Capitolo 9

Noah

«Arya» la chiamai, scuotendola per una spalla. Stetti attento molto attento e la toccai con delicatezza. Non volevo di certo che prendesse la lampada che si trovava sul comodino e me la tirasse in testa. Fino a prova contraria ci tenevo ancora alla mia vita. «È mattina, Principessa.»

Si girò lentamente e dopo essersi stiracchiata si stropicciò gli occhi. Li aprì e si guardò intorno spaesata. «Dove...»

«Sei ancora a casa mia, spero che i tuoi genitori non pensino che ti abbia rapita» dissi preoccupato.

«Non avranno nemmeno notato la mia assenza» affermò, mettendosi a sedere sul materasso.

«Come mai?»

«Ho detto loro che andavo a dormire dalla mia migliore amica visto che avevamo discusso» mi spiegò.

«Oh» sospirai.

Quindi nessuno sa che lei è a casa mia.

«Che ore sono?» Si guardò attorno in cerca di un orologio, che ovviamente non trovò perché l'unico orologio che c'era in casa mia si trovava in cucina.

«Le 6:30 del mattino.»

«E a che ora inizi a lavorare?»

«Ti posso portare a scuola se vuoi» proposi. «Qui non dovrebbero passare gli autobus...»

«Ma arriverai in ritardo al lavoro...» lasciò la frase in sospeso come se si sentisse in colpa.

«Ti accompagno lo stesso» conclusi, decidendo per entrambi.

«Devo portare Charlie a fare un giretto, vuoi venire con me o preferisci stare sotto queste coperte calde?» le domandai poco dopo.

«Ehm... Vengo con te.»

«Tieni, Principessa.» Le passai una mia felpa e la indossò al posto della camicia della sera precedente.

*

«Posso portarlo io?» chiese con un sorriso sulle labbra.

«Sì» assentii, mentre cercavo il guinzaglio verde di Charlie. Quel cane si divertiva davvero tanto a nascondermi le sue cose. «A patto che tu ti metta la giacca perché a quest'ora c'è molto freddo fuori.»

«Hmm...» sbuffò, «lo faccio solo perché mi sono affezionata a Charlie.» Andò a prendersi il cappotto che era ancora sul divano e se lo infilò. Tirò su la cerniera e disse che era pronta. Prese il guinzaglio dalle mie mani e le nostre dita si sfiorarono. Quel gesto bastò per farmi andare in estasi e nel momento in cui si avvicinò alla mia figura smisi di respirare. «Apri la porta o devo scavalcarti con Charlie?» chiese ancora vicina, molto vicina.

Nel frattempo sentii Charlie fare un verso strano che attirò la nostra attenzione. Le iridi grigie di Arya non erano più calamitate nelle mie e mi soffermai a guardare il muso del mio cane idiota.

Ma che problemi ha ultimamente? Non può essere la vecchiaia, perché Charlie ha cinque anni.

«Credo sia impaziente di fare i suoi bisogni» mi fece notare Arya, molto più sveglia di me.

Non feci nemmeno in tempo ad aprire la porta che Charlie partì di corsa. Arya non se l'aspettava e per poco non inciampò nel piccolo gradino che c'era sotto la porta. «Mannaggia!» esclamò con gli occhi spalancati. «Dove andiamo?» domandò dopo essersi ricomposta.

«Segui pure me, andiamo in un parco qui vicino, così possiamo lasciare libero questo furbacchione.»

Fuori c'era ancora abbastanza buio, ma di lì a poco sarebbe sorto il sole e sperai di vedere l'alba insieme ad Arya. Nel cielo si vedevano ancora le stelle che avevano cominciato a spegnersi con la luce del sole e la luna era ancora alta. Era stata una notte di luna piena.

Liberai Charlie dal guinzaglio e io e Arya ci sedemmo su una panchina in legno del parco. Tenne un'attenta distanza dal mio corpo e decisi di osservarla meglio.

La notte precedente ero andato a dormire poco dopo averla vista che sonnecchiava beatamente nel mio letto. Inutile dire che non avevo dormito un granché: ero rimasto a osservare il suo viso angelico per un po', giusto un paio di ore. A un certo punto l'avevo vista muoversi e si era avvicinata pericolosamente a me. Aveva appoggiato la sua testa sopra la mia spalla e metà del suo braccio sul mio petto. Ero rimasto letteralmente immobile con gli occhi sgranati, il respiro corto e con la paura che si potesse svegliare e accusarmi di averle fatto qualcosa di male. Non mi ero mosso per tutta la notte da quella posizione e alla mattina, dopo essermi finalmente addormentato, l'avevo trovata ancora lì. Mi ero alzato cercando di non svegliarla e avevo sistemato le coperte sopra di lei in modo che stesse al caldo.

Al parco avevo fatto segno a Charlie di seguirmi e continuava a saltarle sulle ginocchia.

Prese il telefono dalla tasca del cappotto e fece una foto all'orizzonte e poi mi guardò.

«Ti piace la fotografia?» domandai curioso.

«No, ma questa alba che sta arrivando mi ha dato una bellissima ispirazione» affermò con entusiasmo.

«Per cosa?» tentai.

Le sue iridi grigie trovarono le mie e mi ci persi dentro. «Magari un giorno te lo dirò.»

*

Di lì a poco avrei dovuto lasciarla e quel pensiero mi mise di malumore. Avrei avuto proprio bisogno di una come Arya che mi migliorasse le giornate.

«Puoi lasciarmi qui?» chiese, slacciandosi la cintura.

«Sì, certo.» Girai in un parcheggio a sinistra prima della sua scuola e mi fermai.

Nel frattempo lei alzò il parasole per sistemare i suoi lunghi capelli biondi in una coda di cavallo. Si osservò un secondo e poi si girò verso di me, rialzando il parasole con un piccolo specchietto al suo interno.

«Allora... alla prossima guida» dissi con voce tremante.

«Ci vediamo» rispose allo stesso modo.

Dopo aver aperto la portiera, scese dalla macchina. Abbassai il finestrino e lei ci appoggiò sopra i gomiti. «Grazie per quello che hai fatto per me.»

Se ne andò verso la scuola e rimasi lì a guardarla assicurandomi che non le succedesse nulla.

Arya

La campanella suonò e aspettammo che i nostri compagni di classe uscissero dalla porta perché sembravano una mandria di mucche quando la scuola finiva.

Misi il cappotto con calma e issai lo zaino sulle spalle. Io, Cassie e Simon salutammo e augurammo una buona giornata alla professoressa, ancora seduta alla cattedra, e scendemmo le scale per seguire gli altri. Spinsi il maniglione della porta d'uscita e il freddo mi invase i polmoni.

«Aspettate un secondo... Non trovo più il telefono» disse Simon, fermandosi fuori dal cancello.

Nel frattempo mi girai per guardare le macchine che passavano sulla strada. All'improvviso una in particolare mi saltò all'occhio: un'auto con scritto scuola guida sul cofano si stava avvicinando. Noah aveva accennato al fatto che passasse sempre davanti alla mia scuola per tornare a casa all'ora di pranzo.

Mentre i metri che ci dividevano diminuivano rapidamente, mi pietrificai davanti alle strisce pedonali senza avere alcuna possibilità nel movimento. Il mio corpo era ancorato all'asfalto. Avvertivo una sensazione strana allo stomaco e giustificai tutto ciò con l'ansia. Il cuore scattò in gola nell'esatto istante in cui mi accorsi che alla guida dell'auto c'era Noah.

Mi sembrava di avere in corpo un megafono che amplificava tutto ciò che sentivo dentro. Ma era sbagliato.

Era sbagliato provare quelle sensazioni per quell'istruttore, bello da morire, che non avrei mai più rivisto dopo aver preso la patente.

Era sbagliato ammirare una persona per la sua forza di volontà, per il suo entusiasmo per la vita, nonostante la vita le avesse tolto tanto.

Lui era il bene e il male.

Il sole e la luna.

Il giorno e la notte.

Vidi il suo sguardo spostarsi dalla strada alla mia faccia e smisi completamente di respirare. La tachicardia si fece sentire più di prima e avvertivo il mio solito tremore alle mani. Quel tremore però non era dettato dall'ansia e dalla paura. No, quel tremore proveniva dal mio cuore.

Il tempo sembrava fermarsi sotto i miei piedi, come nei film. Anzi, tutto si era fermato, tranne me e Noah. Io e lui ci stavamo perdendo nel baratro dei nostri occhi.

Noah si fermò davanti alle strisce pedonali senza distogliere lo sguardo dal mio volto, ancora scosso dalla sua presenza.

Mi sentii afferrare dai gomiti e trascinarmi sull'asfalto ruvido: Cassie e Simon mi stavano portando con loro dall'altra parte della strada. Ci fermammo e mi girai di scatto, giusto in tempo per vedere la macchina di Noah ripartire.

Sul mio volto apparve un sorrisetto idiota e Cassie mi riportò alla realtà tirandomi un pizzicotto. «Ahi!» esclamai, toccandomi il braccio dal dolore.

«Vuoi anche farti investire adesso?» replicò Cassie.

-

«Papà» mi richiama ancora una volta Henry. «Perché lei si comportava così?»

Sorrisi, inarcando le labbra dolcemente. «Si stavainnamorando, ma non se ne stava nemmeno rendendo conto.»

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