11. Arroganza

Perdonate l'enorme assenza, è inutile che vi spieghi i motivi e neanche vi interesserebbero. In ogni caso eccomi, con un capitolo un po' diverso dal solito. Spero non risulti noioso e mi auguro di aggiornare a breve, visto che al seguito ci sto già lavorando.

E niente lo odio sto capitolo ma eccolo qui

P.S.: io Sam lo immagino così. Metterei una decina di foto ma ne ho dovute scegliere solo due 😓

∂ ∂

In strada tutto è come prima. Persone noncuranti che pedalano, senza degnarmi di uno sguardo. Molti si assentano con le loro cuffie, il respiro che crea piccole nubi nell'aria. Il leggero vento freddo annuncia in qualche modo l'arrivo di una primavera sempre più vicina. Sugli alberi ancora spogli si iniziano a scorgere le prime gemme. Piccoli baccelli chiusi che si distinguono appena dal ramo solo se ci si prende qualche secondo per notarlo.

Nei canali di Amsterdam l'acqua scorre immutabile ma nessuna goccia resta ferma nello stesso posto. E così io. invisibile per molti, immutata per chi mi osserva, eppure profondamente diversa. Una parte della mia vita non mi appartiene più. L'ho ceduta, me ne sono liberata. L'ho affidata a qualcuno che ne avrà cura al mio posto.
Di questo tuttavia né l'aria né gli alberi né l'acqua se ne curano. Sono come prima, solo che io li vedo in modo diverso. Li vedo coraggiosi, fieri, liberi. Percepisco nella natura un'appartenenza che non ho mai colto. Come se ogni elemento fosse padrone di se stesso ma allo stesso tempo appartenesse a qualcuno più grande di lui.
Forse nessuna di queste sensazioni ha senso, ma le percepisco nitidamente camminando per le strade con il mio collare stretto al collo sotto la sciarpa pesante.

Solitamente non lo indosso per andare all'università. Vorrei evitare domande scomode, soprattutto da Alissa. Non credo ne conosca il significato ma non sono ancora pronta a parlarne. Temo non lo possa capire.
Non è tanto la paura che non capisca cosa mi eccita, quanto piuttosto la mia totale sottomissione ad un estraneo. In fondo, mi sono messa nelle sue mani senza sapere a cosa andassi incontro, se avrebbe rispettato le safeword. Come avrei potuto fermarlo se non le avesse rispettate, se avessi scoperto troppo tardi che non mi piace essere frustata e legata?
Mi sono fidata. Al contrario di ogni logica, razionalità e prudenza ho deciso di fidarmi di lui, basandomi solo sulle mie sensazioni, sui suoi occhi.
È stato pericoloso, ne sono consapevole. Riflettendoci a mesi di distanza è stata una totale follia ma quando ho trovato me stessa in quel club nulla mi è apparso più desiderabile. Nessun senso del pericolo mi avrebbe tenuta lontana da me stessa.

In facoltà sono più emozionata del solito. Scatto ad ogni segnale, abbassando lo sguardo con chiunque. Sento di avere un segreto da custodire gelosamente, che al tempo stesso sto urlando al mondo intero solo per quella striscia di pelle che mi abbraccia il collo. Ma non posso toglierla. È stato il mio Padrone ad ordinarmi di indossarla, quindi tirarmi indietro non è contemplato. Impongo a me stessa di vincere l'imbarazzo.
Infondo, se qualcuno capisse cosa nascondo, perché dovrebbe importarmene? Eppure per una come me, che ha passato la vita a nascondere il proprio mondo agli occhi degli altri, rivelare quest'aspetto della mia personalità non è considerato.
Non ho mai raccontato a nessuno, ad esempio, quanto mi piaccia dipingere. Sono per natura portata a nascondere me stessa. Anche la mia sottomissione è dunque un segreto, non perché ne abbia vergogna. Sono fiera del coraggio avuto nel riconoscere me stessa. Lo tengo segreto perché non vedo il motivo di raccontarlo ad altri. Ognuno di noi ha le proprie perversioni e non le racconta certo ad estranei.
Il mio collare invece è un segno riconoscibile che annuncia "ho un Padrone, sono sua. Può disporre di me e la cosa mi fa impazzire di piacere". O perlomeno lo annuncia a chi è un grado di leggerlo.
Alla maggioranza delle persone invece quel collare appare solo come un accessorio, più estremo di altri ma ugualmente insignificante.

Appena varcata la soglia dell'aula il mio sguardo viene trascinato come una calamita da un punto alla mia sinistra. Ancora una volta sono attratta dalla presenza di quel ragazzo, Sam. Non capisco ancora come sia possibile riuscire a distinguere la sua esistenza in una stanza. Lo sento nel momento in cui entra ed i miei occhi lo cercano all'istante.
Sembra circondato da un'aura particolare che percepisco inconsapevolmente. E per qualche motivo nel momento in cui incrocio la sua figura provo una stretta allo stomaco e subito un fastidio inspiegabile.

Mi innervosisce nel profondo e non ne capisco bene il motivo. È vero, trovo molti suoi atteggiamenti fastidiosi. In fondo è strafottente, arrogante, eccessivamente sicuro di sé, viziato. Ma perché la cosa dovrebbe toccarmi in qualche modo?
Forse dipende da quello strano incontro mentre prendevo il caffè, quando mi ha spogliata con gli occhi ed è andato via sorridendo. Oppure quando, sfacciato, ha cercato di intromettersi nella mia vita chiedendomi se avessi un appuntamento.
Non sono certa del motivo ma sono certa di detestarlo.

Incapace di formulare un pensiero lo seguo con lo sguardo fino al banco a  cui prende posto. Si ferma, si volta appena verso di me e sorride soddisfatto, per poi prestare attenzione al suo cellulare.
Come se non bastasse si è seduto esattamente dietro al mio banco. Ecco l'ennesimo motivo per odiarlo. E sì, ormai sono certa di non sopportarlo.
Stordita, con ancora la sensazione della sua presa addosso, mi incammino parlando appena, mentre l'unica immagine che popola la mia mente sono quegli occhi blu.

Vorrei cambiare posto. Non voglio passare due ore sentendolo alle mie spalle. Così facendo però gli darei eccessiva importanza e non voglio certo capisca che la sua presenza mi impedisce di formulare un pensiero compiuto.
Ovviamente è difficile concentrarsi sulla lezione, ma immergermi nella voce noiosa della professoressa è l'unico modo per non pensare a lui e miracolosamente ci riesco. Almeno finché non riesce a rompere il mio precario equilibrio.

Gli basta poco. Sento la sua mano sulla mia spalla, con solo il sottile strato della maglia a separare il calore delle sue dita da me.
Di nuovo la mia mente diviene bianca e non so cosa fare. Voltandomi potrei fare una pessima figura data la mia goffaggine, ma non voltarsi quando ha palesemente cercato un modo per attirare la mia attenzione non è altrettanto una pessima figura?
Prendo una decisione rapida e mi giro verso di lui. Non appena incrocio il suo sguardo sento il viso in fiamme e prego con tutte le mie forze di non essere arrossita come credo.

«Ti è caduta la felpa» dice sottovoce, per non disturbare la lezione. Mi perdo nei suoi occhi blu, che mai erano stati tanto vicini. È come immergersi nell'oceano più profondo e allo stesso modo mi pare di affogare. Una luce di divertimento li colora e mi accorgo che sono rimasta a fissarlo troppo a lungo, così mi riscuoto, tornando finalmente a galla.
«Grazie..» mormoro incerta, allungandomi subito per raccogliere l'indumento. Frettolosamente mi volto con il battito inspiegabilmente incontrollato.
Non tollero il mio atteggiamento nei suoi confronti. Sembra vanificare tutta la sicurezza che ho acquisito grazie al mio Padrone e mi sento di nuovo una liceale imbranata.

Finita la lezione volo via e mi incontro con Alissa per studiare ma non riesco a togliermi dalla testa quelle mani. Non dovrei curarmene tanto.
Forse semplicemente la mia scarsa dimestichezza con il genere maschile mi porta a prestare maggiore attenzione a dettagli che per chiunque sarebbero insignificanti.
Neanche abbiamo avuto una vera conversazione. Sono decisamente stupida a curarmene a tal punto.

Tanti sono i miei pensieri che subito Alissa nota che qualcosa non va e chiede il motivo per cui sono turbata e distante. Esito ancora ma alla fine decido di parlarle di ogni cosa. Spero mi aiuti a razionalizzare e soprattutto a minimizzare.
Terminato il racconto attendo un suo parere, anche se la sua espressione divertita premette commenti sarcastici. Le sfugge una risata, poi ci pensa qualche secondo.
Scrolla infine le spalle «beh non è niente di che, al massimo vuole provarci con te. Io non mi tirerei indietro se fossi single».

La guardo basita dalla sua pacatezza, poi inizio a ridere «quello che hai detto è sbagliato sotto infiniti punti di vista!» esclamo scherzando «anzitutto non credo di interessargli, secondo è fidanzato, terzo non sono proprio single, lo sai».
«E allora? Avete vent'anni, non sono relazioni serie! E la tua poi non è neanche una relazione, che gli importa se ti vedi con un altro?»

«Non funziona così Ali..» scuoto il capo «lo tradirei ugualmente. E poi non mi interessa quel tizio. E non ti scordare che è fidanzato!» concludo con più enfasi del dovuto.

Ride «sembra quasi che ti dispiaccia».
«No cara» replico giocosa «non mi interessa minimamente».
«Allora perché ne stiamo parlando?» chiede retorica.
Stringo le labbra indispettita, trattenendo un sorriso «perché mi innervosisce! E ti ho detto di quando voleva farsi gli affari miei?! Come se la mia vita lo riguardasse».

Alissa mi fissa dubbiosa «no non me ne hai parlato. Che è successo?».
«Ero a farmi gli affari miei qualche settimana fa, al cellulare. Sorridevo per un messaggio, lui è comparso dal niente e mi ha chiesto se avessi un appuntamento! Al che gli ho detto che non lo conosco e di farsi gli affari suoi, e lui si è presentato e voleva stringermi la mano».

Non aggiungo altro e la mia amica aspetta un paio di secondi, l'espressione confusa e sorpresa al tempo stesso «e..? Non dirmi che è finita qui»
«E me ne sono andata!» esclamo «non volevo stringergli la mano, o conoscerlo. Quello lì mi divorerebbe. E non scordiamoci che non lo sopporto!»

Alissa inizia a ridere e quasi mi infastidisce, se non fosse che la sua risata è davvero contagiosa «oddio temo che tu ti sia presa una bella cotta» afferma ancora sorridente.
«Ma smettila! Lo saprei se mi piacesse, e non è così. E ti dimentichi di Dean?»
«No, non mi dimentico dell'uomo del mistero, ma l'hai detto tu che non siete innamorati, quindi che ti importa?»
«Mi importa. Te l'ho detto non è così semplice..» abbasso lo sguardo leggermente imbarazzata.
«Lo sai che puoi raccontarmele certe cose vero? Non mi scandalizzo mica!»
«Lo farò magari..» ci penso un attimo «vuoi vedere una sua foto? Ho quella di whatsapp, anche se non è molto».
Gli occhi scuri le si illuminano quasi «ma certo! Te l'ho chiesto per mesi!».

Ne sembra entusiasta e in fondo non mi dispiace vantarmi del mio attraente Padrone. Temo solo faccia commenti sulla sua età, ma in fondo se per me non è un problema non dovrebbe esserlo neanche per lei.
La conosco abbastanza da sapere che questi dettagli non le importano. Alissa è amorale quasi come me e non l'avrei turbata affatto.

Sblocco il telefono con un leggero sorriso. È innegabilmente un bell'uomo e sapere che è mio mi rende fiera in qualche modo. Gli porgo la foto. Dean ha un sorriso impeccabile, la camicia evidenzia il fisico snello. È in piedi, con una stecca da biliardo in mano mentre guarda altrove, probabilmente ridendo alla battuta di un amico.
Mi piace questa foto perché è naturale e si percepisce il suo fascino.

Gli occhi di Alissa si spalancano leggermente.
«Ma.. Leyla non mi avevi detto che era così..! Wow! Te lo sei scelta bene eh».
«Si.. è attraente vero?» il mio sorriso non si spegne, anche se di certo sono arrossita.
«Assolutamente» asserisce porgendomi di nuovo il telefono «certo, mi hai detto che era un ragazzo e a me sembra più un uomo» ride ancora «ma gli da solo più punti».

Continuiamo a scherzare a lungo, tralasciando totalmente lo studio per almeno un'ora. A volte serve passare momenti spensierati a parlare, ad esaltarsi per stupidaggini. In particolare per me, oggi.
Domani è una giornata impegnativa e ho bisogno di distrarmi. Probabilmente non riuscirei a studiare.
Parlando ancora ci avviciniamo ai distributori per prendere un caffè, promettendo che poi ci saremmo concentrate. Sappiamo di mentire a noi stesse ma dobbiamo almeno tentare.

Ci fermiamo vicino ad una finestra che affaccia sul cortile dove alcuni studenti fumano sereni. Amo l'atmosfera universitario. Un misto di stanchezza, soddisfazione ed eccitazione. Siamo tutti qui, cercando il nostro posto nel mondo, cercando persone simili a noi con cui condividere interessi e passioni.
Anche solo respirare quest'aria mi fa sentire viva, trepidante. L'eccitazione che avverto aumenta quando una porta si spalanca e nel giardino irrompe Sam, assieme ad un paio di ragazzi e quella che certamente è la sua ragazza, dai vaporosi capelli ricci, i vestiti curati ed il sorriso finto.

Distolgo lo sguardo quando lui le stampa un bacio. Quasi vorrei dire ad Alissa di tornare ai nostri libri, ma riporto un attimo l'attenzione all'esterno e noto che Sam sta guardando nella nostra direzione. Lo ritengo ininfluente ma non ho più intenzione di chiedere ad Alissa di andare.

Non lo guardo, neanche un istante. Non ne ho motivo né interesse. Torno a scherzare con la mia amica e decido di non curarmi di lui neanche quando entra dalla porta al mio fianco, dirigendosi ai distributori.
È difficile non posare lo sguardo su di lui ma resisto, sperando che se ne vada in fretta. Come ogni volta non posso avere ragione e quando si avvicina mi manca il respiro.
Mi volto perché è evidente che voglia parlare con noi, per dei motivi a me sconosciuti.

«Scusami, tu frequenti il corso di Jansen giusto?». Annuisco confusa.
Parla della lezione che abbiamo seguito  questa mattina ma non ho idea di cosa voglia da me.
«Oggi a lezione mi sono un po' distratto, colpa mia» dice ridendo «mi chiedevo se domani a lezione tu potessi farmi vedere i tuoi appunti».
«Si.. si certo» la confusione nella mia testa è totale ma fortunatamente la voce esce ferma.
«Bene! Allora ci vediamo Leyla. Nome appropriato..» mi fa l'occhiolino e se ne va, salutando Alissa con un cenno.

«Wow» è l'unico suono che rompe il silenzio, pronunciato da Alissa che è visibilmente basita quanto me. Lei ci mette di meno a riprendersi e commenta con una delle sue solite frasi.
«Ma l'hai visto?! Così vicino è da mozzare il fiato!».
Mi riscuoto e la guardo, ancora muta per un paio di secondi «sì e.. devo dargli i miei appunti?» chiedo dubbiosa, più a me stessa che alla mia amica.
«Ma sono totalmente disordinati!» esclamo, ritrovando le mie facoltà mentali.
Alissa inizia a ridere e la seguo. Ripenso a quei pochi minuti.

Un nome appropriato per cosa? Leyla in effetti significa buia come la notte, ma perché dovrebbe essere appropriato?
È forse un insulto il suo? Vuole dirmi che sono spenta, noiosa o altro?
Poi perché ne conosce il significato?
Può anche essere che si riferiva ad altro, ma a cosa?
Ecco di nuovo che il nervoso trona ad impadronirsi di me. Come se non bastasse domani dovrò parlarci ancora. E non è certo la mia unica preoccupazione per quella giornata.

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