era una lettera per lui? La scrittura del teppista era ordinata, veloce, ma morbida. Si ritrovò ad accarezzare, a seguire con i polpastrelli, i leggeri solchi della penna sulla carta.
"Lo so, probabilmente ti aspettavi iniziassi la lettera con un "Caro Christopher", non è vero? Ma sarebbe stato scontato, non lo credi anche tu? Se stai leggendo queste mie parole, vuol dire che il cancro ha avuto la meglio su di me, che ha divorato i miei polmoni. Che non ce l'ho fatta."
La punta delle dita si immobilizzò. Christopher rilesse quelle frasi, incredulo, con occhi sbarrati, come se il senso del testo potesse mutare ogni volta. Come se avesse erroneamente interpretato male il significato delle parole, ma così non fu. Deglutì e con mani tremanti strinse leggermente la presa sul foglio: quella era una lettera d'addio. Non avrebbe dovuto continuare a leggerla per rispetto di Vick, ma come poteva metterla giù? La curiosità, unita ad una strana sensazione che non riuscì ad identificare, lo spinse a continuare.
"Sai, in realtà è da un po' di tempo che sentivo la morte alitarmi sul collo. E adesso, scriverti "te l'avevo detto" non ha più importanza. Non potrei prenderti in giro e godermi la tua espressione mentre lo faccio. Vedere i tuoi occhi color della sabbia guardare il soffitto, esasperati dalla mia strafottenza. Non potrei vedere le tue bellissime labbra trattenere a stento il tuo sorriso."
Sbuffò un sorriso, era sempre il solito. Utilizzava il sarcasmo nei momenti meno opportuni.
"La verità è che sono un vigliacco, Christopher. Preferisco scriverti una lettera che leggerai quando io non ci sarò più, che dirti tutto quando avrei potuto. Penso che farà parte della mia collezione di rimpianti."
Sbattè più volte le palpebre, mentre gli occhi si inumidivano.
"Signor Stalker, ricordi quando mi hai chiesto di stilare una lista di cose da fare? A dirla tutta, quando mi hai proposto questa idea ho pensato fosse una cosa stupida, uno di quei cliché da film. Ma poi, tornato a casa, nel silenzio, continuavo a pensarci. Mi son detto "Che cazzo ho da perdere? Al diavolo se è una cosa stupida, o banale, o una cazzata, o quello che è!". Non avevo nulla da perdere e allora ho iniziato a scriverla e mi sono ricreduto. Non era un idea stupida. Insieme a questa lettera troverai la lista della spesa, senza cancellature, senza alcun segreto. Perché ormai, per me, non ha più senso averne."
La cercò tra le pagine del quaderno, trovandola senza alcuna fatica. Il foglietto era un angolo di quaderno strappato, come quello che gli aveva mostrato quel giorno in ospedale, e che teneva sempre in tasca, con l'unica differenza che lì, di cancellature, non ce n'erano.
"1. Mangiare un gelato nella gelateria vicino alla spiaggia;
2. Fare una camminata lungo quella spiaggia;
3. Distendersi su un prato fiorito;
4. Visitare il cimitero;
5. Vivere."
Si morse il labbro inferiore e tirò su con il naso nel tentativo di non scoppiare a piangere. Come avrebbe potuto giustificare gli occhi rossi?
"L'hai letta, vero? Te lo aspettavi? Probabilmente ti stai chiedendo perché io abbia tenuto nascosto il quinto punto per tutto questo tempo. Non l'ho cancellato per dimenticarlo o per vergogna. È stato impresso nella mia mente dal monento in cui l'ho scritto. Ma dopo averlo fatto, ho avuto l'impeto di eliminarlo quasi con rabbia, perché ho trovato stupido il fatto che avessi sentito la necessità di scrivere un cosa così scontata nero su bianco. Ora ho capito, non lo è. Perché me ne ero dimenticato, lo avevo scartato a mia insaputa. Paralizzato dal dolore e terrorizzato dal futuro incerto, dal cancro. Quel quinto punto è così banale, eppure così giusto, non trovi? La gente solitamente si limita ad esistere, ma io volevo vivere. Volevo ricominciare. Dalla morte di mamma, vedevo tutto buio intorno a me. Dopo la notizia del tumore, sono crollato. Tutto mi appariva confuso, sfocato. Non sapevo cosa fare. Mi sentivo solo. Ero solo. Poi sei arrivato tu, Stalker dei miei stivali, mi hai aiutato senza rendertene conto, senza che te lo avessi chiesto. Mi hai dato speranza. Ne avevo bisogno e tu, non so come, lo sapevi. Io so che lo sapevi. Mi hai ricordato il quinto punto nel momento in cui sei entrato in quel bagno, prima ancora di stilare quella lista. Perché io mi limitavo ad andare avanti per inerzia, davo già per scontato che la partita fosse persa.
Mi ero perso.
Mi hai ricordato di respirare, di vivere anche il presente. Il che, sembra una barzelletta di cattivo gusto.
Respirare.
Respirare.
Respirare.
Detta da me suona strana la parola "respirare", non trovi?"
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, ma non riuscì più a trattenere le lacrime, che silenziose avevano iniziato a rigargli le guance. Era paradossale, perché anche Victor glielo aveva ricordato. Si asciugò velocemente le gote e, facendosi coraggio, riprese a leggere vorace. Ormai doveva sapere.
"Ti ricordi cosa mi hai detto alla festa, in quel bagno, quando mi hai beccato in uno dei miei attacchi di tosse? Mi hai detto che la vita superficiale è più facile, meno dolorosa. Ti avrei dato ragione, il dolore mi stava consumando silenzioso. Poi però ho pensato che fosse uno spreco non provare niente, non porsi domande, non viversi. Se ci ripenso, quello è stato uno dei nostri primi momenti, una delle nostre prime chiacchierate che non avrei potuto fare con nessun altro. In una di quelle, mi hai chiesto come si fa a non far scivolare via la vita tra le mani, come fosse sabbia tra le dita. Io ti risposi che dovevi pagarmi profumatamente, ma per questa volta chiuderò un occhio, anzi due!"
Alzò gli occhi lucidi al cielo, il suo Black humor era davvero pessimo. Ma sapeva che, a modo suo, si stava prendendo cura di lui. Nella lettera voleva strappargli per l'ultima volta un sorriso, anche se non l'avrebbe visto. Voleva lenirgli in qualche modo il dolore.
"Christopher, penso che per non lasciarsela scivolare via, bisogna buttarsi. Non nel senso stretto, sia chiaro. Intendo che bisogna rischiare, fare ciò che ci piace fare, anche se potremmo apparire ridicoli agli occhi degli altri, fregarsene delle apparenze. Provare, sbagliare, ritentare. Perché non si sa mai cosa potrebbe accadere. Nessuno si ricorderà di me, di noi. Saremo dimenticati. La nostra storia non resisterà al tempo. È solo nostra. Apprezzare le piccole cose, i piccoli gesti. Non darli mai per scontati. Dal prendere un semplice caffè la mattina, nella tua tazza preferita, agli abbracci. Dio, gli abbracci. Christopher, non dare mai per scontati gli abbracci. Mai. La tenerezza. Il guardarsi negli occhi, il prendersi per mano o anche rimanere in silenzio insieme. I baci.
Poi, te lo ricordi? Mi hai chiesto come si dà un senso alla propria morte. Per quello, penso bisogni semplicemente vivere. Che poi, semplice non lo è affatto. E sai una cosa? Questa risposta che mi sono dato non ha quasi senso, mi sa di gran cazzata. Perché io un senso alla mia morte non gliel'ho dato, ma spero lo abbia per voi che siete rimasti. Per te, Bodyguard specializzato in stalking. E sono consapevole che queste risposte potrebbero cambiare, domani potrebbero già non essere più le stesse. L'importante è vivere ogni attimo senza dimenticare la strada percorsa, il passato, e guardare al futuro senza dimenticare il presente. Non li riavremo mai indietro, il tempo ci consuma. Tanto vale usarli quegli attimi, no?
Christopher, io posso solo ringraziarti ed essere grato per tutto il tempo che mi hai donato. Ho vissuto momenti significativi con te che non avrei potuto vivere con nessun altro. Sono stato felice, nemmeno questo è scontato."
L'inchiostro di alcune parole era sbafato: Victor aveva pianto mentre scriveva e adesso, le lacrime di Christopher si confondevano con le sue tra le lettere, mentre leggeva. Si costrinse a non far alcun rumore nei singhiozzi coprendosi la bocca con una mano mentre l'altra, che teneva la lettera, tremava visibilmente.
"Lascia solo che sia un egoista e un codardo per l'ultima volta. Non ho fatto altro che prendere, prendere e prendere. Non voglio incatenarti a me. Voglio che tu sia felice e viva una vita lunga, piena di emozioni. Profondamente."
«Sei caduto in un vortice spazio-temporal—» cantilenò il teppista dal corridoio fino ad interrompersi sulla soglia. «Che stai facendo?» Osservò Chris sollevare gli occhi su di lui, stava piangendo. Saettò lo sguardo da lui, alla lettera, alla scrivania con la lista ed il quaderno aperto. «Hai guardato tra le mie cose!» sbarrò gli occhi prima di fiondarsi su di lui per cercare di riprendersi la lettera. Forse era arrivato in tempo, forse non l'aveva ancora letta. «Ridammela!»
Christopher la sollevò stendendo il braccio per impedirgli di sfilargliela dalle mani.
"Ti amo, Christopher White.
Non so quando "Quel Signor Stalker-Bodyguard-Iperprotettivo mi piace" si sia trasformato in amore. Se ci penso, ti amo da sempre.
Spero che questa confessione non ti incateni a me, al mio ricordo. Che questo non ti faccia ancora più male e ti impedisca di andare avanti.
Buona vita.
Victor Il Tuo Teppista Da Strapazzo Price
P.S.: Se farai cazzate, da fantasma ti molesto."
«Ti amo anche io, Vick.» aveva la bocca impastata dalle lacrime, gli occhi gonfi, eppure lo disse con sicurezza. Tenendo il foglio in alto, con l'altro braccio lo strinse a sé.
Il teppista si ghiacciò sul posto. La consapevolezza che quella lettera che lo metteva quasi a nudo era stata letta e ascoltata lo metteva a disagio. Gli occhi s'inumidirono mentre negava lentamente con il capo. Non voleva essere ricambiato, perché un sentimento così grande come l'amore avrebbe portato ad altrettanto dolore. Lo avrebbe fatto soffrire come temeva, come aveva cercato di evitare. «No», sussurrò, «No, no, no.»
«Si, si, si.» rispose baciandolo a fior di labbra. Poggiò la fronte sulla sua, entrambi piangevano ma per motivi diversi. Lasciò la lettera sulla scrivania per abbracciarlo. Il calore dei loro corpi sembrava incontrarsi e mescolarsi dando loro un senso di appartenenza. Gli afferrò il viso con delicatezza e gli asciugò le lacrime con i pollici.
«Hai frugato tra le mie cose.»
«Mi dispiace, volevo leggere il tuo tema del corso di letteratura.» continuò a carezzare le guance con moti circolari dei pollici, spostando lo sguardo sulle gote, sul septum, e in ogni angolo del suo viso come se dovesse scoprire nuovi particolari che non aveva notato prima.
«Non ti perdono.»
«Mi sono innamorato di te», provò a rabbonirlo unendo la punta dei loro nasi.
«Devi pagarmi.»
«Ti amo», iniziò a percorrere con la punta del naso tutta la lunghezza. Salì fino alle sopracciglia, poi riscese fino a sfiorargli le labbra con le sue.
«Profumatamente.» continuò come se Christopher non gli avesse confessato ancora una volta di amarlo, mai si sarebbe aspettato di essere ricambiato. Il cuore batteva forte mentre la mente continuava a remargli contro, instillando paura tra i suoi pensieri, timori, dolori.
«Non mi abboni nulla?» domandò con un tono di voce più basso sulla sua bocca semiaperta. I respiri si scontravano come se non aspettassero altro.
Price avrebbe risposto con qualche battuta sagace se non fosse stato concentrato a percepire la sensazione delle loro labbra che si sfioravano ogni volta che il ragazzo parlava. Gli circondò il bacino con le mani per tirarlo a sé ed aumentare il contatto tra loro, le dita sul suo viso non erano sufficienti.
Iniziarono con piccoli e veloci baci casti, fino ad approfondire con la lingua. Ogni volta sembrava che si rifugiassero in un mondo tutto loro, coperti da una bolla impermeabile ad ogni suono, pensieri e timori. Un colpo di tosse però li fece ricadere nella realtà. Si tirarono indietro come se l'altro scottasse e Chris imprecò mentalmente per essere stati interrotti per l'ennesima volta. Qualche maledizione si era sicuramente abbattuta su di loro.
«Ah, la gioventù!» sospirò teatralmente Charlie, poggiato con una spalla sullo stipite, a braccia conserte li scrutava con un ghigno malizioso. «Volevo informarvi che mi ha appena chiamato Bob e che dovrete cenare da soli. Vi lascio i soldi per ordinare la pizza sul tavolo.» Non avrebbe mai confessato che si stava togliendo dai piedi di proposito, che i programmi per la serata li aveva inventati sul momento. Non aveva ricevuto alcuna telefonata dall'amico che se lo sarebbe ritrovato nel locale a bere, autoinvitato nel suo ufficio.
Il nipote lo squadrò con sospetto, le sopracciglia aggrottate e le labbra rosse come quelle del fidanzato che guardava per aria cercando di dissimulare il proprio imbarazzo. «Vecchio, cosa stai tramando?»
«Testa di rapa, cosa dovrei tramare? Ah!» s'interruppe come se si fosse appena ricordato qualcosa di vitale importanza. Fece loro segno di attendere, estrasse il portafogli, vi frugò all'interno e lanciò qualcosa a Chris.
«Cos'è?» si riggirò il piccolo oggetto tra le dita, poi comprese ed arrossì evitando di guardare Vick.
«Un preservativo.» li ragguagliò senza alcuna traccia di imbarazzo, come se ormai non lo avessero capito. «Mi raccomando, usatelo. Praticate sesso protetto.»
«Davvero? Lo tieni nel portafoglio come il più banale dei cliché?» domandò ironico mentre lo zio li salutava con un cenno della testa, ignorando le frecciatine del nipote. «Sei un maledetto vecchio pervertito.» continuò a voce alta prima di sentire la porta dell'appartamento chiudersi. Erano rimasti soli. Nell'aria c'era l'aspettativa e l'imbarazzo. «Senti, Christopher, non dobbiam—» si voltò a guardarlo e corrugò la fronte. «Che stai facendo?»
«Spengo il telefono, fallo anche tu.» lo invitò impaziente, mentre lo schermo diveniva tutto nero.
«Perché?»
«Perché se ci interrompono ancora una volta dò di matto.»
Il teppista scoppiò in una grassa risata negando con il capo. «Ti accontento solo perché hai la faccia di uno che potrebbe commettere un omicidio», lo schernì mentre spegneva anche lui il cellulare, continuando a ridacchiare.
Vederlo ridere tranquillizzò Christopher, negli ultimi giorni lo aveva visto sempre più silenzioso e distratto. Gli era sembrato una lampadina al neon accesa che sfarfallava, accendendosi e spegnendosi ad intermittenza. Assente. Gli si fece vicino e gli circondò la vita con le braccia incominciando a lasciargli baci sulla guancia, vicino all'orecchio, lungo il collo. La risata fu sostituita da sospiri.
«Christopher.» soffiò carezzandogli le braccia, le spalle, fino ad arrivare alla nuca. La sua pelle risultava calda sotto i suoi polpastrelli freddi. Inforcò le dita tra i ricci biondi mentre le labbra si riscontravano di nuovo in un bacio poco casto. Si irrigidì quando percepì le mani di Chris infilarsi sotto la felpa. In quel momento desiderò che qualcosa, o qualcuno, li interrompesse come al solito. Come poteva mostrarsi in quello stato? Si vergognava di un corpo che era mutato così velocemente sotto i suoi occhi. Si sentiva a disagio in un corpo che non riconsoceva come proprio al riflesso davanti ad uno specchio. I capelli erano un ricordo, anche le sopracciglia stavano cadendo facendolo sembrare un alieno, almeno così aveva cercato di ironizzare. La pelle del viso aveva perso colore, le costole erano sempre più evidenti, come se i solchi intercostali fossero stati incisi calcando con mano pesante. I lividi che apparivano come per magia, uno dei tanti effetti collaterali della Chemioterapia. «Christopher», ripetè nervoso.
White si fermò, corrugò le sopracciglia. «Stai bene?» mappò con lo sguardo il suo viso, in cerca di qualche segnale di malessere, ma percepì solo tensione. Le labbra strette, il respiro lento come se lo stesse trattenendo. «Se non vuoi...» Non lo avrebbe mai costretto a fare qualcosa contro la sua volontà.
«Io...» si morse il labbro inferiore portando gli occhi ovunque tranne che su di lui. «Che ne dici se chiudiamo le tende e spegniamo la luce?»
«Ma poi resteremmo al buio.» constatò, «Oltre che sentirti, voglio anche vederti, o sei tu che non vuoi vedere me, così meravigliosamente bello?» Cercò di ironizzare, anche se la risposta lo spaventava un po'.
«Il problema sono io. Sono cambiato.»
«Guardami.» Gli sollevò il mento con l'indice per fargli sollevare il viso verso di sé. «Non c'è nulla di cui vergognarsi, non devi. Il tuo corpo sta lottando per sconfiggere il cancro e non devi in alcun modo aver paura di mostrarlo.»
Gli occhi del teppista divennero lucidi. «Il mio corpo sembra non appartenermi più. È cambiato, in peggio.» la voce tremava. «Il mio corpo è malato, Christopher.»
«Vorrei che potessi vederti con i miei occhi, Vick. Perché per me sei bellissimo.» Con le dita iniziò ad accarezzargli la fronte, la tempia, tracciò lo zigomo, percorse tutta la mascella fino alle labbra, dove si soffermò a tracciarne i contorni. «Quando ti guardo non vedo una persona malata, solo la persona che amo.»
Victor odiava quegli sguardi che gli si appiccicavano addosso, appena venivano a conoscenza della sua malattia. Dispiaciuti, pieni di pietà, tristi, come se sapessero cosa stesse passando. Come se fossero a conoscenza del suo dolore. Il modo con cui si ponevano, il loro comportamento cambiava radicalmente come se fosse fatto di cristallo. Odiava tutte quelle accortezze, perché gli strappavano quel senso di normalità che tanto ricercava. «Lo so.» Era vero, Chris non lo trattava come "Il Victor malato", ma solo come Il suo teppista da strapazzo. Quella consapevolezza non demolì le sue insicurezze, ma si fece coraggio. Decise di fidarsi del ragazzo di cui era innamorato e si lasciò andare al momento. Lo abbracciò facendo aderire i loro petti, leccò il labbro inferiore e quando Christopher schiuse la bocca, lo interpretò come un invito ad approfondire.
Le lingue giocavano tra loro mentre White infilò le mani sotto la felpa. Con i palmi aperti, come se non volesse perdersi nemmeno un centimetro di pelle, risalì lentamente la schiena del teppista lasciando una scia di brividi al suo passaggio.
«Merda», soffiò quest'ultimo prima di riprendere il bacio mentre si avvicinavano al letto. Si fece sfilare la felpa stando attenti all'ago-cannula e lui sfilò la sua. Tracciò con le dita fredde il petto di Christopher soffermandosi sulle clavicole mentre le sue mani andavano a stringergli il fondoschiena.
White lo fece distendere sul letto e si posizionò tra le sue gambe, lo accarezzò con le mani e con lo sguardo. Lasciò una scia di timidi baci su ogni livido, fino a risalire sul collo. «Sei bellissimo, Vick.» gli sussurrò all'orecchio.
Price ridacchiò, «Dubitavi?» Stranamente, gli credette. Lo guardava come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto e desiderò davvero potersi guardare con i suoi occhi. Le sue carezze erano gentili, calde. Scese lungo l'addome fino al bacino ed inifilò la mano sotto la stoffa.
«Merda.» boccheggiò questa volta Christopher con un brivido di piacere a risalirgli la spina dorsale.
Ben presto, tra carezze, baci e sussurri si spogliarono completamente. La loro bolla aveva preso la forma della stanza, riempiendosi di gemiti, fremiti della pelle contro pelle. Christopher odiava essere chiamato con il suo nome completo, ma sulla sua bocca gli sembrava giusto. Gli piaceva come suonava la sua voce, il tono che utilizzava, qualsiasi esso fosse, quando lo chiamava, il suo nome tra le labbra di Victor. Gli amici lo chiamavano Chris, ma Vick non lo era mai stato. Era sempre stato un caso a parte, il ragazzo che amava.
Raggiunsero l'apice guardandosi negli occhi, languidi e lussuriosi, limpidi. Il sudore ricopriva la loro pelle, i petti si alzavano ed abbassavano mentre i loro respiri affannati e caldi si infrangevano e mescolavano a fior di labbra.
Nella camera rimase il silenzio rotto solo dai loro respiri pesanti. Stesi uno accanto all'altro, guardavano il soffitto appagati, coperti solo dal lenzuolo. Si tenevano per mano, come ad ogni ciclo di Chemio. Le dita intrecciate tra loro come se avessero timore di lasciarsi, di non trovarsi più. Come se avessero paura fosse solo un sogno e che l'altro potesse scomparire nel nulla da un momento all'altro. Si godevano l'attimo, il suono del respiro dell'altro, il calore della pelle.
«Non mentivi, sei rumoroso.» esordì sardonico con un sorrisino, mentre Price respirava ancora con pesantezza.
«Mi dispiace non riuscire a reggere un secondo round.» Il petto scheletrico con un leggero velo lucido di sudore, si muoveva su e giù, pallido.
Christopher si girò su un fianco, senza abbandonare la sua mano, con un sorriso morbido sulle labbra. Cercava di carpire ogni dettaglio, come ad imprimerlo a fuoco nella sua mente. Dal silenzio della stanza, al septum che risaltava come a ricordare la sua presenza. Le ciglia lunghe contornavavano le iridi azzurre del suo ragazzo. Poteva affermare che ormai conoscesse ogni centimetro del suo corpo, ma non gli bastava.
«Sai, so di essere bello, ma se continui a fissarmi in questo modo mi consumerai e diverrò un mucchio d'ossa.» lo stuzzicò voltandosi anche lui, con un ghigno sarcastico.
«Sei bello.» sussurrò avvicinando le mani unite alle labbra per baciargli il dorso.
Il teppista scoppiò a ridere, ma fu una risata flebile. «Vaffanculo.»
«Amo tutto di te.» la sua voce arrivò nuda.
«Non dovresti.»
«Non si sceglie chi amare, Vick.»
«Ti farò soffrire», gli ricordò con tristezza. Lo era ogni volta che gli aveva sussurrato di amarlo, avrebbe voluto evitargli il dolore.
«Smettila.»
«Spero di valerne la pena.» deglutì a vuoto. Ripensò al sangue dopo i suoi attacchi di tosse, alla preoccupazione del Dottor Barlow, agli esami che avrebbe fatto di nascosto di cui non sapeva ancora l'esito.
«Ne vali la pena».
Chiuse le palpebre, «Non puoi saperlo adesso.»
«E invece si, ne varrai sempre la pena. Mi rifiuto di privarmi dell'amore per paura di soffrire. Che amore sarebbe se non ti dessi tutto?» Era l'altro lato della medaglia, come la morte e la vita, la tristezza e la felicità. Il dolore faceva parte della vita tanto quanto l'amore.
«Hai ragione.» si morse il labbro inferiore guardando le loro dita ancora intrecciate, con il pollice gli accarezzò distrattamente il dorso con movimenti circolari. «Non possiamo impedirci di cadere. Basta che poi troviamo la forza di rialzarci. Nonostante tutto.»
«Nonostante tutto...» ripetè Chris.
«Nonostante tutto.» confermò come se stesse rispondendo ad una domanda. Sperava che se non ce l'avesse fatta, Christopher si sarebbe ricordato di rialzarsi come lui stava cercando di fare da molto tempo. Fece un respiro profondo, «Che ne dici se ordino la pizza?»
«Che ne dici se facciamo la doccia insieme?» propose Chris, con una punta di licenziosità nella voce ed un sorrisetto sghembo sulle labbra.
«Fai la doccia per primo», concesse lasciandogli un bacio casto. I suoi polmoni non avrebbero retto una seconda volta e in doccia avrebbe dovuto fare attenzione a non bagnare l'ago-cannula.
«Per una volta che non ci interrompono», si lagnò mentre il teppista si alzava dal letto. Osservò il suo corpo longilineo, senza muovere un muscolo. Nudo, lo vide sparire dietro la porta. Si distese sulla schiena ed guardò il soffitto, il fruscio del tessuto a fargli compagnia con la voce lontana di Victor che ordinava la cena. La stanza era calda, l'odore ancora intimo.
§
Sentì il suono del campanello, subito dopo un «Sarà sicuramente il fattorino, vado io!» di Christopher, al di là della porta.
Da quanto tempo Victor non riusciva a godersi una doccia? Doveva fare sempre attenzione a non bagnare la medicazione, non poteva lasciarsi andare nemmeno sotto il getto dell'acqua calda. Chiuse il rubinetto e il bagno cadde in un silenzio morbido, diverso dal solito. Uscì dalla doccia e si strinse nell'accappatoio. Ringraziò mentalmente lo strato di vapore sullo specchio che gli impedì di incrociare il riflesso di un estraneo. Aprì la porta correndo verso la stanza, indossò il berretto e inziò a rivestirsi.
In cucina, Chris aveva già preparato bicchieri e piatti. L'atmosfera era totalmente diversa. Sembrava che non avessero nulla da dirsi, non ce n'era bisogno e Victor aveva paura di rompere quella tranquillità, quella familiarità a lui estranea, nuova. Mangiarono seduti vicini sul divano mentre in TV davano un vecchio film che nessuno dei due sembrava seguire. Si sfioravano di continuo, come a sincerarsi che l'altro fosse ancora lì. Si addocchiavano distrattamente.
«Non mangi?» domandò lo stalker addentando la sua fetta, mentre il ragazzo sembrava fissare la propria in cagnesco.
«Non mi va molto.» ammise dandole comunque un morso per non destare sospetti.
«Lo so.» gli fece un sorriso d'incitamento. Charlie lo aveva avvisato: ogni volta era una lotta per farlo mangiare.
«Devo dirti una cosa.» Victor poggiò le spalle sullo schienale del divano, doveva prendere coraggio e parlare dell'incontro con Thomas. Anche se le parole continuavano ad incastraglisi in gola. «Non ho perdonato "mio padre"», faticava a definirlo tale.
«Quindi non è andata», concluse.
«Mi ha invitato a cena.»
Chris corrugò la fronte voltandosi verso di lui con tutto il busto. «È sarcasmo? È una battuta? Perché questa volta non l'ho capita.»
«Purtroppo non è uno scherzo.» sospirò, «Ma ho rifiutato.»
«Allora perché hai lo sguardo costipato?» C'era qualcosa che non lo convinceva.
«Perché poi me lo ha chiesto Elisabeth il giorno dopo.»
«E hai accettato.» concluse Christopher.
«No, ho rifiutato.»
«Dove vuoi arrivare, Vick?» poggiò il pezzo di pizza, ormai a metà, sempre più confuso, mentre il teppista reggeva il suo quasi completamente intatto.
«Ho ceduto quando me lo ha chiesto Duke. Ci ha invitati entrambi a pranzo, sabato.» disse tutto d'un fiato, sia per timore che lo interrompesse di nuovo, sia perché voleva togliersi il dente il prima possibile.
«Cosa?!» sbarrò gli occhi e allargò le braccia. «E non ti è passato per la testa di chiedermelo prima di accettare?»
«Non dicevi di amarmi?» domandò con finta drammaticità lasciando anche lui il pezzo di pizza nel cartone aperto.
«In questi momenti me lo rendi davvero difficile», lo canzonò Chris, reggendogli il gioco. Sospirò lasciandosi andare sullo schienale, «Non capisco perché tu abbia accettato.» Sapeva che c'erano altre ragioni, Price non faceva nulla senza un motivo valido e soprattutto, non avrebbe mai accettato di entrare in quella casa che odiava senza averci mai messo piede.
«Allora, ci vieni con me?»
«Ho alternative?» White tirò indietro la testa. La pelle del collo tesa accentuava il pomo d'adamo, il profilo era illuminato dalle sole luci irregolari che emanava il televisore.
«Ci sono sempre alternative.» Price non resistette e glielo carezzò delicatamente con le dita.
«Che bugiardo!» ridacchiò.
«Vuoi mandarmi da solo nella tana dei leoni?»
«Ti ci sei mandato da solo, nella tana dei leoni», chiuse gli occhi sotto il tocco di Victor. «Va bene.»
Il teppista sorrise.
«Ma a due condizioni.»
Il sorriso si sformò in una smorfia poco convinta, doveva immaginarselo che non sarebbe stato facile. «Quali?»
«Che mi dici perché hai ceduto e che mangi.» Christopher riaprì gli occhi per guardarlo, le dita del ragazzo si fermarono. «Mi sono accorto che stai facendo finta di mangiare la fetta di pizza.»
Vick boccheggiò prima di mettersi nella sua stessa posizione. «Contrattare con te è diventato difficile.»
«Ci stai?»
Il teppista fissò il soffitto, «Non ho alternative.»
«Si ha sempre un'alternativa», lo punzecchiò riproponendogli le sue stesse parole.
«'Fanculo», lo spalleggiò amichevolmente con un sorrisino per poi sospirare arreso: «Ci sto.» Sperava solo che la notte che li attendeva sarebbe stata tranquilla.
Angoletto a piè di pagina:
Ho creato delle immagini/ grafiche (la lettera e la lista) per rendere il tutto più "reale".
Avrei dovuto mostrarvele a fine capitolo, ma avendolo spezzato a metà ho trovato più consono metterle qui. Spero vi piacciano!
La "lista della spesa" :
(Se siete curiosɜ ho postato la versione con la cancellatura sul mio profilo instagram.)
La lettera:
(Si, mi rendo conto che è davvero poco veritiera, ma volevo che entrasse in un foglio solo.)
Ci sentiamo nella seconda parte!
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