14. Silenzio
«Allora Leyla.. credo che tu mi debba delle spiegazioni».
Mi manca subito il respiro «io.. ho fatto una cosa e.. non avrei dovuto».
«Non qui» dice secco «risponderai alle mie domande quando sarai nuda e sospesa. E ti assicuro che sarà doloroso, quindi ti conviene evitare le bugie perché ti lascerei lì anche tutta la notte».
Deglutisco a fatica «sì signore» mormoro. Gli ho chiesto io di non andarci leggero eppure già mi sento annientata. Il viaggio non è affatto come lo aspettavo. Camminiamo in silenzio e questo silenzio mi uccide ad ogni passo. Mi sento opprimere. Me lo merito.
Arriviamo nell'appartamento che mai mi è parso così minaccioso.
«Spogliati, vai nello studio ed inginocchiati». Niente giri di parole o riguardi. È strano tuttavia che mi faccia andare nello studio.
Non abbiamo mai fatto nulla in quella stanza, l'ho solo vista dall'esterno. Rispondo come sempre ed obbedisco, tremante.
Poggio i primi vestiti sulla sedia. Mi volto. Voglio vedere il desiderio in lui, come ogni volta che scopro il mio corpo. Invece non mi sta prestando la minima attenzione, come se non esistessi. Un'altra stilettata mi colpisce.
Finisco di spogliarmi, restando vestita solo del mio collare. Raggiungo lo studio in silenzio, mi inginocchio vicino la poltrona il pelle. Rassegnata penso che dovrò di nuovo attendere.
Finora le uniche cose che mi sono state riservate solo l'attesa ed il silenzio, entrambi strazianti.
I piedi iniziano presto a far male e sopporto anche quel dolore, lo accolgo sentendolo penetrare in me. Nella quiete della stanza capisco perché l'ha scelta. È austera, severa, lui è in ogni oggetto e la sua presenza è assordante.
Non c'è conforto qui, niente che faccia trasparire dolcezza, umanità. La poltrona sembra un trono ed io, ai suoi piedi, sono il niente.
Finalmente il mio Padrone mi raggiunge. Non mi guarda, non mi tocca. Ancora non mi ha neanche baciata.
Nel tempo ho notato che quello è uno dei nostri primi contatti. Mi aiuta a non sentirmi usata, a non credere che per lui non sia niente di più di una puttana. Oggi non me lo concederà.
Si siede sulla poltrona, apre il computer e dopo poco inizia a scrivere qualcosa. Sembra assorto, concentrato. Di sicuro sta lavorando, forse scrive una mail.
Penso che oggi pomeriggio mi riserverà tutta la crudeltà da cui mi ha salvata questi mesi. La accetto quasi felice. Il modo migliore per eliminare i sensi di colpa è espiarli.
Dopo interminabili minuti parla «mettiti a quattro zampe».
È quasi infastidito, forse dalla mia stessa presenza. Devo fare attenzione per non cadere. Non sono mai stata tanto a lungo in questa posizione e le gambe ne risentono.
«Mettilo sulla scrivania» dice posandomi il computer sulla schiena. Non sarà facile farlo a gattoni e di certo il mio Padrone non aiuta «non farlo cadere, sarebbe la volta giusta che ti porto ad usare la safeword».
Mi muovo lentamente, cercando di mantenere la schiena più ferma possibile. Miracolosamente raggiungo i piedi della scrivania senza farlo scivolare, così lo prendo e lo poggio con sacralità tra tutti quegli oggetti perfettamente sistemati.
Vorrei tornare da lui, accucciarmi ai suoi piedi. Invece, resto ferma vicino la scrivania in mogano, facendo mia l'ubbidienza letterale che mi ha mostrato al club tramite Amy.
«Qui, in ginocchio» indica il pavimento davanti a lui, chiamandomi quasi fossi un cane. Eseguo e non appena i glutei toccano i talloni mi afferra per i capelli avvicinandomi ai suoi pantaloni «succhiamelo».
È brutale, senza scampo. Mi sta trattando come una puttana. Vuole umiliarmi, più che con le sferzate, più che con i giochi. Non gli servono quelli per farmi sentire una nullità. Gli bastano solo pochi gesti, poche parole ed il silenzio.
Lo faccio tremando appena. Mi intimorisce il suo comportamento. L'ho chiesto io, so che mi farà star bene, eppure non riesco a non soffrirne. E devo soffrire, altrimenti non sarebbe la punizione che merito.
Mi lascia anche i capelli. Quel contatto, per quanto indelicato, sarebbe per me un premio.
«Non devi ingoiarlo» mi avverte quando ormai è quasi al limite. Cosa dovrei fare allora?
Continuo, chiedendomi cosa abbia in mente. Quando mi riempi la bocca è difficile resistere. Per me ingoiare è più naturale e semplice che tenerlo fermo. Si ritrae, sistemando i pantaloni con calma. Prende un bicchiere e me lo avvicina.
«Sputa». Un misto di sperma e saliva riempi quel calice. Penso che voglia farmelo bere ma mi sbaglio. Berlo sarebbe molto più facile.
riversa il bicchiere sul pavimento, accanto a me «pulisci». Non ha bisogno di dirmi che devo usare la lingua, è piuttosto scontato.
Deglutisco con difficoltà. I miei occhi quasi lo pregano trovando però solo un muro di freddezza.
Realizzo che sicuramente ha capito cosa io abbia fatto, o comunque ha un'idea abbastanza vicina alla realtà.
Guardo quel liquido e vinco l mia resistenza. Impongo al cervello di non pensare. Mi chino e lecco il pavimento sotto il suo sguardo, lo succhio.
Ogni fibra del mio corpo mi dice di fermarmi ma non lo faccio. Un colpo sul mio sesso esposto arriva tanto forte e inaspettato da spingermi in avanti e gemo per il dolore bruciante.
Il mio viso tocca il pavimento facendomi sporcare il naso ed il mento. Istintivamente mi pulisco con il dorso della mano.
«Non ti ho detto di usare le mani cazzo, ora dovrai pulirti anche quelle».
Quasi al limite obbedisco tremando, leccandomi il dorso della mano come un gatto. Sono stanca di sbagliare e di questo gioco al massacro.
L'unica cosa confortante ora è la sua presenza. Lo sguardo gelido del mio Padrone mi mette a disagio ma almeno sento di essere eccitante ai suoi occhi.
Come se leggesse i miei pensieri si alza «quando hai fatto vieni in camera, e vedi di non farmi trovare sporco. Se anche ti avessi scopata per ore troverei altri modi e tempo per punirti a dovere».
Di nuovo la sua assenza mi schiaccia. La mia umiliazione aumenta proprio perché priva di pubblico. Sono solo una ragazza nuda che succhia sperma e saliva dal pavimento di una stanza vuota. Quel bacio vale davvero tutta questa umiliazione?
In camera trovo quel finto armadio aperto e in attesa dei miei arti, mentre il mio Padrone è al suo fianco «sei stata lenta». abbasso lo sguardo «scusa Padrone».
«Sbrigati, vieni qui». In breve sono legata come mi ha annunciato, con le braccia tese verso l'alto. Stavolta però, per la prima volta, tira le catene molto più del dovuto, facendomi toccare il pavimento solo con la punta degli alluci.
«Bene ragazzina, ora parliamo.. e questo lo tengo io» mi toglie il collare e solo in questo momento mi sento davvero nuda, spogliata della cosa più importante «quando avremo finito scopriremo se ancora lo meriti».
Non avevo il coraggio di guardarlo. «C'entra un ragazzo, giusto?» annuisco «si Padrone».
«Guardami. Stiamo parlando, non è educato».
potrebbe chiedermi direttamente cosa sia successo, ridurre i tempi di questo supplizio. Ovviamente non lo fa. Conduce lui il gioco e lui le domande. Vuole la verità, tutta, non i semplici eventi.
«Dell'università» non era propriamente una domanda ma risposi allo stesso modo.
«È un master?». Ci penso, inspiro profondamente «no.. io non credo».
Uno schiaffo mi fa voltare il capo e spalancare la bocca. Più che il dolore è la sorpresa e la durezza a lasciare il segno. Risollevo il viso quasi con le lacrime agli occhi.
«"No" oppure "non credi" Leyla? Sono due cose diverse». Penso a questa mattina, alla luce nei suoi occhi «io non credo.. ma potrebbe desiderarlo».
«Bene» si avvicina alla cassettiera e prende una bacchetta sottile. Semplice, elegante, dolorosa. «Evidentemente la sospensione non ti basta per non dire cazzate. Questa dovrebbe aiutarti, che ne dici?».
La guardo intimorita. Questo pomeriggio sta sfidando i miei limiti, molto più del solito. L'assenza di premure e la sua freddezza mi stanno spaventando molto più di ogni tortura. In confronto la punizione scontata al club potrei considerarla un premio.
«Dico che ha ragione Signore».
Le sue domande si fanno incalzanti, non c'è tempo per mentire. Prima ancora della menzogna arriverebbe una sferzata del legno.
«Siete amici?»
«No Signore»
«Da quanto lo conosci?»
«Qualche mese, ma la prima volta che ci ho parlato è stato un paio di settimane fa»
«Perché»
«Abbiamo iniziato lo stesso corso»
«Siete mai usciti insieme?»
«No» abbasso lo sguardo un secondo e quello è sufficiente. Mi colpisce entrambi i seni strappandomi un lamento. Brucia più di ogni volta, forse perché non è stato inflitto per condurmi al piacere ma solo per farmi soffrire.
«La verità Leyla».
Oggi pomeriggio il modo in cui pronuncia il mio nome non è sensuale, bensì un rimprovero, come se fosse in realtà un insulto. Mi manca il mio soprannome, che ha usato forse una volta soltanto.
«Un pomeriggio l'ho incontrato.. al cimitero. Abbiamo solo parlato un po'» per la prima volta da quando ci siamo visti mi sembra che i suoi occhi si ammorbidiscano, ma è solo un istante. In fondo io non voglio pietà, soprattutto per un motivo del genere.
«Sei attratta da lui?»
«Si Padrone» abbasso lo sguardo, stavolta per vergogna e non perché abbia mentito.
«Vorresti che fosse lui il tuo Padrone?»
«No»
«Ti stai innamorando di lui?»
«No Signore»
«Ti sei fatta scopare da lui?»
«No!» rispondo con enfasi, punta sul vivo. Il mio Padrone corruga le sopracciglia, l'espressione interrogativa.
«E allora cosa hai fatto Leyla?».
Mi è chiaro allora che lui ha creduto per tutto questo tempo che io sia andata a letto con lui, quando i fatti sono molto meno gravi.
«Noi.. ci siamo baciati..». Inarca le sopracciglia stupito, come se io abbia appena detto una cosa banale, poi un pensiero lo fa tornare serio, freddo.
«L'hai baciato tu, vero Leyla?»
Esito «no». Il legno si abbatte al centro dei glutei. Mi spinge in avanti e perdo il contatto con il terreno, che ritrovo con difficoltà.
Preciso «non l'ho baciato, ma l'ho provocato» ammetto.
Sospira, si passa una mano sulla barba «oh Leyla, che dovrei fare con te?»
«Puniscimi» rispondo all'istante.
«Perché non credi di potertene innamorare?».
Ci penso e mi lascia il tempo di mettere in ordine le idee, senza colpirmi «perché non voglio amare. Non ho mezze misure e lui mi trasformerebbe in cenere».
Mi osserva ancora, riflettendo. Si avvicina guardandomi negli occhi, mi solleva il mento «vuoi essere mia, ragazzina?».
«Sì, ti prego».
«Bene» finalmente mi bacia e torno a respirare. Non mi importa del dolore che si espande per tutto il mio corpo, contano solo le sue labbra.
«La tua punizione non è finita, lo sai» si volta e recupera il mio collare dal letto «questo però puoi tenerlo» me lo rimette con cura, donandomi di nuovo la sua fiducia.
°°°°
Molto più severo del solito, che dite? Ahah E ancora non è finita 😘
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