Capitolo 24
Noah
«Se dovesse utilizzare la parola fidanzata, è solo perché mio padre è un po' all'antica» dissi quando ci trovavamo davanti alla porta.
Arya si trovava proprio dietro di me e si stava guardando attorno per l'imbarazzo o l'ansia. Poi capii che era agitata da morire a causa della sua mano tremante. La afferrai e me la misi sul cuore. «Lo senti?» le chiesi.
«Cosa dovrei sentire?»
«Il mio cuore batte al ritmo del tuo tremore» constatai.
Stare con Arya era come vivere costantemente con una bomba sotto i piedi: ti iniettava adrenalina nel corpo senza poterla gestire.
Le sciolsi i capelli lisci come fluidi unguenti da quel mollettone enorme e glieli sistemai dietro le orecchie. «Sei molto più carina con i capelli sciolti» dissi.
«G-grazie...» balbettò al terzo tentativo. «Noah... ho paura.»
«Di cosa?»
«Io credo sia stata una pessima idea accettare il tuo invito» confessò.
«Nah, vedrai che, quando usciremo da questa porta, mi dirai tutto il contrario.»
«Se lo dici tu...» sospirò.
«Ti dò un paio di dritte, così non ti trovi impreparata alle domande di mio padre: ci chiederà sicuramente come ci siamo conosciuti e sta a te decidere se vuoi raccontare la storia vera oppure ne puoi inventare una e io ti seguirò. Ti farà anche qualche domanda sulla tua famiglia, ma su questo non ci vedo problemi e poi arriverà la parte più difficile. Dovremmo spiegargli cosa c'è tra noi due...»
«E cosa c'è tra noi?»
«Amicizia?» proposi.
A dirla tutta, non sapevo definire per niente cosa ci fosse tra me e Arya.
Era sicuramente qualcosa di inspiegabile a parole.
Era come quando i pianeti si allineano.
Era uno scontro tra titani.
Eravamo l'asse terrestre dei nostri mondi paralleli.
La distanza che ci divideva ormai era solo un'illusione e la guardai nei suoi occhi lucenti per un paio di secondi. Posai un bacio casto sulla sua bocca carnosa e dopo aver gustato per bene il suo sapore appoggiai la fronte alle sua.
I nostri respiri si erano sincronizzati e i nostri cuori battevano all'unisono.
«Amici a cui piace fare questo» sussurrai, mordendole un labbro.
«Non mi lasci da sola, vero?» chiese, tornando ad agitarsi.
«Promesso» dissi, prendendo il suo mignolo con il mio. «Ora però entriamo, altrimenti fra poco mi chiamerà per chiedermi che fine abbiamo fatto.» La presi per mano e mio padre nel frattempo venne ad aprire la porta.
«Buonasera» enunciò Arya cortesemente.
«Papà, lei è Arya, una mia...», ci riflettei un secondo, «amica. Arya, lui è mio padre, Elliott» li presentai.
In quel momento capii che sarei stato l'unico in grado a far andare in modo giusto le cose quella sera. Avevo una grande responsabilità, perché mio padre avrebbe dovuto apprezzarla per quello che era e non avrei dovuto mettere Arya in situazioni imbarazzanti.
Forse ero più agitato io di Arya, ma ero bravo a non far esternare ciò che sentivo dentro. Ero agitato per un solo motivo: mio padre non aveva mai conosciuto nessuna mia presunta ragazza. Non che ne avessi avute a valanghe, ma l'unica relazione, che non si può definire tale, l'ho avuta con una ragazza australiana durante l'estate dell'anno in cui era morta mia madre. Era solo divertimento per entrambi e ognuno dei due era tornato alla propria vita il giorno seguente. Da quel momento non c'è stata nessun'altra nella mia vita, forse perché c'era prima un vuoto da colmare: mia madre.
«Entrate pure. Noah, aspetta un secondo» mi chiamò mentre ci faceva passare. Tremai per la domanda che mi avrebbe fatto da lì a pochi secondi. «Charlie dov'è?»
Quando c'è Arya mi dimentico sempre tutto! «Ehm... Me lo sono dimenticato in macchina» ammisi, cercando di non ridere. Anche Arya si dovette coprire la bocca per non essere maleducata e quello mi fece sorridere ancora di più.
«Vado a prenderlo io» sbuffò mio padre. «Se fosse per te, morirebbe anche di fame.»
*
Mi sorpresi per la bontà dei piatti che aveva cucinato mio padre. Come primo aveva preparato un pasticcio di lasagne favoloso e per secondo fece il petto di pollo al forno insieme a delle patate che gli aveva portato un suo amico.
Notai subito che si stava creando un imbarazzante silenzio, così iniziai a parlare del più e del meno. «Due giorni fa il mio capo mi ha detto che l'autoscuola starà chiusa nelle vacanze di Natale» comunicai.
Ad Arya cadde la forchetta di mano e rimbalzò sul piatto, facendo un rumore fastidioso. Sembrava che non fosse contenta della mia affermazione e quello mi dispiacque un sacco. «Caugh!» le venne un colpo di tosse. Le misi una mano sul ginocchio per farle sentire che non era da sola, ma quello peggiorò la situazione. Iniziò quasi a soffocare con un pezzo di pollo e si alzò da tavola. «Vado un secondo in bagno» riuscì a dire.
«In fondo al corridoio a destra, cara. Noah, dalle una mano, non vedi che non si sente bene?» mi rimproverò mio padre.
«Torno subito» affermai.
Corsi dietro ad Arya che nel frattempo arrivò davanti alla porta del bagno. La aiutai ad aprirla e poi la chiusi alle nostre spalle. «Bevi un goccio d'acqua, così ti passa» dissi.
Si chinò sul lavandino e fece andare un po' d'acqua nelle sue mani che erano messe a cucchiaio. La bevve a piccoli sorsi, mentre le tenevo i lunghi capelli biondi in modo che non si bagnassero.
«Va un po' meglio ora?» Annuì. «Cos'è successo?»
«Perché non mi hai detto che saresti stato in ferie per una settimana o di più?» chiese.
«Non pensavo fosse così importante il mio lavoro...» sussurrai, avvicinandomi a lei.
«Be', lo è e tanto» ammise.
«Come mai?» domandai, facendola aderire al lavandino con la schiena.
Ci rifletté per un paio di secondi e poi decise di parlare. «Non ti vedrò per due settimane...» Si morse il labbro per trattenere le lacrime che minacciavano di cadere dai suoi occhi lucidi.
Le accarezzai la guancia con dolcezza e le alzai il mento. La guardai mentre continuava a mordersi il labbro e la sua mano iniziò a tremare furiosamente. La afferrai e mi misi le sue braccia attorno al collo. Posizionai le mie mani sulla sua vita stretta e le sfiorai il naso con il mio.
«E chi dice che non ti verrò a prendere e ti porterò a mangiare uno splendido gelato?» la provocai, sapendo che le sarebbe piaciuta la mia proposta.
«Davvero?» chiese sorpresa.
Il suo sguardo trovò il mio e ci perdemmo.
Il mondo si era fermato come tutte le volte che stavo con lei.
Come tutte le volte che la baciavo.
Come tutte le volte che mi sentivo giovane come lei.
Arya era diventata proprio il mio ossigeno.
Era l'esempio perfetto di come avrei voluto vedere il mondo.
«Tu cosa dici?»
«Basta che mangiamo il gelato come l'ultima volta» precisò.
«Forse dovrai ricordarmelo perché me lo sono dimenticato» sussurrai sul lobo del suo orecchio.
Le nostre labbra si sfiorarono. Si cercarono come i bambini quando giocano a nascondino. Si posarono le une sulle altre e ci fu un momento quasi di smarrimento. Le nostre lingue si intrecciarono l'una all'altra come delle ciocche di capelli.
Abbassai una mano verso la fine del suo vestito e le accarezzai la coscia che era coperta da dei collant color carne. Arya iniziò ad ansimare e mi attirò ancora di più a sé.
La presi in braccio e la feci sedere sul bordo del mobiletto del bagno. «Questa sera mi farai impazzire, lasciatelo dire» ammisi senza pensarci due volte. «La prossima volta che ti vesti così carina, sei pregata di mandarmi un messaggio. Almeno mi preparo psicologicamente...»
«Ma io non ho il tuo numero e anche tu non hai il mio numero» mi ricordò.
«Mi basterebbe un secondo per averlo» puntualizzai.
«Non credo» disse, ansimando a un soffio dalle mie labbra. «Non avrai mai il mio numero da me.»
«Chi ha detto che me lo darai tu, scusa? Mi basta andare dalla segretaria e chiederglielo» affermai, sorridendo.
Sbiancò. «Non ci provare...»
«Magari devo informarti su qualcosa delle guide, il tuo numero in questo caso è necessario.»
«Non credo sia molto legale questo» ribatté.
«Nemmeno quello che c'è tra di noi sarebbe tanto legale. Io mi gioco il lavoro e tu la patente» replicai, concludendo quel discorso.
Ripresi a baciarla con foga. Le sue labbra erano gonfie e arrossate per la mia poca nonchalance. Mi avvicinai ancora di più a lei e sollevai leggermente il bordo del vestito che indossava. La accarezzai e boccheggiai per l'effetto che mi stava facendo.
*
Uscii dal bagno, sapendo che se fossi stato un minuto di più con lei non sarei stato in grado di trattenermi. Tornai da mio padre, che era rimasto al tavolo. Lo beccai a dar da mangiare del pollo a Charlie, ma feci finta di niente. «Sta bene, arriva tra un minuto» lo rassicurai.
«Meno male. Ma, senti, ho una domanda da farti.»
Mi sembrava strano che non mi avesse fatto nessuna domanda. «Su cosa?»
«Sei sicuro che sia solo una tua amica?» chiese.
Questa domanda. Almeno ha avuto la grazia di non farmela davanti a lei.
«Non lo so, papà. Ci sono tante cose che possono impedire la nostra...»
«Tipo cosa?» mi interrogò. Non risposi a quella domanda. Non potevo dirgli tutta la verità in un solo momento, soprattutto senza il consenso di Arya. «Il tuo lavoro?» tentò.
Alzai lo sguardo e lui capì che fosse esattamente così. Uno dei tanti ostacoli alla nascita di qualcosa di bello tra me e Arya era proprio il mio lavoro. Poi c'era la sua famiglia: non sapevo se fosse d'accordo o meno ad una nostra possibile relazione. E infine la nostra differenza di età. In quel momento magari non contava, ma quando io sarei diventato vecchio, mi avrebbe voluto ancora?
Nel frattempo Arya tornò a tavola e si sedette composta sulla sua sedia, a fianco alla mia. Mi riservò un'occhiata di approvazione e poi si sistemò la gonna sulle gambe.
«Vi va un dolce?» chiese mio padre, rivolgendosi soprattutto ad Arya.
«Certo, come si fanno a rifiutare i dolci? Avrei voluto farlo io» gli rispose.
«Vuol dire che la prossima volta che Noah ti porterà qui, lo assaggeremo molto volentieri» disse malizioso mio padre. Però era un buon segno: Arya era già entrata nelle sue grazie.
«Che dolce hai preso?» intervenni nella conversazione per non renderla insostenibile per Arya.
«Il gelato» disse. Aveva ascoltato il mio consiglio, allora. Bravo papà!
Arya ne fu entusiasta.
Sorrisi e mio padre se ne accorse, ma fece finta di niente.
*
«È stato un piacere conoscerti, Arya» disse mio padre sulla porta nel momento in cui dovemmo andare via. «Spero che mio figlio ti tenga stretta, non vale la pena lasciarti scappare.»
Feci finta di non aver sentito la sua battuta e lo salutai.
Arya fece lo stesso e appena mio padre chiuse la porta mi guardò. «È andata bene» concluse.
«Avevi dubbi?»
«Tantissimi» ammise.
«Io neanche uno» affermai, sorridendole. Notai che stava tremando e mi preoccupai. «Sei agitata?»
«No, ho solo un po' di freddo. Sono uscita di fretta e mi sono dimenticata la giacca sul letto.»
«Tieni la mia.» Mi tolsi la mia giacca calda e gliela misi sulle spalle. La abbracciai e la portai a casa.
Arya
Gli diedi un bacio prima di scendere dalla macchina e non sapevo con quale coraggio mi ero regalata quel momento pieno di farfalle in qualsiasi poro del mio corpo.
«Buonanotte» sussurrai sulle sue labbra.
«Buonanotte, Principessa» contraccambiò, sorridendo a sua volta.
Entrai in casa e trovai Agatha seduta sul divano che stava guardando un film horror. Si girò vedendomi rincasare e corse verso di me. «Allora, com'è andata?» chiese, volendo sapere tutto quello che era successo in quelle due ore insieme a Noah.
La guardai negli occhi. Sorrisi, perché era l'unica cosa che riuscissi a fare in quel momento e anche perché non riuscivo a nascondere quel sorriso spontaneo.
La abbracciai e passammo la sera a chiacchierare.
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