10. Finalmente sua


Non sapevo davvero come uscirne e lo sguardo insistente di Alissa non aiutava a trovare le parole giuste. Come facevo a spiegarle che l'uomo che frequentavo da mesi mi aveva rivelato solo il suo nome e che per giunta non avevamo mai avuto un vero appuntamento?
«Almeno fammi vedere una foto!» insistette lei «se non ti conoscessi penserei che te lo sei inventata».
Roteai gli occhi sbuffando per il suo comportamento infantile «non l'ho inventato e anzi mi pento quasi di avertelo detto. Ci sono volte in cui dovresti lasciar perdere, ci tiene alla privacy e anche io.. ha ottime ragioni».

Alissa sgranò gli occhi, come se avesse appena avuto una intuizione importante «non dirmi che è sposato!?».
Scossi la testa ridendo «non è sposato Ali.. ti prego lascia perdere. Magari un giorno ti faccio vedere una foto, così ti tranquillizzi ok?».
«Sarei tranquilla se sapessi il suo cognome, la professione e dove abita. Chi si prende cura di te se non lo faccio io eh?» chiese preoccupata, così le poggiai una mano sul braccio addolcendo lo sguardo «lo apprezzo davvero, ma non serve stavolta».

Sospirò frustrata e sperai che ciò chiudesse la conversazione, soprattutto per lui. Quel ragazzo dagli occhi blu tanto simili eppure tremendamente diversi dai miei, che nonostante il colore erano così bui da potermi risucchiare. Era seduto a pochi banchi di distanza da noi e speravo davvero che non avesse sentito la nostra conversazione. Non sapevo il motivo ma mi infastidiva che potesse conoscere dettagli della mia vita e che sapesse che mi vedevo con un uomo.
Dal suo sorriso furbo potei però capire che avesse sentito ogni parola ed io, come un'idiota, mi limitai a distogliere lo sguardo. Quelle settimane lo trovavo troppo spesso all'università, per i corridoi, in fila per il caffè. Forse c'era sempre stato ma non lo avevo mai notato mentre dopo quella scena in corridoio era impossibile per me non percepire la sua presenza nella stanza.

Cercai di concentrarmi sullo studio ma averlo a pochi metri da me era stranamente destabilizzante. Come poteva uno sconosciuto manipolare i miei pensieri solo dopo alcuni sguardi? Lo trovavo fastidioso ed arrogante anche senza avergli mai rivolto la parola, solo notando il suo modo di parlare e di camminare, come se ogni cosa gli appartenesse. Non lo sopportavo.
Spazientita mi allontanai con una scusa, fermamente decisa a vederlo il meno possibile. Non ci avrei mai parlato, non lo avrei più guardato e sarei tornata ad essere serena. Almeno di ciò ero fermamente convinta.

Mi vibrò il cellulare e come ogni volta, quando lessi Dean sullo schermo un brivido di eccitazione mi attraversò. Esultante lo lessi ed il mio entusiasmo crebbe a dismisura per quel messaggio.

"La scorsa settimana sei stata perfetta, ti meriti un regalo Leyla".

Ancora più trepidante notai che l'appuntamento che mi aveva dato era tra soli due giorni, al club. Forse finalmente era arrivato il momento che tanto avevo sperato, su cui avevo tante domande e infiniti desideri.
Forse, finalmente, il mio padrone mi avrebbe donato un collare e sarei stata totalmente sua.

«Un appuntamento?» la voce calda davanti a me mi fece sussultare. Come se fossi stata colta a commettere un reato bloccai il cellulare rapidamente, per evitare che i miei messaggi con Dean venissero letti. Non mi vergognavo davvero di cosa fossi, ma non ero sicura che le persone avrebbero capito e per questo motivo non lo avevo detto neanche ad Alissa, con cui condividevo ogni cosa.
Sollevai lo sguardo curiosa ma certa che non fosse rivolta a me quella strana domanda. Come quasi sempre, mi sbagliavo. Quel ragazzo di cui ancora non avevo voluto sapere il nome era a due passi da me e mi fissava in attesa di una risposta. Mi presi pochi istanti per osservarlo meglio, come non avevo ancora fatto.

Notai che i suoi occhi erano di un blu profondo e scuro, il naso diritto e sottile, così come le labbra rosee e mi soffermai su quella piccola fossetta che sembrava non sparire mai, accompagnando il suo sorriso divertito.
Capii che dovevo rispondere o, come al mio solito, avrei fatto una pessima figura rimanendo immobile a fissarlo.
«Non vedo perché ti riguarda, non ti conosco» affermai cercando di essere risoluta, anche se sentivo il viso scaldarsi. Ero profondamente infastidita dal suo atteggiamento sicuro. Chi diavolo credeva di essere per venire da me e chiedermi se avessi un appuntamento?
«Hai ragione» sorrise e le sue fossette si intensificarono «mi chiamo Sam» mi porse la mano e il mio sguardo cadde su essa. Pensai a tutte le ragazze con cui ogni giorno ci provava spudoratamente e decisi di non voler rientrare in quella lista. Innervosita lo fissai di nuovo negli occhi «piacere, Leyla. Scusami ma non ho tempo per questo» non mi soffermai neanche sulla sua espressione e lo superai, proseguendo per la mia direzione.

Non sapevo cosa volesse né perché avesse deciso di parlare con me ma purtroppo mi conoscevo abbastanza bene da sapere che la sua mano calda e forte mi avrebbe reso le gambe deboli e la voce incerta, facendomi cadere nella sua trappola in meno di un secondo.
Non ero abbastanza forte per avere a che fare con persone come lui, che avrebbe di certo giocato con me finché non si fosse stancato e poi mi avrebbe gettata via come ogni ragazza che gli è passata di mano.
No, io non mi sarei lasciata irretire. Non quando la mia vita sembrava finalmente in equilibrio.

°°°°
Nel locale si respirava un'aria diversa quella sera, o forse ero io a sentirmi tale. Il mio padrone aveva confermato le mie speranze: quella sera sarei divenuta sua e chiunque l'avrebbe saputo al primo sguardo. Con indosso solo un body in pizzo nero e delle giarrettiere a tenere le parigine ero inginocchiata di fianco al mio padrone, elegante come ogni volta. Non lo vedevo ma ero consapevole che i suoi occhi spesso si posassero su di me, controllando la mia reazione mentre tenendo la mano sulla mia spalla scoperta mi dava la sicurezza di cui avevo bisogno.
Ormai non ero più gelosa o intimidita dalle altre, neanche dalla ragazza corvina che ballava per lui in quel preciso istante, ondeggiando sinuosa su di lui e mostrando ogni sua curva al mio padrone per compiacerlo.

Ero sicura di me e avrei superato anche quell'ennesima prova, dimostrando al mio padrone che ero pronta per essere sua. Non avrei sollevato lo sguardo, non avrei controllato che lui stesse guardando me né avrei tentato di capire se e quanto quella ragazza lo stava toccando, perché era ciò che lui mi aveva ordinato. Mi aveva imposto di non sollevare lo sguardo e di fidarmi di lui. Lo avrei fatto.
Quando la canzone finì lei si sollevò e le dita del mio padrone mi raggiunsero il mento, imponendomi di sollevare il viso verso di lui.
«Sei stata brava ragazzina, adesso è il momento».
Sorrisi e lui ricambiò, alzandosi e porgendomi la mano per aiutarmi a fare altrettanto. Quella sera non saremmo andati in una stanza privata, bensì nella scacchiera.

La scacchiera era una stanza diversa dalle altre, per il semplice fatto che al suo interno vi era un vetro rivolto nella sala principale e perciò tutti potevano osservare cosa vi accadesse all'interno. Era anche possibile coprire il vetro con una tenda, oppure renderlo uno specchio dal lato interno, in modo da non vedere chi e come stesse guardando l'interno, dando una parvenza di intimità. Tutto ciò quella sera non mi sarebbe servito.
Erano mesi che aspettavo quel momento e volevo che quante più persone possibili vedessero che ero pronta, che il mio padrone non si era sbagliato la sera in cui mi aveva proposto quello strano accordo, nonostante la mia inesperienza. Avrebbe potuto rendermi sua nella sala principale, direttamente a contatto con quelle persone, ma non mi sentivo pronta per quello ed il mio padrone capì. Lo sarei stata un giorno e lui sarebbe stato lì anche per quello.

Non ero mai entrata nella scacchiera e mi sembrò del tutto simile alle altre camere, nonostante l'aria che si respirava fosse più elettrica. La quiete ci circondò quando chiuse la porta, andando poi ad aprire la tenda con passo sicuro.
«Sei pronta?» chiese voltandosi «non chiuderò la tenda neanche dopo, è la tua ultima possibilità».
Annuii convinta «sono pronta, Padrone».
Sorrise «bene ragazzina. In ginocchio, lì» indicò un punto al centro della stanza, vicino ai piedi del letto e al lato del grande vetro. Potevo vedere solo di sfuggita le persone all'esterno, mentre il mio campo visivo era invaso dalle gambe del mio padrone. Mi raggiunse ed il suo odore di bosco mi pervase «vuoi vedere il tuo dono?».
Annuii ancora «sì ti prego» ero eccitata, tesa e bramosa di toccare quella striscia di cuoio, di vedere come e se il mio padrone l'avesse personalizzata per me, quale sarebbe stata la sua grandezza, il peso.

«Ed io cosa ottengo?» domandò con voce roca e suadente.
«Sono già tua padrone, devi solo chiedere».
Rise piano «ottima risposta Leyla» si avvicinò di un altro passo «voglio la tua bocca, ora».
Sollevai le mani per aprire i suoi pantaloni eleganti e li schiusi quanto bastava per calare i boxer e prendere il suo membro tra le dita, facendo ingrossare l'erezione sotto il mio tocco.
Leccai con forza la punta prima di inglobarlo completamente e dopo alcuni movimenti il mio padrone prese il comando, muovendomi a suo piacimento e facendomi gemere in cerca di ossigeno. Continuò e proprio quando credetti che fosse al limite si scansò velocemente.

Lo guardai e vidi il sorriso sghembo che creava una lunga fossetta sulla guancia ruvida «lo tengo per dopo ragazzina, stanotte sarà lunga..».
Si coprì di nuovo e prese un oggetto da una cassettiera poco distante, porgendomelo. Era una scatola di legno scuro, piuttosto lunga. La aprii ed al suo interno trovai un semplice collare nero non molto spesso con al centro un piccolo anello argentato. Lo percorsi con il dito sentendo la freschezza della pelle «giralo».
Lo feci e notai che l'interno era rivestito di una leggera imbottitura che lo avrebbe reso confortevole ma la cosa che mi colpì fu un'altra. Una scritta al centro, in corrispondenza dell'anello, con i stessi tratti della scrittura del mio padrone, come se fosse stato lui in persona a calcare quella semplice parola: "ragazzina".

Lo adoravo già e sorrisi per quel vezzeggiativo che, avevo scoperto, attribuiva esclusivamente a me per il mio atteggiamento inesperto e per il mio viso a tratti immaturo.
«Grazie padrone, è perfetto» dissi felice, ottenendo un raro sorriso sincero da parte sua. Mi porse la mano e l'afferrai, lasciandomi condurre davanti il grande specchio che si trovava dinanzi al letto. Rimasi lì davanti mentre lui senza staccare gli occhi da me raggiunse le mie spalle e le carezzò piano, fino a raggiungere i capelli che spostò su un'unica spalla così da scoprire interamente il collo pallido.
«Stasera voglio che ti guardi Leyla, che tu veda quanto sei eccitante per me». Posò le labbra sul collo esposto lasciando vari baci e tirando piano la pelle, lasciando minuscoli segni rossi che sarebbero scomparsi a breve. Quel contatto mi causò vari brividi che di sicuro colse attraverso le dita ancora poggiate sulle mie braccia e di cui ghignò soddisfatto.

«Porgimelo Leyla..» sussurrò roco nel mio orecchio ed io ubbidii docile, posando poi la scatola sulla cassettiera davanti a noi.
«Sai bene cosa questo significhi, vero Leyla?» annuii, incantata dal modo in cui pronunciava il mio nome.
«Sono tua quanto tu sei mio, ci fidiamo l'uno dell'altra. Io ti rispetterò ed ubbidirò come sempre, tu mi rispetterai e mi proteggerai come sempre..» le parole mi uscirono flebili.
Quasi mi vergognavo di quello che, ad altri, poteva sembrare una dichiarazione d'amore nonostante noi sapessimo che tale non era. Il nostro rapporto però esisteva ed era sincero e stabile, molto più di molte relazioni.

Il mio padrone sorrise ed annuì soddisfatto, confermando l'esattezza di quelle frasi a cui spesso avevo pensato ma che mai avevo proferito. Adagiò il collare sulla pelle e subito ne sentii la dolcezza e la sicurezza che mi trasmetteva. Non era stretto né mi costringeva, bensì mi faceva sentire protetta ed apprezzata per ciò che ero realmente, senza filtri né menzogne.
Notai lo sguardo fiero del mio padrone «sei bellissima» disse sottovoce, come se non volesse turbare quel momento che ci apparteneva. Mi fece voltare dopo qualche secondo in cui osservai il mio riflesso, la vera me racchiusa nel body e nel collare. Si chinò iniziando a baciarmi lentamente, accarezzando il collo ed il suo dono nel medesimo istante, passandomi una mano tra i capelli per poi serrarla e tirarmi la testa indietro, facendomi reclinare ulteriormente il capo fissando gli occhi nei suoi.

Il desiderio aveva preso il sopravvento nei suoi occhi scuri e senza abbassare lo sguardo raggiunse una spallina del body che fece scivolare fino a sfiorare il seno scoperto e già turgido, eccitato sotto le dita calde che lo tirarono senza pietà.
«Voltati e piegati sul mobile» lo feci con ancora le sue dita tra i capelli «guardati Leyla, non sei mai stata più bella di così, non sei mai stata più libera..».
Osservai il volto arrossato, le labbra schiuse e gonfie, gli occhi velati dall'eccitazione che urlavano di essere soddisfatti. Il primo colpo mi sorprese e sussultai ma mi piacque ogni cosa. Non avevo mai visto il modo in cui il mio corpo reagiva sotto la sua mano né l'ansimo muto che emettevo né il desiderio che aumentava nei miei occhi ed in quelli del mio padrone.

«Solo dieci colpi ragazzina. Non è una punizione, lo sai.. ti piace» affermò ed aveva dannatamente ragione. Avrei anche voluto continuasse ma si fermò e mi lasciò per sbottonarsi con calma la camicia sotto il mio sguardo impaziente. I preliminari quella sera erano iniziati nel momento in cui ero entrata nel locale ed ormai era passato troppo tempo. Lo volevo e lui ne era consapevole, per questo motivo mi fece attendere.
Aprì i pantaloni abbastanza da calare i boxer ed avvicinò il membro teso alla mia apertura, premendo la mia intimità abbastanza da farsi desiderare ma non tanto da soddisfarmi, muovendosi senza fretta.
«Lo vuoi Leyla, non è così?» inarcai maggiormente il bacino per spingermi verso di lui «si padrone..». Uno schiaffo alla natica mi fece tornare alla posizione iniziale «ferma Leyla, tentarmi non ti servirà».

Deglutii e sospirai per la frustrazione, il corpo teso per cogliere ogni stimolo che tuttavia non era sufficiente. La sua mano risalì e strinse il capezzolo strappandomi un gemito «dimmi quanto ragazzina..».
«Lo desidero da impazzire, ti prego..» mi mossi ancora involontariamente e le sue dita mi serrarono maggiormente finché non tornai a toccare il mobile e straziata da quella dolce tortura poggiai la nuca sulla superficie scura. La sua mano salì ancora e mi afferrò i capelli facendomi sollevare il capo «ho detto che devi guardarti Leyla, non farmi ripetere.. stasera ti spettano solo premi, non farmi cambiare idea».

«Allora non farmi aspettare, ti prego..» resistetti all'istinto di spingermi sul suo membro che ancora mi stimolava piano. Il mio padrone sorrise «sappiamo entrambi quanto ti piaccia l'attesa Leyla.. se lo vuoi davvero devi solo chiederlo adeguatamente».
Gemetti ancora per l'erezione che si muoveva con più insistenza sul clitoride «ti prego padrone, scopami..». Mosse il pollice intrecciato nei miei capelli per catturare la mia attenzione «non distogliere lo sguardo Leyla o giuro che ti lascio così. Puoi guardare te, me, il modo in cui il mio cazzo sparisce tra le tue gambe, ma se chiudi gli occhi me ne vado».
Annuii «si padrone».

Lo guardai mentre lentamente mi penetrava assaporando in ogni centimetro il modo in cui il mio corpo si tendeva sotto il suo per poi stringersi nuovamente. Gemette piano quando i nostri bacini si scontrarono «mia» affermò roco. Uscì di nuovo piano e poi si spinse con più forza, più affondo. Continuò ed assecondai i suoi movimenti, gemendo senza distogliere lo sguardo da quella visione eccitante, osservando il mio viso scaldarsi sempre di più, le labbra in fiamme.
I miei gemiti aumentarono assieme le sue spinte e sentii l'orgasmo avvicinarsi, i muscoli tendersi. Si fermò dentro di me.
Attese, mi contrassi attorno a lui ricevendo uno schiaffo per la provocazione. Amava negarmi l'orgasmo così da renderlo più intenso e con mio disappunto neanche quella sera avrebbe fatto un'eccezione. Riprese a muoversi dopo qualche secondo, le spinte erano più controllate e più forti. Mi tesi di nuovo, mi morsi il labbro ormai al limite. Si fermò dentro di me.

Attese di nuovo qualche secondo. «Ti prego padrone..» mi mossi piano «ti prego fammi venire». Un altro schiaffo che mi fece fremere «non ti ho chiesto di pregarmi Leyla, non ancora..». Dopo altri secondi interminabili si mosse di nuovo, più veloce e bisognoso, stringendomi il fianco come se temesse che sarei fuggita.
Lo sentii di nuovo, quelle vetta desiderata e ancora troppo lontana. L'orgasmo era quasi arrivato, deglutii e gemetti più forte. Si fermò dentro di me.

Attese e così feci anche io, supplicandolo con lo sguardo ma stando attenta a non fare alcun movimento. «Vuoi venire Leyla?» non esitai un istante «sì padrone, ti prego» una sola spinta, poi di nuovo si fermò «cosa mi darai?».
«Qualunque cosa» sorrise e seppi che era la risposta che voleva «la prossima volta inizieremo a lavorare sul tuo culo allora, che dici?».
Ero troppo confusa dal piacere per capire davvero il peso delle sue parole, il rilievo di quello scambio. Ormai ero del tutto persa nel piacere e non me ne curai. La cosa certa era che mi fidavo di lui «si padrone ma ti prego, fammi venire..».

«Affare fatto ragazzina» sorrise e mi chiesi per un istante se la mia scelta fosse giusta, ma smisi di curarmene subito perché le sue dita raggiunsero il mio clitoride e lo stimolarono con delicatezza e precisione. Riprese a spingere e le sue dita aumentarono il mio piacere mentre con ancora la sua mano tra i capelli non distolsi lo sguardo neanche un istante.
Vidi il mio corpo fremere, tendersi, sentii le spinse decise e veloci ed infine non mi trattenni, esplodendo in un orgasmo che mi scosse dall'interno facendo vibrare ogni fibra del mio corpo mentre stringendomi attorno al mio padrone lo guardai senza pudore. I suoi occhi erano scuri quanto i miei, eccitati e bisognosi. Quando anche l'ultimo ansimo mi abbandonò il mio padrone si spinse ancora e venne stretto dentro di me, soddisfatto.

Solo in quel momento, stanca, calai le palpebre un istante e poi sorrisi riaprendo gli occhi e notando quelli di Dean ancora fissi nei miei. Restammo fermi qualche istante e le sue mani percorsero lente la mia schiena chiara fino a raggiungere il collo, scostando di nuovo i capelli per toccare il simbolo della mia appartenenza. La sua mano calda a contatto con la pelle umida mi provocò altri brividi e mi strusciai su essa come un gatto, lasciandomi carezzare il viso.
«Forza vieni» uscì lentamente da me e mi aiutò a sollevarmi senza perdere l'equilibrio, conducendomi verso il letto. Si allontanò e raggiunse il grande vetro e solo in quell'istante mi ricordai delle persone all'esterno ed arrossii per ciò che era appena accaduto. Dean chiuse le tende «ora voglio spogliarti, direi che hanno visto abbastanza».

Sollevata da quella premura mi passai le dita sul collare, sentendolo ancora una volta sotto i polpastrelli. Era il miglior regalo che il mio padrone potesse farmi ed il sorriso furbo che mi rivolse quando notò quel gesto mi fece capire quanto significasse anche per lui.
«Ti da fastidio?» chiese avvicinandosi e scossi la testa facendo ondeggiare i capelli mossi «no, mi piace sentirlo».
Sorrise ancora «bene ragazzina, preparati a sentire molte cose perché ho preparato qualcosa per te..».

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