Capitolo 10
Noah
Quel sabato mi ero messo a pulire tutta la casa da cima a fondo per non pensare ad Arya ventiquattr'ore su ventiquattro. Avevo lavato per ben tre volte i piatti, il pavimento era più lucido di una testa di una persona calva e non c'era più nemmeno un microgrammo di polvere.
Ormai era arrivata l'ora di cena e dopo essermi seduto a tavola per mangiare un uovo sodo in santa pace suonò il telefono. Sbuffai con la bocca piena e andai a rispondere. Era Mason che mi chiedeva di uscire la sera stessa.
Ero stanchissimo visto che le notti precedenti avevo fatto il turno in ambulanza e avevo salvato la vita a tre persone, ma non potevo rifiutare ancora una volta. Avevo perso il conto di quante volte gli avevo detto di no per un'uscita anche infrasettimanale.
«Dove vuoi andare?» domandai prima di prendere una decisione.
«Andiamo al bar dove lavora Bella, tanto non dovrebbe esserci troppa gente a quell'ora e così la posso vedere» tentò invano di convincermi. «Ormai è più di una settimana che non la incontro» aggiunse, persuadendomi.
«D'accordo, ma vengo con la mia macchina altrimenti devo aspettare te e Bella che finiate di sbaciucchiarvi e poi finisce come al solito, cioè che mi fate andare via alle tre del mattino.»
*
Arrivai davanti al bar e mi fumai una sigaretta appoggiato alla portiera della mia macchina bianca. Aspirai il tabacco e rimasi a guardare i cirri di fumo che diventavano un tutt'uno con l'aria fredda.
Nel frattempo arrivò Mason con il suo pick-up grigio metallizzato e parcheggiò al mio fianco senza rispettare le linee bianche del parcheggio.
«Dovrei farti ritirare la patente per eccesso di velocità e soprattutto perché non riesci mai a parcheggiare in modo corretto» lo rimproverai per la millesima volta. Lo so che era il mio lavoro e spesso ero pignolo, ma ci tenevo che non prendesse una multa come minimo una volta a settimana.
«Te e le tue linee! Guarda» disse, aprendo le braccia per farmi notare che tutto il parcheggio era vuoto. «Dietro al locale non viene quasi mai nessuno perché non sono a conoscenza di questo parcheggio.»
«Mason, non fa lo stesso. Se passasse la polizia ti beccheresti una multa e non le darei torto per nulla al mondo. Dammi le chiavi che te la metto a posto io. Se aspettiamo te, farebbero in tempo a passare cinque anni.» Buttai a terra il filtro della sigaretta che avevo finito e Mason mi passò le chiavi della sua macchina. Aprii la portiera e dopo aver infilato le chiavi accesi il motore. Andai in retro, raddrizzando le ruote e feci un parcheggio da manuale. Scesi e gli lanciai le chiavi. «Andiamo va» conclusi.
Spinse la porta del bar e mi lasciò giusto lo spazio per poter entrare. Mi guardai attorno in quel locale e l'unica cosa che era cambiata era la disposizione dei tavoli. Nell'aria c'era la musica della radio e l'atmosfera, tutto sommato, non mi dispiaceva per il momento.
Mi avvicinai al bancone dopo aver visto Bella girata di spalle che stava finendo di asciugare dei calici.
«Ciao, amore» la salutò Mason, attirando la sua attenzione.
Lei si girò e diede un bacio a Mason da dietro il bancone, poi passò a me. Senza nemmeno salutarmi, iniziò già da subito a prendermi in giro. Insomma, non era una novità e ormai prendevo con filosofia i loro commenti del sabato sera. «Ecco Noah! Finalmente hai deciso di uscire di casa. A cosa dobbiamo l'onore di passare il sabato sera con noi?» chiese ironica Bella riferendosi a me.
Alzai lo sguardo e, quando vidi la persona che nel frattempo era arrivata al fianco di Bella per fare un cocktail o altro con i bicchieri, sbiancai.
«Arya!?»
Arya
Finalmente quella settimana era quasi finita e in quel momento mi stavo preparando per andare a lavorare al bar.
Aprii l'armadio e dopo averlo guardato per un po' parecchio indecisa tirai fuori il mio paio di leggings neri e una maglietta di colore bianco dalle maniche corte. Mi sfilai i jeans attillati che indossavo quel giorno, mi misi i leggings e successivamente anche quella bellissima maglietta larga. Mi guardai allo specchio, controllando che la maglietta arrivasse parecchio al di sotto del mio sedere.
Non si sa mai cosa aspettarsi da un sabato sera con ragazzi ubriachi e direi che è meglio non attirare troppo l'attenzione.
Sul letto avevo ancora la felpa di Noah e so che può sembrare una cosa da pazzi, ma mi piaceva indossarla mentre dormivo. Sapeva di tabacco, ma quel profumo lo stavo adorando veramente tanto. Senza pensarci troppo indossai proprio quella felpa, perché quella sera avrei voluto passarla in tranquillità e lui riusciva a trasmettermela anche solo con il suo profumo lasciato su una felpa.
Presi lo zaino che avevo lasciato sulla scrivania e scesi le scale allegra. Trovai mia madre che stava lavando i piatti e la sorpresi, dandole un bacio sulla guancia.
Si asciugò le mani e mi venne ad abbracciare. «Come mai sei così allegra?» domandò.
«La settimana, fortunatamente, è quasi finita» risposi, sorridendo.
«Stai andando a lavorare?» Annuii. «Se dovessi vedere Agatha, mi puoi avvertire? Non torna a casa da più di tre giorni e sono un po' preoccupata...» disse affranta.
Mia sorella veniva spesso al bar dove lavoravo con il suo gruppo di amici strambi nella speranza di qualche drink gratis, ma ogni volta non accadeva niente di ciò che sperava.
Dentro di me non avevo mai capito il motivo per cui lei si ostinava tanto a sprecare delle giornate, che potevano essere produttive e anche belle alcune volte, per uscire la notte e dormire tutto il giorno.
Una volta ero pure arrivata alla conclusione che fosse un vampiro, ma capii che la mia mente aveva preso a viaggiare troppo.
In quei giorni non mi rispondeva nemmeno alle chiamate e i messaggi non faceva nemmeno finta di visualizzarli. Ero preoccupata anche io come mia madre, ma entrambe sapevamo che si era solo presa una delle sue sbronze e che l'avrebbe smaltita in una settimana.
«Mamma, non ti preoccupare, ci penso io» la rassicurai.
*
«Pronta per questa serata?» mi domandò Bella, l'altra cameriera che condivideva sempre il turno con me, mentre mi mettevo il grembiule nero sopra i miei vestiti.
«Non sai quanto!» esclamai, mostrando il mio estremo entusiasmo.
«Almeno vengono a trovarci due persone molto simpatiche» mi informò.
«Chi?» chiesi curiosa.
«Il mio fidanzato che hai visto tante volte ormai e il suo migliore amico, nonché amico mio. Sarà un po' timido, ma bisogna solo saperlo prendere con l'argomento giusto.»
«Non pensare che voglia fare conversazione con questo tizio, chissà anche quanti anni avrà!» dissi, sapendo già le intenzioni di Bella. Lei voleva lasciarmi lì a parlare con uno sconosciuto, come sempre d'altronde, così lei poteva passare più tempo con Mason, il suo ragazzo.
«Fidati, è una brava persona e poi non parla neanche molto» si giustificò per convincermi.
«Certo, come gli altri che mi aspettano fuori dal locale per chiedermi di uscire» risposi sarcastica.
Bella si avvicinò a me e mi guardò dalla testa ai piedi con una faccia alquanto perplessa. «Questa felpa mi è famigliare... Non è nuova o l'hai già indossata altre volte?»
Bella era veramente sempre impeccabile per via dello stile, mentre io mi mettevo la prima cosa che spesso capitava nell'armadio per essere osservata il meno possibile, quindi quando indossavo qualcosa di diverso lo notava subito. Quella sera il suo nome rispecchiava perfettamente il suo aspetto. Aveva i ciuffi, che solitamente le ricadevano sul viso, legati in un piccolo chignon molto morbido sopra la testa e indossava un maglioncino di tessuto acrilico verde scuro abbinato a degli anfibi. Il maglione le arrivava fin sopra l'ombelico, dove portava un piercing colorato, e come ultimo capo c'erano un paio di jeans normalissimi, che le stavano veramente bene.
«No... Cioè sì. Me l'ha prestata un...» lasciai in sospeso la frase, perché non sapevo come continuare.
«Un?» chiese, volendo sapere a chi mi riferissi.
«Un... un mio amico» affermai alla fine.
*
«Andiamo di là altrimenti il capo chi lo sente» disse Bella, uscendo dal retro del locale per cominciare a servire i tavoli.
Guardai il telefono per l'ultima volta e provai a chiamare Agatha per la decima volta in quella giornata. Il telefono continuava a squillare, ma niente: come le altre volte scattò la segreteria telefonica e riattaccai sbuffando. Lo spensi e lo lasciai nella tasca dei pantaloni. Raggiunsi Bella e la aiutai.
Nel frattempo sentii arrivare il suo ragazzo che la salutò e lei ricambiò. «Eccolo Noah! Finalmente hai deciso di uscire di casa, a cosa dobbiamo l'onore di passare il sabato sera con noi?»
A sentire quel nome mi si ghiacciò letteralmente il sangue.
Non poteva essere assolutamente quel Noah. C'erano un centinaio di bar in tutta la città, non sarebbe mai (ripeto: mai) potuto venire nel bar in cui lavoravo io. Certo, gli avevo accennato al fatto che facessi la barista, ma non avevo mai esplicitato il nome del bar.
Dopo essermi ripresa mi girai per salutare Mason cortesemente e per vedere chi fosse questo famoso bravo ragazzo.
Tornai a essere una statua di marmo. Non sentivo niente, solo l'eco del mio cuore che batteva all'impazzata. Le mie mani si erano pietrificate quando lo vidi dinanzi a me, a un metro di distanza. Improvvisamente un tonfo risuonò nel locale: il calice di vetro che stavo finendo di asciugare mi cadde di mano e si spezzò in mille piccole schegge.
«Arya!?» esclamò Noah, alzando lo sguardo su di me.
*
Avevo smesso di respirare. Sentivo il vociare della gente ai tavoli come un sottofondo musicale. Il tempo si era fermato un'altra volta e l'unica cosa che ero sicura di vedere bene erano i suoi occhi color ceruleo.
«Vi conoscete?» proruppe Bella con uno sguardo che passava da me a Noah.
Mason invece era rimasto in piedi senza capire la situazione, ma in fondo nessuno poteva comprendere quel che stava accadendo, tranne io e forse Noah.
«No...» provai a dire, balbettando.
«Sì.»
Noah ha appena detto il contrario di ciò che ho detto io!
«Cioè... Sì» mi corressi per non sembrare un'idiota, ma evidentemente la mia mente e quella di Noah non erano telepatiche visto che anche lui aveva cambiato la risposta.
«Vi conoscete o no? Decidetevi» intervenne Mason, il ragazzo di Bella.
Andai a prendere una bacinella per raccogliere i pezzi di vetro sul pavimento dietro il bancone, altrimenti ci saremmo tagliate e il nostro capo ci avrebbe pure fatto una ramanzina.
Lo sapevo che ero risultata stronza perché avevo lasciato Noah a sbrigarsela da solo, ma io non ero proprio in grado di reggere il confronto.
Noah parlò quando tornai: «no, non ci conosciamo... Mi sembrava un'altra persona.»
«Ma sai il suo nome» puntualizzò Bella.
Ma deve sempre indagare questa benedetta ragazza?
«Ah, si chiama Arya davvero?» fece il finto tonto. «Sapete che sono molto bravo a indovinare i nomi altrui» si vantò.
«Sì...» rispose Mason, poco convinto.
Mi abbassai e iniziai a raccogliere i cocci di vetro dopo aver messo i guanti per evitare di tagliarmi.
Loro nel frattempo proseguirono il discorso, o meglio, Noah cercò di convincerli che non ci conoscevamo. «Vedi quella ragazza? Ecco lei si chiama Rosalie... Vai a chiederglielo, se non ci credi» propose.
«No, Mason rimane dov'è altrimenti mi toccherà cacciarla fuori dal locale perché ci proverà con il mio ragazzo» fece la gelosaBella. «Ti crediamo» concluse alla fine e mi rialzai facendo finta di nulla.
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