Capitolo 5

Noah

«E per ultima Arya» disse Gwenda, mentre scrivevo sull'agenda i nomi dei ragazzi con cui avrei dovuto fare le guide il giorno dopo.

Mi cadde di mano la penna e l'unico rumore che si sentì fu la penna toccare il pavimento in marmo. Rimasi immobile, anche perché era caduta dietro la scrivania, dove si trovava Gwenda e lei la raccolse.

«Noah, ti senti bene oggi? Sei un po' strano negli ultimi giorni...»

«C-come?» le chiesi con la faccia di uno che sembrava essersi appena svegliato. Oltre alla faccia spaesata, il cuore aveva cominciato a battere leggermente più forte e i palmi delle mani stavano sudando.

«Ti ho chiesto se ti senti bene» ripeté per la seconda volta e annuii piano, abbassando lo sguardo sull'agenda.

Presi la penna, che era ancora a mezz'aria nella mano di Gwenda, e cercai di scrivere il nome di Arya in fondo all'agenda, ma senza grandi successi. La scritta risultava abbastanza disomogenea, altalenante come se la mano tremasse. Poi mi guardai la mano, fu una questione di un secondo, ma bastò per farmi vedere il tremore. La nascosi sotto il bancone e ringraziai Gwenda prima di andarmene a casa, visto che avevo appena finito il turno.

Uscii dalla porta e trovai il mio capo. «Ehi, Jeremy» lo chiamai e lui si girò salutandomi e poi se ne andò nel suo ufficio di fretta. Doveva sicuramente sbrigare le ultime pratiche degli stipendi visto che era sempre un po' in ritardo in quelle faccende.

Nel frattempo arrivai nel parcheggio dietro l'edificio e mi appoggiai con la schiena alla mia macchina. Tirai fuori il mio pacchetto di Winston dalla tasca posteriore dei jeans e afferrai una sigaretta. La portai alle labbra mentre rimettevo il pacchetto dove l'avevo preso e tirai fuori anche il mio clipper blu. Lo avvicinai alla sigaretta e aspettai che si accendesse. Chiusi gli occhi per rilassarmi e guardai i cirri di fumo fuoriuscire dalla mia bocca.

-

«Ma, papà,» mi chiama Henry, scuotendomi per un braccio per attirare la mia attenzione, «ora non fumi più però» mi fa notare.

Gli sorrido e lo guardo attraverso la luce tenue emanata dalla lampada sul comodino. «Ho fatto un buon lavoro: sono riuscito a smettere di fumare» dico, facendogli l'occhiolino.

«Vai avanti?»

«Sì, sei tu che mi hai interrotto» puntualizzo toccandogli il naso mentre lui mi fa una smorfia di disapprovazione.

«Volevo solo accertarmi che tu non fumassi più.»

Gli sistemo le coperte nuovamente e vado avanti con la storia.

-

Quel giorno alla mattina avevo lasciato Charlie da mio padre, così poteva divertirsi un po' e lo faceva distrarre. Alla sera non avevo il turno in ambulanza, quindi mi feci una cena con molta calma, anche se era un semplice toast, ma il pensiero di Arya era come un tarlo nella mia testa. Sentivo il suo profumo di vaniglia sotto le narici, i suoi occhi addosso che mi bruciavano i vestiti, ma lei non era lì presente e non la vedevo da una settimana intera.

Ero solo in quella casa e c'erano due opzioni in quel momento: avevo la febbre molto alta che mi faceva pensare e vedere cose che non esistevano oppure casa mia era infestata dai fantasmi.

Decisi di andare a recuperare il termometro e mi misurai la febbre, cercando di rilassarmi sullo sgabello a fianco al bancone della cucina. Stranamente segnava una temperatura nella media, ma io ero più che convinto di avere la febbre. Era l'unica spiegazione di quei pensieri che non avevano senso.

La riprovai per ben quattro volte, ma il numero sul display era sempre quello e mi arresi all'evidenza: non avevo la temperatura corporea alta.

Decisi di chiamare Mason, il mio migliore amico, in preda al panico. Se non avevo la febbre avevo sicuramente le allucinazioni o qualcosa di strano. Rispose al quarto squillo e gli spiegai la situazione senza mai menzionare Arya. Non avrebbe nemmeno dovuto sapere della sua esistenza.

«Noah, ma che cazzo ti sei fumato questa sera?» mi chiese un po' preoccupato, convinto che avessi assunto della droga.

«Ti giuro su quello che vuoi che non mi sono fatto di nulla, lo sai che non mi drogo» lo rassicurai. «Ma te lo dico seriamente delle allucinazioni. Secondo te, ti chiamerei davvero alle dieci di sera per farti uno scherzo?»

«No, effettivamente non ti si addice. Facciamo una cosa: sono al bar dove lavora Bella, ora è in pausa, ma fra due minuti deve riattaccare. Quindi appena torna dentro vengo lì. Sei a casa o altrove?»

«A casa, dove vuoi che sia a quest'ora?» chiesi, visto che alla sera non uscivo mai di casa. Ero già entrato in quella fase adulta dove preferivo rimanere a casa al posto di andare a fare la serata fuori con gli amici. Certo, per andare a bere una birra ero sempre disponibile, ma per gli inviti in discoteca o per qualcosa di troppo impegnativo non se ne parlava proprio.

«Rilassati, sono lì fra quindici minuti.»

«D'accordo.»

Mason bussò alla mia porta e quando mi vide mi osservò con un sopracciglio inarcato verso l'alto e con il capo leggermente piegato alla sua destra. «Una brutta cera ce l'hai sul serio.»

«Ma va!?» risposi sarcastico.

«Posso entrare o mi lasci stare qui fuori al freddo?» domandò, facendomi dei segni con le braccia davanti alla faccia.

«Sì» sbuffai. Gli lasciai il giusto spazio per passare dalla porta e lui si diresse verso il salotto.

Mason era vestito molto bene quella sera, sicuramente l'aveva fatto per Bella, visto che avevano cominciato a uscire insieme da pochi mesi. Ero contento che stessero approfondendo il loro rapporto. Prima erano semplicemente i miei migliori amici che mi dovevano sopportare e invece quei due me la facevano alle spalle. Però quando li avevo scoperti non mi ero per niente arrabbiato con loro, anzi, tutto il contrario: avevo fatto le mie scene teatrali e poi me n'ero andato facendo il mio solito salto di felicità.

Quella sera indossava un maglione di cashmere blu zaffiro che faceva risaltare il tono dei suoi occhi. Erano un mix dei colori della terra: il verde era sfumato con il marrone chiaro, che poi si scuriva nella parte più esterna della pupilla. Dopo aveva dei jeans circa dello stesso colore e un paio di Nike bianche, sicuramente nuove dato che erano ancora lucide e impeccabili.

Appoggiò il cappotto grigio scuro sopra il bracciolo del divano e poi si sedette vicino ai cuscini in tinta con il tessuto del divano. Andai vicino a lui e lo guardai preoccupato per la mia salute. «Cosa ti senti?» chiese.

«Non lo so, sento e vedo cose che non sono reali» annunciai.

«Fin lì c'ero arrivato da solo, ma cosa vedi? Non lo so... Un gatto? Una persona? Che tipo di situazione?»

Ci riflettei un attimo e dopo aver capito che potevo benissimo raccontare quello che mi stava succedendo senza nominare Arya, parlai. «Vedo questa ragazza, anzi sento il suo profumo e... ho iniziato anche a sognarla la notte. Questi sogni sembrano così reali... Poi mi sveglio all'improvviso, spaesato...»

«Ti sei innamorato. Semplice, amico» disse con una tale naturalezza che mi fece venire i brividi. Si sistemò meglio e allungò il braccio sullo schienale del divano. Mi guardò e sapevo molto bene che stava solo aspettando una mia reazione.

«Mi sento di essere in bilico tra il cielo» dissi, indicando l'alto, «e il vuoto, ma non credo di essermi innamorato. Non la conosco neanche, si può dire, questa ragazza e poi non potremmo mai stare insieme.»

«Chi te lo dice, scusa?»

«Beh, come primo fattore a nostro sfavore c'è l'età» ammisi. «Poi non credo che le possa interessare uno come me.»

«Intanto l'età non c'entra un cazzo, Noah. Te lo dico da quando ci conosciamo, quindi da più di vent'anni. Se una ragazza ti piace, buttati, cosa aspetti? E riguardo al fatto che a lei non potresti interessare, se parti già con questa idea sei messo malissimo. Se dopo averti conosciuto per bene,+ non vuole avere nessun tipo di relazione con te, allora in quel caso ci perde lei. Ma credimi, te lo dico per esperienza, non farti queste paranoie. Viviti i momenti che hai con lei e se sono rose fioriranno. A proposito, chi è? Non mi sembra che tu abbia conosciuto nuove persone ultimamente.»

«Nessuno...»

«Noah, ci conosciamo da tantissimi anni e so riconoscere quando mi racconti delle bugie, quindi sputa il rospo. Chi è questa misteriosa ragazza?»

«Promettimi però che non lo racconterai a Bella. Non voglio che lo sappia nessuno al momento perché sono parecchio confuso e poi mi passerà sicuramente tra un paio di giorni.»

«Promesso» mi rassicurò.

«Mercoledì scorso ero al lavoro, come sempre, e sapevo di avere una prima guida... Appena ho visto questa ragazza comunque ho pensato che fosse carina, ma come faccio solitamente quando mi passa davanti una ragazza di bell'aspetto. Lei è tutto l'opposto della mia ragazza ideale: è bionda, ha gli occhi grigio chiaro ma, ti giuro, non ho mai visto degli occhi così belli in vita mia. È un po' taciturna, non che gli altri non lo siano in macchina, ma a differenza degli altri il suo silenzio è come una spina nel fianco...»

«Perché lei suscita la tua curiosità» finì la frase per me. «Quando la rivedrai?»

«Domani, è questo il problema. Dopo la prima guida, questa ragazza ogni tanto mi veniva in mente, invece da quando Gwenda mi ha detto della sua prossima guida, ho cominciato ad avere queste allucinazioni» risposi angosciato. «Ma soltanto se sono da solo, perché ad esempio ora non le ho.»

«Gwenda...»

«La segretaria» specificai, visto che non la conosceva e non l'aveva neanche mai vista. «Le chiederò di farle cambiare istruttore al più presto ma devo trovare una scusa plausibile. Non posso dirle queste cose, mi direbbe che devo farmi un giro in psichiatria e le darei pure ragione!» esclamai.

Quelle sensazioni che avvertivo nel petto non potevo provarle: lei era venuta in quell'auto scuola per imparare a guidare e prendere la patente, non per trovarsi un fidanzato e sicuramente non per vedere il suo istruttore provarci con lei.

«Ma sei pazzo?!» disse con enfasi, alzandosi in piedi. «Tu non le dici proprio un cazzo a questa segretaria, devi semplicemente giocarti bene le carte.»

«Stiamo per caso invertendo i ruoli?» domandai ironico. «Ti sei fumato una canna tu ora?»

Mi alzai dal divano anch'io e andai a preparare due bicchieri pieni di succo d'arancia. Niente birra, era meglio rimanere sobri e con i piedi per terra. Aprii il frigorifero e afferrai il cartone del succo. Lo appoggiai sul bancone della cucina a fianco al fornello bianco in ceramica e chiusi il frigorifero alle mie spalle. Dopo averlo versato in due bicchieri di vetro trasparente, li presi in mano e tornai da Mason che era tornato seduto comodo sul divano.

«Non mi faccio le canne» puntualizzò. «Però si capisce un sacco che questa ragazza ti attrae. Domani prova a chiederle qualcosa di sé: cosa le piace fare, che musica ascolta e queste smancerie simili. Vedrai che puoi scoprire tante cose su di lei e capire se ti piace solamente fisicamente o anche per il suo carattere.»

«Mi fa paura» ammisi, scuotendo il capo. «Non credo di avere tempo per pensare a lei, se poi le cose andassero come dici tu? Tra l'ambulanza, mio padre e il lavoro, non mi rimane molto tempo libero.»

«Noah», richiamò la mia attenzione appoggiando la mano sulla mia spalla e la strinse leggermente, «non devi pensarci ora, magari domani scopri che tutto quello che fa ti dà fastidio. Quindi per favore non farti film mentali negativi inutili adesso. Pensa al presente e fidati di me: se la vorrai davvero, il tempo lo troverai anche se non esiste.»

«D'accordo, seguirò i tuoi consigli solo perché ormai l'ho ammesso a me stesso per colpa tua.»

«Non dare la colpa a me per quello che provi tu lì dentro» disse, puntando il dito sopra il mio cuore. Si portò il bicchiere alle labbra e finì l'ultimo goccio di succo d'arancia che era rimasto. Poi mi passò il bicchiere e si alzò in piedi. «Ora devo andare, ma domani mi chiami e mi racconti tutto quello che sarà successo.»

«Certo» assentii e lo accompagnai fuori dalla porta per gentilezza.

Tornai dentro e misi i bicchieri nel lavandino. Appoggiai le mani al bancone della cucina e abbassai la testa, chiudendo gli occhi.

Avevo appena ammesso a me stesso che quella ragazza mi interessava e da quell'istante capii che ne ero dentro fino al collo. Se ammettevo una cosa a me stesso era la fine, non mi sarei più tolto quel pensiero dalla testa.

In quel momento avevo bisogno di una sigaretta perrilassarmi un attimo e andai fuori a fumarla prima di andare a dormire.

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