Capitolo 2
Noah
«A domani, Gwenda» salutai la segretaria dopo essere andato in bagno, visto che non c'ero andato per tutto il pomeriggio e ne avevo assolutamente bisogno.
«Buona serata» disse, sorridendo.
Andai sul retro dell'autoscuola e salii nella mia macchina bianca. Accesi il motore, mi misi la cintura e uscii dal cancello. Sarei arrivato in ritardo al mio turno in ambulanza se non mi fossi dato una mossa. Partii, facendo una sgommata.
Arrivato a casa, aprii la porta e ci misi ben cinque minuti per trovare la chiave esatta. Accesi la luce del salotto e della cucina, mi lavai le mani e iniziai a tirare fuori le padelle dal mobile. Aprii anche il frigo e guardai cosa offriva. Be', la sera prima avevo avanzato un po' di pollo, quindi decisi di finirlo, altrimenti avrei dovuto buttarlo via.
Nel frattempo mi accorsi che Charlie, il mio cane, non mi era corso in braccio appena ero entrato dalla porta. Charlie era un incrocio tra un beagle e un bassotto. Aveva il pelo bianco sulla pancia, sul muso e le zampe, mentre il resto era marrone chiaro con una macchia nera sotto l'occhio destro.
«Charlie!» lo chiamai, ma lui non arrivò e non lo sentii neanche.
Posai la ciotola del pollo sul bancone nero della cucina e andai a cercarlo in bagno, siccome quella mattina c'era stato brutto tempo e vento forte. Charlie aveva molto paura dei rumori provocati dai temporali e dal vento e quando non ero a casa si rifugiava sotto il lavandino. Non lo trovai e poi capii cosa fosse successo appena mi girai verso la camera, sentendolo piagnucolare. Era rimasto chiuso dentro e quando gli aprii mi saltò letteralmente addosso. Mi abbassai per accarezzarlo e lui continuò a scodinzolare per la mia presenza.
«Charlie, sei proprio un furbacchione, sai? Potevi abbaiare questa mattina quando sei rimasto qua dentro.» Con le mani lo presi per il muso e lui mi leccò tutta la faccia. «Charlie, cavolo, non ho il tempo di farmi una doccia dopo.»
Lui mi guardò con due occhioni tristi, perché aveva capito che non ero troppo contento delle sue leccate, anche se lui le faceva per dimostrarmi affetto. «Dai, andiamo che ti dò da mangiare.» Lo presi in braccio e lui appoggiò la sua testa sulla mia spalla come un bambino. «Monello» aggiunsi.
Dopo avergli dato una scatoletta di carne e aver messo un bel po' di croccantini nella sua ciotola verde, passai alla mia cena. Riscaldai il pollo e rischiai pure di bruciarlo. Nel frattempo cercai di tagliare l'insalata e grattugiai una carota e un po' di formaggio. Decisi di farmi un'insalatona per il semplice fatto che dopo mezz'ora avrei dovuto essere a guidare un'ambulanza nel caso qualcuno fosse stato male e non era il caso di mangiare un pasto troppo pesante.
Sentii Charlie che mi chiamava con la zampa. Lo guardai e capii che aveva ancora fame. «Ne vuoi ancora, eh. D'accordo, ma solo per questa volta perché sei rimasto chiuso per colpa mia. Da domani dieta però» lo avvertii e lui fece un verso come se stesse per piangere.
Mi inginocchiai un'altra volta e lui alzò un orecchio e il musetto. «Charlie, cos'hai questa sera?» Distese anche l'altro orecchio e mi guardò come prima. «Giusto, non puoi parlare.»
Il telefono squillò nella mia tasca. Solo allora vidi una fila di chiamate perse: tutte di mio padre, Elliot. Che scemo! Avevo dimenticato il telefono silenzioso tutto il giorno. Così risposi velocemente con la bocca piena.
«Lo so che è tardissimo, ma non hai mai risposto al telefono oggi.» mi rimproverò in tono preoccupato.
Era colpa mia, avrei dovuto chiamarlo perché era andato in ospedale a fare una visita di controllo. «Scusami, ho avuto una giornata... impegnativa. Raccontami, com'è andata la visita e cosa ti ha detto il dottore?»
«Finalmente i valori del diabete sono tornati nella norma.»
Tirai un respiro di sollievo e risposi. «Sono contento, papà. Hai bisogno di qualcosa? Domani vado a fare la spesa appena mi sveglio e poi passo a casa tua con Charlie visto che non ho nessuna guida durante la mattina.»
«Il frigo è pieno, ma dato che vai a fare la spesa potresti prendermi quei biscottini al cioccolato che adoro...»
Non lo lasciai nemmeno finire, perché cominciai ad arrabbiarmi. «Papà...» Si erano appena stabilizzati i valori, voleva farli tornare come prima in una giornata? Doveva smetterla di mangiare in continuazione dolci su dolci altrimenti poi la situazione sarebbe diventata grave, più di quanto non lo fosse cinque mesi prima.
«Niente cioccolata, ho capito» sbuffò. «Hai il turno in ambulanza dopo?»
«Sì e sarò in ritardo se non mi sbrigo.»
«Allora ti lascio andare, a domani.»
«Buonanotte, papà.»
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