Capitolo 7

Noah

«Ti rendi conto che alla seconda guida siamo già in superstrada e stai andando ai novanta all'ora? Non credo di aver mai visto nessuno che guida in questo modo, sappilo.»

«Quando cresci in campagna certe cose bisogna pur impararle altrimenti non si mandano avanti i lavori e non si mangia.»

«Quindi hai appena ammesso che io ho sempre avuto ragione?» chiesi per sentirmelo dire.

«Non se ne parla proprio!» esclamò con enfasi, sorridendo di nascosto. Scoppiai a ridere per la sua faccia. Evidentemente era molto orgogliosa e non dava ragione agli altri. «Mi stai per caso prendendo in giro?» chiese, facendo delle facce buffe.

«No» risposi con un tono divertito, cercando di nascondere il mio sorriso a trentadue denti.

«Non ne sarei molto convinta» disse tentando di non unirsi a me. Più si tratteneva dall'oscurare i suoi sentimenti in quel momento, più le veniva da ridere. Cominciò a ridere in una risata sonora e nessuno dei due si fermò per un paio di minuti.

«Ok, basta ridere. Mi fa male la pancia» affermai poco dopo.

Arya mi trasmetteva un senso di leggerezza incredibile e pace assoluta. Era come se il mondo fuori quella macchina fosse in tempesta e lì dentro ci fosse un sole senza nessuna nuvola nel cielo.

«Grazie» sussurrò a un certo punto dopo essere usciti dalla superstrada.

Le feci imboccare una stradina buia perché ovviamente dovevo insegnarle anche a fare le strade strette oltre alle altre. «Per cosa?» domandai non capendo dato che non avevo fatto nulla in quel momento.

«Per avermi fatto ridere...»

*

«A destra» le dissi per rientrare nel parcheggio di scuola guida.

Era già passata un'ora e mi sembrava che il tempo con Arya si fosse fermato. Eravamo solo io e lei in quella bolla, in quella macchina carica di emozioni. Un'ora che mi porterò dentro per sempre, nonostante non la vedrò più dopo che avrà preso la patente. E lei l'avrebbe presa molto in fretta vista la sua bravura.

«Vai pure dritta, così la portiamo direttamente nel parcheggio sul retro.»

«Sono l'ultima guida che hai oggi?» chiese e intravidi nei suoi occhi un luccichio particolare, forse dettato dai lampioni.

«Sì» risposi con dispiacere ma lei non se ne accorse, presunsi.

«Com'è andata questa guida?»

«Lo sai benissimo com'è andata, non fare la finta tonta» la rimproverai. D'istinto mi venne da tirarle un buffetto, ma mi fermai con la mano a mezz'aria. No, non farlo, mi diceva il cervello.

«È già arrivato qualcuno a prenderti?» chiesi per sapere se potessi andare a casa altrimenti avrei aspettato finché non sarebbe arrivato qualcuno.

Non l'avrei di certo lasciata lì da sola al buio. Certo, c'era ancora la segretaria dentro l'autoscuola, ma volevo assicurarmi che non stesse veramente da sola.

«No... Torno a casa a piedi» ammise.

-

«Papà» mi interrompe Henry per la millesima volta.

«Dimmi.» Sapevo benissimo cosa mi avrebbe chiesto perché ogni singola volta mi ferma negli stessi punti. Le hai proposto di riaccompagnarla a casa, vero?

«Le hai proposto di riaccompagnarla a casa, vero?» chiede.

«Credi davvero che l'avrei lasciato tornare a casa da sola alle otto di sera?»

«No, perché sei troppo un gentiluomo» risponde, facendomi l'occhiolino.

-

«Ti porto a casa io» dissi e la vidi scuotere la testa. «Non ti lascio tornare a casa a piedi a quest'ora soprattutto da sola.»

«Guarda che non ho bisogno di un badante, so cavarmela da sola» ribatté, iniziando a discutere.

«Ne sono certo di questo, ma non vorrei averti sulla coscienza» affermai deciso.

«Non mi avrai sulla coscienza e ora è meglio che mi incammino altrimenti arrivo a casa domani mattina.» Mi passò davanti dopo essersi presa il cappotto e cominciò a incamminarsi seriamente verso il cancello.

Feci una mossa improvvisa: la afferrai per un braccio e la attirai a me. Non era una presa forte perché la mia testa mi diceva di trattarla con delicatezza, altrimenti l'avrei persa. Il suo viso fu a un soffio dal mio e nonostante ci fosse ormai buio pesto vedevo benissimo i suoi occhi color ghiaccio terrorizzati.

«Vuoi davvero andare in una strada trafficata o ancora peggio in una strada per i campi con tutte le storie che si sentono in giro?»

Non rispose e continuai a parlare, perché i suoi occhi erano ancora carichi di paura, forse per quella vicinanza. «Devi fidarti di me e non lo so... Ma se pensi che possa farti del male, non credi che l'avrei già fatto? Ci sono state mille occasioni in cui avrei potuto farlo e non ho mai alzato le mani, non mi sono neanche mai avvicinato a te.»

«Prima l'hai fatto» sussurrò sulle mie labbra per poi tornare a non respirare.

«Ero costretto» mi giustificai. «Saremmo andati nel fiume se fossi stata ancora più a destra della strada. Non avrei voluto salvarti, sai nuotare almeno?» cambiai discorso per farla tranquillizzare. Scosse la testa piano. «Ah, quindi avrei pure dovuto salvarti la vita. Vedi che in fondo hai bisogno di me?»

«Ti sbagli, io non ho bisogno di nessuno» ribatté tornando lucida.

«Non avrai bisogno di me allora, però ti porto a casa e non voglio sentire obiezioni.»

«Ti avverto che so difendermi benissimo, quindi non ti conviene ingannarmi» rispose con un tono duro e si allontanò da me.

«Andiamo o stai lì impalato?» chiese dopo essere arrivata alla mia macchina, l'unica rimasta in quel parcheggio sul retro oltre quella della segretaria e del mio capo Jeremy.

«Certo.»

*

«Devo dirti una cosa però...» dissi dopo essere partito.

«Che cosa?»

«Prima dobbiamo passare da mio padre, perché gli ho lasciato il mio cane in questi giorni ed è arrivato il momento di riportarlo a casa altrimenti diventerà obeso.»

«Hmm...»

«Puoi stare benissimo in macchina, devo solo prendere il cane» mi affrettai a dire.

«D'accordo» disse, girandosi a guardare fuori dal finestrino. Prese il telefono da una piccola tasca del suo zaino e la luce che emanava le illuminò il suo dolce viso. Sbuffò e le chiesi se ci fosse qualcosa che non andasse. «I miei genitori sono andati a una riunione del comitato del quartiere, quindi sono a casa da sola fino a sera tardi.»

«Puoi unirti a me e Charlie» proposi e il mio cuore iniziò ad accelerare.

«Chi è Charlie?» chiese caotica.

«Il mio cane» specificai. Nel frattempo parcheggiai davanti alla casa di mio padre e mi slacciai la cintura. «Mi fido a lasciarti qui da sola? Non scappi, vero?» la interrogai per vedere che non mi facesse nessuno scherzo.

«Non so nemmeno dove ci troviamo, quindi non credo di andare tanto lontano nel caso in cui decidessi di scappare.»

«Arrivo fra un minuto» dissi, aprendo la portiera. «Ah, una cosa: Charlie è un po'... scemo quando vede le persone, quindi non spaventarti se ti salta addosso o vuole che gli fai le coccole.»

«Ci vuole ben altro per spaventarmi, altro che un cane» rispose sarcastica, alzando gli occhi al cielo.

Bussai alla porta e mio padre mi aprì come se sapesse che ero già arrivato. Charlie corse da me e mi fece mille feste. Era decisamente contento di vedermi quel cane e gli feci un paio di coccole, visto che aveva già iniziato ad appoggiare le zampe suoi miei jeans puliti. «A cuccia, Charlie» lo richiamai. «Come va?» domandai rivolgendomi a mio padre.

«Tutto bene. Ma, senti, ho una cosa da chiederti.»

«Dimmi tutto» affermai, mentre mio padre mi passava il guinzaglio di Charlie e i vari giochi che aveva voluto portarsi via.

«Chi è quella ragazza nella tua macchina?»

Mi girai verso di lei e mi accorsi che ci stava osservando. Abbassò lo sguardo sul suo telefono e cercò di ignorarmi. Sospirai e risposi. «Una ragazza che deve prendere la patente.»

«E...» provò a insinuare.

«No, papà. No, non c'è nulla tra di noi, se è questo che vuoi sapere. Non aveva nessuno che la poteva venire a prendere perché i suoi genitori sono molto impegnati con il lavoro e mi sono proposto per riportarla a casa sua.»

«Hai fatto bene, figliolo.» Sorrise. «Non si lascia una ragazza da sola per strada a quest'ora. Qualcosa allora te l'ho insegnato» mi prese in giro.

«Ora è meglio che vada, ti chiamo domani pomeriggio.»

«Che ne dici di venire a pranzare qua domani?» propose.

«Non ho nemmeno chiesto alla segretaria che turno faccio...» mi ricordai a voce alta.

«Puoi venire quando vuoi, tanto non devo andare da nessuna parte.»

«Va bene. A domani.»

«Buonanotte» disse mio padre, come quando ero bambino e dovevo andare a letto.

Chiamai Charlie che nel frattempo era andato a fare il suo solito giretto prima di andare via e tornai da Arya. Entrò prima di me in macchina e saltò sul mio sedile. Guardò per pochi secondi Arya e poi cercò di attirare la sua attenzione con la zampa. Osservai Arya per un paio di secondi mentre Charlie continuava a darle fastidio e mi persi nella sua bellezza. Aveva un quaderno nero fra le gambe e impugnava una matita grigia.

Stava scrivendo qualcosa, sembrava quasi un diario, ma prima di capire di cosa si trattasse lo chiuse.

Lo appoggiò sotto i suoi piedi, spostando tutto il tappetino e guardò Charlie per la prima volta. Il suo viso si illuminò e allungò le mani per fargli delle carezze. Sul suo viso si formò un sorriso enorme quando Charlie le leccò tutta la faccia.

«Ma tu devi essere Charlie. Quanto sei carino, eh?» Gli parlò come se potesse risponderle e mi fece tenerezza.

«Charlie, stai giù. Non darle fastidio» lo sgridai. «Scusami, ti avevo detto che questo impazzisce appena vede una qualsiasi persona diversa da me» aggiunsi rivolgendomi quella volta ad Arya.

«Vai dietro» dissi a Charlie quando capii che l'avesse infastidito abbastanza.

Era un cane molto impegnativo, sicuramente non per la taglia, ma per la sua voglia di vivere. Voleva costantemente giocare a qualcosa o con qualcuno, gli piaceva mangiare (anche troppo per i miei gusti) ed era letteralmente dipendente dalle coccole delle persone che incontrava. Infatti ogni volta che andavamo a fare una passeggiata, seppur breve, e vedeva un bambino doveva avvicinarsi a lui per farsi fare le coccole. E sappiamo tutti come sono i bambini: per loro gli animali sono qualcosa di spettacolare a quell'età.

Charlie si fermò improvvisamente dopo essere saltato in braccio ad Arya e alzò un orecchio per guardarmi, come per dire che non ci pensava nemmeno ad andare al suo solito posto.

Ne hai trovato uno migliore, è ovvio che non vuoi stare nei sedili posteriori, furbacchione.

«Lo tengo io» mi rassicurò Arya.

Intanto Charlie si mise comodo sulle gambe di Arya, sdraiandosi come se fosse su una poltrona, e mi guardò soddisfatto. Tutti evidentemente erano contro di me quando si trattava di Charlie.

Mi sedetti anch'io e mi agganciai la cintura. Girai la chiave e accesi la macchina. Mi voltai verso Charlie per fargli una coccola veloce e gli dissi di non fare il monello, altrimenti niente colazione il giorno dopo. Aveva sicuramente già cenato con mio padre quindi quella sera non se ne parlava proprio di dargli del cibo.

«Alza i piedi, Principessa» pronunciai, vedendo qualcosa fuori posto. Sistemai il tappetino, perché vederlo fuori posto era una delle cose che odiavo di più al mondo. La mia macchina era sacra e chiunque ci entrasse, doveva comunque mantenere un certo ordine.

«Povero, vuole solo delle coccole. Gliene farai poche» mi rimproverò Arya scherzando dopo che le avevo messo a posto quel maledetto tappetino.

Il mio cuore si sciolse completamente perché mi accorsi che Arya e Charlie si erano già affezionati l'uno all'altra.

«Anche troppe» risposi e partii.

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