Capitolo 13
Noah
Arrivai a casa e trovai la macchina di Mason al mio posto. Parcheggiai la mia al suo fianco e prima di scendere feci un respiro profondo, perché sapevo benissimo l'interrogatorio che mi sarebbe aspettato. Mason proprio non demordeva mai quando si trattava di scoprire cose altrui e devo dire che negli anni era pure peggiorato sotto questo punto.
«A cosa devo la tua visita alle», guardai l'orologio, «tre del mattino?»
Preferii fare finta di nulla. Era troppo rischioso parlare seriamente. Non avrei mai potuto confessare né a lui né a me stesso i sentimenti che stavano sbocciando in me. Arya era stupenda: avrei desiderato portarla in un museo, per farle notare che avrei osservato solo lei, perché con quel suo sorriso i quadri avrebbero potuto scappare o addirittura inchinarsi a lei.
Mason non sarebbe mai dovuto venire a sapere di Arya. Certo la conoscevamo entrambi, quindi era più che opportuno nascondere ciò che si stava creando fra di noi. Non sapevo nemmeno spiegare a parole quella strana cosa e non sarei mai stato in grado di raccontarla a Mason.
Non potevo neanche dirgli: «ah, sai Mason? La ragazza che lavora con Bella il weekend è fatalità quella che è riuscita a suscitare in me sensazioni che avevo represso per anni.»
No, non era la soluzione giusta. Già avevo ammesso ad Arya che stavo morendo dalla voglia di baciarla, quello bastava e avanzava per quella notte.
«Ora che siamo io e te, puoi raccontarmi la verità» affermò Mason facendosi particolarmente serio.
Continuai la mia messa in scena come un perfetto attore. «Non riesco a capire a cosa tu ti stia riferendo...» rimasi sul vago. Mi aiutai anche facendo una faccia apparentemente confusa.
«Arya... tu la conosci e lo so benissimo che stavi fingendo prima.»
«Mason, sai quante persone conosco io tra lavoro e ambulanza? Saranno centinaia e l'ho scambiata per un'altra persona. Ero convinto che fosse una che stava prendendo la patente con me, ma mi sbagliavo» mi giustificai.
«Non raccontarmi balle» disse, avvicinandosi a me. M puntò un dito addosso e poi continuò. «A Bella puoi raccontarla come vuoi, ma a me no fino a prova contraria. Ad esempio... dove sei stato in queste due ore in cui ti abbiamo lasciato andare a casa?» chiese, facendo il segno delle virgolette con le dita per sottolineare le ultime tre parole di quella frase.
«Ho fatto un giro in macchina e sono appena tornato a casa.»
«Con chi?»
«Da solo.»
Invece, ero stato con la ragazza più bella al mondo, ma non glielo avrei mai confessato. Sarebbe stato come ammettere i miei sentimenti per lei, che non avrei mai potuto avere.
Avrei solo visto il cielo andare a fuoco e portarmi con sé.
Arya era troppo per me. Era troppo in tutto e per tutto. Cercavo di allontanarmi, ma poi puntualmente mi ritrovavo sempre da lei senza nemmeno rendermene conto. Era il destino che voleva che ci incontrassimo.
«Arya aveva la tua felpa addosso, questo come lo spieghi?»
«Ce ne sono tante in commercio» ribattei.
«Non lo metto in dubbio, ma quella era proprio la tua. Ha un segno di vernice sotto il cappuccio e te lo sei fatto quando abbiamo pitturato questa staccionata», la indicò.
«Ti sbagli, l'avrai immaginata tu la macchia.»
«Allora fammi vedere che è pulita nel tuo armadio!» esclamò a un certo punto, innervosendosi.
«Senti, Mason, quella ragazza io non la conosco. Non l'ho proprio mai vista in vita mia e la mia felpa ce l'ha Charlie essendo tutta sporca di vernice, l'ho usata come coperta nella sua cuccia. Quindi non credo che quella che indossava quella povera ragazza sia mia.»
«Quando Bella le ha detto che poteva andare a casa, te ne sei andato anche tu.»
«Questo cosa c'entra? Non volevo fare da terzo incomodo tra voi due come sempre e te l'avevo detto ancora prima di partire» mi giustificai, alzando leggermente la voce di un tono.
«C'entra e come! Lei è salita sulla tua macchina» disse con enfasi.
«E questo chi lo dice?» chiesi, perdendo la pazienza. Mason non aveva ancora capito che io ero più furbo di lui e con gli anni avevo imparato a confondere le persone che mi attaccavano. Non aveva speranze nel discutere con me.
«Lo dico io, perché l'ho vista salire nella tua macchina.» Cercai di controbattere, ma lui mi fermò continuando a parlare. «Avevo dei sospetti e sono rimasto sulla porta per vedere cosa facevi. Lei è venuta con te» concluse.
Non mi aspettavo una simile mossa. «Sì, l'ho riportata a casa perché c'è buio e doveva farsi un po' di chilometri a piedi. Ho solo fatto un gesto di gentilezza, è un crimine forse?» confessai.
«Non lo è, ma vorrei che mi raccontassi la verità dall'inizio. Lo sai che non andrò a dirlo a Bella, perché qua ci vado di mezzo pure io in questa storia. Cosa sta succedendo con questa ragazza?» Rimasi in silenzio e abbassai lo sguardo per pensare alla possibile risposta che avrei potuto dare. «No, aspetta... Lei, Arya, non dirmi che è quella ragazza di cui mi parlavi tempo fa... Noah, ti prego, non dirmi che è lei.» Non risposi nemmeno quella volta. «Dal tuo silenzio deduco che la tua risposta sia un sì.»
Mi appoggiai alla sua macchina e incrociai le braccia al petto. Ormai non aveva più senso continuare a mentire. «La ragazza di cui ti ho parlato è Arya Wilson. Le ho dato un passaggio perché non volevo farla andare per strada a quell'ora, lo ammetto, come ti ho detto un secondo fa. Non ti so spiegare questa cosa, ma ogni volta che cerco di convincermi che è sbagliato quello che provo me la ritrovo sempre davanti. Hai presente quando cerchi di remare contro corrente, ma l'acqua ti fa seguire il suo corso?» Annuì. «Ecco, io mi sento proprio in quel modo: il destino mi rema contro e non sono in grado di fare di testa mia.»
«Lo sapevi che lavora con Bella? Sembravi parecchio sorpreso quando te la sei vista davanti e anche lei: ha rotto un bicchiere.»
«No, assolutamente. Non sarei nemmeno uscito di casa se lo avessi saputo, però non me ne pento» affermai convinto.
«E la felpa... Non ci crede nessuno che Charlie la usi per dormire.»
«Ha dormito a casa mia...» sussurrai. «Ti ricordi quella sera quando ti avevo telefonato in preda al panico?»
«Cosa!?» urlò non lasciandomi finire la frase.
«Sei scemo?» domandai, tappandogli la bocca. «Non urlare a quest'ora della notte che i miei vicini vengono fuori con la scopa e poi te le prendi tu, sai?» lo avvertii. «Non ho intenzione di prendermi una bastonata in testa per te.»
«È colpa tua» si giustificò. «Non mi puoi dire queste cose come se andassi a mangiare un piatto di pasta!»
«Ma non è successo nulla di così rilevante» provai a rimediare.
«Noah, ma ti senti quando parli? Una ragazza, anzi, la ragazza a cui sbavi dietro ha dormito a casa tua e la chiami cosa non importante? L'alcol ti fa veramente male alla testa! D'ora in poi proibisco a Bella di dartelo altrimenti finisce male, amico.»
«Il solito esagerato» sbuffai, alzando gli occhi al cielo.
«Ora però voglio sapere tutti i dettagli. Cosa avete fatto?» chiese tirandomi un buffetto sulla spalla e mi guardò con un sorrisetto che faceva intendere molto bene a cosa si riferisse.
«Alt! Ciò che è successo in casa mia, rimane in casa mia» puntualizzai.
«Allora lascerò via libera alla mia immaginazione!» esclamò continuando con il suo sorrisetto provocatorio.
«Bravo! Sarà solo una fantasia, ricordatelo.»
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