Close your eyes
Nate
Il viaggio è stato estenuante. Non ho fatto altro che immaginare la scena, ripetere il discorso infinite volte tanto da scriverlo sulle istruzioni di volo infilate nella tasca del sedile del posto di viaggio davanti a me. Ma non è servito a niente. Quando sono tornato a casa, Evelyn mi stava aspettando interamente nuda, mi ha strappato i vestiti di dosso ed è salita sopra di me. Non ho provato niente. Zero. E lei se ne è accorta perché non è mai successo che non fossi partecipe nel nostro rapporto.
"Ti avevo promesso che ci saremmo sposati ma..." esordisco mentre siamo nel letto a consumarci nel silenzio, io con le mie risposte, lei con le sue domande che non mi pone. Mi guarda con i suoi occhi di ghiaccio che, se prima li trovavo accoglienti, ora li percepisco gelidi, come li hanno sempre definiti gli altri. Forse piacevano a un Nate che aveva rotto con il suo passato, che si era rinnegato, ma credo che, se voglio capire chi sono davvero non posso rompere con chi sono stato. Con Evelyn ho finto, le ho mentito dall'inizio, laddove credevo di fare un bene ad entrambi. Le avevo detto che ero cresciuto in un collegio di New York e che ero scappato a diciotto anni. Ma l'unico posto da cui sono scappato davvero è da me stesso. Ho finto di essere qualcuno, ho immaginato potesse esserci un Nate Hale senza un Nate.
"Hai un'altra?" chiede diretta e distaccata, come non lo stesse chiedendo al suo compagno.
"Non è questo il punto..."
"Invece sì... so che fai il fotografo e so che probabilmente mi hai tradito tante volte, deve esserci per forza un'altra se mi stai lasciando..." dice con le braccia al petto mentre si porta una sigaretta alle labbra e mi fa pensare che non ne ho toccata una da questa mattina. Conosco a perfezione il suo corpo e se prima la contemplavo come una dea, se prima volevo leccarla, baciarla in ogni punto, ora la osservo solo con tenerezza e affetto. Dopo questa constatazione ritorno sulle sue parole.
"Tradito tante volte?" chiedo sbalordito "Evelyn io non ti ho mai tradita. Ero innamorato di te"
"Eri" ripete con un sorriso amaro. Cerco di avvicinarmi, ma lei, ancora nuda, si allontana per sedersi sulla sedia accanto al letto. Viviamo in un cottage che abbiamo trasformato nel nostro rifugio, entrambi viaggiamo molto per lavoro ma lo abbiamo arredato di modo che possiamo sentirci in un posto tutto nostro... anzi, potevamo. Persino queste mura di legno, la scrivania che ho realizzato io stesso, i miei abiti, le mie foto appese a un filo, dell'ultimo viaggio in Indonesia, oltre alle nostre foto scattate da Evelyn in pose che teniamo per noi, non mi sembra che mi appartengano più. Mi sollevo dal letto, infilo i pantaloni e mi inginocchio accanto a lei, guardandola dritto negli occhi.
"Non ti ho mai tradito e ho sempre creduto che fossi la donna della mia vita, ma, fidati. Sono stato disonesto con te, perché lo sono stato ancora di più con me. Ti ho nascosto la verità sulla mia vita, sulle mie origini, sul mio passato perché credevo di poterlo rinnegare, di poter andare avanti con le bugie, fingendo che non fosse mai esistito. Quando ti ho incontrata, Evelyn, ho pensato che non ti saresti meritata uno come me, con un passato irrisolto, che ha abbandonato sua madre a New York e non le è stata vicino, non l'ha aiutata a convincerla a lasciare suo marito... non le sono stata accanto per infonderle la forza, il coraggio di cambiare vita. Ho pensato solo a me stesso e credevo di poter vivere così. Ma..." mi fermo. Non riesco ad ascoltare le mie parole.
"Nate io non sapevo niente di tutto questo" ammette prendendomi il volto tra le mani, che stringo nelle mie.
"È per questo che è la decisione migliore lasciarci... non sono mai stato sincero sulla mia vita, ma ero sincero quando ti dicevo che ti amavo e che volevo sposarti" lei avvicina le sue labbra alle mie. È un bacio tenero, affettuoso, figlio degli anni in cui siamo stati insieme, anni in cui siamo stati liberi di amarci, liberi di lasciare l'altro a condurre la sua vita senza ostacoli, senza possesso, senza ossessione.
"Non mi hai mai tradita?" scuoto la testa.
"Credevo che lo facessi" la guardo perplesso.
"E non mi hai mai detto niente?" ribatto altrettanto sbigottito.
"No, insomma. Non mi importava, lavoravi con tantissime donne e lo davo quasi per scontato..." non so come reagire a questa risposta. Devo dedurre che lei invece mi ha tradito? Sapete che c'è? Non mi importa. Mi alzo con una sola idea in mente.
"Comunque l'ho sempre saputo" dice con aria saccente portandosi la sigaretta alla bocca "non sei un ragazzo che vuole star fermo, in una casa accogliente e con una famiglia intorno ed io sono come te. Ci saremmo lasciati massimo dopo un anno, se ci fossimo sposati" scoppio a ridere.
"Non puoi dirlo con certezza..." commento facendo le valigie.
"Cosa ti ha fatto cambiare idea Nate? O... chi?" chiede imbrigliata in una nuvola di fumo. Sorrido.
"Il destino... ha giocato con me e... ha vinto"
Taylor
Abbiamo allestito l'appartamento del primo piano con un enorme tavolo, che ha richiesto gli sforzi dell'impresa e del catering per prepararlo come lo avevo desiderato – e per "stare larghi" ho fatto momentaneamente smontare la cucina... mio padre non sa nulla, ma avendo avuto carta bianca... Non volevo ricreare la mensa di ogni anno al tendone che allestivamo a Central Park. Visto che dovevo organizzarla io, ho deciso che avremmo fatto a modo mio: regalare non solo un pasto caldo, ma l'atmosfera di una famiglia, di un caloroso Natale, all'insegna della gentilezza, dell'altruismo e dell'amore. Anche se pensare all'amore mi fa tornare alla mente solo una persona, questa sera voglio mettermi al servizio di persone che hanno davvero bisogno di un sorriso, di credere che la loro vita potrà migliorare, che New York è la città dove i sogni possono avverarsi un giorno, come spero che si avverino i miei.
"Signorina Rivera" mentre faccio il giro del tavolo per assicurarmi che proceda tutto come deve, una signora anziana attira la mia attenzione stringendomi la mano, gesto che ricambio "è tutto magnifico. Non respiravo da tempo quest'aria natalizia, mi sembra di vivere in una favola, grazie, grazie" ha gli occhi lucidi e credo che lo siano anche i miei. La abbraccio istintivamente e la lascio proseguire con la cena. Si respira un clima familiare, in effetti, e proprio questo speravo.
La condivisione tra persone sconosciute accomunate da un pasto, una tavola e tante storie di vita da raccontare. Davanti ai miei occhi credo di avere la vera essenza del Natale, che supera di gran lunga quello che ho sempre creduto. Non sono i regali sotto l'albero quelli che dovrebbero riunire la famiglia, sono le persone con cui scegliamo di condividere quel giorno il regalo migliore che possiamo farci.
"Tesoro credo che ci sia qualcuno per te..." Maddie mi distrae mentre sono immersa a contemplare soddisfatta i volti rilassati e sereni dei commensali. Quando guardo verso la stessa direzione in cui è orientato il suo sguardo non credo ai miei occhi. Nate.
Nate
Chi l'avrebbe detto che avrei passato la giornata della Vigilia su un aereo, aereo preso con una dose di fortuna notevole. Era prevista una tempesta di neve che, a quanto pare, arriverà nei prossimi giorni, non stasera, per cui mi hanno lasciato partire – per un cambio improvviso di previsioni metereologiche... ma ci rendiamo conto? Non potrei concludere quest'anno nel modo più assurdo se penso che l'anno scorso, dopo aver chiuso il servizio fotografico per Jeffrey, sono saltato su un aereo con la gioia nel cuore per lasciarmi questa città alle spalle. Ci sono ritornato un anno dopo e dopo neanche quarantott'ore sono di nuovo qui. A casa. Devo fumare. Nell'attesa di prendere un taxi, apro il pacchetto e me ne infilo una in bocca.
In aereo ho letto l'articolo di Taylor, non potevo crederci quando ha citato le mie parole, consigliando che per Natale dovremmo regalarci la sensibilità e il tempo di soffermarci sul "sorriso candido di un bambino povero che gioisce davanti a un pallone o un raggio di sole, l'ottimismo di un'anziana che ama la vita anche se le guerre l'hanno scalfita ma non abbattuta, il tramonto sul mare di Bali, l'abbraccio appassionato di due bambini alle favelas, la curiosità, l'amicizia e la fratellanza... la solidarietà" – come dice un mio amico, ha aggiunto. Probabilmente non ci conosciamo abbastanza, ma di certo abbiamo giocato a carte scoperte, senza aver temuto di nascondere i nostri lati negativi e questo non posso sottovalutarlo. Non posso sottovalutare che trovo sensuale ed eccitante persino litigare con lei e la sua lingua biforcuta. Ho informato Jeffrey del mio ritorno poco prima di partire, ho bisogno del suo siuto e... spero solo di essere in tempo.
Quando arrivo al Rivera Apartments salgo al primo piano, dove un sottofondo natalizio mi guida da lei. La trovo abbracciata ad una signora, una delle tante sedute ad un tavolo – enorme e pienissimo di persone in difficoltà agghindate al meglio. La scena emozionante, il loro scintillio negli occhi, la gratitudine per questo momento fa commuovere anche me. È questo il Natale. E sono talmente coinvolto dall'atmosfera che quasi non mi accorgo di Maddie. Si avvicina a Taylor che, non appena mi vede, rimane a bocca aperta. Quella sua lingua biforcuta almeno è in pausa, penso divertito.
"Che ci fai qui?" chiede incredula, con gli occhi sgranati. Lascio cadere a terra il mio borsone inseparabile compagno di viaggio e mi avvicino al personale del catering che sta servendo i dessert. Mi accorcio le maniche e mi offro per aiutare con le portate.
"Sono venuto a dare una mano" dico facendole l'occhiolino. Mentre lascio che si riprenda, osservo la gran cura con cui ha organizzato tutto, come se fosse per la sua famiglia. Si snodano bouquet di ogni tipo su questo tavolo sofisticamente e amorevolmente apparecchiato, stelle di Natale, candele, calici di cristallo, casette di marzapane, rami di abete con fiocchi rossi per i segnaposto. Cerco il suo sguardo, lei mi sta ancora osservando. È incredibilmente bella questa sera. I capelli biondi cadono ondulati sulla schiena e il vestito bianco che indossa le dona un'aria angelica. È perfetta.
Taylor
"Mi devi delle spiegazioni" mi avvicino a lui solo dopo che la serata è finita. Sono le due di notte. Gli invitati se ne sono andati, soddisfatti ed emozionati, quanto me. Ho evitato che la televisione si intromettesse nell'evento così da creare un'atmosfera più intima, senza scopi pubblicitari che possano giovare all'immagine della nostra famiglia. Anche Maddie è andata a casa, le ho lasciato, anzi le ho ordinato di prendersi l'intera settimana libera. Se lo merita dopo il tour de force a cui l'ho sottoposta, così restiamo io, Nate, il sottofondo natalizio e gli addobbi di questo appartamento.
"Hai ragione ma prima vieni" mi invita a indossare il cappotto che afferra dall'appendiabiti accanto alla porta e che mi aiuta a infilare. Lo guardo incuriosita ma non mi tiro indietro. Lo seguo al piano inferiore, Roger non c'è – ovviamente – e io devo sbloccare l'entrata. Nate chiama il primo taxi che passa davanti al Rivera Apartments, apre lo sportello e mi invita ad entrare. È così galante e tranquillo questa sera che sono quasi preoccupata. Attraversiamo una New York deserta e vissuta dai bagliori delle luci natalizie, che mi incantano come le vedessi per la prima volta, e io devo essere proprio impazzita se, anziché oppormi alla sua proposta quando in realtà dovrebbe essere con la sua ragazza, mi ritrovo con Nate Hale sui sedili posteriori di un taxi, la notte di Natale.
"Dove stiamo andando Nate?" chiedo dal momento che lui non accenna a darmi indicazioni o spiegazioni.
"Solo qualche minuto e vedrai..." mi oppongo a tutto questo mistero.
"Che succede Nate? Come pretendi che io ti segua se hai lasciato due giorni fa New York, avendo preso il biglietto senza che io avessi finito l'articolo, senza che ne parlassimo? Hai pensato solo a tornartene a casa, da Evelyn e ora, la sera della Vigilia, anzi, è Natale, sei qui, a New York, da dove volevi solo andartene" sbotto. Non riesco ad evitare lo sguardo indiscreto e perplesso del taxista che cerca di spiarci dallo specchietto retrovisore e prima che ne abbia anche per lui, Nate lo informa che siamo arrivati. Mi guardo intorno e capisco che siamo nei pressi di Central Park. Scendo, imbronciata, arrabbiata con lui e con me per avergli dato retta, rendendomi probabilmente ancora complice di un tradimento. Il taxi, frapposto a noi, parte e Nate con una falcata riempie il vuoto lasciato.
"Hai ragione Taylor ma... non sono bravo con le parole. Potresti pazientare qualche minuto per capire tutto?" mi arrendo davanti alla sua diplomazia. Non ci avevo fatto caso, ma è anche elegante questa sera. Indossa un cappotto che arriva all'altezza delle ginocchia, un golfino di lana a collo alto blu, come i suoi occhi. Le sue labbra sono rosse, per via delle temperature polari, e mi ricordano il nostro bacio. Fremo dalla voglia di unirle alle mie e mi mordo il labbro inferiore per trattenermi.
"D'accordo" mormoro. Nate accelera il passo costringendomi a fare lo stesso. Perché siamo a Central Park? Mi chiedo. Non l'ho mai frequentato alle due del mattino, né tantomeno la mattina di Natale. Siamo solo io e Nate.
"Cosa ci facciamo qui?" chiedo impaziente. Mi sembra tutto così assurdo.
"Chiudi gli occhi" che? Si aspetta davvero che io chiuda gli occhi con il rischio che mi lasci qui da sola? Non mi fido.
"Chiudi gli occhi Taylor" questa volta lo sussurra al mio orecchio ed io posso inebriarmi del suo profumo, menta e caramello – non so perché abbia questo aroma – che mi accompagna ad assecondarlo. Come potrei fare altrimenti? Ha spento come un alito di vento la flebile fiamma d'odio che ho provato fino ad un attimo prima per lui. Sono troppo vulnerabile...
"Ora stringi le mie mani e fidati di me" la sua voce roca è innegabilmente erotica, si inerpica in ogni muscolo del mio corpo e mi rilassa, mi fa sentire a mio agio disintegrando ogni diffidenza nei suoi confronti. Forse è un gioco pericoloso, forse dovrei chiedergli perché non è a Dublino con Evelyn visto che ha comprato il biglietto in anticipo per non rischiare di restare bloccato qui un giorno in più, ma non lo faccio. Seguo il mio istinto, proprio come quando l'ho baciato. Se sto sbagliando, non mi importa. Custodirò gelosamente questo errore per sempre. Voglio sbagliare se sto sbagliando con Nate.
"Ora puoi aprirli" siamo sulla pista di ghiaccio di Central Park e... sotto ai nostri piedi sono proiettate delle foto... mie. Mentre mangio i bagels, mentre faccio le giravolte per Manhattan – quando sono contenta ballo per strada, è strano lo so – mentre sorrido come fossi una bambina, in effetti, ci sono molte foto in cui rido. Forse era l'effetto di Nate, che inevitabilmente mi faceva sentire su di giri, che inevitabilmente mi faceva sentire... bene. Felice. Se i miei sorrisi in queste foto dovessero avere un nome si chiamerebbero Nate Hale. Per quanto sia imbarazzante vedere proiettate le mie immagini sulla pista di Central Park, non credo di essermi mai sentita più compresa, desiderata, amata di così. Non so cosa provi Nate in questo momento ma non mi importa. È quello che provo io in questo momento ciò che conta davvero.
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