Pure imagination

Taylor

Non l'avrei mai detto, ma contro ogni probabilità Nate Hale mi ha restituito il buon umore che mio padre mi aveva decisamente tolto. Mi sembra equo, ora, fare la mia parte. Gli farò recapitare una nuova macchina fotografica. Mentre mangio un boccone al ristorante, chiamo Cameron avvisandolo che mi preoccuperò io della macchina fotografica di Hale, in fondo glielo devo, è stata colpa mia. Sfilo il tablet dalla borsa e cerco di informarmi sui modelli che utilizzano i fotografi professionisti, ma... non ci capisco nulla. Chiamo Heidi, visto che lei è esperta di servizi fotografici, non che sia una fotografa ma è spesso l'obiettivo da inquadrare, e le do appuntamento a casa mia.

"Bene... mi serve il tuo aiuto" le dico davanti ad una tazza di caffè. Lei mi guarda con i suoi occhi verdi, che illuminano un volto radioso incorniciato da una fulva chioma di capelli ondulati.

"Ti piace il mio nuovo colore?" dice ravvivandoli con le mani.

"Molto" il suo colore naturale è il castano ma questa sfumatura le dona molto di più "ora però devi aiutarmi" la imploro portando l'attenzione al tablet.

"Salve ragazze!" anche Maddie ci ha raggiunte.

"Maddie, mio padre non torna per Natale..." la aggiorno.

"Oh..." sa quanto ci tenga "e per te va bene?" alzo le spalle rassegnata.

"Non gli ho fatto cambiare idea quindi..."

"Ah..." continua a guardarmi scettica, con aria indagatoria.

"Cosa state combinando?"

"Compriamo una macchina fotografica" spiega ingenuamente Heidi, ma intercetto i dubbi di Maddie che a questo punto avrà tratto le sue conclusioni.

"Una macchina fotografica... ok..." dice semplicemente, il fatto che non abbia aggiunto maliziosi e sarcastici commenti mi ha sorpresa. La vediamo andarsene verso le camere canticchiando e fischiettando, mentre io e Heidi torniamo al sito di macchine fotografiche per professionisti.

"Sai cosa?" esordisce dopo che per una buona mezz'ora abbiamo riflettuto e ipotizzato su quale fosse la scelta migliore. Se solo avessi una vaga idea di quella che gli ho distrutto. 

Dovrei seguire un corso, potrebbe tornarmi utile per la sceneggiatura, in fondo - e avrei potuto anche pensarci prima, così ora non mi ritroverei a consultare siti sconosciuti nella più totale confusione.

"Chiamo Ronald..." annuncia Heidi.

"Chi è Ronald?" chiedo sollevando di scatto la testa dalla penisola, su cui sconfortata mi sono abbandonata.

"Un amico del mio agente, quello che organizza i miei servizi fotografici. Saprà darci qualche indicazione..."

"E perché ci hai pensato solo ora?"

"Non lo so" dice con un risolino isterico.

"E quindi Nate Hale... il fotografo più ambito dalle modelle di Manhattan e non per le sue abilità lavorative..." dice mentre attendiamo che Ronald risponda.

"Devo solo sdebitarmi... ieri sono stata scortese..." spiego

"Ah ah..." mi punta il dito sospetta come mi avesse scoperta a fare qualcosa di illecito.

"Cosa vorresti insinuare Heidi?" le chiedo ingenuamente.

"Oh be' che saresti come tutte le ragazze normali se ti innamorassi di Nate..."

"Non mi sono innamorata di Nate..." preciso avvampando.

"Oh no lo eri già, tant'è che i tuoi genitori ti hanno regalato una sua fotografia..."

"È un caso, ok?" spiego.

"Il caso amica mia è la prima pedina di una scacchiera che dobbiamo continuare a smuovere noi" dice facendomi l'occhiolino.

"Dimentica Jason" consiglia.

"L'ho dimenticato da un pezzo..." bisbiglio mentre lei inizia a conversare con Ronald. Jason. Il mio ex ragazzo. Mi ha lasciata la sera di Capodanno per poi chiedermi di rimetterci insieme un mese dopo - cosa che ovviamente non ho accettato - e ancora mi cerca per vederci. Declino i suoi inviti da un anno...

"Bene" ringrazia Ronald e riattacca. Poi si rivolge a me "Carta di credito e andiamo!" mi faccio trascinare dal suo entusiasmo, dal momento che ha posto fine alla mia inutile ricerca, prendo la borsa e ci tuffiamo nel nostro pomeriggio di shopping - o di soluzione ai miei guai.

Nate

È il mio lavoro. È normale. È il mio lavoro. Continuo a ripetermi sdraiato sul letto, mentre non riesco a togliermi dalla testa quella voglia che ho avuto di fotografarla. Sono stato costretto a serrare le mani in pugni per controllare la frenesia che mi correva nelle vene. Ma, era così spontanea, così... vera. Sono stato proprio uno stupido a giudicarla senza conoscerla. Sfilo l'ultima sigaretta del pacchetto nuovo che ho comprato prima di tornare al monolocale. Mi affaccio alla finestra. 

Il modo in cui ha descritto la mia foto... era proprio quello che avevo voluto catturare. Decido di fare una doccia. Se l'acqua mi scorre sul corpo sciogliendo i nodi che la tensione aveva creato, nella mia mente non la smettono di rincorrersi le immagini di Taylor a Central Park. Cazzo. Mi viene voglia di... non posso. Forse è normale anche questo... è da tanto che non vado a letto con la mia ragazza. 

Suonano al campanello. Chi è a quest'ora? Dimentico l'immagine di Taylor e me sotto la doccia e l'istinto di toccarmi pensando a lei, pensando a noi. C'è un corriere. Torno in bagno, mi passo un asciugamano sui capelli, mentre con un altro mi cingo il bacino. Apro il portone e lo faccio entrare.

"Una firma qui" mi porge la pennetta e il display su cui apporre la firma digitale, dopo avermi squadrato con sguardo sconsolato e arreso. Preferisco non decifrare il significato dell'espressione e mi concentro sul pacco che mi affida.

"Scusi ma chi lo manda?" chiedo mentre osservo l'incarto natalizio. Si saranno sbagliati.

"C'è scritto tutto qui" dice picchiettando il pacco e di tutta fretta risale sul suo furgoncino. Quando rientro e mi chiudo la porta alle spalle, sono ancora convinto che ci sia un malinteso. C'è un biglietto.

Per Nate Hale

Da una busta rossa, sfilo il cartoncino:

Spero di aver rimediato almeno in parte al danno che ti ho procurato. Dopo aver vagliato diverse alternative, non senza validi consiglieri, ho ritenuto che questa possa aiutarti per catturare al meglio le emozioni delle persone in cui ti imbatti e che trasformi in opere d'arte.

-T

Taylor. Deduco che non ci sia nessuno fraintendimento, allora. Rigiro tra le dita il cartoncino e istintivamente lo ispiro. Ha il suo profumo. Un'innaturale fragranza di fragole e cioccolato. Sfilo il fiocco e apro il pacco, avvolto da una carta rossa e dorata. Ma che... c'è di tutto. C'è l'intero professionale kit fotografico. Le sarà costato una fortuna. D'accordo che non baderà a spese ma... spenderle così per... me che mi sono comportato da stronzo dal primo momento. Non posso accettarlo. Ma come ha avuto l'indirizzo del mio monolocale? Immediatamente, la prima cosa che mi viene in mente è chiamare Jeffrey. Prendo il telefono che ho lasciato sul comodino dell'ingresso.

"Ma come ti è venuto in mente di diffondere le mie informazioni personali? Hai mai sentito parlare di privacy?" tuono appena risponde.

"Ehi aspetta, che c'è? Non ti seguo..."

"No aspetta tu, perché hai permesso che mi ricomprasse l'intero kit fotografico? Non voglio avere conti in sospeso con nessuno" sono furioso, cammino avanti e indietro, confuso sull'origine della mia reale rabbia. Non so se a questo punto sono più arrabbiato con me stesso per la voglia che ho avuto di scattarle un album fotografico questa mattina o se mi sento ferito nell'orgoglio.

"Senti, hai detto tu che è stata lei a distruggerti la macchina fotografica, no? Ed è stata sempre lei a chiamarmi per dirmi che voleva rimediare ... ma qual è il problema? Prima ti lamenti perché non hai l'attrezzatura per lavorare e ora che grazie a Taylor ce l'hai che ti prende? Non potresti limitarti a ringraziarla? È Natale Nate!"

"Ancora non è Natale..." puntualizzo. Lo sento inspirare profondamente.

"Non so che cos'abbia quest'anno ma sei più difficile... almeno le altre volte scattavi le tue foto e te ne andavi, forse non ho mai avuto tempo di conoscere il tuo lato altezzoso e intransigente. Non so davvero che ti prenda. Passo a prenderti alle otto e andiamo a cena. Ne parliamo" riattacca senza darmi possibilità di replica. Getto il telefono sul letto. Poi lo riafferro con rabbia per provare a richiamare Evelyn. Ancora la segreteria. 

Ma in Messico non esistono le reti telefoniche? Mi siedo sul bordo del letto, osservo la scatola aperta ai miei piedi, il regalo di Taylor. Non posso accettarlo. Rileggo il suo biglietto e lotto ancora con la tentazione di respirare il profumo di cui è imbevuto. Non so se sono io a immaginarmelo o se profuma davvero. Forse è meglio uscire a fare una passeggiata. Mi asciugo velocemente i capelli, infilo i jeans, una camicia e un blazer, il cappotto e la sciarpa e vado a fare due passi. Prima di chiudermi il portone alle spalle, rientro, prendo la macchina fotografica. Vale la pena provarla...

Taylor

"Spero solo di aver fatto la scelta giusta" dico mentre osservo il mio drink, senza alcuna voglia di berlo.

"Tranquilla, apprezzerà sicuramente. Ma lui si è fatto vivo? Ti ha chiamata?" sono con Heidi al Plaza per il nostro aperitivo, non che avessi voglia di protrarre la giornata fuori casa, ma insomma, dopo l'aiuto che mi ha dato con Nate, non volevo lasciarla sola. 

"Non ha il mio numero" dico, come se mi fosse scappato un pensiero ad alta voce. Lei, che sta giocando con l'oliva del Martini in bocca, mi guarda con occhi sgranati.

"E non lo hai scritto sul bigliettino che hai inviato con il pacco?"

"No..." dico con un filo di voce, dal momento che i suoi occhi sgranati, per lo stupore, mi fanno sentire quasi in colpa.

"Taylor!" mi rimprovera come fosse la maestra di seduzione delusa dall'allieva.

"Non ci ho pensato e poi non voglio mica provarci... che idea gli darei di me?" mi giustifico.

"Perché che idea vorresti dargli?" chiede maliziosa. Avvampo. Che idea vorrei dargli?

"Nessuna idea... senti" mi massaggio le tempie "possiamo parlare di altro? Ho la testa che mi esplode, devo cercare di scrivere un articolo per cui non sono per niente ispirata, ho passato tutto il pomeriggio a scegliere una macchina fotografica per Nate HALE, possiamo evitare di parlare di lui?"

"D'accordo... solo perché mi fai tenerezza. Prendi la borsa, so come farti tornare l'ispirazione per l'articolo..."

Heidi mi ha trascinata nella pista di pattinaggio al Rockefeller Center. Ci veniamo ogni anno - se quando eravamo piccole potevamo permetterci, in questo periodo, di frequentarlo tutte le sere, ora, da adulte, cerchiamo di venirci almeno una volta durante le feste. Heidi aveva ragione. Pattinare sotto le gemme colorate dell'albero, con quella luce calda e accogliente che emanano, come se ti abbracciassero e ti facessero dimenticare le temperature polari di queste settimane, circondate dall'entusiasmo dei bambini, mi restituisce la spensieratezza di cui avevo bisogno per sgomberare la mente.

Nate

"Allora, ti è passata?" diciamo che la passeggiata per Brooklyn ha sortito il suo effetto, rispondo tra me e me. Ho canalizzato le energie per fotografare scorci della città, sì, anche Dyker Heights con le sue decorazioni, il ponte al tramonto e... alcuni momenti romantici in cui mi sono imbattuto. Mi manca Evelyn e oggi pomeriggio ho cercato di ritrovare il nostro rapporto negli sguardi, nelle carezze, nei baci degli altri. Ritorno alla domanda di Jeffrey e mi scolo un calice di vino rosso.

"Sì..." ammetto, non ho voglia di discutere.

"Bene" dice mentre taglia la sua bistecca. Siamo in una Steakhouse a Brooklyn, il primo ristorante in cui ci siamo imbattuti passeggiando. Siamo uomini di poche pretese "quindi da domani inizierete a lavorare insieme, no?"

"A quanto pare..."

"Ascolta, non voglio intromettermi, né chiederti perché vi conoscete, anche se ammetto, la cosa mi incuriosiche parecchio, ma è una brava ragazza" dice guardandomi negli occhi con espressione seria e perentoria, quasi "si impegna molto, nonostante suo padre sia un pezzo grosso..."

"Non mi dire..."

"Non essere ironico, dico davvero... sono convinto che ti troverai bene con lei. Scommetto che se unirete le forze in un paio di giorni avrete consegnato il lavoro e potrai volartene a Dublino" dice soddisfatto.

"Fotografare le espressioni dei newyorkesi che rappresentino l'essenza del Natale, ma come ti è venuto in mente?" chiedo agitando le posate che ho in mano.

"L'entusiasmo con cui è stato acclamato l'articolo di Taylor... ha proprio colto il messaggio del Natale. Ti farà bene la sua frequentazione. Sai ci pensavo mentre venivo a prenderti... tu sei il Grinch e lei è Cindy Lou" dice mentre gusta la sua bistecca che, visto il suo vorace appetito, sembra deliziosa.

"Chi?" chiedo versandomi altro vino "il Grinch e Cindy Lou" non so di cosa parli, per cui ci bevo su.

"Un giorno capirai..."

"Saresti partito domani giusto?" lo guardo di sottecchi senza rispondergli.

"Siccome ho cambiato i tuoi piani, mi sono preso la libertà di prenotarti una stanza, a mie spese ovviamente, al Rivera Apartments" il vino che sto sorseggiando mi va di traverso.

"Che hai detto?" articola a fatica la domanda, un po' per lo stizzico che ho in gola, un po' per la perplessità dovuta alla sua informazione.

"Ma sì, d'altra parte è proprio nel cuore di New York. Manhattan. Sono convinto che avrai più ispirazione per le tue foto"

"Senti... non è il mio stile, quegli appartamenti non rientrano nel mio stile" puntualizzo.

"Non devi trasferirti lì per sempre" continua "si tratta di pochi giorni. Io ho prenotato per una settimana, ma appena consegnerete l'articolo sei libero. Lo consegni domani? Parti domani. Lo consegni dopodomani, parti dopodomani. Lo consegni sabato..."

"Parto sabato il concetto è chiaro" lo interrompo sfinito.

"So come sei fatto... non ami che gli altri siano gentili con te, ma prendilo come un segno di rispetto verso il lavoro che fai. Ti stimiamo molto a New York, lo facciamo per te..."

"Grazie" dico poco convinto.

Visto che dovrò trovarmi in redazione al più presto domani, Jeffrey ha insistito perché mi trasferisca questa sera stessa al Rivera Apartments. Davanti alla comodità di scendere le scale e trovarmi a pochi passi dalla sede del The New York Sides, piuttosto che alzarmi all'alba, prendere la metro o il taxi sfidando il traffico della City, sono costretto ad accettare. Prendo il borsone, il regalo di Taylor e lascio le chiavi nella cassetta della posta, come mi aveva suggerito il proprietario.

"Grazie Jeffrey" dico quando mi lascia davanti all'edificio.

"Non devi ringraziarmi, sorprendimi, questa settimana" sorrido. Gli auguro la buonanotte. Dietro la sua auto si ferma un taxi.

"Ciao, a domani" è Taylor, che scende leggermente barcollante. La risata in cui esplode conferma che è ubriaca.

"Nate!" esclama dopo che ha salutato chiunque sia dentro il cab. Si fa improvvisamente seria, guarda me, il pacco che ho in mano, poi di nuovo me. Neanch'io so bene cosa dire.

"Ehi divertitevi voi dueee" una ragazza dai capelli rossi sporge la testa dal finestrino, deve essere ubriaca anche lei. Il taxi parte e noi restiamo davanti al Rivera Apartments, senza muovere un passo. Taylor non riesce a stare ferma.

"Hai bevuto?" chiedo non riuscendo a trattenere una risata.

"Si vede?" dice visibilmente in imbarazzo.

"Dai andiamo..." con una mano dietro la schiena la accompagno dentro, fino all'ascensore. Tramite lo specchio la osservo, cercando di non turbarla con indiscrezione. Non è bello sentirsi osservati quando si è consapevolmente ubriachi, lo so per certo.

"Vieni a dormire da me?" chiede. Ora quello in imbarazzo sono io. In un certo senso sì, sto andando a dormire in uno dei suoi appartamenti.

"Cioè volevo dire..." dice coprendosi il volto con le mani.

"Tranquilla, so cosa volevi dire... sì, finché non consegneremo il lavoro resterò in uno di questi appartamenti..." controllo il numero della stanza sulla chiave che mi ha consegnato Jeffrey "il 182" riferisco. Lei sorride timidamente e io mi sento ancora più stronzo. Tutte quelle cattiverie e i pregiudizi che ho avuto su di lei mi si sono ritorti contro. Sono finito addirittura a soggiornare in un hotel di lusso newyorkese, lungi da me, di proprietà del padre della ragazza che ho giudicato dal primo momento che l'ho incontrata, senza conoscerla.

"Oh... ho trovato l'ispirazione. Ti prometto che ci metterò poco, così potrai partire" il modo in cui pronuncia quelle parole, come si sentisse in colpa, mi provoca una fitta al cuore - sì, ho un cuore. Sono io quello che si sta vergognando e sta sguazzando nei propri sensi di colpa per averla trattata come una ragazza viziata ed egoista. Quello egocentrico, immaturo, rude ed egoista sono stato solo io.

"Non avere fretta... scusami se sono stato insistente. Sono sempre un po' nervoso quando rientro a New York" spiego, ma non è una giustificazione. Questa volta ho esagerato, anche con Jeffrey, sono andato oltre il distacco professionale. Sono stato proprio uno stronzo con tutti e due.

"Ok" sussurra. Decido di accompagnarla fino al suo attico per assicurarmi che rientri sana e salva. Non appena si aprono le ante dell'ascensore, lei compie un passo in avanti e inciampa. Mi avvento su di lei, lasciando cadere a terra il borsone e il pacco regalo.

"Non è successo niente, ora ci alziamo" la sollevo per le gambe e la aiuto a sdraiarsi sul divano. Accendo la luce della lampada sul tavolino rotondo accanto.

"Scusa... ho bevuto un po' troppo..."

"Non devi chiedermi scusa" mi inginocchio. È visibilmente stanca, non deve essere stata una giornata semplice, a partire dai battibecchi con me.

"Ti preparo una tazza di caffè" dico spontaneamente. Cosa mi prende all'improvviso? Da dove mi viene questa premura? Forse i sensi di colpa per averla giudicata troppo presto? Lei annuisce alla mia proposta. Resto ancora ad osservare il suo sguardo che vaga ora sulla mia bocca, ora sui miei occhi, sul mio naso, poi di nuovo sulla mia bocca e mi costringe a fare lo stesso. A studiare i suoi lineamenti morbidi e dolci. Prima che ci avviciniamo troppo, mi allontano, quando le nostre labbra sono ad un centimetro di distanza. 

Taylor, irrigidita, prova a distendersi ed io mi dedico alla macchinetta del caffè. Preparo due tazze, ma quando la raggiungo sta già dormendo. Ha le gote rosee, le labbra rosse, senza ombra di rossetto, e le ciglia lunghe e bionde. È di una bellezza naturale che toglie il respiro. Le do un bacio tenero sulla fronte. Non riesco a farne a meno. Con tutte quelle decorazioni che la circondano mi sembra proprio di lasciarla nel paese delle favole.

"Buonanotte principessa delle favole" sussurro.

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