Capitolo 25

Noah

«Aspetta un secondo Noah, devo dirti un paio di cose su alcune guide» mi chiamò Gwenda prima che uscissi per la prossima guida. Tornai da lei al bancone e rimasi ad ascoltarla. «La guida con George l'ho spostata a domani perché mi ha detto che oggi non riesce a venire, mentre quella con Daniel è dopo Arya.»

«Perfetto. Hai anche la lista delle guide con il camion di domani?» chiesi gentilmente.

«Sì, però me ne mancano un paio. Sarà pronta per quando finirai il turno.»

«Va bene, grazie.»

«E un'ultima cosa: Matthew, quel Matthew,» sottolineò, «si è ritirato.»

«Mi dispiace perché ci perde il capo, ma è stato meglio per tutti» affermai, parecchio convinto di ciò che dicevo.

In fondo Gwenda sapeva solo delle guide suicide con lui e non della sua strana e perversa fissazione per Arya. Anche perché se l'avessi raccontato, entrambi ci saremmo andati di mezzo e non mi sembrava proprio il caso.

«Su questo non c'è nulla da ridire, ma ha fatto delle affermazioni importanti» mi informò e mi preparai al peggio. «Su te e quella ragazza. Ha detto che vi vedete a insaputa di Jeremy... Noah, io non voglio farmi i fatti tuoi, davvero, ma questo va contro le regole» disse dispiaciuta.

Scoppiai a ridere: una risata amara. «Non me la sono mai fatta con nessuna ragazza a cui ho insegnato a guidare, quindi non ti devi preoccupare di niente» la rassicurai.

«Lo so, proprio per questo te lo dico. Jeremy ti terrà d'occhio per un po', quindi cerca di non fare passi falsi. Sei un bravo istruttore e mi dispiacerebbe se ti mandassero via.»

«Non ti preoccupare, so badare a me stesso. Matthew, oltre a essere un mezzo suicida e assassino, è pure un bugiardo. In fondo chi ha la coscienza a posto non teme nulla, o sbaglio?» ribaltai la frittata. Ma io non ho per niente la coscienza a posto, pensai.

«Giusto.»

Uscii dalla porta e necessitavo di una sigaretta all'istante. Ero particolarmente nervoso in quel momento e non mi potevo permettere passi falsi, come aveva detto Gwenda.

Andai da Arya che nel frattempo si era già preparata in macchina e la guardai. Notai che Jeremy era arrivato alla scrivania di Gwenda e mi stava osservando, cercando di non farsi scoprire.

Ma io sono più furbo di lui.

Mi portai la sigaretta alle labbra e mi appoggiai alla portiera. Aspirai un po' di fumo e poi guardai i cirri che si erano formati nell'aria. Nemmeno la nicotina faceva più l'effetto anestetico. Solo Arya ne era in grado. Ma continuai a fumare lo stesso.

«Tutto bene?» mi chiese titubante. Annuii, facendo finta di non ascoltarla. Mi guardai anche attorno per far vedere che non ero per niente interessato al discorso. «Sei sicuro? Mi sembri strano, diverso dal solito.»

«Io sono sempre così» risposi molto freddo, sentendo la porta chiudersi a pochi metri di distanza. «Oggi faremo i parcheggi, visto che non c'è ancora buio e la prossima volta dobbiamo guardare le ultime cose di teoria, così cominci a prepararti per gli esami» continuai il discorso su un piano anche troppo professionale.

«Oh... Va bene» rispose delusa dal mio comportamento.

Scusami, Principessa. Sono obbligato, altrimenti mi ritrovo senza lavoro. Sperai mi potesse leggere nel pensiero.

Buttai a terra il filtro della sigaretta e lo calpestai. Tenni l'accendino in mano e salutai Jeremy anche se era l'ultima persona che volevo salutare in quel momento. Mi sedetti dal lato del passeggero e guardai Arya per un secondo.

«Partiamo pure» dissi ancora prima di chiudere la portiera in modo che Jeremy sentisse ancora una volta il mio tono freddo, o forse gelido come un cubetto di ghiaccio.

Arya andò in retro e uscì dal parcheggio. Appena ci lasciammo tutto alle spalle, decisi di dirle la verità. In fondo non si meritava di essere trattata in quel modo per un coglione del genere. Le avevo anche presentato mio padre, sembrava che me ne fossi pentito e non era per niente così. Rimarrà una delle scelte più belle che abbia compiuto, nonostante ci dovessimo allontanare.

«Devo dirti una cosa» tentai di essere più dolce.

«Non ce n'è bisogno» disse, mordendosi un labbro.

Le stava venendo da piangere e dovevo spiegarmi in fretta. L'avevo fatta soffrire, ma io non volevo. Era l'ultima cosa che volevo fare.

«Invece sì. Non potevo fare altrimenti prima. Mi dispiace di essere stato così freddo e di averti risposto male, come se non mi importasse nulla di te. Matthew, quell'imbecille, finalmente se n'è andato in un'altra autoscuola, ma ha detto al mio capo di me e di te.»

«Cosa!?» esclamò, spalancando gli occhi. «Guarda che se è una scusa per non parlarmi, puoi fare di meglio. E se invece è vero, cosa succederà ora?»

«Vorrei tanto che fosse uno scherzo, ma purtroppo non lo è. La segretaria mi ha detto che il mio capo mi terrà d'occhio quando faccio le guide con te, quindi ti ho trattato come tratto tutti gli altri ragazzi. Per loro sono solo un istruttore che non rivedranno mai più nella loro vita dopo aver preso la patente, ma con te è tutto diverso.»

«Quindi il tuo capo ora ti controlla ventiquattr'ore su ventiquattro?» chiese preoccupata.

«Conoscendolo, non credo. Anche perché sarebbe da denunciare una persona che segue ogni mio spostamento. Ce lo troveremo solo fuori, come oggi, che ci osserva per vedere a chi credere. Tanto già dalla prossima volta si stuferà e non lo troveremo più lì. Stai tranquilla.»

«Quindi non ce l'hai con me?» domandò, facendo la faccia da cucciolona.

«No, Principessa. È impossibile avercela con te, fidati.»

*

«Preferisci fare prima i parcheggi a S o a L?» chiesi, visto che per me era completamente indifferente da quale iniziare.

«Quali sarebbero quelli più difficili?»

«Dovrebbero essere quelli a S.»

«Allora partiamo da quelli più complicati, così ce li togliamo di mezzo» decise, girandosi verso di me e abbozzò un sorriso agitato.

«D'accordo. Lascia pure il volante a me. Innanzitutto devi metterti a fianco della macchina che hai davanti e ti suggerisco di starci abbastanza vicino, così non devi fare più manovre per metterti a posto.»

«Ok» affermò, ascoltandomi attentamente.

Mi allungai per arrivare al volante e Arya si tirò leggermente indietro per mantenere il suo amato spazio vitale. «Ovviamente devi guardare dal lunotto e non dagli specchietti, altrimenti all'esame ti bocciano.»

«Perché? Non ha senso guardare solo dietro. Non devo vedere se vado addosso a qualcosa?» domandò confusa.

«Devi comunque guardare indietro, perché se passasse un bambino non lo vedresti dallo specchietto. Poi, quando avrai preso la patente, ovviamente, guarderai anche gli specchietti finché parcheggi» sottolineai. «Appena parti, cominci subito a girare il volante, in questo caso a destra, e, quando si è formato un angolo di quarantacinque gradi dal cofano all'altra macchina, sterzi il volante dall'altro lato» continuai, guardandola sempre negli occhi. «Ora te ne faccio vedere uno e dopo ne fai un paio tu.»

Dopo averglielo mostrato, glielo feci fare da sola. Controllai lo specchietto destro e andò molto bene. «Ora metti la prima e vai un po' avanti, così rientriamo perfettamente nelle strisce del parcheggio.»

La macchina iniziò a suonare, perché i sensori avevano rilevato che era abbastanza vicina alla macchina davanti e Arya si spaventò. «Mannaggia! Perché sta suonando? Esplode la macchina?» chiese tutto d'un fiato, agitandosi da morire.

«No, Principessa.» Le spiegai il motivo e lei mi guardò come se parlassi arabo. Ma erano tutte così le macchine di scuola guida: avrebbe frenato addirittura da sola se il ragazzo che guidava non avesse frenato in tempo.

Ne facemmo ancora un paio, giusto per farle prendere confidenza. Poi passammo all'altro tipo di parcheggio, che era quello più semplice. «Ci sono due trucchi per fare questo tipo di parcheggio: il primo è stare abbastanza distanti dalle altre macchine parcheggiate, così hai un margine di manovra più ampio, e il secondo è quando devi iniziare a girare il volante. Vedi la parte delle luci di posizione?» Annuì. «Quando arrivi alla prima, inizi a girare tutto il volante e poi gli fai fare un giro e mezzo.»

«Non sembra così complicato» disse. «Ora ci provo.»

*

«Posso parlarti di una cosa?» mi domandò, quando mancavano dieci minuti alla fine della guida. «Te la dico ora, visto che il tuo capo ti tiene d'occhio e non voglio crearti dei problemi.»

«Dimmi tutto.»

«In questi giorni ho pensato parecchio a quello che è successo nell'ultimo periodo e sono arrivata a una conclusione che mi spaventa parecchio. Io mi fido di te, ma questo è un problema enorme per la mia testa» ammise.

«Per me è una cosa positiva, invece» la rassicurai. «Non vedo quale sia il problema nel fidarsi di qualcuno.»

«Io non voglio fidarmi di te. Non mi sono mai fidata ciecamente di qualcuno, a parte della mia famiglia e della mia migliore amica. Non mi fido mai soprattutto degli sconosciuti», marcò quell'ultima parola, «io non posso fidarmi.»

«Chiudi gli occhi» dissi semplicemente.

«Ma sei scemo? Stiamo guidando! Non posso chiudere gli occhi!» esclamò, alzando la voce.

«Fai come ti ho detto, ti guido io per la strada.»

Mi lanciò un'occhiataccia. «Se dovessimo morire, la responsabilità è tutta tua» precisò. Poi finalmente chiuse gli occhi.

Eravamo su una strada trafficata e molte macchine stavano venendo dal lato opposto, quindi anch'io decisi di fidarmi ciecamente di lei. «Vai poco poco a destra» le dissi e lei fece ciò che le avevo appena detto. «Così è perfetto.»

«Apri gli occhi» affermai dopo un bel po' di metri. «Siamo ancora vivi e ti sei fidata di me.»

«Non dovevamo farlo» puntualizzò.

«Ma mi hai ascoltato, perché in fondo il tuo cuore sapeva che era la cosa giusta da fare.»

«Tu sei completamente pazzo!» esclamò, sbuffando e alzò gli occhi al cielo.

«E chi ha detto il contrario?» la presi in giro. «Fermati un secondo in quel parcheggio», lo indicai con l'indice, «che facciamo anche un'inversione.»

Mise la freccia a destra ed entrò in quel piccolo parcheggio deserto, visto che pochi ne erano a conoscenza, soprattutto perché l'azienda ne aveva uno sul davanti molto più spazioso.

«Me lo dai un bacino prima di tornare in autoscuola?» domandai, allungandomi sul suo sedile.

Appoggiai la mano sul poggiatesta e le alzai il mento con un dito, dopo aver messo la macchina in folle per sicurezza. Il suo viso sfiorava il mio e quello mi fece venire la pelle d'oca in tutto il corpo. Mi morsi un labbro, perché ci stava mettendo tanto a rispondermi.

Si avvicinò pericolosamente e mi accarezzò la guancia. Congiunse le nostre fronti, come se le nostri menti si potessero connettere, diventare un tutt'uno. Le nostre labbra si sfiorarono e sentii il respiro farsi pesante.

«Te lo puoi scordare, Mr Fiducia» sussurrò, scandendo bene le parole.

Mise in prima e fece l'inversione, facendomi patire le pene dell'inferno per quel bacio mancato.

Arya

«Dopo le vacanze parleremo dell'esame» disse Noah, mentre si stava appuntando sulla sua agenda com'era andata la guida.

Alzai leggermente lo sguardo e notai che il suo capo era appena uscito, di nuovo. «Eccolo» avvertii Noah, quando mi girai per prendere la mia giacca sul sedile posteriore.

«Cazzo!» esclamò.

«Non dire le parolacce» lo rimproverai, facendo finta di cercare qualcosa nella tasca della giacca sul sedile.

«Scusami» disse, fingendo a sua volta di grattarsi la faccia.

Uscii dalla macchina, lasciando di proposito la giacca sul sedile e ignorai Noah. Lui fece la stessa cosa: aprì l'altra portiera e finse di prendere qualcosa dallo zaino, le sue sigarette, ma mi passò un biglietto, che nascosi nelle tasche dei pantaloni senza farmi vedere da nessuno.

Nel frattempo arrivò il ragazzo dopo di me e andò in macchina. Noah si appoggiò alla sua portiera per fumare e mi squadrò dalla testa ai piedi finché andavo alla macchina di mia sorella.

Per fortuna era venuta lei a prendermi. Non avrei retto la tensione di arrivare a casa per leggere il suo biglietto. Dovevo leggerlo subito.

Sei stata una principessa cattiva,
ma ti perdono.
Mi devi un bacio però!

*

Mi ero pentita di non aver dato quel maledetto bacio a Noah, ma era stato troppo divertente farlo stare in pena così. Forse ero stata anche un po' cattiva, sapendo che al nostro ritorno il suo capo sarebbe stato lì ad osservarci ed avremmo dovuto recitare il ruolo distaccato di alunna e insegnante.

Infatti mi aveva semplicemente salutata in modo freddo, ma dentro di me sapevo benissimo che lo avrebbe fatto in un altro modo se fossimo stati da soli.

E poi aveva sfidato la sorte consegnandomi di nascosto quel bigliettino.

Posso sembrare pazza, ma lo avevo attaccato sul muro sopra la scrivania per guardarlo ogni mattina prima di uscire.

Era speciale, come lui.

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