Capitolo 17
Noah
Girai la chiave nella serratura e quando scattò entrai. Charlie corse verso di me, mi saltò sulle gambe e iniziò a fare dei versi strani per la felicità.
«Ciao bello» lo salutai, facendogli un po' di coccole.
Ero letteralmente sfinito dopo tutte quelle ore di lavoro e l'unica cosa bella in quella giornata era stata vedere Arya. Certo, avevo trascorso con lei solo un'ora, ma sarebbero bastati anche cinque secondi in sua presenza per trasformarmi la giornata.
«Agatha dov'è?» chiesi a Charlie, essendo abituato a parlargli come se fosse una persona.
Charlie prese la sua pallina colorata e se andò in cucina. Sbandò contro la gamba del tavolo e andò a finire contro il mobile.
È proprio stupido questo cane. Pensare che l'ho voluto io!
Mi incamminai e lo seguii dopo aver alzato gli occhi al cielo. Quel cane era proprio matto. Non era più un cucciolo da anni ma lo era rimasto a quanto pare.
Un Peter Pan dei poveri, insomma.
Mi tolsi la giacca e la lasciai sul bordo del divano. Tanto avrei dovuto indossarla poco dopo per andare in ambulanza. «Come ti senti?» chiesi rivolgendomi ad Agatha vedendola in cucina.
«Non ti avevo nemmeno sentito arrivare!» esclamò con le cuffiette nelle orecchie, girandosi di scatto. Era concentrata nel fare una torta di mele e notai che c'erano anche un paio di padelle sul fornello. «Sto preparando la cena, perché so che dopo hai il turno in ambulanza» disse cortesemente, abbozzando un lieve sorriso.
Questo sorriso assomiglia molto a quello di Arya, ma il suo era insostituibile.
«Come fai a saperlo?» Non mi ricordavo di averglielo detto prima di uscire di casa quella mattina.
«L'hai scritto sul frigo» affermò, indicando il biglietto giallo con tutti i miei turni.
Sul mio frigorifero c'era la mia agenda personale in pratica: scrivevo qualsiasi cosa dovessi fare, anche perché altrimenti rischiavo di saltare qualche appuntamento. Gli unici che non avrei mai potuto scordarmi sarebbero stati quelli che riguardavano le guide con Arya. Le sapevo a memoria.
«Come stai oggi? Va un po' meglio? Mi sembra che tu non abbia neanche più la febbre» cambiai velocemente discorso.
«Ha smesso di girarmi la testa per fortuna, la febbre non c'è più e non ho neanche vomitato.»
«È una buona cosa» la rassicurai. «Siamo sulla strada giusta.»
*
«Mia sorella si fida di te, quindi dovrei farlo anche io» affermò Agatha dopo aver cenato.
«Non devi sentirti in obbligo. Insomma, sei qui dentro da un paio di giorni, non mi fiderei nemmeno io di me stesso e poi Arya non credo si fidi molto di me» constatai.
«Te l'ha detto lei, immagino.» Annuii. «Vedi, con lei devi interpretare le parole al contrario. Non dovresti mai credere a ciò che dice perché pensa sempre tutto l'opposto, però non lo fa con cattiveria. Farà di tutto pur di allontanarti, ma se a lei ci tieni davvero, dovrai essere più furbo di lei.»
«Prima credo di averlo fatto. Lo so che potrebbe risultare come una cosa brutta, ma non lo è per niente: ormai Arya è diventata una sfida per me» ammisi. Agatha alzò un sopracciglio, innervosendosi. «Ecco appunto. Non fraintendermi, una sfida perché mi ricorda me quando è morta mia madre. Io sono scappato e sono tornato solo quando il dolore non faceva più male come prima e lei, a differenza mia, è rimasta. Però non ha mai affrontato questo dolore che mi state nascondendo» spiegai.
«Non lo stiamo nascondendo... Credo semplicemente che non spetti a me raccontarti ciò che le è successo in passato. Ci metterei un secondo, anzi, servirebbe solo una parola per descrivere il dolore di Arya. Lasciale del tempo e vedrai che prima o poi sarà costretta a dirtelo.»
«Non lo voglio sapere se va contro la sua volontà.»
«Lo deve tirare fuori», tossì, «per vivere più serenamente.»
«Ne ha mai parlato con qualcuno?» chiesi.
«Uno psicologo dici?» Feci cenno di sì con la testa. «Mai» dichiarò, abbassando lo sguardo come se sperasse il contrario. «Non vuole che qualcuno le entri nella mente, ma soprattutto non vuole nessun tipo di farmaco. Non so se ci hai mai fatto caso, ma quando ha paura o è parecchio agitata le tremano le mani.»
«L'ho notato alla prima guida, stava cercando di nasconderlo in tutti i modi possibili» confessai.
«Le darebbero sicuramente degli psicofarmaci e starebbe peggio di prima, diciamo così. Quindi ciò che la dovrebbe aiutare, la porterebbe al lastrico più totale» scandì bene le parole.
«E non sarebbe più in grado di risalire» terminai la frase per lei.
«Devo dirti anche un'altra cosa: io non sapevo di aver preso la droga. Il mio drink aveva un gusto leggermente diverso, ma pensavo fosse perché poco prima avevo mangiato una mentina e di solito la menta cambia il gusto delle bevande.»
«Domanda abbastanza indiscreta, ma può aiutarci a capire come sono andati i fatti quella notte: ti vedi con qualcuno? O magari hai conosciuto un ragazzo a qualche festa?» domandai.
«Ultimamente ho conosciuto un ragazzo, però non lo dire ad Arya, per favore. Sembrava carino ed era anche molto dolce. A un certo punto ha cominciato ad avere degli atteggiamenti aggressivi non solo nei miei confronti.»
«Ti ha messo le mani addosso?»
«Questo mai, però quando si arrabbia anche solo il suo sguardo fa paura. E ora, ripensandoci, non si fa vivo proprio da quel giorno.»
«Molto probabilmente è stato lui e da quello che mi racconti tu questi suoi comportamenti aggressivi sono causati dalla droga. È meglio che tu non lo veda più nemmeno in una fotografia. Questa volta ti è andata bene, ma la prossima magari no.»
«Grazie.» Mi sorrise riconoscente.
«Bene,» dissi, alzandomi, «ora devo andare, altrimenti arrivo in ritardo. Tu dormi pure e ah, quasi dimenticavo, tua sorella si è impuntata che domani verrà a trovarti.»
«È mia sorella! Cosa pretendevi?» esclamò, scoppiando a ridere sapendo il carattere di Arya.
*
Le sirene erano spiegate e io stavo correndo tra le macchine in piena notte. Un ragazzo aveva appena cercato di suicidarsi e se non fossi arrivato in tempo sarebbe morto.
Arrivammo a casa sua, Logan e Alyssia corsero dentro e io preparai tutte le porte aperte in modo che potessimo arrivare in ospedale il più presto possibile.
Quel lavoro mi aveva insegnato che a volte i minuti non bastavano, servivano i secondi. Ogni secondo era importante per la vita di ogni singola persona.
Riuscimmo a salvargli la vita e tirai un respiro di sollievo. Ormai era finito il mio turno, quindi presi la macchina e imboccai la strada per tornare a casa. Passai davanti al bar dove lavorano Arya e Bella e guardai fuori dal finestrino per vedere se ci fosse anche Mason, ma vidi tutt'altro.
Arya stava letteralmente scappando da qualcuno.
Inchiodai all'improvviso. Scesi dalla macchina e la seguii. C'era un ragazzo dietro di lei che mi sembrava familiare.
Quando arrivarono in un vicolo cieco, capii chi fossedalla voce.
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