Anna O. (Kaveh X Alhaitham)

Dove Alhaitham è Alhaitham e Kaveh non è isterico ma peggio,soffre di isteria.

La loro convivenza non era altro che una nuova sorta di contratto sociale con cui si impegnavano a condividere un bene comune nel rispetto di regole e turnazioni. Non certo,quindi, che questo implicasse qualsiasi tipo di rapporto fra loro che andasse oltre quello strettamente professionale, eppure i due si erano squadrati attentamente, all'inizio, e avevano piantato le tende di un rapporto che sembrava essere figlio della reciproca curiosità e ,in qualche modo, dell'interesse comune.
Erano comunque due persone molto diverse, le loro abitudini lo erano,il loro temperamento lo era ancora di più,i loro valori morali ed etici si trovavano quasi su poli opposti. Nonostante tutto, Alhaitham si disse che se mai la presenza di Kaveh lo avesse davvero infastidito,non avrebbe esitato a buttarlo fuori senza troppi convenevoli. Una situazione del genere, tuttavia,non si era mai presentata.

Entrambi i due giovani proseguivano con le loro occupazioni quotidiane nella quieta coesistenza: che per Kaveh implicava un dispendio di energie non indifferenti, mentre per Alhaitham, la maggior parte delle volte, significava non fare assolutamente niente.
Ovviamente l'architetto si sentì quasi in dovere di sottolineare questa disparità più volte,spesso come argomentazione per abbassare un po' il prezzo dell'affitto, ma era una discussione a senso unico che risultava nel silenzio e disinteresse più totale dell'altro,dovuto principalmente al fatto che aveva messo le sue cuffie antirumore all'inizio del teatrale monologo di cui non aveva colto una sola parola.

Kaveh si era preoccupato, qualche volta,per le sorti di Alhaitham.
Aveva cercato bene di non darlo a notare,tuttavia, anche se per lo scriba lui era praticamente un libro aperto.
Dopo i fatti avvenuti a Sumeru, ai quali lui non era stato presente perché si trovava fuori città e solo al suo rientro era stato informato da persone di sua conoscenza del coinvolgimento di Alhaitham nella pericolosa operazione, aveva avuto un peggioramento nel suo temperamento probabilmente dovuto in parte alla preoccupazione circa la possibilità che il suo coinquilino ci rimettesse la vita.
Il problema era l'affitto? Nossignore, certo è che se Alhaitham avesse tirato le cuia probabilmente Kaveh avrebbe avuto la casa tutta per sé (più di una volta aveva fatto un pensierino sul velocizzare questo processo,ma solo per scherzo).
In un certo senso, più che altro,l'architetto si era abituato alla sua presenza.
Era come un rumore fastidioso che ti tiene sveglio la notte ma che, quando cessa, ti lascia una sensazione di incompletezza che ti impedisce lo stesso di dormire.
Si potrebbe dire che per lui Alhaitham era quel rumore fastidioso.
Lui non lo sapeva,ma per l'altro era lo stesso.
Si sarebbero lamentati della loro convivenza fino a perdere la voce,ma nessuno dei due al quale fosse messa in mano la chiave di un'altra casa, avrebbe probabilmente messo il piede fuori la porta per primo.

E quindi successe che ,implicitamente, iniziarono a preoccuparsi l'uno per l'altro.
Il problema fu quando Kaveh si ammalò.
Sumeru era la regione della saggezza per antonomasia, eppure questa saggezza che ricercava continuamente una dimensione fuori dall'uomo aveva dimenticato che la scienza era stata creata PER l'uomo.
Nessun medico a Sumeru avrebbe saputo davvero diagnosticare un male che non viene dal corpo,e fu quella la disgrazia di Kaveh.
Successe in concomitanza con l'apertura di un grande progetto edilizio che consisteva nel ristrutturare le parti dell'edificio accademico andate distrutte durante i fatti del ritorno al potere di Lesser Lord Kusanali,e il compito venne affidato ai migliori architetti e costruttori si Teyvat, e in particolare di Sumeru,fra i quali ovviamente rientrava anche Kaveh.
Era un'occasione d'oro.
Il compenso per un disegno anche solo passabile era già abbastanza per pagare l'affitto di un anno al suo coinquilino, se poi fosse stato in grado di stupire i committenti magari ci avrebbe guadagnato pure il posto fisso: il che significava guadagno stabile,e la possibilità di concedersi qualche lusso in più.
Doveva essere la sua più maestosa realizzazione.
Nei primi mesi dopo l'assegnazione del compito, Kaveh ci si dedicò con sforzo malato lavorando giorno e notte, viaggiando senza sosta per confrontare i suoi precedenti lavori ed annotarne le mancanze per far sì che il suo prossimo progetto fosse senza dubbio il migliore.

Alhaitham lo osservava.
Lui,per carattere, riconosceva gli sforzi altrui e alcune volte li lodava anche, ma proprio non li comprendeva. Aveva scelto un lavoro semplice che gli permettesse la massima resa col minimo sforzo.
A detta sua, l'impegno di Kaveh era a dir poco sproporzionato.
<<Non farmelo ripetere,devi mangiare>>
Disse una sera,spingendo verso di lui sulla scrivania un piatto della pizza speciale che lui stesso preparava.
<<Non spingerlo così vicino,rischi di sporcarmi i progetti!>> Sbottò lui.
Lo scriba sospirò,con un'alzata di spalle.
Era la seconda volta che quel teatrino si ripeteva nell'arco di tre giorni.
<<Hai una vaga idea di quanto sia ridicola questa tua ossessione per il lavoro spuntata all'improvviso?>> Gli chiese,con la naturalezza con cui solitamente rivolgeva critiche taglienti praticamente a chiunque ,a detta sua ,se le meritasse.
Kaveh alzò solo brevemente gli occhi, circondati dalle occhiaie, per guardarlo con aria sprezzante.
<<Hai considerato che.. uhm.. non mi interessa?>> riprese a scrivere,borbottando <<Solo perché tu non hai ambizioni e ti accontenti di quello che hai non significa che la gente non abbia alcun desiderio di migliorarsi>>
Questa volta neanche un sospiro dall'altra parte.
Solo il rumore della sedia di legno che strusciava contro il pavimento, i passi del giovane scriba che si recava a leggere con più tranquillità nella camera da letto: la presenza di Kaveh era diventata un rumore insopportabile che nemmeno le sue cuffie riuscivamo a coprire.

Inizialmente il non mangiare pareva essere una controindicazione del troppo lavoro. Ben presto, Kaveh si accorse che il suo corpo ne stava soffrendo troppo.
Non era certo stupido o esibizionista lui, si disse che si sarebbe preso più cura di sé.
Un giorno in cui Alhaitham non c'era a pranzo ( e iniziava a capitare sempre più spesso), si decise a prepararsi da mangiare e a sedersi con calma al tavolo del salotto per godersi un meritato pasto completo.
Il problema fu che quando la sua forchetta affondava nelle pietanze da lui cucinate, un senso di repulsione e nausea disgustata pervadevano la sua bocca e il suo stomaco,facendogli salire l'acido alla gola.
Che cos'era?
Non aveva senso,lui aveva fame e voleva mangiare. Eppure non era capace di portarsi il boccone alle labbra. Ci provò per alcune ore,fin quando non sentì la chiave nella toppa girare e si disse che MAI Alhaitham lo avrebbe visto in quello stato, quindi cestinò tutto il cibo nascondendolo nei fazzoletti e lasciò i piatti sporchi nel lavandino.
Alhaitham  sul momento non poté fare altro che constatare con sollievo che il suo coinquilino aveva ripreso a mangiare.
Fu difficile per il biondo trovare sempre scuse che lo portassero lontano dallo scriba all'orario dei pasti,e intanto questa condizione non sembrava migliorare e il suo fisico deperiva a vista d'occhio.
Perfino lui se ne sarebbe reso conto,prima o poi.

Proprio mentre pensava a questo successe che un giorno iniziò a tossire. Di una tosse persistente che non sembrava venire dai polmoni ma da una qualche necessità impellente di tossire che proprio non sapeva spiegarsi.
<<Dovresti vedere il medico>> gli disse Alhaitham mentre leggeva seduto sul divano.
<<L'ho fatto... Mi ha dato delle erbe>> borbottò lui in risposta, intromettendo qualche colpo di tosse fra le parole.
Alhaitham sospirò con aria sconsolata.
<<Prendile. Non sopporto più la tua tosse, si sente perfino in camera da letto>>
Quella frase fece corrucciare l'architetto.
<<Allora forse dovresti dormire fuori,Haitham!>> non riuscì a frenarsi dall'usare il soprannome che gli aveva dato,anche se avrebbe voluto.
In ogni caso lo scriba non era tipo da badare a questi piccoli spiragli di riconciliazione, infatti sia alzó ed uscì dopo essersi messo il cappotto.
Quella fu probabilmente la prima notte che Kaveh passó da solo nella loro casa,fu una notte terribile nella quale non chiuse occhio neanche un secondo.

La tosse iniziò a rendergli difficile anche dormire.
Se per il cibo aveva risolto il problema facendosi nutrire con delle flebo, sempre quando il suo coinquilino era assente, per la tosse sembrava davvero non esserci rimedio. Tanto che Alhaitham stesso tornó a casa qualche sera più tardi facendo finta di niente,e da allora ignorò il fastidioso rumore come se non ci fosse o non ci fosse mai stato.
Fu probabilmente la mancanza di sonno e la malnutrizione che lo portarono allo svenimento un giorno che si trovava nei pressi del cantiere.
<<Hai dato spettacolo>> gli disse lo scriba quando lo trovò a casa,dove i suoi colleghi lo avevano riportato assieme ad una lettera di licenziamento che aveva come motivazione il fatto che Kaveh non era palesemente più in grado di svolgere fisicamente la sua professione.
<<Stai zitto>> gli intimò lui, sdraiato sul letto di fianco,con la faccia rivolta verso il muro. Tossí un paio di volte.
Chissà come, in quel momento, ad Alhaitham si accese mentalmente una lampadina che gli suggeriva che forse,FORSE, il suo coinquilino stava davvero male.
Ad Alhaitham piacevano molto i suggerimenti.
Si sedette sul letto accanto a lui,seppur senza guardarlo ma volgendo lo sguardo nel vuoto, cosa che lo aiutava a pensare.
<<Vuoi parlarne?>> Chiese.
Al biondo questo comportamento fece così tanta stranezza che si stropicciò gli occhi più volte per confermare di non esserselo immaginato. Poi ,effettivamente, rifletté sulla domanda.
<<Parlare di cosa?>>
L'altro scrollò le spalle.
<<Di come ti senti,delle cose che pensi... Personalmente trovo che ragionando con gli altri spesso arriviamo a conclusioni che sono per noi ora inaccessibili>>
Ci fu silenzio per un po'. Kaveh non aveva mai davvero pensato di aprirsi con il suo coinquilino. Gli unici momenti in cui il loro rapporto non era strettamente professionale era per un litigio di natura idealistica,o pratica, a seconda e circostante.
<<Beh... Ovviamente sono triste per il fatto che mi hanno licenziato>>  stentó.
L'altro annuì.
<<Continua>>
<<E.. non voglio tutto questo malessere fisico. Non mi piace stare male>>
Forse lui si aspettava o sperava in qualche forma di conforto,ma il ragazzo che aveva davanti aveva poche possibilità di empatizzare con lui quante quelle di dargli un suggerimento che,secondo lui,lo avrebbe aiutato.
<<Forse dovresti stare a casa a riposare un po'. Probabilmente è il tuo corpo che ti chiede di fermarti un attimo. Poi riprenderai>>
La tentazione di rispondere "grazie al cazzo" era davvero fortissima, ma questa reazione era sempre meglio di nessuna reazione, quindi se lo fece andare bene.

Dunque nei mesi di luglio e agosto Kaveh iniziò a passare sempre più tempo nella loro casa.
Cercò di trovarsi delle occupazioni che non fossero il lavoro,cose tipo un hobby che lui non aveva mai avuto.
La tosse era persistente e nessuno dei suoi sintomi sembrava alleggerirsi. Come nota positiva,tuttavia, aveva iniziato a parlare più spesso con il suo coinquilino nel modo in cui avevano fatto il giorno dopo il licenziamento.
Era una sorta di rituale non scritto, al termine della settimana lavorativa, che lo scriba e lui si sedessero da qualche parte e che lui gli facesse domande su come si sentiva.
Inizialmente il biondo faceva fatica a rispondergli, un po' perché era restio, un po' perché le risposte sembravano davvero sfuggirgli dalla mente; inizialmente un passaggio chiave era che non si guardassero negli occhi durante questa sorta di sedute, ma col tempo invece di sedersi schiena a schiena iniziarono ad occupare posto complementari sul divanetto, rendendo quindi possibile il contatto visivo nel caso uno dei due lo volesse.
Ovviamente,era sempre Kaveh a volerlo.

Però il consiglio dato quasi con ingenuità fu,in realtà,la causa della comparsa di nuovi sintomi.
Spesso l'architetto sembrava estraniarsi completamente dalla realtà nelle ore pomeridiane. Era quasi come se raggiungesse una sorta di autoipnosi, durante la quale fissava il muro di casa immerso in chissà quali fantasie.
Nessun medico di in grado di spiegare cosa gli stesse accadendo,e alla fine l'unico che rimase a fare domande al paziente fu proprio Alhaitham.
<<Kaveh?>> Lo chiamò,ma come al solito non bastò a risvegliarlo dal suo trance. Ci vollero poi richiami,a voce sempre più alta.
<<Cosa c'è?>> Rispose alla fine lui,con voce flebile. Quando lo guardò in faccia, sembrò confuso. <<Haitham... Dovresti essere morto.. io ti ho appena strangolato>>
Lo scriba non era tipo da farsi sconvolgere per così poco. Probabilmente erano comparsi in lui degli stati allucinatori.
Iniziò a succedere sempre più spesso.
Le sue visioni erano sempre macabre, e peggioravano di volta in volta.
Attraversavano due stadi principalmente: il primo, nel quale Kaveh riferiva tranquillamente il contenuto delle sue visioni,il secondo invece,nel caso qualcuna di queste fosse smentita, era uno scoppio incontrollato di rabbia che prevedeva che lui lanciasse ogni cosa che aveva sottomano.
<<TI RIPETO CHE TU SEI MORTO! VUOI CONFONDERMI,SPIRITO? IO SO DI AVERTI UCCISO!>> Gli gridava.
Una volta pianse perché aveva sognato di murare vivo un cagnolino dentro uno dei suoi edifici, un'altra aveva sognato di partorire un bambino morto.
A volte queste visioni erano accompagnate da emicrania al lato sinistro del cervello e vere e proprie paralisi nelle quali non riusciva a muovere gli altri e rimaneva bloccato ovunque fosse, in qualunque posizione fosse.
Parlare con lui divenne sempre più difficile,e nel frattempo la sua condizione fisica peggiorò col sopraggiungere di un'immotivata idrofobia che lo portarono a rifiutare completamente di bere. Furono costretti a somministrargli anche i liquidi con le flebo nei rari momenti in cui era calmo o in dormiveglia.

<<Kaveh, vuoi parlarmi di come ti senti e cosa pensi?>>
Un giorno questa domanda non ebbe risposta.
Il biondo lo fissava, seduto sul divanetto accanto a lui, aprendo di tanto in tanto la bocca per parlare ma senza riuscirci. Si portò una mano alla gola con aria sorpresa,come se non dipendesse da lui.
Alhaitham sospirò.
<<Forse potresti ascoltarmi allora,e annuire o scuotere la testa se sei d'accordo oppure no>>
Dopo una lieve esitazione,l'altro annuì.
<<Mi dispiace che tu stia male. Lo intendo davvero. Voglio che tu sappia, però che io credo davvero che tu abbia il potere di mettere fine a tutti i tuoi mali. Nessuna condizione fisica ti sta costringendo, sono solo le quattro pareti della tua mente che si riversano su di te con prepotenza. Io so che,se ne avessi la forza di volontà,potresti liberartene>>
L'altro non era convinto. Ma non aveva mai sentito il suo coinquilino dire tante parole di fila quando non riguardasse un argomento sul quale aveva studiato,quindi annuì.
Nei giorni successivi gli fu fatto lo stesso discorso più e più volte,sempre ripetendo il rituale di sedersi sul divanetto.
Piano piano, Kaveh riprese l'uso della parola iniziando da piccole frasi o parole,e svegliandosi infine un giorno scoprendo di aver riacquistato la facoltà della parola.
A qualsiasi domanda,risposte che non ricordava affatto di averla mai persa e accusò chiunque di star provando a suggestionarlo.

Nel frattempo AlHaitham aveva fatto le sue ricerche.
La malattia di Kaveh non era unica,e ve ne erano testimonianze nei preziosissimi libri cartacei che era riuscito a reperire. Ben presto trovò una descrizione di un paziente che aveva seguito per lo più lo stesso decorso del suo collega, e ne identificò i sintomi che aveva avuto e quelli che potevano manifestarsi.
La teoria più recente elaborata su un disturbo del genere era che potesse essere arrecato da eventi di cui il paziente stesso non aveva consapevolezza dell'importanza che avevano avuto per la sua vita psichica.
Decise di testare quello che nel libro veniva descritto come "metodo catartico".
<<Kaveh,oggi voglio farti una domanda>>
Chiese,un giorno, durante una loro regolare seduta sul divanetto.
<<Certo, dimmi..>> l'altro sembrava manifestare un temperamento calmo,fortunatamente, quel giorno.
<<Perché ti sei dedicato così tanto al progetto dell' Akademiya in primo luogo?>>
L'altro scrollò le spalle con aria stanca.
<<Perché è il mio lavoro,immagino>>
<<Solo?>>
<<Beh.. ora non lo ricordo così bene..>>
Lo scriba tacque,come lasciandogli il tempo di rimettere insieme i suoi ricordi pezzo per pezzo.
<<Credo volessi i soldi per pagare l'affitto>> mormorò,ma non sembrava convinto.
<<Sei sicuro? Non avevi incombenza di pagare e sai che io non ti ho mai fatto pressioni>>
<<Già... È vero>> apparve come una rivelazione negli occhi del malato.
<<Forse... Forse volevo essere migliore di te,Haitham>> lo guardó negli occhi,ma chiaramente vedeva qualcosa oltre essi, in una dimensione che solo la sua mente era in grado di raggiungere in quel momento <<volevo essere migliore di te,che non ti impegni per nulla ed hai comunque successo. La mia vita mi stava diventando ripugnante,e ho iniziato a sentirmi perso e senza scopo. Volevo dimostrare a me stesso che ero migliore di te per riprendermi una parte della mai dignità e smetterla di sentirmi come un verme che striscia per terra. Tu sei perfino in grado di mangiare mentre  studi,io non sarei mai capace invece perché mi deconcentro subito>>
Certo,immaginava che ci fosse qualcosa sotto, ma questo non se lo sarebbe mai aspettato. Nessuno dei due se lo sarebbe mai aspettato.
Lo scriba borbottó un <<capisco...>> Ma non  seppe che altro dirgli.
Rimasero immobili e in silenzio per un po',al più alto dei due la sensazione di aver peggiorato una situazione delicata.

E invece no.
Dopo quella confessione,Kaveh manifestò volontariamente l'intenzione di mangiare e bere nuovamente.
Certo,il suo corpo ormai disabituato rigettó immediatamente qualsiasi cosa gli desse, ma giorno dopo giorno il ragazzo riuscí a reintrodurre sempre più alimenti, prima liquidi poi solidi, e arrivò a riprendere un'alimentazione per lo meno sufficiente.
Forse quel modo di parlare delle ragioni intrinseche del suo comportamento funzionava davvero.
Non ogni loro conversazione aveva esiti tanto positivi,specialmente perché il temperamento dell'architetto mutava radicalmente di giorno in giorno,e bisognava aspettare che fosse davvero predisposto a parlare dei suoi pensieri più intimi.
Però successe di nuovo,quando gli parlò del motivo che probabilmente stava dietro le sue macabre visioni.
<<In realtà il capo del mio dipartimento del progetto... un certo generale che sovrintendeva i lavori... Mi piaceva>> confessò.
Questo era molto più probabile,dal punto di vista di Alhaitham.
<<E lui lo sapeva?>>
<<Certo che no! Dio mio,no!>> Rispose con il fare teatrale che era drasticamente peggiorato nel corso della sua malattia <<se lo avesse saputo... Un disastro! Sapessi come mi ha guardato, quando ho iniziato a stare male... Semravo un disgustoso scarabeo ai suoi occhi, come se stessi occupando il posto di qualcuno che sarebbe stato molto più produttivo>>
<<E avete mai..?>>
<<Il contatto più ravvicinato che abbiamo mai avuto è stato quando mi ha preso di peso dopo che sono svenuto>>
La sua stessa affermazione gli suscitò una risata,cosa che non succedeva davvero da mesi.
Dopo aver parlato di questo fatto,le visoni e le allucinazioni diminuirono drasticamente, e in ogni caso iniziarono a perdere la loro natura macabra e si incentrarono per lo più su frammenti della vita passata che Kaveh sembrava aver dimenticato,e che ora raffilravano casualmente nei suoi sogni e nelle sue autoipnosi.
Anche il suo fisico sembrava aver ripreso in po' a vitalità che aveva avuto fino a qualche mese prima.
Lo scriba annotò tutti i cambiamenti cronologicamente nelle pagine bianche del libro dal quale aveva attinto informazioni in primo luogo, a quanto pare bastava davvero scavare in fondo fino a scoprire la vera ragione che aveva portato allo scatenarsi del sintomo per ridurlo drasticamente o addirittura eliminarlo.
Anche Kaveh,infine,si accorse che stava iniziando a migliorare,e questo fu per lui aprono a mettersi alla massima disposizione del suo analista per collaborare alla ricerca di veri pensieri di cui lui ,in primis, non era mai stato consapevole.

In questo modo riuscí sensibilmente a migliorare.
Ecco però,un giorno l'architetto si rese conto della comparsa del più intollerabile dei sintomi fino ad ora comparsi: durante le loro sedute il suo sguardo si soffermava sulla pelle pallida del suo coinquilino, domandandosi quale reazione avrebbe provocato il suo tocco,si soffermava sui suoi capelli che sembravano così morbidi,e sui suoi occhi impenetrabili dalla mille sfumature. Si chiese cosa avrebbe provato sedendosi sulle sue gambe,se la sensazione di riappropriamento del suo corpo sarebbe giunta ai suoi massimi livelli.
Mai si sarebbe permesso di fare quei pensieri prima d'ora.
Per fortuna, l'altro sembrava esserne completamente ignaro.
Fin quando un giorno Alhaitham disse una cosa alla fine della loro regolare discussione.
<<Mi hanno affidato un incarico nella foresta, avrò bisogno di passare due settimane lì alla sede dello studio. Sto cercando di ottenere il permesso di tornare almeno nei weekend>>
Lo sguardo di Kaveh si corrucciava sempre più man mano che le parole uscivano da quelle morbide e invitanti labbra.
<<... quindi sono sicuro che puoi farcela. Potresti ricominciare qualche piccolo lavoro per tenerti attivo>> concluse, completamente ignaro della reazione di disappunto che aveva trovato dall'altra parte.
Il paziente aprì la bocca per parlare,ma più che morirgli la voce in gola fu il suo cervello ad intimargli che nessuno dei suoi argomenti sarebbe mai bastato a convincere una persona come lo scriba dell'Akademiya.
Però voleva che restasse.
Questa volta la sua mente non gli mascherò questo pensiero con un sintomo,ma glielo porse scritto a caratteri chiari e comprensibili.
Cosa mai avrebbe potuto fare?

Prima che ci pensasse davvero , magari sarebbe arrivato ad un'altra conclusione, aveva fiondato le sue labbra su quelle del ragazzo seduto accanto a lui, il quale esprimeva sorpresa nel massimo con cui effettivamente fosse in grado di esprimerla, cioè sgranando lievemente gli occhi.
Fu la prima volta che Alhaitham si trovó completamente spaesato.
Lui non era bravo con le persone, lo sapeva,aveva la lingua troppo tagliente e non voleva contatti se non quelli strettamente necessari. Il suono stesso delle persone per strada gli dava così tanto fastidio che ricorreva immediatamente alle sue cuffie antirumore per poter tornare a respirare serenamente. Né tantomeno era mai stato veramente presente a sé stesso durante le rare occasioni nelle quali aveva sperimentato pratiche romantiche (per pira curiosità) o sessuali (per lo stesso motivo).
Questo, inconsciamente ,lo ferí se messo a pari col suo conscio desiderio di ricambiare le attenzioni di Kaveh, stavolta non solo per pura curiosità.
Il non sapersi spiegare una cosa del genere lo metteva estremamente in soggezione.
<<Haitham..>> mormorò sulle sue labbra con tono lamentoso il ragazzo dai capelli biondi, con un'inclinazione nella voce che l'altro non gli aveva mai sentito e che certamente non si aspettava gli causasse una reazione tanto evidente.
<<Mh?>> Fu solo in grado di mugugnare lo scriba, cercando di mantenere disperatamente un contegno, la lucidità della sua mente che era solito mantenere nelle situazioni del genere (a volte parlava,a letto, solo per tenersi concentrato) ma che ora sembrava sfuggirgli fra le dita.
Kaveh voleva di più da lui.
Realizzò,in quel momento,che lo aveva sempre voluto. Ma non poteva dimenticarsi di chi aveva davanti, e nemmeno volle arrendersi all'idea che l'altro non fosse capace di darglielo.
Senza scollare le loro labbra, anzi, approfondendo il bacio in una maniera così armoniosa che parve l'iniziativa fosse stata presa da entrambi contemporaneamente, le mani delicate e sottili del biondo raggiunsero quelle più grandi e robuste del suo terapeuta. Le portarono sotto la sua camicia,guidandole sulla sua pelle nei punti più sensibili che lui conosceva dalle sue passate esperienze.
Il più alto lo sentì fremere sotto quel tocco che lui stesso si stava provocando mediante le sue mani,e questo lo fece sentire a suo agio. Ad Alhaitham piacevano molto i suggerimenti.
Ben presto le sue mani robuste non ebbero più bisogno della guida delle altre per accarezzare i punti giusti, e iniziarono spontaneamente a vagare sul petto minuto alla ricerca di nuovi gemiti di Kaveh,che cercava di togliersi e togliergli gli indumenti superiori.

Fu una sensazione che nessuno dei due aveva mai provato: Kaveh amava il tocco di Alhaitham, e non si era mai sentito toccato come se avesse potuto farsi così piccolo da stargli nel palmo di una mano e farsi proteggere, d'altro canto Alhaitham non aveva mai visto nessuno guardarlo con gli occhi bisognosi e luccicanti con cui il suo coinquilino gli rivolgeva sguardi languidi che gli provocavano eccessivo calore sul corpo e sul viso.
Quando il biondo volle di più,gli bastò spostare le mani del partner in un punto più consono,dentro i suoi pantaloni,e guidarlo nei movimenti giusti che ben presto l'altro fu in grado di fare da solo.
Alhaitham apprezzava davvero molto i suggerimenti. Solitamente fuggiva dalle situazioni alle quali non si riteneva sufficientemente preparato,ma stavolta sapere che Kaveh gli avrebbe mostrato ciò che voleva senza guardarlo e sperare che lui ci arrivasse da solo, lo spinse anche ad osare un po', cosa molto gradita dalla controparte. In realtà, una delle più grandi insicurezze di Alhaitham era proprio quella che Kaveh aveva colpito in pieno: la consapevolezza del suo essere pragmatico e poco empatico.
E continuarono così finché non furono entrambi nudi e ricoperti di un sottile strato di sudore, il corpo dell'architetto , più piccolo e fragile rispetto a qualche mese prima, accasciato sopra quello robusto e confortevole del suo coinquilino. Entrambi avevano il respiro affannoso e gli sguardi incastrati fra di loro. Fu il contatto visivo più lungo che lo scriba avesse mai avuto il vita sua,senza nemmeno le sue cuffie addosso.
<<Non te ne andare>> biascicò il biondo,i cui occhi si stavano chiudendo piano piano dalla stanchezza.
<<Devo>> mormoró l'altro, ma la sua risposta non fu udita.

Fu semplicemente ingenuo da parte di Alhaitham pensare che i miglioramenti di Kaveh sarebbero stati permanenti.
Durante la sua permanenza nella foresta, durante la quale ottenne il permesso di tornare a Sumeru city nei weekend, Kaveh che aveva ripreso a frequentare gli ambienti sociali aveva praticamente sparso (volontariamente o meno) la voce dei rapporti che stavano avendo.
Certamente non più che un pettegolezzo,se solo non fosse giunto alle orecchie dei superiori dello scriba,che lo ritennero decisamente poco opportuno per un membro dell'Akademiya e lo rimossero dall'incarico a qualche giorno dalla fine.
Fu una grande umiliazione.
Per qualche motivo, a differenza dei soliti inconvenienti che erano parte indiscutibile della sua professione ,questo gli parve intollerabile.
Passò tutti i restanti giorni del progetto a pensarci,inseguito dal vociare della gente intorno a lui che lo riconosceva,e che nemmeno le sue cuffie riuscivano davvero a mettere a tacere.
Quando tornó a casa trovó Kaveh ad aspettarlo  a braccia aperte,ma l'unica cosa che quello ricevette fu la copia delle chiavi di casa dello scriba e una sentenza.
<<Mi trasferisco, la casa è tua>>

E a nulla servirono le crisi di rabbia dell'architetto,o il lanciare oggetti contro lui o le pareti.
Qualche giorno dopo Alhaitham aveva le valigie piena e si trasferì nella foresta,come promesso.
Perfino lì,gli giunsero le voci "uno dei migliori architetti di tutta Teyvat" era impazzito e diceva di portare in grembo il figlio dello scriba. Ovviamente questo non era possibile e tutti lo sapevano,ma lo metteva in una posizione ancora più scomoda e insostenibile di quella di prima.

Si chiese quanto lontano sarebbe dovuto andare prima di liberarsi delle voci.
Prima di liberarsi del ricordo di Kaveh.
Il trattamento era finito.

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