Capitolo 36
Arya
Durante il viaggio di ritorno Noah non aveva fatto altro che dormire tutto il tempo. Si era accoccolato sulla mia spalla e poi aveva chiuso gli occhi, che si erano aperti solo nel momento in cui l'aereo toccò terra.
Al mio fianco c'era un bambino, con la sua mamma, che continuava a chiacchierare. Ci fu una frase in particolare che mi colpì molto. Il bambino aveva chiamato la sua mamma, tirandole la manica del blazer elegante che indossava, e le aveva chiesto se Noah non fosse troppo grande per essere il mio fidanzato.
Il suo quesito mi aveva fatto pensare parecchio: cosa eravamo io e Noah? In amicizia non ci si bacia come facevamo noi, non si passeggia mano nella mano e men che meno si fanno cene a lume di candela.
La madre gli aveva risposto che l'amore non aveva età, ma cos'era l'amore? Sicuramente non qualcosa che fa per me.
Nonostante la stanchezza del viaggio quel pomeriggio ero andata a lavorare al bar ed anche il giorno seguente. Non volevo incrociare Noah per nessuna ragione al mondo. Non volevo vederlo, perché avevo paura di parlare con lui, ma soprattutto temevo l'effetto che mi faceva. Le parole di quel semplice bambino erano entrate in circolo e non avrebbero smesso di stare nella mia mente fino a quando non avrei trovato una risposta.
Mi tolsi il grembiule e lo andai ad appendere sul retro. Salutai Bella, ma lei mi fermò. «Sai che fine abbia fatto Noah?» chiese.
Sbiancai solo udendo quella domanda. «No... Perché dovrei saperlo?» ribaltai il discorso, ma Bella non era disposta a demordere.
«Sai, questa mattina mi ha scritto un messaggio...» iniziò.
«Vuol dire che è ancora vivo» affermai, seguendo il filo del suo discorso e facendo finta di non sapere nessuna cosa su di lui.
«Sì...» rispose, socchiudendo gli occhi per analizzarmi meglio. «Mi ha chiesto a che ora finisci il turno.»
Ma era diventato completamente fuori di testa? Non poteva chiederlo direttamente a me? Anzi, non poteva chiederlo a mia sorella, visto che aveva il suo numero di telefono e si divertivano tanto a organizzarmi le sorprese?
«All'inizio pensavo che avesse sbagliato a scrivere il messaggio dato che non usa molto spesso il telefono, ma poi ho messo insieme dei pezzi» mi comunicò e iniziai a sudare freddo. «Nell'ultimo periodo sembra innamorato, ma non l'ha mai negato questo... Però quello che mi sfuggiva sempre era la persona di cui lo fosse. Tu ne sai qualcosa?»
«Oh... Ehm...» borbottai, non sapendo dove andare a parare e meno male che eravamo solo all'inizio del discorso.
«Ciao Bella» proruppe una voce dietro la mia schiena.
Era lui. Era Noah.
Il cuore prese a battermi forte nel petto. Le gambe iniziarono a tremare nel momento in cui appoggiò la sua mano calda sulla mia schiena.
«Voi due state insieme» constatò Bella.
Non parlai. Non accennai nemmeno a dire una parola, anche perché non sapevo proprio che cosa dire. La mia bocca non voleva nemmeno schiudersi per respirare, figuriamoci se si sarebbe aperta per farmi esprimere.
«Quale sarebbe il problema?» chiese Noah con voce baritonale.
«Avrei voluto saperlo prima e non capendolo da sola, visto che sono la tua migliore amica» rispose Bella, arrabbiandosi.
Mi strinsi nelle spalle, perché per colpa mia stavano iniziando a litigare, e mi sentivo particolarmente a disagio.
«Cosa avrei dovuto dirti, scusa?»
«La verità!» esclamò Bella, mettendosi le mani nei capelli.
Nel frattempo sentivo il respiro farsi pesante per la tensione in quella stanza minuscola. Abbassai lo sguardo e mi concentrai sulle mie scarpe nere. Noah e Bella continuarono la loro discussione e nel momento in cui mi sentii soffocare, scappai fuori dalla porta per prendere una boccata d'aria.
Il freddo mi invase i polmoni e finalmente arrivò un po' di ossigeno gelido ai miei polmoni sofferenti. Mi attaccai allo staccionata in legno con una mano e mi sedetti sulla parte bassa. Chiusi gli occhi e udii i rumori della natura attorno a me. In realtà l'unico rumore che sentivo erano le macchine che scorrevano lungo la strada, ma era pur sempre qualcosa.
All'improvviso sentii qualcosa afferrarmi per una spalla e spalancai gli occhi. Appena vidi che si trattava di Noah, mi tranquillizzai all'istante.
«Sei arrabbiata con me?» chiese.
Scossi la testa, spostando lo sguardo verso l'asfalto. «Perché sei venuto?» cambiai discorso.
«Erano due giorni che non ti vedevo e... mi mancavi» ammise, avvicinandosi a me. «T-ti va di fare un giro in macchina o hai delle cose da fare?»
«E dove dovremmo andare in macchina?» mi informai, alzandomi.
«Dove vuole andare la mia Principessa.»
Mia? Improvvisamente il mondo iniziò a girare. La vista si offuscò. Sentii il mio corpo trascinarmi per terra, ma delle braccia mi avvolsero e mi tennero ancorata all'asfalto.
«Arya» sentii un eco lontano. «Andiamo in ospedale, non è la prima volta che ti capita.»
«S-sto bene...» sussurrai con il fiato corto. Mi sembrava di aver corso una maratona, ma cercai di stare in piedi senza il suo aiuto con scarsi risultati.
«A me non sembra che tu stia bene. Se ora ti lasciassi andare, cadresti per terra e batteresti questa zucca testarda» disse, battendo un pugno sulla mia testa delicatamente.
«È solo un calo di zuccheri» affermai, minimizzando l'accaduto.
«Un calo di zuccheri sette volte in un mese, io non credo proprio. Quando hai fatto gli esami del sangue l'ultima volta?»
«Quando avevo cinque anni, perché mi hanno operato per l'appendicite» spiegai.
Non mi sarei mai più fatta mettere un ago dentro un braccio, neanche a costo di morire. Mi terrorizzavano davvero troppo: sarei potuta svenire solo alla vista di uno di quelli.
«Direi che forse è il caso di andare a farne uno» decise.
«Io non vado proprio da nessuna parte» precisai. «Soprattutto con te.»
«Allora andiamo alla sede della Croce Rossa così almeno ti misuro la pressione e vediamo se è davvero un calo di zuccheri» trovò un compromesso.
«D'accordo, ma non troverai nulla.»
*
Alla Croce Rossa trovammo la ragazza della gelateria, Alyssia, e un uomo sui quarant'anni, Lucas.
«Cosa ci fai qui?» chiesero insieme rivolgendosi a Noah. «Non hai il turno oggi.»
«Sono venuto per lei. Da qualche parte abbiamo uno sfigmomanometro?» domandò Noah.
«Stai male?»
«No, è per lei, perché ultimamente non si sente molto bene e dato che non vuole andare da un dottore devo pur sempre assicurarmi che si senta bene» rispose in modo tenero.
Abbassai lo sguardo per l'imbarazzo di quel momento e andai a sedermi su una sedia, visto che mi sentivo con poche forze. A dirla tutta mi girava ancora molto la testa, la sentivo pesante e ogni tanto vedevo delle chiazze di colore nero, offuscarmi la vista. Ma era solo colpa di quella situazione: quando mi sentivo a disagio o in gabbia succedeva sempre, e quando dico sempre, intendo davvero sempre.
Alyssia nel frattempo arrivò verso di me e mi disse di tirarmi su la manica della felpa, così poteva misurarmi la pressione. Non guardai Noah per tutto il tempo perché mi avrebbe messo ancora più ansia in quell'istante.
«In effetti hai la pressione un po' bassa. Ho un po' di liquirizia, te la porto» disse, alzandosi, e frugò nella sua borsa. Tornò da me e me la porse, sorridendo. «Vedrai che ti sentirai subito un po' meglio.»
«G-grazie...» mormorai e la mangiai a piccoli bocconi, non piacendomi molto il gusto.
«Hai controllato la tiroide?» domandò Lucas, avvicinandosi alla mia figura.
Alyssia scosse la testa.
Lucas strinse le mani sul mio collo e dopo un paio di secondi il mio corpo reagì. Spalancai gli occhi e tutto suonò.
Era un allarme fortissimo.
Pensavo di morire.
Lo afferrai per la divisa rossa e lo scaraventai addosso al muro con tutta la forza che avevo nelle braccia, anche se me ne era rimasta poca per via della pressione bassa. Batté violentemente la testa e si toccò la nuca per la botta che aveva appena preso.
«Non mi toccare mai più!» urlai con voce tremante, mentre i miei occhi si inondarono di lacrime.
«Non mi toccare» ripetei come minimo tre o quattro volte in preda ai singhiozzi.
In quel momento tutto si collegò ad Adrian per la millesima volta.
Sentivo le sue mani sul mio corpo, ma nessuno mi stava toccando realmente.
Sentivo le sue parole sporche tagliarmi i timpani.
Sentivo il suo fiato bollente su di me.
Sentivo la paura.
Sentivo mancare il respiro.
Sentivo una voragine nello stomaco.
Mi veniva da vomitare, ma non ne ero in grado.
«Arya, non ti vuole fare del male» avvertii una voce familiare.
Mi riportò alla realtà. Mi girai verso di lui, Noah, e incrociai i suoi occhi terrorizzati per quello che avrei potuto fare. Era vicino a me, ma teneva una certa distanza di sicurezza. Tornai a guardare Lucas che si toccava ancora la testa per il dolore.
Scappai fuori di corsa, senza guardarmi indietro e senza nemmeno pensare e andai verso la macchina di Noah.
Volevo scappare.
Mi sentivo sbagliata.
Mi sentivo sporca.
Mi sentivo invasa.
Noah arrivò di corsa da me e io mi appoggiai alla portiera della sua macchina bianca, singhiozzando a dismisura. Tentò di avvicinarsi, ma lo ammonii di starmi lontano.
Quando riuscii a riprendere il controllo delle mani, trovai anche il coraggio di guardarlo negli occhi. Mi avvicinai a lui furtivamente che era rimasto immobile al suo posto e lo abbracciai fortissimo.
Avevo bisogno di lui e quella consapevolezza mi distruggeva dall'interno.
Era come un tarlo divoratore: prima mangiava le parti interiori, poi passava a quelle esterne fino a non farti respirare più.
«Voglio stare da te a dormire» lo supplicai contutta me stessa.
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