diavoletta all'inferno

La porta si aprii. Mi ero svegliata bendata, le mani alzate e attaccate a muro da due funi, i piedi lo stesso. Passi. Uno, forse due persone, grossa statura, uno di loro aveva un problema a una gamba, forse ferite di guerra o deformazione. Un sogghigno. Ero lì da una settimana, contavo i giorni tramite i rumori che facevano le guardie quando entravano. Due la mattina, due il pomeriggio, due o a volte una la sera. Non portavano cibo, anche se a modo loro mi nutrivano. Dolori, spinte, bagnato. Ogni giorno mi violentavano, e anche senza ribellarmi lo stesso mi picchiavano. All'inizio di tutto c'era stato il Pluripremiato bastardo. Lui volle prendersi la mia innocenza, l'unica cosa che mi faceva sentire "pura", e lo fece ridendo

"
-dici di essere una diavoletta? Allora non ti serve la verginità, se no rimarresti pura...
"

E lo ha fatto. E ogni giorno lo fanno. Mi sentivo debole oramai, non avevo più forze, non riuscivo nemmeno più a parlare. Stavo per morire

"Papà... Ho fallito... Non sono riuscita a salvare... Nessuno... Non sono riuscita a sopravvivere... Come volevi tu... Ho fallito anche in questo... Sono solo un dispiacere, una fallita che cerca di sorridere solo per fuggire dal peso delle mie responsabilità... Una bambina che voleva essere donna troppo presto..."

I pensieri vagavano in quel buio che vedevo, si poggiavano con me su quel freddo pavimento umido di ormai tutto un po', si accovacciavano con me in quella stanza fredda e silenziosa, e piano piano mi stavano annegando gli ultimi barlumi di forza di volontà. Sentii un'altra volta la porta aprirsi. Era troppo presto

-prendetela...

La sua voce. Sentii due mani prendermi e alzarmi, poi le funi staccarsi dai miei polsi e dalle caviglie

-ora che sei così, possiamo iniziare la smemorizzazione neuronale...

Sentii questo, poi mi sentii trascinare. Sentii caldo, attraverso il bendaggio degli occhi vedevo una forte luce. Volevo ribellarmi, spingere i due e tirare un pugno a quell'uomo, o essere. Non lo riuscivo nemmeno più a definire umano. Sentivo le braccia abbandonate, i piedi che nemmeno si muovevano più, strisciavano a terra portati dai due omoni ai lati. Avevo perso ormai. Per provare a ridere pensai che stavolta non potevo nemmeno buttare via il Joystick come facevo di solito quando perdevo. Una piccola battuta, che però mi distrusse ancora di più. Tornò buio, poi freddo, poi una sedia. Mi legarono i polsi e le caviglie, poi mi misero un casco. Ad un certo punto mi tolsero la benda e tornai a vedere: era un camera vuota, davanti a me un vetro che mostrava chi c'era dall'altra parte: due dottori e lui. I dottori stavano facendo calcoli sul computer, lui mi guardava e sorrideva. Sapevo cosa stava pensando.

"Ho vinto"

Chiusi gli occhi, poi feci un respiro profondo. Se doveva finire così, non potevo farci niente

Sentii una scossa nel cervello tanto forte d farmi urlare, un dolore atroce, tanto da farmi svenire e rinvenire ogni istante. Ciò che ricordavo delle giornate passate stava svanendo. Lo zio, Angy, il palazzo, i Duman. Papà, il suo sorriso prima di morire, le sue parole. Cosa mi aveva detto? Com'era la sua voce? Niente. Con quella terapia dolorosa e straziante, mi scordai tutto.

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