Malvagio?
Forse siamo tutti un po' cattivi in fondo al cuore.
Era sceso dal suo rifugio e con molta fatica aveva ripreso il suo cammino. Le lacrime inumidivano ancora i suoi occhi. Aveva vissuto la morte straziante di una donna coraggiosa, e dentro di sé sentiva che la colpa fosse anche sua. Se Natalia non si fosse preoccupata per lui, per la sua salute. Se invece di prenderlo alle spalle per aiutarlo a nascondersi lo avesse colpito, ucciso, lei sarebbe stata ancora viva. Ma non era andata così. Lo aveva coperto, aveva mentito, aveva commesso un reato. Alto tradimento lo chiamavano. Lei era colpevole di aver tradito il suo governo. A morte.
E adesso era lì, al suo fianco per fargli forza nonostante la morta fosse lei. La sua pelle nuda macchiata di sangue e lividi, il segno rosso sul suo collo, quello squarcio orizzontale che l'aveva privata della vita e tutte quelle ferite profonde larghe quanto un pollice che le deturpavano il torace e il bacino, non riuscivano minimamente a sfigurare la bellezza di quella donna. Eppure era sbiadita, anche lei, nonostante la sua forza era sbiadita, quasi trasparente. Come Stout-man, Seline, Krista. Forse, iniziava a pensare, quell'eroina non era tanto diversa dai suoi primi tre compagni.
Camminava in silenzio mentre cercava di ripercorrere col pensiero i giorni precedenti, cos'era successo? Quando aveva iniziato a vederli? Poi un'illuminazione. In ogni sogno si svegliava subito dopo la morte di quella persona. Che fosse un passaggio obbligatorio per poterci comunicare? Seline era morta dopo che le avevano sparato, Natalia si era uccisa volontariamente, quell'uomo chiamato Stout-man non sapeva bene come fosse morto ma ipotizzava fosse rimasto schiacciato, ma Krista? Non riusciva a venirne a capo, la sua morte proprio non la ricordava.
Sentì il suo stomaco lamentarsi, non sapeva che ore fossero ma sapeva avesse fame. I suoi compagni fantasmi non sembravano aver bisogno di cibo o riposo ma in fin dei conti quale morto aveva bisogno di mangiare? Si erano posti attorno a lui e si osservavano attorno come per giudicare quanto fosse sicura la situazione. Kay iniziava a non aver più bisogno di sforzarsi per vederli, anzi ormai non riusciva più a ignorarli.
Stava mangiando un pezzo di pane mentre ancora pensava a cosa potesse accomunare quei quattro, e cosa quei quattro avessero a che fare con lui. Quando Krista lasciò andare un sospiro annoiato spostandosi i capelli con un movimento veloce della mano. Il bambino non poté ignorare quel profondo foro irregolare che fino a poco prima era nascosto sotto i suoi lunghi capelli, era grande ma molto simile al segno che il proiettile aveva lasciato sulla tempia di Seline e se non si fosse mai spostata i capelli dalla schiena nuda Kay non lo avrebbe mai potuto vedere.
Un lampo, come un ricordo sbiadito tornato improvvisamente a colori, gli attraversò la mente.
Il suono di uno sparo che, molto più potente di quello di una semplice pistola, spezzava il silenzio notturno invitando alla fuga gli uccelli appollaiati sugli alberi. Un dolore lancinante alla schiena, la caduta rovinosa nel fango e il disperato tentativo di trascinarsi via dal proprio aguzzino ancorando le unghie nel terreno.
Kay aveva rimosso completamente quella parte del sogno, non sapeva perché ma non ricordava il momento in cui Krista aveva perso la vita. Forse era perché era la prima? Rimase immobile a fissare il vuoto, il pezzo di pane a metà strada verso la sua bocca. Poi eccolo, ecco quello che ognuno di loro aveva in comune con l'altro. La voglia di continuare a vivere, nessuno di loro era pronto alla morte, persino Natalia che si era tagliata la gola con le sue stesse mani, persino lei voleva vivere. Morti tragiche avvenute prima del tempo. Morti dolorose, devastanti e violente. Si mise a fissarli uno ad uno. Seline quindici anni. Krista ventidue. Quello Stout-man che adesso era apparso alla sua mente come Scott ne aveva trentaquattro. E infine Natalia, ventotto. Non sapeva né come né perché ma conosceva i loro nomi, la loro età, come e dove avevano vissuto fino al momento della loro dipartita, tutte le loro informazioni riempirono il suo cervello di bambino fino a fargli pulsare la testa.
Allontanò il cibo abbassando lo sguardo. Aveva sbagliato, non erano mostri, non erano violenti e non era colpa loro. Erano vittime tanto quanto lui, erano vittime della crudeltà umana e dell'indifferenza dell'universo.
«Mi dispiace» sussurrò stringendosi le gambe al petto «Sono stato cattivo, scusate» si sentiva talmente in colpa che la fame lo aveva abbandonato.
Stout-man, o per meglio dire Scott, si inginocchiò davanti a lui. Non disse una parola, gli scompigliò i capelli ormai cresciuti e sorrise. Non era arrabbiato, o almeno non sembrava più fosse così. Krista lo prese per mano e lo aiutò a rimettersi in piedi «Pace?» chiese chinandosi alla sua altezza.
Kay annuì convinto «Pace»
Il cammino non fu più semplice, ma adesso che sentiva il cuore più leggero riusciva a sorvolare sul dolore che provava alle gambe. Non sapeva quanto avesse camminato o che giorno fosse ma sapeva che continuando in quella direzione sarebbe arrivato in un posto migliore, prima o poi avrebbe trovato qualcuno disposto ad aiutarlo.
Natalia gli aveva raccontato che una volta passato il confine avrebbe raggiunto un paese stupendo. Nessuno lo avrebbe rinchiuso o ucciso per colpa dalla sua Singolarità e i suoi poteri sarebbero cresciuti, li avrebbe potuti usare liberamente e ci sarebbe stato qualcuno disposto ad insegnargli come averne il controllo. Scott invece gli aveva raccontato del mondo esterno, aveva parlato di un grande continente gigantesco con molti stati diversi, tutte con le proprie leggi e le proprie regole. Lo aveva chiamato America. Aveva parlato della sua città preferita, chiamava New York o qualcosa del genere.
«Dove è questa America?» chiese dopo un po' che l'uomo blaterava di quanto fosse grande e potente il suo paese, di quanto gli mancasse e del desiderio che aveva di tornarci.
«Molto lontano marmocchio» rispose lui con un sospiro nostalgico, a Kay sembrò molto triste «Se vai verso ovest a un certo punto la terra finisce e inizia una grandissima distesa d'acqua» iniziò a spiegare, dopo la sgridata che aveva subito da Natalia aveva smesso di rivolgersi a lui come se stesse parlando a un adulto e si impegnava a farsi capire anche dalla mente giovane e inesperta di Kay. O almeno ci provava «Si chiama oceano e se lo attraversi tutto arrivi a un'altra terra, quella è l'America»
«Ma io non posso attraversarlo, non so come si nuota» lo fissò innocente senza rendersi conto di aver detto qualcosa di completamente folle.
«Non puoi Kay, l'oceano non è il mare» intervenne Seline.
«È troppo grande e l'acqua è molto profonda» aggiunse Krista.
«E soprattutto è fredda e abitata da animali pericolosi che non vedono l'ora di mangiarti» concluse Scott.
«Che ho detto?» parlò nuovamente quando le tre donne gli rivolsero uno sguardo cupo e ammonitorio ma non ricevette risposta.
Kay non riuscì a trattenersi, scoppiò a ridere tenendosi la pancia e si buttò seduto a terra con le lacrime agli occhi. Non sapeva perché ridesse tanto, non c'era nulla di così esilarante in quella situazione. Era rimasto orfano, era stato costretto a scappare e pregare di riuscire ad arrivare alla fine del suo viaggio, i suoi compagni di avventura erano quattro persone che non avevano niente in comune e che spesso battibeccavano anche tra loro eppure lui rideva fino a piangere. Forse era solo felice, felice di avere qualcuno con cui parlare, qualcuno che lo accompagnasse. Forse era solo felice di non essere completamente solo.
Per quanto suo padre non fosse più lì con lui, per quanto la sua casa, l'unica che avesse mai conosciuto, fosse ormai a chilometri e chilometri di distanza, Kay si sentiva a casa. La loro vicinanza era l'unico puntino di luce in quell'oscurità sconfinata in cui era precipitato.
Il bosco non continuava in eterno, gli alberi iniziarono a diradarsi, la luce cominciava a penetrare dalle fronde degli alberi con sempre più facilità e ben presto il suo scudo di foglie e corteccia finì per abbandonarlo. Le sue speranze vennero spente dalle semplici parole di Natalia, "non è finita". Per quanto ancora avrebbe dovuto procedere? Il cibo era ormai finto. Il sonno lo stava rallentando sempre un po' di più. Le palpebre iniziavano a chiudersi anche mentre camminava. Come avrebbe fatto a continuare? Ormai procedeva per inerzia.
In mezzo a quella prateria scorse presto una casetta, o per meglio dire una reggia. Una casa ampia di tre piani e le pareti di legno, Kay sapeva di che si trattava. Una casa dei ricchi.
Raggiunse il suo obbiettivo facendo attenzione a non farsi vedere. Percorse in punta di piedi l'intero perimetro controllando che non ci fosse nessun pericolo. La casa era vuota. Ma che casa era? Chi mai avrebbe vissuto in mezzo al nulla?
«È una casa di villeggiatura» Natalia sembrava avergli letto nel pensiero.
«Cosa è la ville-villeg-villeggiatura?» chiese voltandosi verso la donna.
«Quando vai in vacanza marmocchio» intervenne brusco Scott «Che c'è? Mai fatto una vacanza?» continuò, ma si prese subito un ceffone dietro la nuca da Krista.
Natalia sospirò affranta scuotendo la testa, quell'uomo era un imbecille, parlava a sproposito la maggior parte del tempo e aveva la sensibilità emotiva di un masso coperto di muschio. Educarlo era inutile, se solo non fosse stato già morto lo avrebbe strangolato lei stessa.
«Quando non devi lavorare e non hai nulla da fare puoi decidere di passare quel tempo in un altro modo. E se quel tempo in cui non hai impegni è molto lungo puoi decidere di fare una vacanza» iniziò a spiegare tentando di compensare l'atteggiamento sgarbato dell'uomo «Alcune persone preferiscono visitare altre città o paesi, ma ad altre piacciono questi posti. Quindi scelgono un posto che amano, ci costruiscono una casa e la usano per andare in vacanza. Poi passano il tempo come vogliono. Possono esplorare il bosco e le montagne intorno, possono andare a cavallo, possono fare tante attività all'aperto, capito?»
Kay annuì, non aveva capito proprio tutto tutto, per esempio, perché andare nel bosco che è tanto pericoloso? Oppure, cosa erano i cavalli? Le montagne sono ripide e piene di rocce sporgenti che ti graffiano la pelle e strappano i vestiti, a chi verrebbe mai in mente di esplorarle? Ma di quel discorso una cosa era chiarissima. I proprietari non erano lì e chissà per quanto ancora sarebbero rimasti lontano. Poteva entrare.
Tentò di forzare le porte e le finestre con tutte le sue forze ma niente da fare. Diete un calcio alla parete frustrato borbottando qualcosa di incomprensibile anche a se stesso. Avrebbe dovuto rompere il vetro ma come? Lo aveva già fatto una volta, e non solo era stato complicato ma anche pericoloso, era un miracolo che quei vetri nella sua mano non lo avessero fatto ammalare. Suo padre lo ripeteva sempre, se le malattie cattive entravano nelle ferite era pericoloso.
Poi un lampo di genio, Krista aveva ucciso per lui, più di una volta per giunta. Forse poteva farlo entrare? In fin dei conti lei non era viva. Le malattie non le facevano nulla, anzi più volte aveva visto le fronde degli alberi passarle attraverso come se non esistesse nemmeno.
«Puoi entrare e aprire la porta?» chiese rivolgendosi proprio a lei.
Annuì ma poco dopo essere entrata fece sbucare la testa dal muro di fianco con sguardo deluso «È chiusa a chiave»
«Proviamo con una finestra» propose Seline.
«Non vorrete mica rubare vero?» Scott fissava gli altri quattro severo.
«Certo che sì» rispose ovvio il bambino «Tanto sono ricchi, possono ricomprarsi tutto quello che vogliono»
«Quindi volete fare un effrazione e derubare questa gente? È un crimine ragazzino, io la gente che fa queste cose la arresto»
«In questo caso si tratta di vita o di morte e dato che di morte dovresti già sapere qualcosa vedi di startene buono e non intralciare il nostro lavoro» lo riprese Krista spalancando la finestra «In ogni caso sei morto quindi non puoi arrestare nessuno» sollevò le spalle per poi prendere Kay da sotto le ascelle issandolo sul davanzale.
La casa era enorme, c'era una cosa che Natalia aveva chiamato camino in quasi ogni stanza e le ampie vetrate permettevano al sole di illuminare l'abitazione in ogni suo angolo. O quantomeno lo avrebbe fatto se solo le nuvole nere cariche di pioggia non lo avessero oscurato. Kay non perse troppo tempo a guardarsi intorno, l'esperienza e lo stomaco gli dicevano che era meglio se si fosse diretto subito verso la ricerca di cibo e così fece. Il frigorifero, ovvero il mobile con la luce dentro che creava il freddo, conteneva solo cibi freschi difficili da conservare. Scott e Natalia sconsigliavano fortemente di cercare qualcosa al suo interno, Kay li diede ascolto, in fin dei conti erano i più grandi e gli unici che avevano dato dimostrazione di saper cosa fare per sopravvivere nei boschi, percui credeva che anche quello fosse un buon consiglio.
Riempì il suo stomaco e subito dopo lo zaino con le provviste era pronto, si mise qualcosa anche sottobraccio, era pronto a ripartire. O così pensava.
Il vento gelido entrava fin sottopelle pizzicando i nervi, il corpicino di Kay era scosso da brividi intensi, sembrava in arrivo una tempesta, procedere era impossibile. Vide poco lontano una casetta di dimensioni decisamente più moderate e si diresse a passo spedito verso la porticina di legno. Sembrava il magazzino in cui Natalia lo aveva trascinato per nasconderlo ma era decisamente tenuto meglio. L'odore di muffa non c'era ed era molto pulito, come l'abitazione poco distante del resto. Attrezzi da lavoro e legna occupavano gran parte dello spazio a disposizione ma Kay trovò presto un angolino in cui rannicchiarsi. A giudicare dalle raffiche là fuori avrebbe dovuto passare la notte lì.
Il vento fischiava attraverso le pareti ma a Kay non dava alcun fastidio, il rumore era il suo unico compagno da mesi e paradossalmente lo aiutava a dormire sogni più tranquilli.
I quattro spiriti intanto iniziarono a discutere animatamente, Seline e Krista volevano restare. Kay era stanco, aveva messo qualcosa nello stomaco che non fosse acqua dopo due giorni di completo digiuno, aveva bisogno di riposare. Scott e Natalia non erano daccordo. Non erano più nella foresta, delle persone lo avrebbero potuto scoprire e chissà cosa avrebbero potuto fare, i lupi e gli orsi non avevano armi con cui spararti in testa, ma si addolcirono entrambi quando videro il loro piccolo bambino assopito tra i ciocchi di legno. Kay si era addormentato, con ancora i suoi bagagli addosso, si era rannicchiato in mezzo ai tronchi come un piccolo riccio e aveva iniziato a dormire.
Con che cuore, davanti al volto angelico di un bambino di soli sette anni sfigurato da mesi di terrore e stanchezza, sarebbero andati a destarlo dal suo sonno per obbligarlo a riprendere il cammino? Sarebbe stata una barbarie inaudita.
Nessun sogno terrificante o morte dolorosa, nessuno spirito, niente di niente. Un sonno sereno, perfetto. Era da tempo che non dormiva così. Ma ben presto Kay si ritrovò a saltare sul posto preso alla sprovvista dalle urla terrorizzate di una donna. Si alzò in piedi e fece per correre via da quel capanno, fortunatamente si era addormentato con tutte le sue cose, ma la strada verso la fuga fu sbarrata da un uomo che era accorso in aiuto della persona che lo aveva richiamato con tanta urgenza.
La moglie di Alexandros era semplicemente andata a prendere altra legna per accendere il camino, date le temperature glaciali che il vento aveva portato, quando in mezzo alla legna da ardere aveva trovato il bambino ricercato dalla Repubblica e l'unica reazione che riuscì ad avere fu quella di gridare.
Alexandros aveva con se una pala, la sollevò in aria pronto a colpire Kay ma il bambino si riparò in tempo e la lama di ferro della vanga fu arrestata dalle braccia del piccolo. Non fece meno male, Kay si accasciò a terra riparandosi dai fendenti dell'uomo «Non osare far del male a mia moglie Immondo» gridava mentre con tutte le sue forze continuava a massacrarlo.
I quattro spiriti erano poco distanti, non facevano niente e sembrava non potessero intervenire. Ma perché? Che intervenissero solo quando stava effettivamente per morire? Forse poteva usare lo stesso stratagemma che aveva usato per entrare nella casa della coppia. Provò a chiedere l'aiuto di Krista ma un colpo dietro la testa gli fece quasi mozzare la lingua, quindi si limitò a tenere i denti stretti e restare in silenzio.
Una strana aura argentea brillava al centro del petto di Alexandros. Pensò che forse il colpo alla nuca lo avesse fatto uscire di testa causandogli un'allucinazione, stava vedendo cose inesistenti. Ma era molto simile a quella di Klevi. Klevi, quel bambino insopportabile che aveva visto morire, quel bambino che al centro del petto aveva la stessa aura, ma la sua era più simile a una nuvola in tempesta, era più grigia, più scura, più...cattiva.
Attraverso una piccola apertura tra le due braccia iniziò a fissare intensamente quella strana essenza incorporea. Alexandros non era cattivo. Non era come Klevi, non era felice di quello che stava facendo aveva solo molta paura. Alexandros non voleva ucciderlo, in realtà non voleva neanche fargli del male, pensava solo di doversi difendere da un pericoloso assassino ricercato. Alexandros non voleva il suo male, aveva solo paura per l'incolumità sua e di sua moglie.
Ma se aveva tanta paura di lui perché non usare i propri poteri? Che non ne avesse? Kay strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche non appena si rese conto che la risposta era davanti ai suoi occhi.
La villeggiatura è la vacanza, è quando non hai nulla da fare, quando hai tanti giorni in cui non ci sono impegni da svolgere, quando non devi lavorare, e chi è che non lavora mai? Alexandros non poteva difendersi con altro se non con quella pala, perché lui una Singolarità non l'aveva. Perché lui era un Santo.
Kay sentiva una forte rabbia ribollirgli in petto. Forse quell'uomo non c'entrava nulla, forse era uno dei pochi a cui non interessava dargli la caccia. Eppure incarnava tutto ciò che in quel momento detestava. Era uno di loro, uno di quei grandi Santi importanti che decidevano tutto della loro vita. Lo stava massacrando di sprangate continuando ad alimentare il suo odio nei confronti di quella razza di invasati.
Lacrime di rabbia gli colarono dal viso e tutto ciò che riuscì a fare in quel momento fu gridare a denti stretti, un grido lungo di pura ira incontrollata. Mai si sarebbe aspettato che fiamme di un intenso verde acido sarebbero divampate dal suo corpo avvolgendolo in un tepore rasserenante. Aprì gli occhi, Alexandros stava urlando dal dolore mentre invano tentava di scacciare le fiamme che lo avvolgevano. Il fuoco non toccava nient'altro sembrava una calamita al corpo dell'uomo. Uscì fuori senza neanche riprendere fiato nella speranza che la pioggia spengesse il falò umano in cui si era trasformato ma sembrava immune all'acqua, iniziò a rotolarsi a terra, a spogliarsi, ma non appena i vestiti finivano a terra il fuoco verde si spengeva mentre sulla sua pelle ardeva ancora, implacabile.
Kay lo fissò a bocca aperta per qualche secondo, era stato lui? Spostò lo sguardo sui suoi quattro compagni. Era stato lui.
Afferrò velocemente il fucile abbandonato a terra e corse via lasciandosi alle spalle Alexandros, il suo rogo e le sue grida disperate. Aveva appena ucciso qualcuno, lo aveva arso vivo.
Stava continuando a correre quando inciampò sulle sue stesse gambe, tentò di rialzarsi ma le sue ginocchia cedettero, ancora e ancora. I singhiozzi gli toglievano il fiato. La paura gli stringeva il petto come una stretta catena, dura e pesante.
Questa volta era colpa sua, era assolutamente colpa sua e non poteva far nulla per rimediare.
Non aveva mai provato quella sensazione. Il cuore batteva in petto incessantemente, sembrava voler sfondare la gabbia toracica e guadagnarsi la libertà, sembrava paura. Le sue membra erano scosse da brividi bollenti, caldi ma piacevoli. Sentiva la testa leggera, la sua mente vaporosa viaggiava alla velocità della luce, il suo corpo di piombo non aveva peso, come una piuma.
Quel particolare tipo di rimorso aveva un sapore strano. Il retrogusto dolciastro che lasciava sulla punta della lingua era piacevole. Un sapore pungente, impossibile da dimenticare. Eccitante.
Tentò di riprendersi, calmare il suo battito, tornare a camminare. Doveva trovare riparo, doveva andarsene da lì.
«Come?» la voce di Natalia, fin troppo vicina a lui, era macchiata da una punta di sorpresa.
«Come, cosa?» ripeté col fiato corto il bambino «Come ho fatto a ucciderlo? Non lo so, non so niente»
«Come hai fatto?» chiese ancora la donna.
«Come ho fatto, cosa?» sbottò afferrandola per un braccio «Parla»
«Quella è la mia Singolarità» sussurrò Natalia non aspettandosi quella reazione violenta.
Kay era inquieto, fin troppo facilmente irritabile, ogni piccola cosa poteva farlo uscire di senno ma le parole di Natalia lo colsero di sorpresa. Aveva preso possesso dei suoi poteri e li aveva usati per prendere la vita di qualcuno ma come aveva fatto? L'unica cosa che si ricordava era una forte emozione che gli riempiva il petto. Una rabbia incontrollata, viscerale, oscura. Una sete di vendetta impetuosa, tanto forte da dargli alla testa.
Si rese improvvisamente conto di quanto Natalia fosse stata pericolosa in vita. Se avesse dovuto affrontarla, se lei avesse usato la sua Singolarità su di lui, sarebbe morto soffrendo, senza aver la possibilità di proteggersi.
Chiuse la bocca, rimasta aperta per lo stupore «Come fai ad essere un soldato?» era l'unica domanda sensata che gli veniva in mente.
«Se dimostri di poter servire bene il paese accettano anche i quinto grado come me» abbassò la testa imbarazzata. Aveva passato tutta la sua infanzia di bambina Profana a sognare di diventare un militare, si era impegnata con tutte le sue forze per raggiungere il suo sogno e alla fine ci era riuscita. Ma adesso che era consapevole di quanto male aveva causato si era resa conto che il suo sogno era in realtà l'incubo di qualcun'altro. Aveva sempre avuto il diritto di abusare del suo potere, nessuno le avrebbe mai detto nulla se avesse sterminato un'intera famiglia di Eretici per il solo gusto di farlo, ma era davvero giusto farlo? No, non lo era, eppure aveva ucciso per quel governo, aveva causato sofferenze ingiustificate e non aveva mai fatto in tempo a rimediare ai suoi errori, si sentiva in colpa, che lo volesse ammettere o no era sempre stata parte integrante del problema.
«Come fai ad essere una Profana? Tu puoi dare fuoco alle persone» Kay era rimasto a bocca aperta un'altra volta, avevano sbagliato a giudicarla?
Natalia si passò velocemente una mano sbiadita sul viso, nessuna lacrima le imbrattava il volto, aveva solo gli occhi molto lucidi.
«No, non hai ucciso nessuno» lo strinse al petto passandogli dolcemente una mano sulla schiena «Il mio fuoco non uccide Kay, causa solo dolore ma non brucia, non ferisce» il suo tono si fece improvvisamente più dolce, quasi come quello di Seline, quasi come quello di una mamma.
Kay si accoccolò tra le sue braccia molto più tranquillo rispetto a poco prima, non aveva ucciso nessuno. La pioggia lo aveva inzuppato da capo a piedi, la tempesta gelida lo stava facendo congelare e la pelle fredda di Natalia contro i suoi vestiti bagnati peggiorava sempre di più quella brutta situazione ma Kay non voleva dividersi dal corpo della donna, non voleva dividersi dalla sua mamma. Non aveva mai avuto una mamma, l'unica cosa che aveva di lei era quella minuscola fedina brillante che portava al collo, Natalia era la prima mamma che avesse mai avuto.
Si rintanò sotto una piccola sporgenza sul fianco della montagna. Natalia lo aveva avvisato, dopo quella parte di bosco non ci sarebbe stato più nulla. Niente nascondigli, niente posti sicuri, solo un'altra grande città e le mura di confine subito dopo di essa, doveva fare attenzione.
Quella brutta notizia non rovinò il suo umore, aveva scoperto un nuovo potere, uno non letale, uno che non faceva esplodere teste, non era suo certo, ma poteva usarlo, e poteva allenarsi per migliorare senza rischiare di far del male a nessuno.
«Il fuoco fa paura vero?» chiese mentre osservava il palmo della sua mano.
«Si ragazzino, di solito le persone comuni ne hanno paura» Scott lo osservava dall'alto con le mani sui fianchi in attesa che la tempesta si calmasse e loro potessero ricominciare il cammino.
«Quindi posso usare il tuo potere per spaventare le persone» si rivolse a Natalia con un mezzo sorriso sul volto.
La donna sospirò «Vuoi imparare?»
«No, fermi tutti, è un bambino, non puoi insegnargli a giocare col fuoco» intervenne Seline preoccupata.
«Quando gli ha insegnato a imbracciare un fucile non hai battuto ciglio però» ribatté Krista con le braccia incrociate al petto.
La ragazza si voltò verso Scott in cerca di sostegno ma si trovò davanti un altro nemico «Se saccheggiare un'abitazione è questione di vita o di morte lo è anche questo. Un simile potere usato senza consapevolezza è pericoloso anche se non uccide» sollevò le spalle.
Kay non stava più ascoltando la discussione dei quattro individui, non gli importava del loro battibecco lui voleva quel fuoco verde che lo aveva avvolto, che lo aveva protetto e riscaldato. Stava fissando intensamente la sua mano sinistra mentre concentrava tutte le sue forze sull'immagine del fuoco, voleva che avvolgesse la sua mano, che riscaldasse il suo corpo intorpidito dal freddo ma non stava accadendo nulla.
«Kay calmati» Natalia gli prese la mano, Seline era visibilmente contrariata da quello che stava accadendo ma era in minoranza, in quel momento non aveva alcun potere decisionale «Fai un respiro profondo»
Kay seguì le indicazioni della donna, respirò con lei, cercò di tranquillizzarsi come gli aveva detto.
«Cosa provi?»
Il bambino la fissò confuso con i suoi occhioni lillacei.
«Quale sentimento forte provi ora?»
Kay scosse la testa «Non lo so»
«Okay, cosa hai provato prima?» provò ancora.
Ci pensò su. Paura. Aveva avuto una terribile paura di non farcela, di morire sotto i colpi di quell'uomo, o peggio, sopravvivere, senza però riuscire a fuggire, finire nelle mani dei soldati, venir giustiziato come Immondo. Aveva paura. Sollevò lo sguardo sul quella figura eterea, luminosa ma sbiadita dalla morte.
No. Non era paura. Non era stata quella a scatenare le fiamme. Era stato l'odio. In quel piccolo insignificante frangente era bastata una flebile nebbiolina grigia. Una banale nebbiolina visibile solo ai suoi occhi, aveva spezzato il sigillo, aveva liberato la rabbia che da tempo covava inconsapevolmente in sé.
Strinse i pugni «Rabbia» ringhiò a denti stretti.
Natalia rimase in silenzio a fissarlo, il volto del bambino, pallido e angelico, sfinito da quei mesi infernali era deformato da un'espressione maligna. Mai si sarebbe aspettata di vedere quel malvagio sentimento imbrattare il suo viso.
Piccole lingue di fiamma uscirono dagli spazi tra le dita della sua mano. Kay le fissò a bocca aperta.
«Devo usare la rabbia?» chiese innocente.
«No, la rabbia è brutta, è un sentimento brutto» rispose prontamente Natalia.
«Ma funziona» ribatté lui mostrandogli le fiammelle sul palmo «Funzionava» si corresse quando il fuoco si spense.
«No Kay, devi usare emozioni forti ma non la rabbia, non l'odio, non sentimenti che fanno male alle persone»
Abbassò la testa, sentiva come se lo stesse rimproverando, come se si fosse dovuto sentire in colpa.
«Ve lo avevo detto»
«Si si, ora sta zitta» rispose a tono Krista «Kay perché non provi a pensare al tuo papà? Pensa alle sue coccole, a quando andavate a dormire o alle cose buone che cucinava per te»
Il bambino abbassò lo sguardo. Suo padre. Era doloroso pensarci. Sentiva gli occhi bruciare, non voleva iniziare a piangere ma la tentazione era forte.
«Complimenti» intervenne sarcastica Seline. Si inginocchiò vicino a lui e lo avvolse con le braccia, gli diede un bacio tra i capelli, lo sguardo torvo puntato sulla corvina.
«L'ha detto lei di pensare a sentimenti forti, l'amore è forte» si difese lei «L'amore smuove il mondo e quella roba lì no?»
Kay tirò su col naso, Krista aveva ragione, se avesse continuato a pensare al cadavere di suo padre avrebbe dimenticato tutto il resto. Avrebbe dimenticato il suo amore, il tempo passato a giocare, le notti in cui dormiva tra le sue calde braccia, doveva pensare a tutto quello con amore, nostalgia, senza essere inghiottito dalla tristezza.
Sollevò la mano sinistra concentrandosi su di lui, sul suo sorriso, sui suoi abbracci soffocanti, le carezze delicate che gli grattavano il viso a causa delle mani ruvide e rovinate. Ripensò alle sere in cui si addormentava sul divano e si svegliava nel letto sotto le coperte, a quei pochi momenti di tranquillità dove Urim gli insegnava a leggere e scrivere. Un tepore delicato gli avvolse il petto, le lacrime iniziarono a colargli sul viso disegnando irregolari linee di pulito. Aprì gli occhi lentamente. Un grande fuoco verde acido e luminoso come il sole stava avvolgendo il suo braccio fino al gomito, stava riscaldando il suo corpo e la sua anima ma non bruciava, non faceva male. Era semplicemente meraviglioso.
Lo sguardo fiero sui loro volti gli fece battere il cuore, persino Seline sembrava fiera di lui, il vento impetuoso e la pioggia incessante non lo spaventavano più. Aveva suo padre con se. Aveva il suo fuoco a proteggerlo.
Si svegliò il mattino successivo con una goccia che sembrava volergli bucare una tempia, non ricordava come si fosse addormentato o quando. Si guardò attorno spaesato, il sole splendeva come se non ci fosse mai stata nessuna tempesta. I suoi raggi creavano piccoli arcobaleni di un solo attimo attraverso le gocce che dalle foglie cadevano inermi verso il vuoto. Il verde brillante del sottobosco gli riportò alla mente il fuoco speciale che lo aveva salvato. Si mise seduto a terra e ci riprovò, pochi istanti e le fiamme divamparono ancora. Era un talento naturale.
«Smetti di giocare, andiamo» sbuffò alle parole di Scott, perché era sempre così brusco?
Si rimise in piedi e ripartì, adesso si sentiva più al sicuro.
Il cammino fu monto più complicato. Il fango incollava i piedi al terreno e sembrava volersi prendere i suoi scarponcini. Ma almeno aveva dormito e lo stomaco era finalmente pieno, poteva farcela, c'era quasi. Natalia aveva detto sarebbe stato difficile ma lui aveva il suo fuoco adesso.
La vegetazione iniziò presto a diradarsi.
«Fattorie» commentò Seline rabbrividendo. In lontananza un grande edificio di legno spiccava tra i campi coltivati. Gli altri spiriti la fissarono confusi ma Kay aveva capito perché Seline avesse reagito in quel modo. In uno di quei brutti edifici chiamati fattorie lei ci era morta.
«Io non morirò in una fattoria tranquilla» provò a rassicurarla abbracciandole la vita. Quei quattro esseri umani avevano passato mesi a prendersi cura di lui, chi per più tempo chi per meno, ognuno di loro lo aveva sostenuto a modo suo, guidato a modo suo, era ora di ricambiare il favore.
Kay si incamminò disinvolto, non doveva dare nell'occhio, accucciarsi, nascondersi, muoversi di soppiatto con piccoli scatti veloci lo avrebbe reso solo più sospetto.
Quella città di cui aveva parlato Natalia era più simile a un villaggio di contadini. Mucche al pascolo brucavano l'erba riempiendo l'aria dei loro muggiti soddisfatti. Kay aveva visto un cavallo in lontananza, un grandissimo stallone dal manto color nocciola, scalpitava in un recinto tentando di disarcionare il suo cavaliere. Quel posto sembrava così tranquillo, un paradiso in terra, se solo non ci fosse stato quell'imponente muro di cemento armato grigio e triste. Le pareti liscissime erano impossibili da scalare e anche se ci fosse riuscito un grande rotolo di filo spinato ne coronava la cima rendendo impossibile il passaggio, a meno che non volesse dilaniarsi la carne certo, ma questa per Kay non era un'opzione.
Doveva trovare un altro modo, magari poteva aggirarle, ma se avessero circondato tutto lo stato? Si sarebbe ritrovato punto a capo. Di passare dal mare non se ne parlava, le coste, specialmente da quando lo avevano scoperto, erano controllate centimetro per centimetro da mattina a sera e in ogni caso lui non sapeva nuotare. Forse c'era un'apertura, un piccolo buchetto in cui si sarebbe potuto infilare per sgattaiolare via senza essere visto. Si guardò attorno, l'ansia iniziava a stringergli il petto, ed eccola lì la sua apertura, la sua via di fuga, un grande portone di metallo, l'uscita verso il mondo libero.
Come sarebbe passato da lì era un mistero ma almeno ora sapeva che quel muro aveva un'uscita.
La voce squillante di un ragazzino raggiunse le sue orecchie indicandogli la soluzione.
«Basta papà non ce la faccio più» si era buttato sul prato a pancia in su e con le braccia larghe, aveva forse quindici anni.
«Muoviti abbiamo quasi fatto, vuoi fare tardi con la consegna?» lo riprese l'uomo.
«No» bofonchiò lui rimettendosi in piedi «Però non è giusto ne mancano ancora tantissime» si lamentò ancora.
«Allora muoviti più in fretta» l'uomo stava caricando una grande cassa di legno su un furgone.
«Io volevo fare l'avvocato» continuò calciando una pietra «Non il contadino»
«E io la ballerina, pensa un po'» lo riprese il padre visibilmente innervosito dalle sue lamentele.
«Quello va all'esterno» aveva sussurrato al suo orecchio Natalia, Kay approfittò di un momento di distrazione dei due per infilarsi tra le casse e nascondersi in mezzo alla merce. Sentì l'uomo salire dal lato guidatore e suo figlio dalla parte opposta. Il motore si accese con uno scossone e partirono. Stava venendo sballottato nel buio da una parte all'altra ma sapeva che prima o poi sarebbe stato libero, doveva avere pazienza.
Una frenata brusca gli fece quasi mordere la lingua, delle voci severe si fecero sentire da fuori.
«È il protocollo»
«Ma siamo già in ritardo, potete chiudere un occhio per questa volta?» provò a dissuaderli l'uomo.
«Si è forse dimenticato che la nostra sicurezza è minacciata da un Immondo? È in fuga e potrebbe essere ovunque, ci dia le chiavi»
«Ma dai» sbuffò il quindicenne «È un bambino, sarà già morto. E comunque per arrivare qui senza farsi vedere da nessuno avrebbe dovuto attraversare i boschi, se lo sarà mangiato un orso o lo avranno fatto a pezzi i lupi»
Kay strinse i pugni, quel bastardo gli stava veramente antipatico ora. Un nodo gli si fermò a metà della gola quando sentì il tintinnio delle chiavi, le porte si aprirono prima di rinchiudersi subito dopo e gli sportelli del furgone si spalancarono cigolando maligni, la luce lo investì.
«Ti prego, ti prego, ti prego» continuava a ripetere a mani giunte Kay. Magari si sarebbe stufato prima di raggiungerlo, sarebbe tornato indietro e lo avrebbe lasciato lì. Libero.
«Ma...»
Kay sollevò lo sguardo. Lo avevano scoperto. Si alzò scattando verso l'uscita come una lepre ma il militare lo inseguì prontamente, aveva appena messo un piede a terra quando l'uomo lo afferrò per i capelli tirandolo indietro. Kay si sentì strattonare con forza, mise le mani sulla grande mano dell'uomo provando a liberarsi ma la sua stretta era troppo forte. Lo tirò ancora costringendolo a inarcare la schiena. I loro sguardi si incrociarono, i suoi occhi lilla puntati nelle due sfere scure dell'uomo, aveva gli occhi marroni, ma scuri, in grado di catturare tutta la luce circostante facendo sprofondare il mondo nel buio più nero, occhi malvagi.
«Biryukova» sussurrò sorpreso, Kay continuò a tirare, ancora e ancora, finché i suoi capelli si strapparono dalla nuca. Fu doloroso, molto doloroso ma adesso poteva correre via.
«Biryukova, l'Immondo è qui» gridò il soldato buttando a terra le ciocche scure che erano rimaste intrappolate nelle sue dita. BANG. La donna con lui era accorsa in suo soccorso e aveva sparato contro il bambino. Il proiettile si era conficcato dietro la coscia. Il dolore lo prese alla sprovvista facendolo cadere rovinosamente a terra.
Aveva il fiato corto. Aveva paura. Si trascinava a terra come una lumaca la cui scia era in realtà sangue rosso e denso. I due contadini corsero via, abbandonarono la loro merce e urlando "l'Immondo, l'Immondo, ci ucciderà tutti". Era circondato.
Doveva pensare a cose belle, doveva pensare a suo padre, al suo sorriso, al suo amore, ma come poteva concentrarsi su quelle cose in un momento simile? Era a terra, disarmato, indifeso. Niente fucile, niente protezioni, persino il cibo era rimasto sul furgone. Come poteva pensare cose belle se in quel momento il suo cuore batteva di odio e paura? Le nuvole grigie che imbrattavano il loro petto avevano centinaia di sfumature diverse, alcuni erano spaventati, altri divertiti, le loro anime erano scure, una macchia di grigio freddo, quasi nero.
Una donna si avvicinò a lui, in una mano una pistola nell'altra un collare di metallo luminoso. Se gli avessero messo quello sarebbe finita, lo avrebbero portato via e giustiziato. Tutta quella fatica sarebbe risultata inutile. Si mise in piedi a fatica sollevando il braccio destro col palmo rivolto verso di lei.
Fanculo suo padre.
Fanculo l'amore.
Fanculo i pensieri felici.
Se doveva usare l'odio, l'avrebbe fatto.
La donna si mise a ridere «Dai ragazzino chi vuoi prendere in giro? Stai buono, se fai il bravo non ti succederà nulla promesso» il ghigno sul suo volto, il sarcasmo nella sua voce, era sicura di sé e si stava prendendo gioco di lui. Non fece altro che farlo infuriare di più. Avrebbe voluto vederla morire, avrebbe voluto vederla bruciare.
Strinse gli occhi. L'odio gli si stava contorcendo attorno alle viscere come un pitone, il calore iniziava a bruciare i muscoli, ma non era un tepore piacevole e rassicurante, era lava pura quella che scorreva nelle sue vene. Quando aprì gli occhi alte fiamme verdi avvolgevano il suo braccio, fiamme sempre più scure. Quel verde luminoso, affascinante, stava lasciando spazio a un fuoco di colore nero. Una fiammata investì la donna che non fece in tempo a schivare. Le sue urla si alzarono in cielo. Urla agghiaccianti di dolore. Piangeva la donna, piangeva mentre invano tentava di liberarsi da quella maledizione. Passarono pochi minuti di assoluto silenzio, persino i soldati erano rimasti senza parole, la videro bruciare davanti ai loro occhi. Le grida si spensero, adesso ne era rimasta solo cenere.
Morta. Di lei era rimasto solo un cumulo di polvere scura. I suoi vestiti, le sue ossa, la sua carne, i suoi capelli, persino la sua arma e il collare che stringeva in mano, non era rimasto nulla se non polvere, come se non fosse mai esistita.
I suoi colleghi si ripresero e puntarono contro di lui le armi, era circondato da forse un'altra decina di persone ma non tutti spararono, la maggior parte era scossa da brividi di terrore per ciò che era appena accaduto. Due di quei colpi lo raggiunsero, uno gli graffiò il fianco l'altro passo così vicino alla sua testa che per un secondo pensò sarebbe morto.
Kay digrignò i denti. Centinaia di immagini attraversarono la sua mente in un lampo. I Kalyvas, suo padre, Klevi, Dulina e la banda che gli andava sempre dietro, il vecchio Ermal completamente pazzo, i cani, i gabbiani e la loro discarica, la ragazza che aveva difeso Dios e che era stata fatta sparire, il cadavere del suo amato padre, l'esecuzione di Natalia, le immagini della sua gente che cadeva a terra senza vita. Un grido furioso uscì incontrollato dal fondo dalla sua gola. Loro meritavano la morte. Meritavano di diventare polvere. Meritavano di non esistere. Tutti loro lo meritavano. Direzionò le fiamme verso i suoi nemici. Un coro di urla disperate ornarono quella splendida giornata di sole.
E, poco a poco, la carne divenne cenere, le grida si acquietarono, le fiamme si spensero, le mura crollarono alzando un gran polverone. Anch'esse polvere scura.
Kay tentò di riprendere fiato, era ferito, stanco, il suo braccio sanguinava, la pelle era bruciata fino a perdere ogni strato protettivo, la carne viva a contatto con l'aria bollente era dolorosa ma lui era felice. Era soddisfatto. Era libero.
Riprese a camminare. Un ghigno inquietante a deformare il suo volto.
Vendetta.
SPAZIO AUTORE
Salve stelline. Eccoci con la pubblicazione di questa settimana (sto cercando di essere più puntuale possibile🤞). Cosa ne pensate? Vi aspettavate questo cambio di rotta? Ditemi la vostra nei commenti. Baci💓
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