Capitolo 16 (parte due)
Noah
«Domani vengo a trovare Agatha» disse Arya preoccupata, dopo averle raccontato della situazione.
Avevo mentito solamente sui giramenti di testa. Non c'era motivo per cui si allarmasse così tanto: erano una cosa normalissima con l'assunzione di droga.
«Non ce n'è bisogno» la rassicurai.
«Invece sì!» esclamò, alzando leggermente la voce. «È mia sorella e ne ho tutto il diritto.»
«Su questo non si può sicuramente discutere, ma lo sai benissimo anche tu che è in buone mani» dissi, indicando la sua testa con l'indice.
«Io non mi fido per niente di te» puntualizzò.
«Puoi dire ciò che vuoi, ma se il tuo cuore pensa un'altra cosa, le tue parole non valgono nulla» affermai, impassibile davanti a quel dibattito. Dentro di lei sapeva molto bene che si fidava di me. Certo, non totalmente, ma quello era anche logico visto che erano passate solo poche settimane dal nostro primo incontro.
«Non è vero. Dico semplicemente ciò che penso.»
«Bugiarda» la presi in giro, sorridendo.
Incrociò le braccia al petto e mi squadrò dalla testa ai piedi. «Non sono una bugiarda» precisò prima di andarsene.
Le corsi dietro e la afferrai per un polso, cercando di non farle paura. Si girò verso di me e mi venne completamente addosso. Rimase immobile tra le mie braccia e io ne approfittai per stringerla leggermente a me.
«Sei una Principessa bugiarda» sussurrai a un soffio dalle sue labbra.
«In realtà non sono né una principessa né una bugiarda.»
«Per me sei una principessa» dissi in modo tenero.
«Anche tu sei un bugiardo allora» passò al contrattacco.
«Perché dovrei essere un bugiardo? Illuminami dai.»
«Be'... Ecco... Hmm...»
«Alt! Tempo scaduto per trovare delle scuse. Non riesci a trovarle perché non ce ne sono!» esclamai. Scoppiai a ridere a crepapelle, ma non la lasciai andare.
«Posso chiederti una cosa, così non continui a prendermi per i fondelli?»
«Dimmi pure, Principessa.»
«Chi sa della nostra situazione?» chiese titubante come se si aspettasse che la prendessi in giro.
«Vieni con me.» La presi per un braccio e la portai nell'oscurità, in un punto dove c'era la porta sul retro e le probabilità che qualcuno uscisse erano bassissime. «In questa autoscuola, come in tutte le altre, ci sono precise regole che vietano un qualsiasi rapporto con le persone con cui facciamo le guide finché non avete preso la patente» le spiegai.
Io e lei non avremmo dovuto nemmeno parlare di cose personali in macchina, le avrei dovuto solamente insegnare a guidare (anche se non ne aveva molto bisogno).
Era tutto sbagliato ciò che facevamo, ma sembrava essere così giusto invece. Le persone sbagliate nel momento sbagliato e nel posto sbagliato. No, noi eravamo le persone giuste nel momento giusto, ma nel posto sbagliato.
«E se mi incontrassi al bar per caso?» chiese.
«Quello non mi è mai successo prima che con te. Quindi, detto proprio sinceramente, non sono in grado di darti una risposta concreta. Però credo... sia sbagliato.»
«Forse è meglio che porti a casa Agatha, non voglio che tu perda il lavoro per colpa mia» sussurrò nel buio.
«Arya, tu non hai colpe. Non mi interessa di essere licenziato. Anzi, sì, mi interessa non essere licenziato, ma basta solamente non farlo notare davanti a loro. Non possono controllarmi ventiquattr'ore su ventiquattro... E poi mi piace passare del tempo con te» ammisi tutto d'un fiato.
«Ma io e te non siamo amici.»
«L'altra notte ci siamo detti una cosa: siamo amici a cui piace fare questo» sussurrai prima di fare una cosa e arrivare al punto di non ritorno insieme.
La baciai. Non era un bacio troppo delicato, ma nemmeno troppo aggressivo. Erano solo un concentrato di tutte le emozioni che provavamo in quel contatto tra le labbra.
Eravamo un fiore che sbocciava, pian piano, alla luce del sole in primavera.
All'improvviso la porta si aprì e scattai in avanti, nascondendo Arya dietro di me. La sentii rannicchiarsi a terra in modo che nessuno la vedesse e riconobbi Jeremy dalla voce. Era al telefono e mi schiarii la voce.
Arya mi tirò un pizzicotto, intuendo che volevo attirare l'attenzione del mio capo.
«Ah, ciao Noah. Perdonami, non ti avevo nemmeno visto» disse Jeremy, girandosi verso di me.
«Sono appena tornato. Ho finito il turno cinque minuti fa» gli comunicai.
«Se non sei di fretta, vieni un attimo dentro? Dobbiamo parlare delle guide di domani. Mi sa che ti toccherà fare undici ore.»
«Certo, andiamo subito perché poi ho il turno in ambulanza.»
Andammo dentro e finché si chiudeva la porta notai Arya sgattaiolare fuori dal cancello e andare da sua madre.
L'avevamo scampata veramente per un pelo, ma infondo era il destino che non voleva farci scoprire.
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