Capitolo 30

Noah

«Al limite posso farle io le sue ore» irruppe Jeremy, entrando nella stanza.

Avevo chiesto un giorno libero per poter fare una sorpresa ad Arya, quella famosa sorpresa, da lì a due settimane. In quel momento stavo cercando di convincere la segretaria a spostarmi un turno in tutti i modi possibili: avrei potuto fare più ore durante la settimana successiva in modo da coprire quelle che avrei saltato non lavorando quel giorno.

«Oh be', allora non vedo quale sia il problema» disse Gwenda, mostrandosi contenta, dato che l'altro istruttore, Logan, non poteva sostituirmi, avendo anche lui molte guide e gli esami di alcuni ragazzi da preparare.

«Grazie mille» risposi con fin troppo entusiasmo. «Vado perché sono già in ritardo per la guida con... Gwenda, chi ho adesso?» domandai apposta, sapendo benissimo che avrei visto Arya.

«Arya Wilson.»

«Grazie ancora» affermai e corsi fuori al settimo cielo.

«C'entra quella ragazza in macchina?» sentii la voce di Jeremy alle mie spalle quando la porta si chiuse. Mi voltai e lo guardai, facendo finta di non capire a cosa si stesse riferendo. «Il giorno libero ti serve per lei?»

«No... Perché dovrebbe essere così?»

«Ne abbiamo già parlato delle accuse che ti ha fatto un ragazzo a cui insegnavi» puntualizzò.

«Jeremy, davvero, ho solo un semplicissimo rapporto di lavoro con questa ragazza. Niente di più e niente di meno. Io sono qui per lavorare e lei per prendere la patente. Il giorno libero mi serve, perché devo accompagnare mio padre a fare una visita importante e non mi fido a farlo andare da solo» mentii spudoratamente. «Tutto qua...»

«Va bene, ora vai che farai una guida di cinquanta minuti al posto di sessanta a questo punto.»

Gli sorrisi e mi girai per andarmene. Notai subito che Arya mi stava osservando dallo specchietto centrale e sorrisi, sistemandomi i capelli sicuramente spettinati.

*

«Ho una domanda» intervenni, colmando il silenzio che si era creato in macchina.

«Spara.»

«Guarda la strada però» la avvertii, vedendo che si stava già distraendo. Quando le avrei fatto quella fatidica domanda, sarei dovuto essere prontissimo con i riflessi. Si girò e nel frattempo feci un respiro profondo per prendere coraggio. «Il tuo spazio vitale, come lo chiami tu...»

«Hmm...» mormorò con un tono che non approvava l'argomento.

«Perché... lo cerchi così tanto?»

Ci fu un attimo in cui non capii proprio cosa stesse succedendo: Arya era letteralmente ancorata al suo posto ed era concentratissima sulla strada. Non era un'illusione, era la realtà. Io mi aspettavo una situazione completamente opposta: avrei dovuto prevenire un'incidente.

«Ti senti bene?» provai a chiederle. Non rispose. «Accosta qui a destra.»

Ci fermammo e lei non se ne rese nemmeno conto, perché indirizzai io la macchina allungandomi verso di lei. Aveva ancora le mani sul volante in una stretta ben salda e non si accorse neanche che le avevo tolto la cintura e che avevo spento la macchina.

«Scendiamo, devo farti vedere alcune parti del motore che ti possono chiedere all'esame» dissi cercando di metterla a suo agio cambiando discorso, visto che la mia domanda non era molto di suo gradimento.

Scese e si dimenticò pure di chiudere la portiera, così andai verso di lei e gliela chiusi delicatamente. Mi tolsi anche la mia giacca e gliela appoggiai sulle spalle. «Mettila, altrimenti prenderai freddo.» Annuì con lo sguardo ancora un po' perso.

«Sai già qualcosa del motore?» Scosse la testa. Le spiegai tutto ciò che c'era da sapere, ma lei annuiva con gli occhi spenti e forse non mi stava nemmeno ascoltando veramente.

«Non si sa mai chi si presenta davanti a noi» disse all'improvviso come risposta alla mia domanda precedente.

«In che senso?» la interrogai per sapere cosa intendesse dire con quelle parole.

«A volte le persone che ti fanno più del male sono proprio quelle che non ritenevi capaci di farlo.»

«Ti riferisci a qualcuno in particolare?» domandai, facendo un passo verso di lei.

Arya fece lo stesso, ma dal lato opposto e andò addosso al cofano della macchina, che avevo appena chiuso. Incrociò le braccia al petto e deglutì rumorosamente. Aveva paura, ma doveva sconfiggerla. «No» sussurrò. «E poi io non ho bisogno dello spazio vitale.»

«Quindi se io faccio così, non succede nulla?» Mi avvicinai completamente alla sua figura e lei appoggiò la schiena al cofano in modo goffo, perché non si aspettava il mio gesto, cercando quello spazio vitale che aveva appena rinnegato.

«No...»

«Molto bene» affermai.

«Anche questo posso farlo.» Allungai il braccio e le accarezzai la guancia in modo tenero. Con l'indice seguii il contorno del suo viso e poi proseguii lungo una vena pulsante sul suo collo. Non le scoprii la clavicola, altrimenti avrebbe preso freddo. Le misi le mani sui fianchi e la guardai con uno sguardo felino.

Lei abbassò d'istinto gli occhi e si strinse nelle spalle. «Noah, ti prego... Lasciami stare» mi supplicò con un filo di voce.

«Mi hai detto tu che non hai bisogno del tuo spazio vitale» mi discolpai.

«Infatti non ne ho bisogno, ma...», deglutì, «se mi stai così vicino, non riesco a respirare» spiegò.

«A me sembra che tu stia respirando benissimo» ribattei, continuando a provocarla per farle ammettere qualcosa che non sapevo cosa fosse.

«A me invece no.» Si girò un secondo con la testa e poi tornò com'era prima.

«Perché ti guardi sempre le spalle?» continuai.

«Non mi guardo le spalle!» esclamò, abbassando lo sguardo ancora di più fino ad arrivare sulla punta dei suoi piedi.

«L'hai appena fatto...» le feci notare.

«Allora non l'ho fatto apposta» ammise. «Capita...»

«Mi sono accorto che lo fai molto spesso in realtà» la misi alle strette.

«Chissà, magari mi trovo ancora quel deficiente che mi corre dietro e neanche me ne accorgo» trovò una scusa, abbastanza plausibile tra l'altro.

«Ci sarò sempre io a guardarti le spalle, Principessa» dissi dolcemente, accarezzandole la guancia.

«Suona come una promessa quello che hai appena detto» sussurrò amaramente, rannicchiandosi in sé stessa.

«C'è qualcosa di brutto del tuo passato che non mi vuoi raccontare» constatai.

Osservai i suoi occhi.

Erano spenti.

Senza colore.

Stavano sbiadendo.

Arya

Noah mi aveva colto un po' alla sprovvista chiedendomi il motivo del mio eccessivo bisogno di spazio vitale. Non sapevo cosa e come rispondergli, così rimasi in silenzio.

Il mio cuore mi diceva che potevo parlargli del mio passato, perché mi avrebbe compreso e non mi avrebbe giudicato come avevano fatto tutti attorno a me. Mentre la mia testa mi suggeriva tutto il contrario: non doveva assolutamente sapere nulla del mio passato, neanche una minima parola, perché se ne sarebbe andato ancora prima che prendessi la patente e l'avrei rimpianto per tutta la vita.

Dentro di me avevo capito tante cose dopo che la mia famiglia aveva conosciuto finalmente Noah, non come mio semplice istruttore di guida. In primis avevo capito che a lui ci tenevo molto, perché altrimenti non avrei provato quel brivido nel nascondere quella cosa strana che c'era tra di noi, e in secondo luogo avevo capito che mi ero veramente affezionata a lui. Mi ero affezionata forse senza nemmeno rendermene conto e sì, aveva portato tanta confusione nella mia vita, ma anche tante cose belle.

«C'è qualcosa di brutto del tuo passato che non mi vuoi raccontare.»

Noah, basta! Ti prego... Ti stai facendo del male da solo. Stai andando al patibolo senza rendertene conto.

«Forse...» risposi semplicemente.

«Un giorno lo scoprirò» disse, con uno sguardo indagatore.

«Non credo tu voglia scoprirlo davvero» terminai il discorso con un tono particolarmente acido.

Se avesse letto i miei occhi, avrebbe visto del veleno.

C'era del veleno nel mio passato oscuro con Adrian.

Ma c'era veleno anche nella mia anima, perché lui l'aveva contaminata.

Quel veleno distruggeva ciò a cui tenevo di più.

Distruggeva tutto ciò che toccavo.

Avrebbe distrutto anche Noah prima o poi.

E io non lo avrei dovuto permettere.

*

«Questo mese non ho più posti disponibili per fare l'esame... Dovevi avvertirmi prima» disse la segretaria dell'autoscuola, riferendosi a Noah.

Si era impuntato che io potessi fare l'esame a breve, anche se io, in realtà, nutrivo ancora molti dubbi a riguardo. Non ero pronta, perché a differenza di tutti gli altri ragazzi, avevo fatto si e no una decina di guide, mentre loro una ventina. Erano metà! Forse Noah non era bravo con la matematica, ma io sì.

Mi ero agitata all'istante appena avevo sentito la parola esame propagarsi nell'aria, ma Noah aveva fatto di tutto per dimostrarmi che ero prontissima. Mi fece tutte le domande possibili dell'esame e riuscii a rispondere correttamente a tutte quante.

«Non c'è nessun problema» rassicurai la ragazza dietro il bancone, vedendo che era un po' preoccupata. Sembrava una ragazza che teneva molto a fare le cose con cura e ordine.

«E il mese prossimo?» intervenne Noah impaziente.

Ma perché è così agitato? Anzi, perché vuole proprio farmi fare al più presto l'esame? Lo sto facendo scappare.

«Posso metterla in lista perché lo sai anche tu che le date escono alla fine del mese. Non le so prima del trentuno di gennaio...»

«Va benissimo» la ringraziai e le sorrisi riconoscente. «Io devo andare perché arrivo in ritardo al lavoro» mi giustificai per scappare da quella situazione imbarazzante, ma anche perché lo sarei stata davvero se mi fossi fermata ancora un po'.

«Ti accompagno» disse Noah.

Alzai gli occhi al cielo e uscii dalla porta, facendo finta che non mi importasse di lui. «Dovevi per forza farlo?» chiesi una volta fuori.

«Che cosa?»

«Mettermi in imbarazzo in quel modo» gli risposi, arrabbiandomi.

«Si...» mi prese in giro, cercando di non ridere. «Ciao, Principessa.»

Me ne andai senza nemmeno salutarlo. Non mi sareiabbassata ai suoi livelli di presa in giro.

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