Capitolo 16 (parte uno)

Arya

Erano passati due giorni dall'ultima volta che avevo sentito Noah. Esattamente da quella mattina in cui ci eravamo alzati spaventati perché Charlie, ben deciso a vendicarsi del torto subito la notte precedente, era saltato su di noi ancora a letto. Ci aveva fatto un vero e proprio agguato e io avevo tirato un urlo che credo mi abbiano sentito anche dall'altra parte del mondo.

Noah mi aveva coperto la bocca piano perché sapeva benissimo che altrimenti si sarebbe beccato un altro dei miei pugni e si era spostato verso di me lentamente, in modo da lasciarmi il tempo di reagire.

«Ma buongiorno, Principessa» aveva sussurrato con una voce gutturale dal sonno.

Aveva dormito bene con me?

Gli avevo sorriso, mi ero stiracchiata e contraccambiato il buongiorno, cercando però di nascondere tutta la mia gioia nell'aprire gli occhi vedendolo al mio fianco.

E a tutto quello si doveva aggiungere la confusione creata da Charlie, che si era messo a leccarci a turno la faccia.

Quel pomeriggio avrei avuto la guida e chissà come sarebbe andata. Prima di uscire di casa, decisi di prendere un cioccolatino. Al suo interno si poteva trovare una di quelle perle di saggezza, che non sono mai state perle di saggezza vere e proprie però (ma erano buonissimi!). Come mi era stato suggerito, poteva sembrare un piccolo gesto carino per ringraziare Noah per tutto quello che stava facendo.

Appena arrivai all'autoscuola con mia madre, mi accorsi subito che c'era quel coglione che l'ultima volta ci aveva provato con me. Non lo salutai nemmeno e me ne andai per la mia strada, nonostante avesse cercato di rivolgermi la parola un paio di volte.

Salii in macchina appena mia madre mi lasciò e dopo che Noah mi aveva detto di sistemarmi perché sarebbe arrivato subito, doveva solo prendersi velocemente un caffè per rigenerare le sue energie. Sistemai gli specchietti, regolai il sedile in altezza e in lunghezza e misi la cintura correttamente.

Nel frattempo quell'idiota si accomodò proprio dietro il mio posto e quando aprì la bocca per attaccare nuovamente bottone Noah arrivò fortunatamente in mio soccorso. Si accese una sigaretta venendo dal mio lato della macchina per poterlo controllare meglio e aprì la portiera per parlare con me. «Sei già pronta, Principessa?» mi domandò, chiamandomi ancora una volta con quel soprannome.

Secondo me nemmeno si rendeva conto di chiamarmi in quel modo, ma lo lasciavo fare perché sotto sotto mi piaceva sentirmi dare della principessa da lui.

«Eh sì» risposi, mettendo le mani sui fianchi per divertirmi un po'. Almeno quell'idiota capiva di non avere nessuna chance con me, ma a quanto pare era molto lento di comprendonio. Mi sorse addirittura il dubbio: aveva un cervello?

«Vediamo se hai messo bene gli specchietti.» Andò dietro allo specchietto che si trovava alla mia destra, si accucciò un paio di secondi e mi fece una linguaccia.

Sembra un bambino di tre anni.

«Ti vedo benissimo, sai?» gli feci notare.

«Cosa ti ho fatto?» mi chiese apposta, perché voleva vedere se ero stata attenta a lui o a qualcun'altro. Non avrebbe mai avuto ragione in quel caso: lo avevo visto benissimo e mi stava facendo le pernacchie.

«Una linguaccia» dissi, facendogliela a mia volta.

Tornò da me e finì di fumare la sigaretta, ormai giunta al filtro. Mi chiese come andava in generale, ma mi limitai a dire che andava tutto bene per non dare spunti di conversazione a quel soggetto che mi trovavo dietro. In realtà era stata una giornata pessima e in quel momento mi resi conto che la sua presenza l'aveva già migliorata. Avevo passato l'intero pomeriggio a parlare con Simon e Cassie che avevano invano cercato di tirarmi su di morale.

Doveva arrivare lui e quella consapevolezza aprì una ferita nel mio cuore: non volevo avere bisogno di lui per migliorare le giornate. Non potevo permettere che mi entrasse ancora di più dentro. Non potevo neanche ammettere a me stessa quelle strane cose che provavo nel profondo.

Noah salì in macchina e gli porsi il cioccolatino che avevo custodito nella mano per non rovinargli la sorpresa. Alzò lo sguardo su di me e fece una tale faccia da cucciolone che mi venne voglia di spremergli le guance, come se fosse un bambino piccolo. «Amore, ma quanto sei carina?»

Non mi aveva detto che finché lavorava era solo il mio istruttore e solo al di fuori quello che volevamo? Allora perché mi sta chiamando amore? Oh Dio! Mi ha chiamata amore!? Ma cosa si è bevuto al posto del caffè? Gli hanno messo sicuramente qualcosa di strano dentro al caffè.

A quelle parole non diventai bordeaux, ma direttamente viola per l'imbarazzo. Mi si congelò il sangue. Invece la temperatura dentro quella macchina iniziò ad alzarsi, nonostante ci fosse ancora la sua portiera aperta e fossimo in pieno inverno.

Mi toccò il braccio in modo tenero e mi ripeté le stesse parole. «Amore, grazie, sei proprio un tesoro.» Continuava a sorridere. Non riusciva neanche a smettere.

Noah cavolo! Non è un'impresa smettere di inclinare le labbra all'insù. Sicuramente è meglio di tenerle rivolte verso il basso, ma basta! Guarda chi c'è dietro: un imbecille che ci prova con me!

«Partiamo» dissi in preda a mille emozioni contrastanti, cercando di uscire da quella situazione alquanto imbarazzante.

Ogni volta che ripeteva la parola amore il mio cuore accelerava il battito in maniera vertiginosa. Era peggio che essere sulle montagne russe. Non aveva mai battuto così forte in diciotto anni della mia vita, anzi non aveva mai battuto così forte per una persona.

Quel ragazzo era entrato nella mia vita senza volerlo. Aveva iniziato a remare contro corrente, fino ad arrivare in pochi secondi alla casa piena di muri. C'era entrato con facilità. Forse senza volerlo. Stava mettendo in disordine ciò che era in ordine e ciò che era sparso, lo aveva calciato, facendolo andare ancora di più fuori posto.

«Che amore» riprese a chiamarmi in quel modo, mostrando la sua estrema felicità. «Principessa» aggiunse per la centesima volta, facendo la faccia da cucciolone, e io, per la centesima volta, diventai più rossa di un peperone.

Mannaggia a lui e a tutte le figure che mi fa fare!

Dovevamo muoverci a partire e cambiare discorso. Nel frattempo mandai delle maledizioni a Cassie per avermi suggerito lo stesso pomeriggio, dopo la nostra chiamata, di portargli un cioccolatino e anche a me stessa perché avevo assecondato quell'idea così stupida.

Partimmo e lui parlò ancora, ma in quel momento avrei preferito il silenzio. «Be', questo me lo mangio subito.» Lo scartò e vedendolo con la coda dell'occhio, mi girai incontrando il suo sguardo.

Che belli che sono questi occhi color ceruleo, pensai, sorridendo sia dentro sia fuori. Mi ricomposi, schiarendomi la voce, e lui mi fece una faccia buffa mentre stava masticando.

È bello pure quando mangia un cavolo di cioccolatino, mi suggeriva il cervello. Basta!, mi urlai al cuore. Riprenditi. Terra chiama Arya. Terra chiama Arya!

«Sentiamo la perla di saggezza di questo cioccolatino» affermò, scartando il bigliettino accartocciato al suo interno.

Iniziò a leggerlo a mente e, pur sapendo che quello che c'era scritto era un'enorme stronzata, volevo saperlo anche io. «Leggi ad alta voce, dai, voglio sapere cosa dice» lo supplicai, tirandogli un'occhiata veloce, visto che ci stavamo avvicinando a un incrocio.

«Anch'io voglio saperlo» intervenne l'idiota.

Nessuno ha chiesto la tua opinione, avrei voluto rispondergli. Ma mi concentrai sulla voce soave di Noah e sulla strada da prendere.

«Tu sei una persona di quelle che incontri quando la vita decide di farti un regalo» recitò. «Ma, amore,» disse in modo dolce e mi si sciolse il cuore, «sono davvero fortunato, se pensi questo di me. Sei dolcissima, che tesoro.»

Da dove diamine arriva questa frase? A me erano sempre venute fuori delle stronzate sui pensieri e cose simili, non quella fottutissima frase. E vogliamo parlare di lui? L'aveva interpretato alla lettera. Io lo dicevo che l'universo mi stava mandando dei segnali e quella era la conferma di tutto.

«Quindi la vita ha deciso di farti un regalo, meno male che sono qui con te!» esclamò divertito, ma anche lui non riusciva a nascondere quel bellissimo sorriso che gli si era formato sulle labbra.

Era un bene o un male la sua presenza?

*

«Dove vado? Dritta?» chiesi dopo aver lasciato l'idiota, Matthew, sotto casa sua. Noah mi rassicurò nel momento in cui chiuse la portiera: aveva usato certi appellativi solo perché non voleva vedere sotto i suoi stessi occhi che mi infastidiva. Ringraziai il cielo in silenzio e chiusi quella questione. Ero davvero morta dall'imbarazzo, ma per fortuna non mi avrebbe più chiamata amore.

«Sì, poi gira a destra» mi rispose Noah.

Feci come mi aveva detto, ma notai che eravamo arrivati in una strada con tutte le caratteristiche che mi fecero suonare i campanelli d'allarme nella mia testa. In primis era buia nonostante ci fossero dei lampioni, era stretta, non c'era anima viva e soprattutto ero da sola in macchina con Noah! Il mio cuore mi diceva che non mi avrebbe mai fatto del male, ma le sirene nel mio cervello continuavano a suonare.

«Fermati pure qua.»

«Cosa facciamo qui?» domandai, guardandomi attorno per cercare tutte le possibili vie di fuga per essere sicura.

Dinanzi a me c'era un campo, ma non era di certo un vantaggio per due motivi: mi sarei potuta perdere e magari quella era proprio una trappola. Alla mia destra si trovava un altro campo, ma era recintato, quindi non potevo fare assolutamente nulla e a sinistra c'erano un paio di case. Se avessi urlato mi avrebbero potuto sentire, ma chissà se poi sarebbero venuti fuori ad aiutarmi. Quindi l'unica possibile via di fuga era tornare indietro. Dovevo correre davvero veloce se avessi dovuto fuggire, cosa che ero in grado di fare solo in quei momenti.

«Dobbiamo fare le inversioni» mi spiegò, ma non mi tranquillizzai.

«Dobbiamo farle per forza in questo posto?»

«Be' sì, se le impari nei posti stretti, poi è un gioco da ragazzi farlo in strada.»

*

«Terra chiama Arya. Sei qui sul mio stesso pianeta o in qualche luogo sconosciuto?» mi chiese, agitando la mano davanti ai miei occhi. «I gatti volano.»

Lui non ti vuole fare del male, mi ripetevo, che cosa strana.

«Come scusa?» gli chiesi, cadendo dal mondo delle nuvole.

«Mi stai ascoltando?» Non risposi e lo guardai semplicemente negli occhi per un paio di secondi per poi tornare a guardare fuori dal finestrino. «Sei sicura che vada tutto bene? Matthew ti ha fatto qualcosa di male finché non c'ero?» indagò.

«È solo stata una giornata un po' così e vedere quello lì, che l'ultima volta ci stava provando con me eccessivamente, mi ha messo ancora di più di malumore.»

«Mi spieghi cosa ti ha fatto?» chiese, chiudendo la mano a pugno. Forse si stava arrabbiando con me.

«Dopo la guida. Ti ricordo che finché siamo qui tu sei il mio istruttore e io la tua allieva.» Forse ero stata un po' acida, ma io avevo riflettuto per tutta la giornata sul nostro rapporto e non andava affatto bene: lui poteva essere licenziato e io rischiavo veramente la vita se mi fossi fidata di qualcuno.

«Giusto. Dunque, le inversioni... Come prima cosa si mette la freccia a sinistra e prima di partire devi girarti completamente per vedere se arriva qualcuno dalla tua parte.»

«Non posso guardare semplicemente lo specchietto?» domandai, visto che era la cosa più facile da ricordare e anche da fare.

«Per prendere la patente devi fare così, poi nella realtà puoi tranquillamente guardare lo specchietto. Vai un po' avanti e ovviamente tutto questo si fa lentamente, non alla velocità della luce perché altrimenti rischi di fare un incidente. Freccia a destra, perché ora stiamo andando dalla parte opposta e si mette la retro.»

«Come si mette in questa macchina?» lo interruppi non capendo come si facesse visto che era a fianco al numero uno delle marce.

Appoggiò la sua mano sopra la mia, premette in giù il cambio e poi lo mise come se fosse in prima. «Basta solo schiacciare e poi tutto è normale.»

«D'accordo. Dopo?»

«Ti consiglio di girare il volante appena hai messo la freccia così risparmi tempo e poi parti guardando prima a sinistra e poi a destra. Dopo aver fatto la retro rimetti la freccia a sinistra e prima di sterzare e tornare in strada guardi un'altra volta prima a destra e poi a sinistra.»

«Quindi il contrario del secondo passaggio.»

«Bravissima. Ora prova a farne uno e se vuoi ripetermi anche come si fa, fallo pure. Queste sono cose che poi all'esame pratico ti possono chiedere, quindi imparale molto bene, mi raccomando.»

«Cosa ti avevo detto?» chiese poco dopo, scherzando.

Mi stava davvero prendendo in giro e io mi sentivo a casa con la sua risata. Era leggera e soave e avrebbe fatto da ninna nanna anche al bambino più iperattivo del mondo.

«Terra chiama Arya parte due» chiamò la mia attenzione, sventolando le mani come se fossero una bandiera colorata davanti alla mia faccia. «Ci sei?»

«Sì, perché?»

«Oggi sei un po' persa, Principessa» constatò.

«Ti sbagli, io sto benissimo.»

«Se è per tua sorella, stai tranquilla. Ormai si sente già meglio e poi la senti ogni sera, quindi non ti sto raccontando delle bugie» mi confortò.

«Lo so, ma non è quello.»

«Allora vedi che c'è qualcosa che ti tormenta...»

«Quello che è successo l'altra notte non deve più succedere» dissi senza respirare. «Ero in un momento di crisi e non ero in me.»

«Arya, guarda che non c'è nulla di male in quello che fai» provò a controbattere, allungando la mano sulla mia. Ma fui più veloce di lui: la nascosi sotto la mia coscia in modo che non potesse toccarmi in nessun modo. «Scusami, mi sembrava fosse stata una cosa voluta da entrambi. Mi dispiace...»

«Fa lo stesso, basta che non succeda più.» Annuì, con aria sconfitta.

«Ne faccio un'altra?» Corrugò leggermente la fronte. «L'inversione» puntualizzai.

«Oh! Certo, l'inversione.»

*

«Anche oggi la guida è andata molto bene. Questa è la terza, giusto?»

«Sì» confermai, guardandomi intorno nella speranza che mia madre arrivasse in fretta, vista la situazione imbarazzante che si stava creando con Noah in macchina.

«Credo che fra poche lezioni di guida sarai perfettamente in grado di fare l'esame. Dobbiamo ancora vedere i parcheggi e qualcosa di teoria, ma per il resto sei più che pronta.»

«È la tua ultima guida questa?» domandai.

Nel frattempo mi allungai per prendere la mia giacca sul sedile posteriore, ma qualcosa andò storto: Noah fece lo stesso gesto e mi trovai a pochi millimetri dal suo volto, dalla sua pelle chiara e morbida.

Andai completamente in apnea. Non riuscivo a respirare a causa della sua vicinanza fisica.

«Sì, dovrebbe essere l'ultima» borbottò, guardando le mie labbra.

«Bene» ribattei con lo stesso tono di voce.

Ero tornata a respirare leggermente, anche se sentivo il respiro affannato e non riuscivo a distinguere ciò che era attorno a me. Iniziò il mio solito tremore alla mano e Noah la afferrò. Se la posò in un punto ben preciso: il cuore. Potei sentire il suo battito, che accelerava quando lo guardavo negli occhi e quello mi fece perdere il controllo del tutto.

Non potevo perderlo. Dovevo riuscire a controllare ogni cosa altrimenti sarebbe stata la fine.

«C'è qualcuno che ti può portare a casa?» chiese. Feci cenno di sì con il capo, ansimando. «Mi accompagni a mettere a posto la macchina dato che tua madre deve ancora arrivare?» tentò.

«A un compromesso: poi mi dici come sta realmente mia sorella.»

Non credeva di certo di scamparla così facilmente, no?

«D'accordo.» Mise la prima senza che me ne accorgessi ed estese il braccio sinistro sul volante.

«Non vuoi fare cambio di posto? Riesci meglio a fare le manovre...» domandai confusa.

Non capivo come potesse guidare dalla sua parte. Un conto era controllare che noi futuri guidatori tenessimo il volante dritto e un altro conto era parcheggiare in un posto abbastanza stretto in quella posizione.

«Non serve, Principessa.»

Sorrisi, girandomi dall'altra parte. Non volevo fargli vedere l'effetto che mi provocava.

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