Capitolo 4
Noah
Tornai a casa alle sei del mattino ed ero stanchissimo. A momenti mi si sarebbero chiusi gli occhi da soli, ma fortunatamente a me bastavano poche ore di sonno a notte. Ne avrei fatte solo tre, perché poi dovevo fare la spesa e andare da mio padre.
Mi sdraiai sul letto e Charlie arrivò al mio fianco, leccandomi tutta la faccia. «Dai Charlie, devo dormire. Stai un po' fermo per favore» dissi, ma lui non ne voleva sapere.
Con la zampa continuò a toccarmi il braccio, che avevo messo per metà sotto il cuscino, e a un certo punto dovetti alzarmi.
«Ti lascio fare un giretto nel giardino e ti accontenti di quello, perché poi andiamo dal nonno. Capito?»
Charlie mi guardò composto, seduto per terra proprio come gli avevo insegnato quando mi doveva ascoltare.
Gli aprii la porta di casa e lo lasciai andare nel piccolo giardino per fare i bisogni. Tornai nel mio letto e chiusi gli occhi dopo un secondo per la stanchezza.
Ero appena rientrato a casa e l'unica cosa a cui pensavo in quel momento era andare a dormire. Era stata una giornata estenuante al lavoro, soprattutto perché molti ragazzi avevano sostenuto l'esame e alcuni di loro non erano riusciti a passarlo. Sinceramente un po' mi dispiaceva per loro, ma d'altronde era anche una sconfitta personale per me visto che ero il loro istruttore.
Chiusi a chiave la porta e mi girai per andare verso la cucina a prepararmi la cena. Notai che c'era un buonissimo profumino nell'aria di pollo al curry, ma anche quel profumo di vaniglia. Chi potrà mai essere? Arya, naturalmente.
Andai un po' avanti e la trovai rannicchiata sul divano, con una mano sotto la testa e l'altra davanti alla bocca. Mi avvicinai a lei e mi sedetti al suo fianco senza fare rumore per non rischiare di svegliarla nel bel mezzo di un sogno. Le accarezzai la guancia e le spostai una ciocca di capelli che le coprivano il viso.
«Mhh» uscì dalla sua bocca e si girò, guardandomi con occhi particolarmente assonnati.
«Shhh, dormi.»
«Ti ho preparato la cena» borbottò prima di chiudere gli occhi perché la stanchezza aveva avuto la meglio. Evidentemente aveva studiato fino a pochi minuti prima, perché in fondo al divano c'erano i suoi fogli pieni di appunti sparsi.
«Grazie» dissi, dandole un bacio sulla fronte.
Dopo aver mangiato, la ritrovai nella stessa identica posizione e mi sdraiai con lei. La strinsi per la vita e lei mi accarezzò i capelli senza aprire gli occhi.
Avvicinai il mio viso al suo e le diedi un bacio sul suo piccolo nasino. Iniziò a passarmi le dita sulla nuca e i miei occhi si chiusero all'istante.
Mi svegliai di soprassalto, con il cuore in gola e in un bagno di sudore. La stretta di Arya nel sogno appariva così reale che mi sembrava di averla al mio fianco.
Guardai la sveglia che avevo sul comodino e dedussi che dovevo alzarmi per andare a fare la spesa, altrimenti mio padre si sarebbe lamentato anche del ritardo se non fossi arrivato in orario.
Andai in bagno e mi guardai allo specchio dopo aver fatto rientrare Charlie in casa. Avevo una faccia parecchio assonnata e gli occhi erano un po' gonfi per quella splendida dormita.
Avevo sognato Arya ma dovevo smetterla di comportarmi in quel modo. Era una mia alunna, cosa dovevo fare? Provarci con lei per poi essere rifiutato? No grazie, me ne sarei stato al mio posto e l'avrei lasciata libera, anche perché io non cercavo l'amore. Anzi, me ne stavo bene da solo con Charlie a casa.
E poi mi avrebbero anche licenziato, quindi volevo tenermi stretto il mio lavoro dato che ci avevo messo parecchio tempo per trovarne uno. Dopo essere tornato in città avevo cambiato si e no quattro lavori, uno peggio dell'altro. Solo quello mi dava almeno un po' di soddisfazione. Gli altri non facevano per me.
Mi feci una doccia veloce, ma la giornata non iniziò per niente con il piede giusto: avevo finito lo shampoo e non l'avevo comprato quindi non potei nemmeno lavarmi i capelli. Decisi di cambiarmi in bagno visto che c'era un po' più di calduccio.
Poi uscii di casa con Charlie al guinzaglio e andammo a fare la spesa. Inutile dire che appena arrivammo nel reparto degli animali, Charlie impazzì completamente. Se avessi ascoltato la sua fame sarebbe diventato grande come una mongolfiera e poi sarebbe esploso.
Presi tutto l'occorrente non seguendo però l'insaziabile fame del mio cane. Quando arrivammo da mio padre Charlie saltò giù dalla macchina e iniziò a scodinzolare. Gli piaceva un sacco passare del tempo con il nonno perché mio padre gli dava da mangiare in continuazione per paura che morisse di fame. Una volta durante le vacanze di Natale ero andato a fare un viaggio a Roma, la capitale dell'Italia, per distrarmi e quando ero tornato l'avevo trovato ingrassato di quasi un chilo.
Avevo chiesto a mio padre cosa fosse successo, o meglio dire quanto gli avesse riempito la ciotola. «La ciotola? Ha mangiato con me a tavola» mi aveva risposto e da lì dedussi come fosse andato quel Natale.
«Papà» lo chiamai appena aprii la porta e Charlie entrò andando sul divano come se fosse casa sua. «Papà» dissi un'altra volta perché ultimamente ci sentiva un po' di meno con l'età. Feci il giro per tutta la casa e lo trovai nel giardino sul retro che spaccava la legna. «Quante volte ti ho detto che non devi fare questi lavori pesanti? Faccio io, tu vai dentro al caldo che ho portato anche Charlie.»
«Noah, non sono un bambino» si impuntò, arrabbiandosi.
Presi l'ascia dalle mani di mio padre e la appoggiai a terra. Ci fu un attimo di silenzio per non rispondere alle sue provocazioni e poi parlai. «Lo so che non sei più un bambino e che odi stare chiuso in casa, seduto su un divano a non fare nulla, ma lascia far lavorare quelli più giovani di te.» Abbassò lo sguardo e finì di ascoltarmi. «Lo faccio, perché ti voglio bene e sei l'unica persona che mi rimane di questa famiglia. Mi dispiace essermene andato quando la mamma è venuta a mancare, ma dovevo metabolizzare la sua morte da solo.»
«Vieni qua, figliolo» disse, venendomi incontro per abbracciarmi. «A me dispiace di essermi allontanato quando Charlotte se n'è andata in quel maledetto incidente. Ora però ora sono qua e se hai bisogno di me ci sarò fino alla fine dei miei giorni.»
«Anche io, papà. Ora vai dentro. Magar, visto che non riesci a stare fermo più di due minuti preparami un caffè. Questo te lo concedo.»
«Certo» disse. Si incamminò verso l'entrata, ma poi si girò. «Sempre senza zucchero?» chiese per conferma.
«Sì, sempre senza zucchero.» Inarcai le labbra in un lieve sorriso.
*
«Toglimi una curiosità» disse mio padre portandomi il caffè a tavola. «Ma se fossi fidanzato mi presenteresti la tua ragazza, vero?»
«Papà...» lo rimproverai.
«Cosa c'è? Voglio solo sapere le cose di cui tu non parli mai» si giustificò e poi si girò per andare a prendermi il cucchiaino anche se non mi serviva, visto che non c'era un pizzico di zucchero nel mio caffè.
«Se dovesse esserci sarai il primo a saperlo, promesso» finii in fretta il discorso, ma evidentemente lui non voleva.
«Quindi per il momento non c'è nessuna ragazza?» Scossi la testa, portandomi la tazzina alle labbra. «Non hai neanche un particolare interesse verso qualcuna? Non so, magari qualcuna conosciuta in ambulanza...» provò.
«No, papà. Lì men che meno e poi sono praticamente tutte sposate o hanno figli, sai che non mi intrometto in certe questioni.»
«Ancora con la paura di avere un figlio?» domandò guardandomi con gli occhi lucidi che cercava di nascondere.
«Non è che mi faccia paura, credo solo che non sarei un buon padre.»
«Questo è quello che credi tu» ribatté convinto delle sue idee.
«E poi per fare un figlio ci servono due persone, non una» gli feci notare sarcastico.
«Lo so, ma ricordati che le cose belle arrivano quando meno te le aspetti.»
Arya
Il telefonò suonò mentre stavo preparando la cena per quando il nonno e gli altri sarebbero tornati dal campo. Lo tirai fuori dalla tasca dei pantaloni grigi della tuta che indossavo e notai che si trattava di un numero che non avevo salvato. Dalla voce capii che fosse la segretaria di scuola guida che mi aveva chiamata per chiedermi se potesse andar bene la guida il giorno successivo.
«Certo, sono libera» le risposi con una sensazione strana nel petto. In quel momento il mio cuore aveva preso a battere più forte del normale e chiusi gli occhi per cercare di contenere i battiti.
«Perfetto, quindi domani alle cinque di pomeriggio» ripeté in modo tale da scriverlo in agenda e che me lo potessi appuntare pure io. Mi salutò e contraccambiai con gentilezza.
Bloccai il telefono e mi fermai in quella posizione.
Perché il mio cuore sta ancora battendo così forte? Ma soprattutto perché avverto tutto questo caldo? Guardai il termostato ed era a una temperatura normale quindi era il mio corpo che era strano.
All'improvviso sentii uno scricchiolio nella padella e dovetti correre ai fornelli altrimenti per cena non sarebbe rimasto nulla.
«Mannaggia!» esclamai. Sentii il naso che iniziò a pizzicare e mi girai dall'altra parte. «Etciù!» Maledetto quell'origano che ho messo sopra le patate. Non sapevo il motivo ma ogni volta che c'era quell'odore nell'aria mi veniva da starnutire.
Decisi di andare ad apparecchiare dopo aver starnutito per ben cinque volte. Distesi bene la tovaglia, cercai le forchette e i coltelli in un cassetto del mobile a fianco al frigorifero, presi i tovaglioli e li misi vicino a ogni piatto. Portai la padella delle patate al centro della tavola e ci misi un coperchio di vetro in modo che non si raffreddassero, ma in quel momento i miei genitori entrarono dalla porta insieme al nonno.
Mio padre si tolse il cappotto e il berretto per metterli sopra l'attaccapanni a fianco alla porta e mia madre fece lo stesso.
Nonno Richard chiuse la porta alle sue spalle e andò a lavarsi le mani nel bagno al piano terra, mentre i miei genitori si fermarono a tavola per salutarmi. Vidi mia madre sbuffare e mio padre che allungava l'occhio per controllare il nonno.
«È per caso successo qualcosa?» provai a chiedere.
«Tuo nonno non si vuole mettere la giacca più pesante e ormai fuori sta cominciando a fare freddo alla sera. Si prenderà una polmonite se continua così.»
«Sharon, me la metterò domani così sei contenta» proruppe nella stanza e quasi sobbalzammo. «Ora però mangiamo che sto morendo di fame, cosa ha preparato la mia nipotina?» disse, facendomi l'occhiolino di nascosto mentre io gli indicai ciò che avrebbe mangiato per cena. «Sembra invitante, mettiamoci al lavoro.»
Mia madre gli riservò un'occhiataccia mentre nonno Richard si sedeva a tavola e poi andò anche lui a lavarsi le mani. Mi sedetti al mio posto, quello a fianco al nonno, e gli dissi di fare il bravo perché non mi sarebbe piaciuto andare a trovarlo in ospedale per una polmonite.
«Stai tranquilla, cara, il nonno è vecchio ma ha ancora la forza di un ragazzo.»
«Su questo non ho dubbi» lo assecondai visto che a quasi ottant'anni correva e saltava ancora come un leprotto. «Ma non esagerare, a volte l'età gioca brutti scherzi.»
«Mi state per caso dando del vecchio, signorinella?» mi prese in giro.
«Oh sì, monsieur» gli risposi a tono, scoppiando a ridere.
Ci piaceva imitare le persone dei vecchi tempi, quelle che ancora davano del voi. Mi era sempre sembrata una cosa bizzarra dare del voi a qualcuno, come se una persona fosse più importante di un'altra. Nella società di adesso invece si cerca la parità di genere in qualsiasi ambito, mentre una volta il ruolo dell'uomo e della donna erano ben definiti.
Il nonno si portò alla bocca la prima forchettata di patate e mi fece i complimenti per come avevo cucinato.
In quel momento mi ricordai che dovevo dire della guida del giorno dopo e mi schiarii la voce per parlare. «Mi ha chiamato la segretaria di scuola guida e mi ha detto che mi ha prenotato la seconda guida per questa settimana.»
Mangiai un piccolo boccone di patate con la maionese e mia madre intervenne nel discorso. «Quando è?»
«Domani. Qualcuno riesce a portarmi?» chiesi speranzosa, perché non avrei voluto fare la strada in bicicletta visto che l'ultima volta mi avevano quasi investito due ragazzi che volevano provarci con me e Cassie.
«Io devo vedere un cliente» disse mia madre mentre mandava giù il boccone che stava masticando.
«Papà?» tentai.
Si pulì le labbra con il tovagliolo e poi lo posò con delicatezza sulla tovaglia. «Mi dispiace, tesoro, ma domani io non ci sono.»
«Perché? Dove devi andare?» lo interrogai.
«Devo portare a fare una visita in ospedale tuo nonno» affermò guardandomi negli occhi e quasi mi caddero la forchetta e il coltello di mano. «E poi dobbiamo andare a comprare delle piantine a sud della città dove costano di meno, quindi ci aspetta un bel viaggetto.»
«Visita per cosa, scusa?» domandai, fissando sia nonno Richard sia mio padre.
«Il dottore gli ha consigliato una visita per il cuore» mi spiegò.
«E perché? Il nonno sta benissimo, guardatelo.»
Nonno Richard si svegliava ancora alle cinque di mattina e andava ancora a lavorare nei suoi amati campi. Io e mia madre gli avevamo detto un milione di volte di non preoccuparsi, di fare la vita da pensionato, ma niente. Lui aveva la testa dura come quella di un mulo ed era impossibile farlo ragionare sotto quell'aspetto.
«Non è vero» proruppe lui stesso. «A volte ho solo il cuore ballerino, cara.»
Guardai ogni viso per ben tre volte, incredula. Avevo la fronte sicuramente corrugata e mi alzai da tavola posando la forchetta sul piatto e il coltello sopra il tovagliolo.
«Quando pensavate di dirmelo?» li accusai uno per uno. «Me ne vado in camera mia e domani, per vostra informazione, a scuola guida ci andrò a piedi!» esclamai prima di andarmene sbattendo poi la porta della camera.
Mi sedetti sul letto, aprii il mio quaderno dove scrivevo tutto quello che mi passava per la mente e mi allungai per prendere una matita dalla scrivania. Scrissi fino a quando a quella maledetta matita non si consumò la mina. Afferrai il mio temperino colorato e feci la punta. Tornai a scrivere, perché ne avevo bisogno.
Pensai a come la scrittura mi avesse aiutato a sopravvivere.
Mi era rimasta accanto come un'ombra.
Mi aveva salvato soprattutto da me stessa.
Dai miei pensieri.
Dalle mani di lui.
Dall'odore di umido.
Dalle strette sulla pelle.
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