Fuga
Forse negli incubi esistono anche parentesi di sogni. Basta cercarle.
Erano passati due mesi ormai. Il cibo che aveva rubato era finito da tempo, aveva passato giorni interi a digiuno. L'unico lato positivo era che fortunatamente le ferite sulle mani non si erano infettate. Aveva provato a rubacchiare qua e là qualcosa da mettersi nello stomaco ma non riusciva mai a prendere granché, e soprattutto era diventato troppo pericoloso ormai. Entrare in casa della gente significava ritrovarsi in una gabbia assieme ai propri assalitori.
Aveva scoperto che anche fuori dalle grandi città esistevano quelle cose chiamate "ristorante" dove le persone pagavano per mangiare e poi andavano via, a casa o chissà in quale altro posto. Aveva anche scoperto che molti ristoranti avevano grandi cassonetti nei vicoli vicini, cassonetti dove gettavano il cibo avanzato o marcio e quindi inutilizzabile. Era uno schifo, Kay odiava farlo, ma non aveva scelta, piuttosto che morire di fame preferiva mangiare gli avanzi di qualche Benedetto o Profano, anche se a volte ci trovava in mezzo calzini bucati e varie altre cose decisamente non commestibili.
Più di una volta aveva combattuto con cani randagi per un pezzo di pane ammuffito, e puntualmente vinceva quella battaglia, seppur non per merito suo. Ogni volta che una di quelle bestie scopriva i denti ringhiando Kay sapeva che gli sarebbe balzato addosso, pronto a morderlo con quelle zanne aguzze. Ma tutte le volte qualcosa colpiva con violenza la bestia, sul muso o direttamente sul ventre, e quella se ne andava uggiolando con la coda tra le zampe.
C'era un grosso problema però, quella situazione stava diventando sempre più insostenibile.
La lotta per il cibo, il freddo che trapanava le ossa facendolo tremare fino alla punta dei capelli, la paranoia, le notti di incubi, i pianti, non era più così sicuro di farcela.
Per quanto si fosse avvicinato al suo obbiettivo avere un bersaglio sulla schiena stava diventando pesante. La speranza iniziava ad abbandonarlo.
Il governatore Zakhar Urusov aveva fatto un nuovo annuncio, non lo aveva ascoltato tutto ma quello che aveva sentito non prometteva per niente bene. La sorveglianza nelle città e nei quartieri di Santi e Benedetti sarebbe stata triplicata, sarebbe stato imposto il coprifuoco, ogni trasgressore sarebbe stato punito secondo i dettami della legge ma non solo. Un premio di cinque miliardi di drekle per chiunque fosse riuscito a ucciderlo. Una somma tale da permetterti di non dover mai più lavorare in vita tua. Non era più un semplice bersaglio con le gambe, adesso aveva anche una taglia sulla testa. Questo voleva dire solo una cosa, da quel momento in poi anche Santi, Benedetti e Profani avevano il diritto di tirare fuori le loro armi e puntarle su di lui.
Era metà gennaio. Non sapeva per quanto ancora avrebbe dovuto camminare prima di raggiungere i monti, ma soprattutto non sapeva se fosse ancora in grado di fuggire, era stanco, troppo stanco. Si era accasciato contro uno di quei mobili che contenevano cibo e facevano luce quando aprivi lo sportello, era rovinato in diversi punti e lo sportello non c'era più, forse era quello il motivo percui era in una discarica. Nascosto dietro un materasso sporco e malconcio, piangeva nel suo angolino mordendosi il labbro per non far rumore.
«Per quanto ancora? Quanto tempo ancora?» singhiozzava stretto nelle spalle «Quanto è passato? Quanto sono lontano?» continuava a chiedersi, i morsi della fame non lo aiutavano affatto a recuperare fiducia.
«Andrà tutto bene» sentì la voce della ragazza marrone parlargli a pochi centimetri dalle orecchie, era da tanto che non la sentiva ormai. Gli era mancata. Sollevò la testa di scatto asciugandosi le lacrime che gli offuscavano la vista. Ed eccola lì. In una strana nuvola semitrasparente, ondeggiava come vapore. Era al suo fianco, sforzava un sorriso nel tentativo di rassicurarlo. Che stesse delirando? Pensò fosse colpa della fame, magari era solo un'allucinazione.
«Tranquillo Kay, ti proteggeremo sempre piccolo» gli accarezzò una guancia fissandolo dritto negli occhi. Kay era immobile, troppi pensieri affollavano la sua mente, non si mosse quando la mano fredda di lei toccò la sua guancia provocandogli un brivido intenso di puro gelo.
Era davvero lì con lui? Anzi prima di tutto doveva chiedersi, era davvero lei? Sapeva fosse morta, come poteva essere lì a rassicurarlo?
Avvicinò titubante una mano verso i suoi capelli ricci e arruffati, erano inspiegabilmente morbidi e piacevoli al tatto. Continuò a toccarla. Le passò le dita sulla pelle con delicatezza, un segno rosso le cingeva il collo. Era morbida al tatto ma anche gelida. Scese lungo il braccio e le afferrò il polso, anche su quello un segno rosso le irritava la pelle. La ragazza era ferma, lasciava che il bambino esplorasse il suo corpo in libertà, aspettava solo che si rendesse conto che era reale. Sorrise quando lo vide prendere le sue dita e fissarle una ad una, ma si fece cupa quando Kay si accorse di quel foro dai bordi irregolari che le rovinava il volto. Proprio lì, sulla tempia, uno sparo ravvicinato alla testa aveva rovinato il suo splendido aspetto per sempre.
«Dove sei? Non te ne andare» parlò il bambino con le lacrime che già gli inumidivano gli occhi. Era scomparsa nel nulla, come l'ologramma di un proiettore a cui si erano scaricate le batterie.
«Sono qui Kay, sarò sempre qui» rispose posandogli delicatamente una mano sulla testa «Non piangere piccolo»
Kay non riusciva più a vederla, ma poteva ancora toccarla e sentirla almeno. Si avvicinò ancora un po' a lei accoccolandosi tra le sue braccia, non gli importava del freddo, non gli importava se quella ragazza era congelata, aveva bisogno di un abbraccio, aveva bisogno di qualche ora di sonno in un posto sicuro, e che quella fosse tutta un'illusione o no a chi importava? Sicuramente non a lui. Quella ragazza marrone lo faceva sentire bene, era carina con lui, di lei poteva fidarsi.
Si svegliò di soprassalto quando sentì delle voci avvicinarsi al suo nascondiglio, non sapeva chi fossero «Scappa» intervenne la ragazza al suo fianco. I due individui stavano parlando di un programma televisivo che avevano visto la sera prima, Kay non sapeva cosa fosse una televisione né come funzionasse, ma sapeva che qualunque cosa fosse quella di cui stavano parlando erano distratti. Ne approfittò per sgusciare fuori dal suo nascondiglio, in quei mesi aveva imparato a muoversi silenziosamente e a prestare attenzione a tutto quello che lo circondava.
Tirò su il cappuccio della felpa grigia che aveva rubato circa un mese prima, era sicuramente più calda di una semplice maglia di cotone, soprattutto adesso che aveva perso la sua mantella di lana quella felpa ormai lurida era indispensabile. Si mosse lentamente e in silenzio, aveva imparato che così dava meno nell'occhio, mimetizzandosi nel grigiore di quei quartieri di Profani.
Più avevi un numero alto lì dentro e più la gente ti guardava con disprezzo, eri pericolosamente vicino al primo grado degli Eretici, quasi un mostro. Eppure Kay avrebbe pagato oro per essere come loro. Invece no, lui era un Immondo, una di quelle creature spietate e sanguinarie a cui la Repubblica dava la caccia da decenni. Non era un semplice mostro ma il demone in persona. Lui un numero neanche lo aveva. Chi mai darebbe un numero a una persona che non esiste?
Sì chiedeva come fosse possibile che lui, un bambino di sette anni, fosse considerato indegno della vita a tal punto da mettere una taglia sulla sua testa. Come fosse possibile che su di lui pendesse una condanna a morte, nonostante, neanche lui, sapesse come avesse fatto a creare tutti quei danni, a uccidere senza neanche toccare. La risposta era proprio sotto i suoi occhi, era un Eretico, era un nove, dopo c'erano soltanto Maledetti e Immondi, e solo un Immondo può essere tanto mostruoso da non aver bisogno neanche di muoversi per prendere la vita di qualcuno. In fondo lo sapeva anche lui, la sua singolarità lo rendeva un pericolo per chiunque.
Lui era la morte. Intrappolata nel corpo di un bambino.
Trovò un nuovo posto dove nascondersi; sotto le scale di una palazzina in costruzione era sicuramente più a riparo dalle intemperie. Si sdraiò in posizione fetale per non dissipare il calore del suo corpo e tentando di riprendere sonno allungò una mano verso il niente «Sono qui» rispose la sua amica afferrandola con gentilezza, gli accarezzò il viso aspettando che si addormentasse.
La terra tremava scuotendo alti palazzi come un cavallo imbizzarrito e scalpitante che tentava di disarcionare il proprio cavaliere, il suolo stava iniziando a spaccarsi in crepe così ampie da poter inghiottire una persona, massi di cemento cadevano dal cielo come comete, l'aria era satura di urla terrorizzate, uomini in divisa davano ordini in ogni direzione, poi silenzio.
La terra si fermò, le urla si acquietarono, la città era rimasta colpita gravemente da quella scossa ma non c'era tempo da perdere, potevano esserci delle vittime, qualcuno poteva aver bisogno di aiuto.
«Stout-man unisciti alla squadra di Blue Moth e dalle una mano, sei sotto il suo comando» parlò un robusto uomo poco distante. Aveva una voce ferma, autoritaria, ma anche uno strano costumino colorato difficile da prendere sul serio.
«Si signore» Kay non riuscì a capire da dove venisse quella voce, né come fosse possibile che capisse cosa stessero dicendo. Ebbe la strana sensazione di essere stato lui a rispondere. Non era la prima volta che la provava e tutte le volte non era andata a finire bene.
Si mosse verso una donna alta, snella, dai grandi occhi castani e una bellezza sconvolgente. Sembrava una dea dall'eleganza mozzafiato, aveva due ali blu notte che le spuntavano sulla schiena e la rendevano ancor più maestosa, le antenne nere che le spuntavano dai capelli si muovevano freneticamente in ogni direzione come se stessero captando qualcosa.
Fece un cenno e subito lui e altri due compagni la seguirono «Due, lì sotto» indicò un punto in cui un palazzo aveva ceduto. C'era un'apertura minuscola, neanche un neonato ci sarebbe passato «Vado, cercate di allargare questo buco voi» intervenne una delle due ragazze che avevano seguito Blue Moth, unì le dita delle mani diventando grande come una formica per poi entrare nella fessura.
Kay era sconvolto, cosa stava accadendo? Chi erano quelli? Dove era lui? Chi era lui? Non riusciva a trovare una risposta.
Non aveva mai fatto un sogno così lungo e frenetico, si stava muovendo come una trottola impazzita eseguendo gli ordini di quella donna come un burattino. Aveva allargato l'apertura con l'aiuto dell'altra ragazza. Aveva salvato due bambini rimasti intrappolati sotto le macerie. Aveva tirato fuori un povero vecchio con la gamba incastrata sotto una trave di metallo.
«Stout-man mi servi lassù» Blue Moth era tornata in picchiata verso di lui «Sono una ragazza e il suo fratellino, è rimasto schiacciato da una colonna di cemento non riesco a liberarlo» gli tese la mano, lui la afferrò e si fece portare dalla donna fino in cima, seppur a fatica.
«Perché non hai portato giù la ragazza?»
«Non voleva abbandonare il fratello» la voce strozzata a causa dello sforzo «Tranquillo, insieme non arrivano a quindici anni posso portarli giù entrambi» lo rassicurò facendolo atterrare vicino ai due.
Si trovavano in quella che un tempo era una suite di lusso da migliaia di dollari, i due bambini erano terrorizzati, si tenevano stretta la mano e osservavano i due che erano arrivati in loro soccorso con gli occhi pieni di lacrime.
«Forza piccola» Blue Moth le sorrise allontanandola dal fratello per lasciare lo spazio necessario al collega per lavorare senza intralci. Piantò saldo i piedi a terra, si abbassò afferrando la base della colonna decorata e prima di alzarla scagliò un'occhiata alla collega. La donna intervenne tempestiva, prese il bambino da sotto le ascelle e lo trascinò velocemente in un posto più sicuro, controllò le sue ferite e con l'aiuto di lui immobilizzò le ossa rotte del piccolo prima di riportarlo a terra con la sorella.
«Torno a prenderti promesso» si rivolse a lui avvicinandosi a quella che un tempo era una splendida vetrata.
«Tranquilla, mi tengo in forma, faccio le scale» rispose tentando di alleggerire l'atmosfera, lei scosse la testa con un sorrisetto sconsolato sulle labbra, prima di spiegare le sue ali e spiccare il volo con i due ragazzi ben sicuri tra le sue quattro braccia.
Stout-man la osservò dall'alto mentre scendeva delicata a terra, tutto il contrario rispetto a quando si era fiondata su di lui solo pochi minuti prima, poi si voltò e fece per andarsene. Il pavimento inclinato si inclinò ancora di più, la terra tornò a tremare, cadde in ginocchio 'Merda, una scossa di assestamento' pensò, ma quel pensiero non apparteneva a Kay. Tentò di alzarsi, di camminare in un punto più resistente della struttura tenendo il baricentro più basso possibile. Non fece in tempo. Una voragine si aprì all'improvviso sotto i suoi piedi. Precipitò. Ancora e ancora. Sentì un colpo terribile sulla schiena che gli spezzò il fiato, era atterrato su delle macerie. Non sapeva quanti piani in caduta libera avesse fatto ma a giudicare dal CRACK che aveva sentito e dal dolore lancinante che gli occupava il petto doveva avere un bel po' di costole rotte.
Si guardò attorno stordito dal dolore e dalla botta. Quando riprese un minimo di coscienza tentò di alzarsi − rimanere lì poteva significare morire sotto un nuovo crollo − ma non ci riuscì, un lungo pezzo di metallo aveva trapassato il suo petto da parte a parte bucandogli un polmone. Nella penombra il suo sangue assumeva strane sfumature tenebrose.
Tentò di muoversi il meno possibile, provò a chiamare aiuto con la ricetrasmittente che aveva con sé, Non funzionò. Le forze lo stavano abbandonando. Aveva gli occhi socchiusi e la bocca aperta mentre annaspava in cerca di ossigeno. Respirare era sempre più difficile e sentiva chiaramente le gocce di sangue cadere nelle pozze che lui stesso aveva creato. Era la fine. Un dolore lancinante lo fece risvegliare all'improvviso, una nuova scossa. Avvicinò la ricetrasmittente al viso «Capitan...»
Buio.
Kay non aveva mai fatto un sogno così lucido, si sollevò da terra di colpo gridando terrorizzato, un grido profondo che gli graffiò la gola come gli artigli di una belva, ma fu interrotto dalla forte botta dietro la nuca che lo riportò nell'immediato al mondo reale.
Si era sollevato di colpo senza riflettere su dove si trovasse e aveva tirato una forte testata sotto la scala dove si era nascosto.
«Di qua» sentì la voce di una donna in lontananza mentre probabilmente stava richiamando a se i suoi compagni.
«Scappa, veloce» la ragazza marrone lo prese per un gomito facendolo alzare, era tornato a vederla «Corri» urlò preoccupata.
Kay seguì il consiglio, ricominciò a scappare come una lepre inseguita dai lupi, scavalcò cancelli, si infilò in piccoli passaggi angusti, tutto nel tentativo di seminarli ma sembrava fosse tutto inutile. Si era fatto scoprire per colpa di un incubo come un idiota. Per quanto corresse la situazione non faceva altro che peggiorare, sempre più uomini si stavano unendo alla caccia.
Svoltò in una viuzza dietro l'altra, neanche lui sapeva dove stesse andando, voleva solo sbarazzarsi di loro e c'era quasi, quando svoltando in uno di questi vicoli si ritrovò la strada sbarrata da un altissimo muro di mattoni. Qualcuno lo sorprese alle spalle mettendogli una mano sulla bocca. Vide un veloce movimento del braccio e due coltelli si conficcarono sulla parete davanti a lui.
La persona che lo aveva catturato lo scaraventò velocemente in uno strano edificio che puzzava di muffa, sembrava un magazzino degli attrezzi «Resta in silenzio» ordinò prima di chiudere la porta.
Kay sentì un colpo secco, come se qualcosa di duro avesse colpito con forza qualcos'altro «Merda» sentì gridare la donna, era nel vicolo adesso «Cazzo, quel brutto moccioso di merda» imprecò ancora «Giuro che lo ammazzo» sembrava furiosa.
«Natalia cos'è successo?» Kay sentì la voce di un uomo.
«Cos'è successo?» ripeté lei senza abbassare minimamente il volume della sua voce «L'Immondo, ecco cos'è successo. Quel marmocchio demoniaco» ringhiò «Datemi un fucile lo voglio riempire di piombo»
«Natalia, fammi vedere» Kay non capiva cosa stesse succedendo, la voce di quell'uomo era autoritaria ma sembrava anche preoccupata per la salute della collega.
Sentì la donna sospirare «Volevo tendergli un'imboscata»
«Dov'è andato?»
Kay non sentì nessuna risposta.
«Se ha imboccato la strada oltre il muro può arrivare solo all'industria tessile, tranquilla, si è messo in trappola da solo» sentì l'uomo allontanarsi «Tu torna a casa, hai fatto abbastanza per oggi»
La donna provò ad opporsi ma fu subito zittita dall'uomo.
«Capitano, ha il mio fucile, fate attenzione»
Kay riuscì a sentire i soldati allontanarsi in massa, così come sentì i passi di quella Natalia avvicinarsi.
Stava aspettando il ritorno di quella donna con il cuore in gola, non c'era via di scampo, l'unica uscita di quel magazzino fatiscente era quella porta in legno marcio che lo separava da morte certa, ma ciò non voleva dire che sarebbe sopravvissuto ugualmente.
Sentì un cigolio ed eccola di ritorno, aveva un segno rosso sulla faccia ma anche così era spaventosa. Kay la fissò con gli occhi spalancati mentre lei richiudeva la porta velocemente. Tremava di terrore, aveva il cuore in gola che martellava incessantemente fino a far male. Era la fine. Era solo, stanco, affamato, aveva paura, tutte le persone che incrociava per strada gli davano la caccia come fosse selvaggina. Non sapeva se aveva ancora le forze di combattere soprattutto contro un soldato addestrato a uccidere. Forse doveva solo lasciar perdere, lasciare che la vita facesse il suo corso e la Repubblica lo giustiziasse come quelli della sua razza avevano sempre meritato. Ma quella donna spaventosa dagli occhi di ghiaccio fece qualcosa che lo lasciò di stucco, lo abbracciò, stretto come una madre a suo figlio.
Kay rimase immobile, era una strategia? Lo stava ingannando? Lo stava proteggendo? Cosa significava quel gesto? La donna si allontanò da lui con una mossa veloce, spostò una sedia e poi il tappeto sotto di essa tirando fuori da una buca nel terreno uno zaino e una borsa a tracolla.
«C'è tutto il necessario, qualunque cosa di cui tu abbia bisogno la puoi trovare qui dentro» tornò con uno scatto davanti al bambino impietrito mettendogli una mantella calda sulle spalle «Questo si piega così è più facile da portare» continuò con la sua spiegazione, gli mostrò il suo fucile, lo smontò velocemente davanti al suo sguardo, scaricò e ricaricò le munizioni più volte mostrandogli ogni passaggio con cura prima di metterglielo a tracolla «Le munizioni sono qui, porta tutto con te. Sempre»
«Scappa» ricominciò subito «Scappa e non voltarti mai indietro, non guardare in faccia a nessuno, giorno e notte, non importa se hai fame, se sei stanco, se hai freddo o ti fanno male i piedi, devi continuare a correre. Vai verso nord e non fermarti mai» aprì un taschino della sua uniforme e ne tirò fuori un piccolo oggetto circolare con un cordino, lo legò stretto al polso del bambino per poi tornare a fissarlo «Questa è una bussola, devi seguirla sempre capito? Lei segna il nord, è l'unica direzione verso cui devi puntare. La lancetta rossa, la vedi? Ovunque segni la lancetta tu devi andare in quella direzione» Kay annuì seppur incerto, continuava a spostare lo sguardo tra la donna in carne e ossa davanti a lui e la sua amica marrone ferma sulla porta.
«Passa dai boschi. Cuoci sempre il cibo che trovi in giro così da evitare il più possibile di ammalarti. Non mangiare funghi e bacche se non sai riconoscere quelle velenose. Se finisci il cibo rubalo e scappa via, non farti scoprire. Non bere mai l'acqua dalle pozze o dai corsi dei fiumi, potresti infettarti con dei batteri. Devi prima depurarla. Stai attento, di notte gli animali più pericolosi escono allo scoperto. Fai attenzione a insetti e serpenti potrebbero essere pericolosi. Se sei troppo stanco e hai bisogno di dormire non farlo mai a terra, sali su un albero piuttosto e dormi su un bel ramo resistente, ma appena arriva l'alba scendi e ricomincia a scappare. Vai verso il confine e oltrepassalo. Anche con la forza se necessario. Hai tutte le carte in regola per uscire vivo da questo paese infernale, puoi farcela hai capito? Andrà tutto bene, tu ce la farai perché sei forte, sei un forte bambino coraggioso» lo abbracciò ancora stringendolo al petto «Non voltarti mai, non fermarti mai, non guardare in faccia a nessuno, preoccupati solo di te stesso, sei tu quello importante e nessun altro, puoi farcela Kay, devi farcela e sono certa che ce la farai, credo in te piccolo»
Kay era incredulo, aveva sentito la voce di quella donna farsi istante dopo istante sempre più rotta in gola, qualcosa come una goccia di pioggia bagnò la sua fronte. Alzò lo sguardo. Stava piangendo. Natalia Smirnov, quell'insensibile donna in uniforme, dagli occhi azzurri talmente freddi e severi da essere come pugnali di ghiaccio, stava piangendo mentre a stento tratteneva i singhiozzi.
«Corri, corri via da qui» la voce spezzata in fondo alla gola, gli occhi ancora invasi dalle lacrime, non riusciva a fermarle, aveva un peso sul petto, un peso che le schiacciava le costole e a malapena le permetteva di respirare, era responsabile. Anche lei, era responsabile di quelle atrocità. Salvare quel bambino non sarebbe bastato a ripagare tutte quelle vite infrante, tutte quelle sofferenze inflitte senza pietà a persone innocenti. Sull'arma che le aveva ferite c'era anche la sua mano. Natalia non aveva mai provato quella sensazione, ma forse sapeva quale fosse il suo nome, rimorso. Ecco cos'era. Pentimento, per tutto ciò che aveva fatto. Non avrebbe potuto riportare indietro quelle persone, non avrebbe potuto ridare loro la vita che avevano prima, e questo non era altro che un motivo in più per sentire quella morsa stringersi ancora più forte intorno al cuore. Ma forse aiutare quel piccolo bambino terrorizzato a fuggire da lì in cerca di un posto migliore.... Forse permettergli di trovare un paese migliore in cui la sua Singolarità non sarebbe stato qualcosa da eliminare per sempre, ma al contrario da coltivare, insegnandoli come averne il controllo... Forse fare quella piccola grande opera di bene sarebbe potuto essere un primo passo, un primo passo per iniziare a ripagare una ad una tutte le sofferenze inferte a quelle anime innocenti nate nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Kay Biryukova sarebbe stato quel suo primo passo verso la propria redenzione, aiutare lui era solo l'inizio. Questa era la sua scelta.
Gli diede un bacio sulla fronte «Via libera» sussurrò una volta tornata da lui dopo aver controllato la situazione nei dintorni «Io ti coprirò, cercherò di farti guadagnare tempo, tu non fermarti»
Kay annuì ancora sconvolto da tutto quello che era successo, Natalia era l'unica persona in carne ed ossa che lo aveva aiutato dopo la morte di suo padre. Sentiva uno strano calore nel petto, qualcosa che non provava da tempo.
Seguì gli ordini della donna, fece attenzione ad ogni passo, lasciandosi presto la civiltà alle spalle.
«Attenzione» lesse lentamente la parola scritta in rosso a caratteri cubitali sul cartello di metallo malconcio; a quanto pare il bosco era davvero pericoloso.
Ci pensò un po', era meglio rischiare di farsi uccidere da una bestia feroce o andare incontro a morte certa davanti a dei soldati i cui ordini erano di ucciderlo? Qualcuno lo spinse da dietro. Kay si voltò imbracciando l'arma che Natalia gli aveva dato.
«Ma per piacere ragazzino, datti una mossa» sentì la voce di un uomo parlare proprio davanti a lui, o meglio, era una nuvola di vapore a parlare.
Eseguì titubante l'ordine di quell'uomo, in fin dei conti aveva ragione, se fosse andata male sarebbe morto, e quindi? Almeno optando per il bosco aveva una minima incerta possibilità di uscirne vivo.
La notte calò presto, ululati inquietanti si levarono nel cielo scuro, stava iniziando a pentirsi della sua decisione. Una falce di luna illuminava il suo percorso tra le fronde degli alberi. "Non fermarti" aveva detto la donna. In quel momento fermarsi non era certo un'opzione. Cercò di muoversi senza far rumore, velocemente ma al tempo stesso in modo cauto. Il piccolo ago rosso della sua bussola rifletteva la poca luce di quella notte indicandogli la via.
Era stanco, le scarpe erano quasi del tutto distrutte, i piedi facevano male, lo stomaco brontolava incessantemente. Fu una notte difficile. Più volte la voglia di fermarsi a riposare lo aveva tentato. Ogni volta quell'uomo vaporoso lo tirava su di peso gridando «Puoi andare ancora avanti moccioso»
Si alzava in piedi, e riprendeva a camminare a testa bassa carico come un mulo. Quell'uomo era antipatico, non come la ragazza marrone. No, lei era gentile, gli faceva le carezze, lo faceva dormire sulle sue gambe, si prendeva cura di lui come faceva suo padre, lei era bella e buona, lui solo un brutto antipatico. Non vedeva l'ora che tornasse così quell'omaccio sarebbe andato via.
Venne l'alba, il primo giorno nel bosco era andato tutto liscio. Si era fermato a bere un po' dalla borraccia di ferro che aveva nello zaino e aveva deciso di controllare cos'altro ci fosse all'interno. Cibo, vestiti di ricambio per proteggersi dal freddo, un'altra strana borraccia di metallo con uno strano tubo pieno di forellini in mezzo, ma soprattutto un paio di scarponcini in cuoio.
Trovò un posto dove sedersi, l'erba fredda e umida gli bagnò i vestiti ma non se ne curò minimamente, finalmente delle scarpe calde, tutte intere. Poteva finalmente camminare senza preoccuparsi delle ferite ai piedi. Le indossò quasi piangendo, erano leggermente più grandi rispetto alla sua taglia ma comunque comode. Legò con cura i lacci in due fiocchi perfetti.
«Sei contento?» delle dita delicate toccarono la sua guancia, annuì stirando un furbo sorrisetto. La ragazza marrone era bellissima quando sorrideva, il modo in cui gli parlava, in cui lo toccava, tutto ciò che faceva quella ragazza era puro amore, Kay non era più in grado di immaginare la sua vita senza di lei.
Passarono minuti di silenzio «Come ti chiami?» spezzò la quiete all'improvviso.
«Seline» rispose la ragazza, ancora minuti di silenzio, ma questa volta fu Seline a interrompere quel momento morto «Sai Kay, è da un po' che volevo dirtelo ma...» si morse delicatamente le labbra carnose «tu sei un eroe, il mio piccolo eroe. Senza di te io non potrei essere qui. Grazie» si avvicinò a lui stringendolo per le spalle.
Kay abbassò la testa scuotendola con forza «Non è vero» sussurrò «Io ho ucciso delle persone, gli eroi non uccidono le persone»
«Tu non hai ucciso nessuno» un'altra voce lo fece sobbalzare, era la voce di una ragazza, molto più dura e dai modi violenti rispetto a Seline. Kay aguzzò lo sguardo, una nuvola semitrasparente stava assumendo una strana forma umanoide. Iniziò a distinguerne la pelle chiara, delle calze ricoperte di fiocchetti, una lunga chioma spettinata di un nero scuro come la notte le ricadeva delicata sulle spalle coprendole il seno nudo. Aveva un'espressione severa in volto ma Kay aveva notato che nel suo sguardo c'era anche una punta di colpevolezza, come quando lui rompeva qualcosa in casa e suo padre lo sgridava.
«Chi allora? C'ero solo io lì. Li ho uccisi io, solo io potevo» le lacrime stavano spingendo sugli occhi, si strinse nelle spalle sul punto di scoppiare nell'ennesimo pianto incontrollato.
«Krista» rispose prontamente la ragazza dai capelli scuri.
«E chi sarebbe?» gridò furioso, il suo autocontrollo iniziava a vacillare ogni giorno di più, ogni piccola cosa poteva farlo esplodere in una rabbia folle e ingiustificata.
«Io» si inginocchiò a terra, la testa bassa, pentita «Non so perché l'ho fatto, il mio corpo si è mosso da solo, quando mi sono accorta di ciò che avevo fatto era già morto, io...» fece una lunga pausa prima di lasciarsi andare ad un lungo sospiro, come se avesse voluto riprendere il controllo delle emozioni che la stavano assalendo «ricordo solo di aver visto il fucile, di aver sentito le tue grida disperate, ho sentito avevi bisogno del mio aiuto ed è come se la mia testa si fosse spenta»
Kay la fissò a bocca aperta, era a dir poco sconvolto, tutto questo era stato causato da lei? Era colpa sua quindi. Lui non c'entrava nulla, era solo colpa di quella ragazza dai capelli neri. Lei. Lei aveva causato tutto quello. La sua famiglia, il suo distretto, il suo settore, ma più di ogni altra cosa suo padre, erano morti per niente. Erano morti solo per colpa sua.
«Non parlarmi, sparisci» si sollevò in piedi di colpo, rosso in viso dalla rabbia. Era colpa sua, non voleva vederla mai più. Krista si dissolse davanti ai suoi occhi ancora mortificata. Lacrime iniziarono a rigare le guance del bambino ma questa volta erano lacrime di rabbia. Si rimise lo zaino in spalla e carico di tutte le sue cose riprese il suo cammino, quella rabbia gli aveva dato la carica necessaria per andare ancora avanti.
Non si fermò molto e mai troppo a lungo, si concesse qualche pisolino di tanto in tanto, alcune volte non si fermava neanche per mangiare. Non sapeva per quanto ancora avrebbe dovuto camminare, quanto mancava al confine. Sapeva solo che uscire dal bosco era più pericoloso che restarci e che mangiare o bere mentre camminava era scomodo ma gli permetteva di guadagnare tempo.
«Dovresti dormire» era la voce dell'uomo antipatico.
«A te che importa?» ribatté violento, la rabbia ribolliva nelle sue vene ormai da giorni.
«Dormire poco indebolisce il tuo corpo, se ti indebolisci il viaggio sarà solo più difficile» odiava sentire la sua voce, aveva una tonalità che gli dava sui nervi e quel modo freddo in cui gli parlava, come fosse stato un suo superiore, peggiorava soltanto la situazione.
«Fermati e dormi Kay» ordinò non ricevendo risposta dal bambino.
Sbuffò «Ma di che ti preoccupi? Tanto ho un'assassina personale» rispose sarcastico voltandosi verso Krista, era ricomparsa da poche ore, giusto per spezzare il collo di un orso che aveva scambiato il bambino per cibo.
«Ti ha salvato la vita, dovresti ringraziarla» sembrava che anche l'uomo si stesse innervosendo.
Kay non rispose né a quella né a nessun'altra provocazione, avrebbe oltrepassato il confine al resto poteva pensarci dopo, per quanto lo riguardava, in quel momento, solo Seline poteva permettersi di avanzare richieste.
La notte calò presto sul bosco, gli ululati dei lupi si levarono in aria accompagnati dai gufi bubolanti. Kay era stanco, le gambe pulsavano a ritmo del cuore ma non aveva intenzione di fermarsi, non ancora. Inciampò su una radice più sporgente di quanto si aspettasse e cadde a terra con un gran fracasso. Sospirò alzandosi in piedi traballante e cercò di ripulire i graffi sporchi di terra che si era procurato sulle ginocchia.
«Kay dormi un po'» la voce soave di Seline lo obbligò a sollevare la testa «Hai viaggiato a lungo senza mai fermarti, devi farti un vera dormita» Seline gli passò una mano tra i capelli sporchi spostandoli dal viso latteo del bambino «Pochi minuti ogni tanto non bastano tesoro» continuò con la sua voce delicata «Resto con te okay? Ma tu devi dormire» prese il suo viso tra le mani e sorrise dolcemente quando Kay annuì alla sua richiesta.
Si arrampicò su un albero, non sapeva di che tipo di pianta si trattasse ma era molto alto e resistente, proprio come Natalia aveva detto. Fu faticoso arrivare così in alto ma grazie all'aiuto di Seline riuscì a raggiungere un punto che considerò abbastanza sicuro da potersi fermare.
L'uomo che lui conosceva come Stout-man prese una corda dal suo zaino e gliela passò attorno alla vita.
«Che fai?» si ribellò il bambino.
«Ti lego al tronco così sei più stabile» rispose velocemente nel suo solito modo brusco mentre ancora armeggiava vicino alla sua vita.
«E chi te lo avrebbe chiesto?» l'arroganza con cui si rivolgeva a lui quell'uomo era contagiosa, o forse era solo la psiche di Kay che lentamente cedeva giorno dopo giorno rendendolo fin troppo sensibile ai cambi d'umore improvvisi.
«Senti moccioso, se cadi da qui ti ammazzi e io non ho intenzione di lasciare che accada» alzò la voce come per sgridarlo «Non voglio morire ancora quindi tu resterai in vita, che ti piaccia o no»
Kay non capiva a cosa si riferisse con quel "non voglio morire ancora", sapeva di aver vissuto la sua morte facendosi pure scoprire, esattamente come era successo per Krista e Seline, ma non sapeva nulla più di questo. L'unica cosa certa era che sentire quello sconosciuto riferirsi a lui in quel modo brusco e rimproverante come fosse stato suo padre lo mandava su tutte le furie. Suo padre era solo uno e lui sapeva il suo nome. Urim Biryukova. Ecco qual era. Lui non doveva permettersi di prendere il suo posto.
«Non trattarlo così, è un bambino devastato dovresti cercare di capire come si sente» Seline era intervenuta in sua difesa ma Kay iniziava a stufarsi delle parole. Fu travolto dall'ira e scagliò un calcio in faccia all'uomo.
«Non toccarmi mai più senza il mio permesso figlio di puttana» ringhiò a denti stretti. Non sapeva cosa volesse dire quell'espressione ma sapeva benissimo che era un'offesa molto brutta perché tutte le volte che Dios la usava sua madre lo sgridava mettendolo anche in punizione.
Stout-man non rispose, rimase immobile a fissarlo, arrabbiato ma senza fiatare. Lo fissò per un po' prima di scendere dal ramo e lasciarlo lassù con Seline.
«Non te ne vai?» chiese Kay dopo qualche secondo di silenzio, aveva notato il disappunto sul volto della ragazza e in cuor suo sperava che restasse in realtà. Non sapeva perché avesse fatto quella domanda.
«Ti ho promesso che sarei restata qui con te» gli carezzò la testa e le guance delicatamente come sempre, ma c'era qualcosa di diverso quella volta. Le sue mani non erano più la sola cosa fredda. Quel tocco appena percettibile come il battito delle ali di una farfalla era privo di emozioni, di calore umano. Kay si sentiva in colpa, ma non per come aveva trattato Stout-man. No, lui era cattivo. Si sentiva in colpa perché quel suo comportamento aveva deluso la sua amica.
Il groppo che aveva in gola non lo faceva deglutire da quanto era fastidioso e ingombrante. Dopo qualche minuto però la stanchezza ebbe la meglio e precipitò nel mondo dei sogni.
Quando aprì gli occhi non si trovava più nella foresta ma in una stanza bianca circondato da persone sconosciute, militari in alta uniforme, funzionari di stato e tutte quelle cose politiche che capivano solo gli adulti. Quello che doveva essere il giudice sedeva più in alto di tutti e lo guardava con disprezzo. Che lo stessero processando?
Kay provò a parlare, a dire qualcosa per difendersi ma dalla sua bocca non uscì suono. Una ciocca di capelli color rame cadde davanti ai suoi occhi. Una striscia arancione a coprire una parte della sua visuale.
«Traditrice» Kay conosceva quella lingua e anche quella voce. L'uomo tanto preoccupato per Natalia Smirnov era adesso furioso, la sua voce era roca, rotta dalla rabbia. Si voltò verso di lui ancora legato e inginocchiato a terra e sentì il suo volto piegarsi in un sorrisetto di sfida.
«Sai cos'hai fatto vero?» la donna seduta al fianco del giudice intervenne, come se volesse accertarsi che l'imputato fosse al corrente dei crimini che aveva commesso ma comunque fredda, distaccata.
Kay si alzò da terra tremante. Le persone attorno a lui presero la posizione di guardia, pronte a far fuoco al primo movimento sospetto. Si mise in piedi a fatica, le ginocchia molli a stento reggevano il suo peso. Solo quando sollevò lo sguardo si rese conto che in una tribuna più in alto, lontano da tutti gli altri, Zakhar Urusov lo osservava severo e in completo silenzio. Gli salì un groppo in gola alla vista dell'uomo ma la sua mente era come se già ne fosse a conoscenza. Una domanda gli sorse spontanea, era davvero la sua mente? Era davvero lui che stava subendo un processo? Sentiva come se quel corpo non gli appartenesse, come se quei movimenti non fossero suoi. Ma se era davvero così, chi stava per morire?
«Sì» una risposta secca, monosillabica, uscì dalla sua bocca decisa e tagliente, ma non era la sua bocca a muoversi e non era la sua voce a parlare «Sono consapevole di ciò che ho fatto. Ho salvato un bambino da una fine orribile, l'ho salvato dalle vostre grinfie assetate di sangue»
Un brivido gli corse lungo la schiena quando finalmente riconobbe quella voce.
«E sono anche consapevole che insabbierete tutto un'altra volta, continuerete a mentire al popolo e a voi stessi, continuerete a mantenere la nostra società chiusa e divisa in modo da non perdere potere» adesso era fissa sul governatore di stato, rabbiosa.
«Signorina Smir...» provò a intervenire il giudice posto al centro nel tentativo di placare la donna, ma fu interrotto da un secco "muto" di lei.
«Io vi avverto» ricominciò rivolgendosi alla più alta carica presente nella stanza «Non so quando né come ma un giorno tutto questo vi si rivolterà contro. E se non sarà contro di te Zakhar, sarà contro i tuoi discendenti o discepoli. I Santi crolleranno sotto la furia distruttiva della gente che hanno schiacciato. Preparatevi tutti a soccombere perché un giorno la minaccia che dovrete affrontare non sarà un bambino a cui avrete affibbiato il nome di Immondo, né qualche Maledetto evaso dalle vostre prigioni disumane. Un giorno dovrete affrontare la ribellione della stessa gente che dite di proteggere. La rivolta arriverà, divamperà come un rogo implacabile e voi brucerete con noi» concluse, la voce graffiata dalla rabbia e dalle urla, il fiato corto e lo sguardo ancora puntato sul volto dell'uomo.
«Peccato» fece spallucce Zakhar Urusov prendendosi gioco della donna «Non sarai qui per partecipare» continuò con un finto dispiacere nella voce.
La donna si ricompose. La schiena perfettamente dritta, le braccia ancora legate dietro di essa, la postura fiera di chi è pronto a perire per i suoi ideali, di chi è deciso a non abbassare più la testa.
«Se nulla è quello che ci lasciate, noi non ci mettiamo nulla a lasciarvi» decretò lo sue ultime parole prima che qualcosa di molto duro le colpisse violentemente la nuca.
Quando riprese conoscenza il collo di Kay bruciava come fuoco. Sentiva le vene del suo corpo ustionate, arse dal sangue stesso come se pura lava avesse appena sostituito quella sostanza cremisi che lo teneva in vita. Aprì gli occhi ma non si trovava nel bosco, si guardò attorno, la vista sfuocata e la testa che pulsava a ritmo del cuore. Era completamente nudo in una grande piazza, intorno a lui le insegne colorate dei negozi mandavano bagliori al neon, probabilmente era nella capitale. Il sogno non era ancora finito.
Qualcosa trafisse la sua carne, ruppe le sue ossa e senza aspettare un secondo si chiuse sul suo petto bloccandogli il respiro. Sentiva la coscienza abbandonarlo ma era come se il suo stesso cervello si rifiutasse di farlo svenire. Qualcosa lo costringeva e restare vigile.
Altre lame lo trafissero fino a sbriciolare le ossa del suo bacino, e lentamente venne tirato su.
Attorno a lui decine e decine di persone osservavano la scena con un perverso sguardo compiaciuto e un ombrello bianco in mano. Una corda iniziò a strangolarlo tirando il suo collo verso l'alto mentre nel frattempo la parte inferiore del suo corpo veniva tirata nel senso opposto. Il dolore che provava in quel momento non poteva essere descritto. Sentiva la sua carne tirare, il suo collo bruciare. La trachea era schiacciata fino al punto di togliergli il respiro incendiando i suoi polmoni. Ma le mani erano libere.
Kay ebbe la tentazione di portarle al collo per poter riprendere fiato ma il corpo della donna fece tutt'altro. Infilò le mani tra i suoi capelli di rame e ne tirò fuori un piccolo oggetto. CLICK. Qualsiasi cosa avesse in mano scattò non appena ne premette il pulsante. Portò poi l'oggetto al collo, un forte strappo, un tonfo e l'ossigeno riempì nuovamente i suoi polmoni. Urla si sollevarono dal basso ma si acquietarono dopo pochi secondi. Il suo bacino venne tirato con ancora più forza e la gente in basso iniziò ad aprire quegli ombrelli candidi.
Dopo aver ripreso fiato fece un respiro profondo «Se nulla è quello che ci lasciate, noi non ci mettiamo nulla a lasciarvi» un grido viscerale gli tolse nuovamente il respiro scuotendo la piazza.
Portò la lama alla gola. Un colpo secco. Sangue caldo sgorgò a fiotti dal profondo squarcio.
Buio.
Kay si svegliò urlando. Un grido acuto che gli fece fischiare le orecchie. Seline lo prese per le spalle rimettendolo seduto contro il tronco prima che cadesse giù dall'albero. Anche Stout-man e Krista li raggiunsero ma Kay non si mosse. Gli animali del bosco avevano reagito a quel grido scappando via, saturando l'aria della foresta coi loro richiami in cerca del proprio branco.
«Kay» Seline provò a chiamarlo, risvegliarlo dallo stato catatonico in cui era. Krista invece provò con qualche schiaffetto. Tentò di scuoterlo, di parlargli, di farsi più severa. Ma Kay era immobile, come si fosse spento.
Il suo incarnato si stava facendo, se possibile, sempre più pallido, quasi grigio. I suoi occhi erano due fessure, spenti, immobili a fissare il vuoto davanti a lui. Le labbra stavano assumendo un colorito bluastro e lui era freddo, congelato come un pezzo di ghiaccio.
«Kay Biryukova» dopo minuti di angoscia una nuova voce si unì al gruppo. Autoritaria ma gentile. La voce di una donna cambiata.
Alzò la testa lentamente, aprì gli occhi fissandoli in quegli splendidi cristalli glaciali, i capelli ramati sciolti le incorniciavano il volto perfettamente.
Un sospiro involontario trasformò l'aria davanti a se in una nuvola di vapore. Solo un sussurro uscì dalle sue labbra «Natalia».
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