Capitolo 20
Aveva appena parcheggiato davanti alla Boston High School scrutò, attraverso il finestrino del passeggero, la struttura circondata dal verde . Erano già arrivati molti studenti, doveva ammettere di sentirsi diverso. Non era come gli altri suoi coetanei, non lo era mai stato. Sospirò appoggiando il capo al poggiatesta del sedile, in quel momento gli mancò fumare una sigaretta. Riempirsi i polmoni malati di catrame, espellere il fumo dalle labbra. Era stato dimesso da soli due giorni dall'ospedale, dopo una settimana di ricovero, e da allora gli avevano impedito di fumare. Categoricamente. Lo zio Charlie gli aveva sequestrato l’ultimo pacchetto e gli aveva ribadito, ancora una volta quella stessa mattina, di non doversi preoccupare più per il denaro perché lui sarebbe rimasto al suo fianco. Ne era rimasto contento, ma ne era capace? Chiuse gli occhi prendendo un altro profondo respiro. Come poteva non preoccuparsi? Aveva il cancro al terzo stadio, avrebbe dovuto fare la Chemioterapia specifica ogni quindici giorni. Sapeva come sarebbe andata, lo aveva visto davanti ai suoi occhi con sua madre. Già, sua madre. Da quanto non andava a trovarla? Aprì velocemente le palpebre, non doveva pensarci, non ora! Uscì dall’autovettura mettendosi lo zaino nero sulle spalle ed entrò a scuola dirigendosi spedito al suo armadietto. I corridoi affollati erano una delle cose che non gli erano mancate affatto. Si sentiva sempre gli occhi addosso, i mormorii, le risatine. Chris era già lì ad aspettarlo, appoggiato sul suo armadietto.
«Questa mattina fai il bullo o lo Stalker?» lo punzecchiò avvicinandosi.
«Non doveva andare così, tu avresti dovuto darmi il “buon giorno” ed io avrei dovuto sedurti», White era uno dei pochi che gli reggeva il gioco.
«Qui qualcuno si è fatto questa mattina», entrambi scoppiarono a ridere mentre Victor inseriva la combinazione. «Non ti preoccupano i pettegolezzi altrui? Riesco già a sentirli da qui».
«Sono qui con te e ti sto parlando, tu che dici?» alzò un sopracciglio.
«Che sei molesto già di prima mattina?Mh?» alzò entrambe le sopracciglia e sporse il labbro inferiore, l'azzurrino.
White si limitò ad osservare quelle labbra per poi guardarlo negli occhi. «Questa mattina sono decisamente maniaco», ridacchiò.
«Quindi devo comprarmi il pupazzetto, o me lo danno alla centrale di polizia?» lo assecondò iniziando a frugare nel suo armadietto. «Senti», disse dopo un paio di minuti di silenzio, fermandosi. «Ti va se oggi pomeriggio spuntiamo il quarto punto della “lista della spesa”?» domandò titubante.
«”Visitare il cimitero”? Manca ancora il punto tre», fece notare.
«Non dobbiamo per forza seguire un ordine, ma se non vuoi…» lasciò la frase in sospeso. Era comprensibile che non volesse andare con lui al cimitero, era stato uno stupido.
«Ci vengo», il teppista sussultò. Lo aveva preso alla sprovvista, aveva già fatto tanto per lui. «Ma ti molesterò per tutto il viaggio», ghignò come un idiota muovendo ritmicamente su e giù le sopracciglia.
«Non penso lo farai con-» stava per ribattere con il sorriso, ma una voce lo fece ghiacciare sul posto.
«Victor, dobbiamo parlare», una voce profonda, seria ed intimidatoria era alle sue spalle. Quella voce, sapeva benissimo a chi appartenesse e l’espressione crucciata del biondo, che scrutava il proprietario, gli diede conferma. «Ciao, Chris», salutò.
Si voltò lentamente. Quegli occhi verde smeraldo, quei capelli biondi così familiari. «Il popolare Quaterback* della squadra che viene a parlarmi, quale onore», esordì teatralmente portandosi una mano sul petto, «Peccato che io non abbia nulla da dirti».
«Mettiti il tuo sarcasmo dove non batte il sole e vieni con me nel bagno, devo parlarti», incrociò le sue braccia muscolose al petto.
«Christopher», richiamò la sua attenzione, senza distogliere lo sguardo dal giocatore, «Ci vediamo più tardi».
§
La campanella era suonata da ormai dieci minuti abbondanti, gli stessi in cui regnava il silenzio in quel bagno. Il teppista era poggiato sulle mattonelle con le mani dentro le tasche e le gambe incrociate ad osservare il Quaterback, agitato, muoversi avanti e dietro.
«Non sei stato tu a dirmi di non rivolgerti la parola, Duke Price?» cosa voleva il suo fratellastro da lui? Non aveva mai voluto instaurare alcun tipo di rapporto e, l'odio immotivato da parte del biondo, aveva fatto sì che si ignorassero completamente. Ma ora era lì, con lui, nel solito bagno scolastico dove si rifugiata sempre per fumare.
«Non pronunciare il mio nome come se fosse un insulto», lo rimbeccò fermandosi davanti a lui.
«Cosa vuoi, Duke? Non ho intenzione di passare la mattinata nel bagno con te», tagliò corto.
«Smettila di far soffrire papà», asserì senza remore, deciso, guardandolo negli occhi.
Una risata squarciò le pareti con prepotenza, all'improvviso, da parte del teppista. «Ma come ti vengono?» fece finta di asciugarsi una lacrima con l'indice.
«Dico sul serio, Victor», il viso dell’azzurrino si rabbuiò all’istante. Si fece più duro e cupo.
«Io lo faccio soffrire? Tu non sai niente Duke, non puoi capire.» si staccò dal muro, «Se mi hai chiamato solo per questo, hai sprecato tempo. Ci “ignoriamo” in giro». Fece per andarsene ma il ragazzo lo afferrò per un braccio.
«Perché tu?!», urlò facendolo voltare, «Perché tu sei il suo preferito?! Lo tratti sempre con sufficienza, lo ignori, lo insulti e, nonostante ciò, lui ha sempre guardato solo te!»
«Di cosa stai parlando?» chiese confuso.
«Del fatto che non importa cosa io faccia, non importa se io prendo un bel voto, se divento capitano della squadra di football, se sono popolare… Lui guarderà sempre e solo te! Maledizione!» allentò la presa. «”Ho sentito che Victor ha preso un bel voto”, “Ho sentito che Victor ha iniziato a lavorare, alla sua giovane età”», bofonchiò imitando malamente la voce di Thomas.
«Pensi che per me la vita sia stata facile?! Io non ho avuto una figura paterna al mio fianco! Non ho avuto nessuno accanto quando mia madre ha scoperto di avere il cancro!» urlò, era furioso. Lui non perdeva facilmente il controllo di sé, ma sentirsi dire che la sua vita era stata rosa e fiori, vedere quel ragazzo più fortunato di lui che si lamentava di ciò che a lui era sempre mancato, gli aveva fatto perdere le staffe. In quel momento non gli importava dove fosse, non gli importava se qualcuno, oltre lui, lo sentisse. «Ho sempre cercato di prendere buoni voti per non far preoccupare mamma! E lo sai perché ho iniziato a lavorare?! No?! Perché non poteva più lavorare! Ed adesso che è morta, ho dovuto cavarmela da solo! Io ho dovuto faticare per ogni fottutissima cosa mentre tu ti preoccupavi di ottenere le attenzioni da un uomo di merda!» strattonò il braccio facendosi mollare. «Sai che ti dico?! Fanculo tu e la tua merdosa vita perfetta, in quella merdosa villa perfetta in cui abiti e con il tuo merdoso padre!».
«Tu…» sussurrò basito. Duke era rimasto senza parole, i suoi genitori non gli avevano mai raccontato nulla, non erano mai andati nel particolare. Non aveva mai saputo nulla del fratellastro. Lo scrutava con pupille sgranate, pietrificato.
«Cosa ti aspettavi? Che vive-» iniziò a tossire, anche se cercava di finire la frase, non vi riuscì. Si portò una mano alla bocca arpionando, con l'altra, il tessuto della felpa nera all’altezza del petto mentre il viso diventava tutto rosso. Proprio in quel momento, davanti al fratellastro, doveva avere uno dei suoi soliti attacchi?
«Che ti succede?» chiese preoccupato avvicinandosi, iniziò ad accarezzargli la schiena.
Le lacrime uscirono senza ritegno per lo sforzo, l’aria sembrava non avere alcuna intenzione di riempirli i polmoni. L’esofago iniziava a bruciare e le gambe iniziavano a cedere. Ciò che non si aspettava era che il fratello lo aiutasse, per di più, nel modo corretto. Sostenendo lo fece arrivare al lavabo.
«Vado a chiamare l'infermiera», il teppista lo fermò facendo “no” con il capo.
«Non… Ti… Azzardare…» sibilò con voce strozzata. Quando, finalmente, ritornò a respirare si lavò velocemente la mano sporca di quel liquido carminio. Faceva respiri profondi come se non fosse più abituato.
Il Quaterback lo trascinò, senza sforzo, in una delle cabine del bagno e lo fece sedere sulla tazza, con il coperchio chiuso. Si appoggiò allo stipite della porta e lo osservò da capo a piedi mentre lui faticava a riprendere il ritmo respiratorio. «Se non mi dici cos'è appena successo e perché, vado a chiamare l'infermiera», lo minacciò.
«Se te lo dicessi dovrei ucciderti», la voce roca gli graffiava la gola, alzò un lembo della bocca, gli occhi ancora lucidi incrociarono le iridi verdi.
«Credo che correrò il rischio», lo punzecchiò facendolo sbuffare.
«Ho il cancro. Quello che hai visto è uno dei soliti attacchi di tosse», si sistemò a disagio.
Sgranò gli occhi, «Cosa?»
«Ti serve per caso uno di quegli apparecchi per l'udito che usano gli anziani?»
«Come cazzo fai a prendermi per il culo in un momento del genere?»
«Sono meraviglioso, lo so».
«No, sei esasperante», sbuffò, «Chi lo sa oltre me?»
«Papà lo sa», sapeva dove voleva andare a parare, «Ti chiedo comunque di mantenere il segreto, non voglio entrare a scuola e vedere sguardi pieni di pietà e commiserazione».
«Se lo sa perché non ha fatto nulla?»
«Ha fatto fin troppo, si è presentato nel posto in cui lavoro chiedendomi di venire a vivere con voi», una smorfia seccata si dipinse sul volto smunto di Vick.
«E tu cosa gli hai risposto?»
«Gli ho domandato se volesse che lo mandassi a fanculo prima, dopo o mentre lo prendevo a calci nel sedere».
«Non riesci a fare la persona seria, è più forte di te», scuotè la testa lentamente.
«Non gli ho risposto», asserì, «Ora ti faccio io una domanda, come facevi a sapere cosa fare?»
«Perché…» si strofinò la nuca distogliendo lo sguardo da quello di Victor, «Perché vorrei fare l'infermiere dopo il liceo, anche se papà sarebbe più orgoglioso se seguissi le sue orme».
«Fregatene di quell’uomo, la vita è tua non sua. Se fare l’infermiere ti piace e ti rende felice perché dovresti privartene?»
«Mi dispiace».
«Per cosa?» aggrottò la fronte.
«Per averti “odiato”, o meglio, per essere stato invidioso di te per senza motivo. Mi sono privato di un bravo fratello».
«Ammettilo che ti stai scusando per paura che da morto ti tormenti come fantasma. Una notte ti svegli e trovi il mio fantasma con le chiappe chiare scoperte che fluttua. Dal mio canto però, se avessi bisogno di qualche organo…» lasciò la frase in sospeso facendo un occhiolino.
«Te l'hanno mai detto che rovini l'atmosfera?» alzò gli occhi al cielo mentre l'azzurrino si alzava con un po' di fatica.
«Penso sia ora di andare a lezione o mi farai perdere anche la seconda ora», gli mise una mano sulla spalla, «Se hai bisogno sai dove trovarmi». Lo aveva perdonato, c’era ancora speranza per il loro rapporto fraterno? Fece per uscire, ma Duke lo bloccò.
«Chris è l’ex-fidanzato di Beth», iniziò, «So che è un bravo ragazzo e lui non ti guarda come un amico. Lui ti piace?»
«Se lei se l'è lasciato scappare, non vuol dire che io debba commettere lo stesso errore», si voltò per incrociare lo sguardo del fratellastro, «Comunque si, mi piace, anche troppo. Maschione, è un segreto anche questo». Un sorrisetto si dipinse sul suo viso mentre gesticolava con la mano.
«Ricevuto» alzò, per l’ennesima volta, gli occhi al cielo. A stare con lui gli sarebbe venuto un crampo ai nervi ottici, ne era certo.
Vick si diresse in aula. Quella conversazione gli aveva reso stranamente il cuore più leggero. Sperava solo di potersi fidare di lui.
*Il quarterback è il regista della squadra offensiva nonché uno dei ruoli principali in una squadra di football americano.
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