Capitolo 29 (parte due)
Noah
Quella sera Arya si addormentò sul mio petto e la abbracciai forte per non farla scappare. Non era successo nulla tra me e lei, ma avevo fatto un passo enorme: ero riuscito a invadere ancora di più il suo spazio vitale per pochi secondi senza spaventarla.
Si poteva considerare un successo enorme. Magari per tutti gli altri no, ma lo spazio vitale di Arya era una prigione senza nessuna via di fuga per lei e anche per chi le stava vicino.
Durante la notte mi svegliai con il peso di Arya addosso e il suo profumo di vaniglia mi entrò nelle narici appena socchiusi gli occhi. Aveva la bocca leggermente schiusa per poter respirare e una ciocca di capelli era proprio nel bel mezzo del suo splendido viso, così gliela sistemai dietro l'orecchio.
Le accarezzai le gote delicatamente e lei si svegliò all'improvviso. Si tirò su di scatto e mi guardò con il viso ancora assonnato. «Ah, sei tu, Noah» affermò, rilassandosi subito dopo. «Mi hai fatto prendere paura.»
«Scusami, ti stavo solo accarezzando la guancia» risposi, sorridendo. «Vieni qui.»
«Ma che ore sono?» chiese un po' confusa, rimanendo in quella posizione.
«È ancora presto per svegliarsi» la rassicurai, accarezzandole un braccio.
Si accoccolò vicino a me e iniziò a fare dei segni circolari sopra il mio petto. Mi diede un bacio sulla punta delle mie labbra e mise il suo viso nell'incavo del mio collo. «Ti stavo sognando» borbottò.
«Davvero?»
«Hmm...»
«E cosa stavamo facendo?»
«Mi avevi portato... al mare» bofonchiò.
«Magari un giorno ti ci porto davvero» dissi, dandole un bacio sulla fronte.
*
Mi convinsero a rimanere anche per pranzo, cosicché la neve potesse sciogliersi ancora un po', visto che era tornato a splendere il sole.
Decisero di fare la pizza e, dato che secondo tutti quanti Arya era bravissima a cucinare, lasciarono il compito proprio a lei. Ma, c'è sempre un ma in qualsiasi cosa, avevano coinvolto pure me. Era stata un'idea di Agatha quindi era ovvio che l'avesse fatto di proposito.
«Io sono il re della pizza» dissi, ridendo, quando tutti se ne erano andati in salotto.
«Immagino come tu lo sia» mi prese in giro Arya.
«Guarda che sono bravo a fare la pizza» ribattei.
«Se lo dici tu.»
«Vedremo chi ha ragione» conclusi.
Mi girai verso di lei e notai che stava cercando di prendere la farina da una mensola abbastanza alta. Mi avvicinai a lei e mi allungai per prenderla al suo posto.
Arya rimase immobile, con il braccio a mezz'aria, e poi si voltò verso di me. Si schiarì la voce e si morse il labbro inferiore.
Posai il sacchetto di farina sul bancone della cucina e le misi le mani sui fianchi. La presi in braccio e la appoggiai sul bancone vicino alla farina. Divaricò leggermente le gambe e mi avvicinai a lei, salendo con la mano lungo il suo corpo.
Percepivo il suo cuore battere all'impazzata e decisi di accarezzarle la nuca senza distogliere lo sguardo dal suo. In quel momento stava provando piacere, ma dall'altro lato era anche terrorizzata all'idea di essere in trappola.
Avevo capito che dovevo metterla alla prova più spesso, perché solo in quel modo sarebbe stata in grado di sconfiggere quella paura oscura come la notte che si portava dentro.
«Posso rubarti un bacio, Principessa?» chiesi sul suo orecchio.
«Ma ci potrebbe vedere» mi fece notare, mordendosi il labbro inferiore.
«Loro ti fanno paura?»
«No.»
«Io?» Ci pensò un paio di secondi e poi scosse la testa. «Allora non ci sono problemi» dissi, prendendole la mano, che involontariamente stava tremando per la mia vicinanza.
Mi avvicinai a lei e le morsi delicatamente un labbro. Ansimò e mi circondò le braccia con le sue braccia esili. Mi attirò a sé con irruenza, come se aspettasse quel momento da secoli.
«I principi non dovrebbero essere più educati?» flirtò con me.
«Io non sono un vero principe» risposi, avvicinando la mia bocca alla sua.
«E io non sono una vera principessa» specificò, prima di darmi un bacio a stampo sulla guancia.
Scese dal bancone e andò a impastare la pizza più in là. Mi appoggiai con la schiena al bancone, incrociai le braccia al petto e continuai a guardarla mentre faceva avanti e indietro per leggere la ricetta della pizza.
A un certo punto si posizionò davanti a me e incrociò anche lei le braccia al petto. «Devo prendere il sale» disse soltanto. Non mi mossi neanche di un millimetro. Si avvicinò e cercò di sovrastarmi con la sua statura minuta, a mio confronto. «Noah... ti prego» mi supplicò, «mi serve il sale.»
«Io volevo un bacio» piagnucolai.
«Te l'ho già dato» specificò.
«Era un finto bacio» ribattei, mettendo il broncio.
«Preso» disse fiera di sé. Glielo afferrai dalle mani e lo alzai più in alto possibile. «Stronzo!» esclamò, strabuzzando gli occhi. «Ridammi il sale! Ho sudato sette camicie per prenderlo perché ti eri impalato qui!»
«E adesso dovrai sudarne altre sette per riprenderlo» replicai, facendo un sorrisetto furbo.
Provò ad allungarsi senza avvicinarsi a me, ma ottenne scarsissimi risultati. «Noah!» Ci provò ancora, ma niente. «Dai, ti prego. Mi dai questo cavolo di sale?»
«C'è un prezzo da pagare» dissi, prendendola per i fianchi. Feci scontrare i nostri corpi e inizialmente lei si spaventò per un breve secondo, ma poi tornò a sentirsi a suo agio.
«E quale sarebbe?» domandò.
«Prova a indovinare. Hai tre tentativi, quindi pensa molto bene a ciò che dirai altrimenti mangeremo una pizza senza sale...»
«Non se ne parla proprio» affermò, intuendo cosa le stavo chiedendo. «Tu sei completamente pazzo!»
«Non ho mai detto di non esserlo» controbattei. «Me lo dai un bacio?» chiesi, abbassando il sale di un paio di centimetri. Poi lo nascosi tra le mani dietro la schiena, così era costretta a baciarmi ancora di più.
Inarcò un sopracciglio in segno di sfida e si avvicinò al mio viso. Mi circondò la vita e mi abbracciò. Il suo respiro era rovente sulle mie labbra e mollai leggermente la presa sul sale. Lei non aspettava altro: lo prese e mi sussurrò qualcosa all'orecchio di provocante. «Assicurati di giocare con qualcuno meno furbo di te la prossima volta.»
*
Era arrivata l'ora di tornare a casa. La neve si era sciolta abbastanza per mettersi in strada e il sole splendeva alto nel cielo. La pizza che aveva fatto Arya era veramente buona. Prima di andare avevo salutato la sua famiglia. Mi fermai sulla porta per aspettare Arya che mi doveva ancora qualcosa.
Arrivò di corsa e quasi mi cadde addosso perché inciampò nei suoi stessi piedi.
«Attenta che ti fai male» la rimproverai.
«È colpa delle pantofole» si giustificò, ridendo di sé stessa. «Comunque... vieni ancora a trovarmi ora che lo sanno?»
«Cosa sanno?» chiesi apposta per vedere cosa rispondesse.
«C-che...», deglutì, «siamo... amici» finì, alzando le sopracciglia.
Certo, amici era l'unica definizione che ci eravamo dati. Ma con lei è impossibile essere solo amici.
«Fra tre giorni l'autoscuola riapre, quindi mi vedrai per una guida.»
«N-non vuoi vedermi prima?» borbottò delusa.
«In questi giorni devo organizzare una cosa» spiegai, senza darle nessun indizio valido per quello che volevo fare.
«Che cosa?» chiese curiosa, analizzandomi con gli occhi.
«Sorpresa...»
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