Capitolo 14 (parte uno)
Arya
Il giorno seguente uscii di casa per prendere l'autobus e andare da Agatha. Appena misi il piede fuori dalla porta un'auto si fermò all'improvviso. Noah scese, chiuse la portiera e si appoggiò alla sua macchina bianca. «Serve un passaggio?» chiese, salutandomi con una mano.
Lo guardai, incrociando le braccia al petto. Quella mattina era proprio carino: indossava una felpa bianca, in tinta con la sua macchina lucida e pulita, con i cordoni e una scritta sul petto neri, un paio di jeans semplicissimi e una cintura marrone. Cercai di trattenermi dal ridere, o meglio, sorridere ma non ne ero in grado. Mi sembrava di essere una bambina quando le portavano le caramelle.
«Non vorrei disturbarti...» dissi fingendo di non voler passare del tempo con lui.
«Io non ho nulla di meglio da fare.» Sorrisi e acconsentii. «Dai sali, altrimenti prendi freddo.» Lo disse come se fosse una cosa quotidiana ormai.
In macchina cominciai a parlare per non rimanere in silenzio. Mi fece sorridere il fatto che anche lui stesse per aprire bocca per rompere il silenzio, ma ero riuscita a batterlo sul tempo per una volta. «Ti è passato al labbro o ti fa ancora male?» domandai sinceramente, ancora preoccupata.
«È rimasto solo un piccolo taglietto, ma va già meglio» rispose, togliendo lo sguardo dalla strada per girarsi verso di me. «Comunque, ho una proposta da farti, visto che stiamo andando a prendere tua sorella.»
Cioè?
«Riguardo cosa?» chiesi con voce tremante.
«Non ti conosco fino in fondo, ma si vede dalla tua faccia che sei preoccupata per lei e che di sicuro non sai cosa inventarti con tua madre. Se anche lei è d'accordo, può rimanere per un po' a casa mia in modo che si riprenda e poi avrei una scusa per vederti.»
Ignorai l'ultima frase volutamente e risposi solo alla prima parte. «Se dovesse star male? Ad esempio vomito o giramenti di testa, sai cosa fare? Devo rimanere anche io...» Non ero per niente convinta della sua proposta per il semplice fatto che non sarebbe mai stato in grado di gestire mia sorella. Era difficile se ci riuscivo io, figuriamoci lui.
«Sono anche primo soccorritore, oltre a guidare l'ambulanza. Tua sorella sarà in buone mani, vedrai. Non sono una persona che fa promesse se non può mantenerle» disse, allungando la sua mano sul mio ginocchio.
Il tessuto dei pantaloni che indossavo quel giorno diventò un ferro rovente per la mia pelle, quasi la ustionò.
In quel momento non avevo paura. No, io mi sentivo a casa con la sua presenza, con la sua mano.
Lui voleva aiutare le persone in difficoltà e lo voleva fare anche con me. Dal profondo del suo cuore.
Lasciai la sua mano lì, sul mio ginocchio, e rimasi immobile mentre lottavo contro il mio costante pensiero di dovermi difendere.
«Siamo arrivati» affermò poco dopo aver parcheggiato proprio davanti all'ospedale. Alzò leggermente il suo palmo dalla mia gamba, ma quel gesto non bastò per calmare il fuoco dentro di me.
Cercai di aprire la portiera, però lei non ne voleva sapere di collaborare. «Non si apre» constatai in un sussurro.
Noah si allungò ancora una volta e la aprì senza togliere lo sguardo dal mio. Mi resi conto in quel preciso istante che le sue iridi erano anestesia. Non mi facevano pensare e soprattutto pesare tutte le mie responsabilità, le mie paure e le mie insicurezze.
Scendemmo dalla macchina e andammo a prendere Agatha, con la tachicardia ancora a mille.
Presi mia sorella a braccetto dopo che il medico ci diede tutte le scartoffie per dimetterla. La aiutai a fare i due scalini per uscire definitivamente dall'ospedale e lei parlò. «Non c'è bisogno che mi tieni così forte» disse. «Riesco ancora a camminare, fino a prova contraria.»
«Lo so, ma è meglio essere prudenti. Il medico ha detto che potrebbe ancora girarti la testa e non vorrei che passassi altri giorni dentro questo posto a causa di una brutta caduta» affermai, decisa a non cambiare la mia opinione. «Noah, puoi aprire la porta?» domandai, girando la testa verso di lui.
«Certo, Principessa.»
«Senti, Arya, ma tu sei sicura che ci possiamo fidare di questo ragazzo?» mi chiese Agatha, sussurrandomi all'orecchio in modo che potessi sentire solo io. Come me, lei non si fidava di nessuno. Ma solo perché aveva visto cosa mi aveva fatto lui.
Mi rigirai verso Noah, che nel frattempo era tornato al mio fianco e stava prendendo sulla sua spalla il mio zaino. Lo guardai nei suoi occhi e lui mi stava già cercando con il suo sguardo ipnotico.
«Sì» mormorai. Era più che altro un'accettazione della realtà per me. «Ti fidi di me invece?» aggiunsi ritornando con lo sguardo per terra.
«Be', mi sono sempre fidata di te, soprattutto quando mi arrampicavo sugli alberi e tu mi toglievi la scala apposta per farmi un dispetto» rispose sarcastica.
«Agatha, sono seria questa volta e non ho più cinque anni!» esclamai arrabbiandomi perché non era capace di fare la persona seria per argomenti così importante. «Che tu ti fidi o meno, starai da Noah per un paio di giorni.»
«Che cosa!?» Si fermò all'improvviso e quasi mi tirò a terra. Mi spinse lontano e quel movimento brusco le fece venire un giramento di testa.
Noah riuscì a prenderla all'improvviso e la aiutò a tenersi in piedi.
Agatha si sistemò i capelli scombinati e mi guardò molto arrabbiata. «Non ho bisogno della vostra compassione, sto bene da sola.»
«Ok, senti» intervenne Noah. «Tu non mi riconosci perché non eri per niente cosciente quella sera, ma sono io quello che ti ha salvato la vita. Basta per fidarti?»
Lo sguardo di Agatha passò da me a Noah per almeno tre volte a testa e poi decise di parlare con una voce ancora incredula. «Quanto tempo?» si convinse.
Noah è veramente furbo: ci sa fare pure con mia sorella che è una persona alquanto difficile (però non quanto me).
«Finché non ti girerà più la testa.»
«Ma Arya rimane con me» trovò un compromesso e il mio cuore non fece una semplice capriola, ma un vero e proprio triplo salto mortale.
«Affare fatto» risposi prima ancora che Noah potesse dire la sua opinione.
*
«Io dormo sul divano» si prenotò Agatha appena entrammo nella casa di Noah.
Mi andò di traverso la saliva che stavo mandando giù e Noah mi toccò la spalla per vedere se stessi soffocando o se stessi facendo finta. «Ti senti bene? Serve un bicchiere d'acqua?» chiese seriamente preoccupato. Scossi la testa. Mi appoggiò la sua mano sullo stomaco e mi raddrizzò. «Respira con me» disse. «Conti fino a tre quando inspiri e al quattro butti fuori l'aria.»
Grazie al suo aiuto la sensazione di soffocamento passò quasi all'istante, ma sfuggii in tutti modi al suo sguardo per evitare di tornare punto a capo. «Ora ti senti meglio?» sussurrò.
«Sì, grazie.»
«E di cosa?»
«Non sapevo questa tecnica di respirazione» affermai a bassa voce.
«Purtroppo in ambulanza mi capita di dover aiutare persone che soffrono di attacchi di panico o comunque qualcosa di simile.»
Chi sa quante ne avrà viste questo povero ragazzo.
«Mi dispiace...»
«È il rischio del mestiere» disse, accarezzandomi la guancia.
Quando la sua pelle entrò in contatto con la mia, provai una sensazione ustionante, come se i vestiti e la mia stessa cute andassero a fuoco.
«Sentite piccioncini, non ho intenzione di guardarvi finché vi baciate, quindi potrei sapere gentilmente dov'è il bagno?» domandò Agatha dall'altra parte del salotto.
Piccioncini a chi, scusa?
«Credo tu abbia frainteso tutto, cara Agatha» mi intromisi nel suo discorso senza permesso, con un tono velenoso. «Ti accompagno io al bagno.»
«Ma sei diventata completamente pazza?» domandai ad Agatha appena ebbi chiuso la porta alle mie spalle.
«Non mi raccontare bugie, basta vedere come vi guardate per capire che c'è qualcosa tra di voi» mi fece notare con nonchalance. «Vi mangiate con gli occhi» insistette.
«Che cosa stai dicendo?» continuai, mettendomi le mani nei capelli, e facendo avanti e indietro in quei pochissimi metri quadrati. «Ci sta solo dando una mano a risolvere i nostri casini!»
«E chi sarebbe questa persona? Da quanto lo conosci? Avrà si e no dieci anni più di te!» esclamò a sua volta, alzando la voce.
«Ma cosa c'entra l'età adesso? Anche io e te abbiamo degli anni di differenza.»
«Io sono tua sorella, è una cosa normale» ribatté, alzando la voce ancora una volta di un tono. «Non hai ancora risposto alla mia domanda comunque...»
«Quale sarebbe?» Ero troppo arrabbiata per ricordare cosa mi avesse chiesto.
«Come lo conosci questo... questo... Com'è che si chiama? Mi sono già dimenticata.»
«Noah, si chiama Noah» le rinfrescai la mente. Non potevo vivere per sempre nella menzogna, lo avrebbe scoperto prima o poi da uno dei due, soprattutto se fosse stata del tempo a casa sua. «È il mio istruttore di guida» ammisi in un sussurro.
Agatha corse verso il water e iniziò a vomitare. Le andai vicino e le tenni i capelli finché non terminò.
*
«Hai una coperta?» chiesi, andando in cucina da Noah, dopo aver lasciato Agatha a riposare sul divano. «Mia sorella credo abbia la febbre.»
«Te la vado a prendere» disse svanendo dalla cucina. Nel frattempo controllai che la pasta non si attaccasse alla pentola e mescolai la pancetta e i funghi in un'altra padella. «Ecco qua.» Mi spaventò e sobbalzai, girandomi di scatto. Sbattei un paio di volte le palpebre così mi accorsi che era ancora Noah. «Scusa, non volevo farti prendere paura.»
«No, scusami tu. Ero concentrata su questa pancetta.»
«Vuoi che ci pensi io a portarle la coperta?» Scossi la testa e allungai la mano per afferrarla. Le nostre dita si sfiorarono e mi morsi il labbro per trattenermi dalla paura. «Stai tranquilla, avrà solo preso un colpo di freddo quando siamo usciti dall'ospedale» bisbigliò, avvicinandosi di un passo.
Quella vicinanza bastò a farmi prendere quasi un infarto. Mi mancò il respiro e la temperatura in quella stanza si alzò vertiginosamente.
«Posso chiederti una cosa?» domandò poco dopo.
«Sì.» Deglutii e alzai lo sguardo, cercando il suo. Non guardavo le persone negli occhi, mi ricordavano troppo gli sguardi teneri e oscuri di Adrian. Ma con Noah era diverso: mi piaceva osservarli. anzi, mi ci perdevo dentro. Erano come una camomilla, che procurava una pace assoluta dentro la mia anima.
«Dopo cena ti va una cioccolata calda in giardino?»
«A patto che venga anche Charlie con noi» risposi.
Charlie correva a più non posso in mezzo all'erba, sembrava gli fosse partita la pazzia che aveva dentro. «Charlie» lo chiamai e lui arrivò di corsa. Saltò sul dondolo e si accovacciò sulle mie gambe.
Mi appoggiai allo schienale e iniziai a dondolarmi. Presi il cellulare e chiamai sul telefono di casa. Al terzo squillo qualcuno rispose ed era proprio nonno Richard. «Pronto?»
«Nonno Richard, sono Arya.»
«Arya! Finalmente ci sentiamo! Sei sparita da ieri sera» osservò.
«Sì, scusami. Sono tornata a casa tardi dal lavoro, perché al bar c'erano più persone del previsto e poi sono andata subito a dormire. Stavo veramente morendo di sonno. Poi questa mattina te e papà eravate già nel campo e non volevo disturbarvi, ma ho parlato con la mamma. Senti, a proposito della mamma, le puoi dire che oggi rimango a dormire da Cassie?»
«Non ho sentito bene... Puoi ripetere l'ultima parte?»
«Per questa notte rimango a dormire da Cassie, perché... perché non si sente molto bene e vorrei assicurarmi che non stia troppo male questa notte» ripetei, inventandomi una scusa al momento. «Mi faresti un favore enorme se riuscissi a dirlo alla mamma.»
«Certo, non ti preoccupare» disse. «Sharon, Arya questa sera dormirà da Cassie... Certo ora glielo dico» lo sentii riferire a mia mamma. «Ti saluta e ti manda un bacione.»
Sorrisi. «Ricambia.» Sentii Noah aprire la porta quando Charlie alzò il suo grazioso musetto per girarsi a guardarlo. «Ora ti devo lasciare, Cassie mi sta chiamando.»
«Passa una buona serata con la tua amica» mi augurò.
Noah nel frattempo si sedette al mio fianco, cercando in primis di non fare rumore e in secondo luogo di non rovesciare quelle enormi tazze di cioccolata calda.
«E tu non andare a letto troppo tardi» puntualizzai, conoscendo il nonno.
«Sarà fatto, signorinella.»
«Buonanotte, monsieur» dissi dolcemente.
«Buonanotte, mademoiselle.»
«A chi racconti le bugie oltre a me?» mi chiese Noah, passandomi una tazza enorme piena di cioccolata calda.
«Era il nonno, non potevo non mentirgli.»
«Si preoccupa molto per voi?»
Mi sistemai, portandomi le gambe al petto e Charlie fu costretto a spostarsi su Noah che gli tirò un'occhiataccia. «Anche troppe volte, però sono contenta del nostro rapporto. Non chiederei di meglio.»
«Sono contento per te.»
Involontariamente appoggiai la testa sulla sua spalla e bevvi un sorso di cioccolata. «Ci hai messo i marshmallow» riscontrai.
«Non ti piacciono? Posso rifartela se vuoi...» affermò dispiaciuto, rivolgendo lo sguardo sul mio viso vicino al suo.
«Io bevo solo in questo modo la cioccolata.» Ma come fa a indovinare tutte queste cose su di me? È baciato dalla fortuna, non ci sono altre spiegazioni.
«Ci ho azzeccato anche questa volta» mi fece notare.
«Già...»
Prese il suo pacchetto di Winston e si portò la sigaretta alle labbra. Impugnò anche il suo accendino e rimase con il braccio sospeso in aria, con la fiamma dell'accendino che illuminava leggermente il suo volto. Ci ripensò e rimise la bionda nel pacchetto.
«Hai cambiato idea?» gli chiesi, vedendo che prima era convinto di fumare e un secondo dopo no.
«Sì, ci sei tu vicino» sussurrò.
«Guarda che non mi dà fastidio se fumi...» Non doveva non fare una cosa, perché io glielo impedivo. Certo, avrei sicuramente preferito che non fumasse, ma se ne sentiva così tanto la necessità non avrei potuto fare o dirgli nulla a riguardo. D'altronde non si smette di fumare dal giorno alla notte.
«È solo l'abitudine... Quando ci sei tu, non ho bisogno di fumare...» ammise tutto d'un fiato.
«Noah?»
«Hmm?»
«Cosa siamo noi due?»
Ci rifletté un paio di secondi. «Amici?»
«Amici...» ripetei, assaporando il gusto di quella strana parola.
Lo lasciai mettermi la mano sulla spalla per il resto del tempo.
-
«Anche tu sei un bugiardo, papà» afferma Henry, rigirandosi nel letto per mettersi comodo.
«Perché dovrei dire le bugie?» chiedo, non capendo la sua domanda.
«Tu e lei non eravate solo amici» dice, tirandosiuna pacca in testa. «L'ho capito pure io che non lo eravate!»
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