Capitolo 19

Erano passati un paio di giorni dalla Chemio, non faceva altro che dormire e, nonostante ciò, si sentiva tremendamente stanco. Il corpo sembrava molto più pesante, come se non fosse sulla terra, ma su un altro pianeta con una maggiore forza di gravità. Su Giove*, per esempio. Stava esagerando? Forse si, ma nulla gli vietava di romanzarci sopra. Aprì lentamente le palpebre, il respiro era pesante. Seduto accanto al suo letto, come ogni pomeriggio, c'era Christopher, il suo stalker personale. Era intento a studiare, dalla sua espressione e dalle spalle tese, non doveva piacergli molto quella materia. Avrebbe potuto fare mille cose in quei pomeriggi eppure, lui era lì. Gli stava donando il suo tempo. Era concentrato, con il capo chino su quelle pagine. I capelli biondi gli ricadevano caotici sulla fronte mentre le ciglia rendevano l'occhio più delicato. Non lo aveva mai notato.

«Cosa stai studiando?» biascicò con voce roca, Victor.

«Arabo», ironizzò dopo aver sollevato la testa, dal libro di storia, per guardarlo. «Come ti senti?»

«Mi sento come se una bisarca** mi sia passata sopra in retromarcia per fare manovra e, quando sta per andarsene frena di colpo e sgancia tutte le automobili che trasporta e mi colpissero in pieno».

«Cavolo… Il tuo sarcasmo non si affievolisce neanche quando stai male», constatò con stupore.

«Già, se non si affievolisce adesso che sono con un piede nella fossa, pensa quando morirò. Io sarò disteso in una bara, circondato da fiori e con un bel vestito e quando mi guarderai, ricambierò lo sguardo con un occhiolino ammiccante e ti sussurrerò “fa un po' freddo ma il tuo sedere in quei pantaloni neri potrebbero scaldarmi”». Era un fiume in piena, aveva ripensato molto a ciò che era successo dopo il suo risveglio, in realtà anche a ciò che era successo prima, ed era arrivato alla conclusione che, anche se a lui probabilmente, quasi sicuramente, non gli restasse molto tempo, non voleva che il biondino lo passasse in ospedale. Anche se lo voleva lì con lui.

«Quanto cazzo sei crudele a dirmi queste cose, stai dando per scontato che non ce la farai!» aggrottò la fronte, era arrabbiato. Le iridi azzurre erano ancora un po’ lucide, le pupille così nere che ci si poteva specchiare, non lo pensava davvero, era un suo solito marchingegno per allontanarlo. «Perché vuoi ancora allontanarmi?» sbuffò, «Sei ripetitivo. Ti ho già detto che non funziona».

«Non lo sto facendo».

«Vick», asserì secco, a modi riprovero.

«E va bene», sospirò, «Stavo pensando…»

«Tu pensi troppo», lo interruppe Chris, «Pensavo avessi accettato il fatto che ti sarei stato accanto».

«È che… Mi hai ricordato me, poco fa, mentre studiavi qui in ospedale invece che in camera tua. Il tempo che trascorri con me potresti usarlo per divertirti, per uscire con gli amici… Invece sei qui, con me, in ospedale. Non voglio che tu viva ciò che ho passato io con mia madre.» gli occhi divennero ancora più lucidi. «Dovresti-»

«Dovrei trovare l'interruttore per spegnerti questi stupidi pensieri.» lo interruppe, «Essere qui è una mia scelta, starti accanto è una mia scelta, come spendere il mio tempo è una mia scelta. Ho sempre vissuto come se non lo avessi fatto davvero. I miei amici, la mia famiglia… Ho sempre dato tutto per scontato, la mia vita era un cliché dove il ragazzo popolare vive la solita vita. Ma, da quando ti ho incontrato, da quando ti ho notato, tutto è cambiato. La mia prospettiva della vita è cambiata. Spesso mi sono chiesto “che cazzo sto facendo? Perché lo sto facendo?” ma ora, in questo momento, so che voglio stare qui, con te. Mi hai fatto capire che ogni minuto, ogni azione, ogni piccolezza è importante. Il fatto di starti accanto, mentre tu riposi, anche se non posso fare nulla, mi fa stare bene».

«Sta diventando come uno di quei film strappalacrime romantici dove al cinema, prima che si entri in sala, distribuiscono lenzuoli, secchi ed asciugamani per le lacrime e, durante la proiezione, c'è un addetto che passa lo straccio e scivola come un deficiente», vomitò con ironia mentre si asciugava le lacrime sfuggite al suo controllo. Le mani tremavano visibilmente, il viso continuava ad essere pallido come carta.

White si ritrovò a scrutare ogni suo minimo movimento. Le mani tremavano visibilmente, le braccia sembravano far fatica, le dita affusolate e pallide asciugare quelle lacrime salate che avevano solcato le sue gote diafane. «Non volevo farti piangere», sussurrò dolcemente.

«Non sto piangendo», disse togliendosi la coperta di dosso e sedendosi, con fatica, al bordo del letto.

«Che fai? Devi riposare», si alzò repentinamente per cercare di fermarlo.

«Non ci crederai mai perché sono perfetto, ma ho dei bisogni anche io», bofonchiò teatralmente, l'azzurrino.

«Che bisogni?» aggrottò la fronte, «Non dirmi che…» lasciò la frase in sospeso.

«Oltre che Stalker sei anche maniaco», cercò di trattenere un sorriso, leccandosi le labbra. Chris non poté far altro che fissargliele, seguire famelico quel movimento con la lingua per poi riportare le iridi ambrate su quelle azzurre. «Ho bisogno di andare al bagno».

«Oh…», sembrava deluso? «Ti accompagno».

«No, o dovrò indicare con il dito, all’agente di polizia, i punti dove mi hai toccato su un pupazzetto di pezza e-».

«Quante cazzate spari al secondo?» domandò serafica, una voce maschile che proveniva dall’uscio della porta. «Non sei cambiato per niente».

White si voltò verso quell’uomo. Aveva degli occhi castani con una scintilla di ironia. I capelli, neri come la pece, erano mossi e leggermente più lunghi. Un accenno di barba gli donava un aspetto trascurato e allo stesso tempo lo rendeva attraente e misterioso. Indossava una giacca di pelle e dei vestiti casual molto giovanili. Chi era?

«Neanche tu sei cambiato, sembri uscito da un film degli anni settanta. Ci manca solo che ti metti del gel o della brillantina, il pettine nel taschino e puoi interpretare uno di quei bulli.» si affrettò a dire. «Oppure potresti darti al porno».

«Sei proprio un nipote di merda», si avvicinò a Price, «Ho dovuto sapere che hai il cancro da quel coglione di tuo padre!»

«Che complimenti con i fiocchi», alzò un lato della bocca, «Ma ora che ti vedo più da vicino…»

«Fai il serio, testa di rapa» lo interruppe, facendolo sbuffare. «Perché non me lo hai detto? Proprio tu, poi», si passò le dita tra i capelli. Quell’uomo sprigionava sensualità da tutti i pori.

«È stato il medico a dirlo a mio padre. Non volevo che qualcuno lo sapesse».

«Barlow mi ha detto tutto, resterò qui è mi prenderò cura di te», affermò appoggiandosi sul materasso del letto.

«Non ne ho bisogno, torna pure a Phoenix», l'uomo fece per alzare una mano, «E non puoi picchiarmi, sono malato».

Lo schiocco del ceffone sulla nuca squarciò l'aria della camera. Gli aveva fatto più male del dovuto per colpa della Chemioterapia, l’azzurrino cercò di non mostrarlo. «Sei un bastardo», si massaggiò la parte lesa con quelle dita tremanti.

«Vick, lui chi è?» chiese confuso White, rimasto in silenzio a guardarli, divertito.

«Lui è uno sciupafemmine», il secondo schiaffo fece molto meno male.

«Sono Charlie Clark, suo zio», si presentò con un sorriso, «E tu sei?» Il ragazzo fece per rispondere, ma fu interrotto da Charlie, «Fammi indovinare, sei il suo fidanzato? Te lo sei scelto attraente». Si complimentò con il nipote dandogli delle leggere gomitate.

«Smettila di mettermi in imbarazzo, stupido vecchio in piena crisi di mezz’età», distolse lo sguardo, le gote erano leggermente rosee mentre, quelle di Chris erano rosso fuoco.

«Sono Christopher White e, purtroppo, non sono il suo ragazzo», gli sorrise.

«Quindi glielo fai sudare», punzecchiò Vick che sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo.

«Poi sono io quello che dice stronzate».

«La mela non cade mai lontano dall'albero. Comunque, ho parlato con Harden, il mio ex rivale in amore», il nipote aggrottò la fronte, «Ti ho fatto licenziare».

«Tu cosa?!» sbarrò gli occhi, increduli.

«Sto scherzando, ma entrambi riteniamo che tu non debba lavorare. Bob ti verserà l'ultimo mese di stipendio».

«Non potete farmi questo», sibilò. Non voleva pesare su nessuno, per questo era andato oltre il suo limite con i turni lavorativi. Voleva mantenersi da solo anche quando non sarebbe più stato in grado di lavorare. Non voleva l’elemosina da nessuno, non voleva essere mantenuto da nessuno. Possibile che quel momento fosse già arrivato?

«È ora che tu faccia l’adolescente, che ti comporti da tale e che vada a scuola senza preoccuparti se non per i voti e verifiche», ribadì lo zio. Victor continuava a tenere il capo chino, le dita stringevano maldestramente il tessuto candido delle lenzuola, si sentiva frustrato, l'uomo ne era consapevole. «Bene, adesso che ho messo le cose in chiaro», concluse guardando di sottecchi il biondo, «Vado a rimorchiare l’infermiera della reception. Ho notato che mi guardava in un certo modo», ghignò da bravo Don Giovanni, uscendo dalla camera.

«Vick», sussurrò Chris dopo qualche minuto di silenzio, «Stai bene?» domandò preoccupato. Non aveva proferito parola, alcuna battuta sarcastica appuntita era uscita dalla sua bocca. Gli sfiorò delicatamente le mani che stringevano il tessuto.

«Ho il cancro, sto benissimo», sussurrò sarcastico appoggiando la fronte alla spalla del ragazzo.

«Cosa ti passa in quella testa?» accarezzò delicatamente i capelli azzurro elettrico. Le dita risaltavano maggiormente in mezzo a quel colore sgargiante. Non si sarebbe mai immaginato fossero così morbidi.

Di risposta, il teppista lo strinse a sé e chiuse gli occhi per godersi al meglio quel contatto, afferrò il tessuto della maglia. «Adesso sto meglio», da quanto non riceveva delle carezze? Agli occhi di White, in quel momento, sembrava un gatto in cerca di attenzioni.

«Sai che puoi dirmi tutto, vero?» Victor alzò il capo per incrociare gli occhi color miele. Le labbra erano vicine, il respiro gli accarezzava, caldo, il volto.

«Una cosa ci sarebbe», soffiò sensualmente mentre l'altro ingoiava rumorosamente a vuoto. «Devo ancora andare al bagno», un sorrisetto solcò quel volto stanco. Lo aveva preso in giro, ancora.

*Sulla Terra la forza di gravità è pari a circa 9.81 m/s2 (1 g), mentre su Giove, essendo la sua di gran lunga superiore rispetto a quella terrestre, la forza di gravità è pari a (2,5 g). Il nostro peso su Giove è quindi 2,5 volte superiore rispetto a quello terrestre.

**Bisarca: è un carro merci o un autocarro (autotreno, autoarticolato) a due piani specifico per il trasporto di autoveicoli.

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