Nuvole Bianche
"L'aereo al gate b per New York è in arrivo"
Diceva la voce robotica dell'aeroporto.
Io però sentivo ancora la voce indistinta di Mike: "Resta. Resta per me."
Non eravamo abbastanza l'uno per l'altro, questo l'avevo capito. Io non ero James, lui non era Theo, e per quanto avessimo provato a rimpiazarli con altri non avremmo ottenuto altro che quello: un rimpiazamento.
Se volevo amare di nuovo avevo bisogno di qualcosa che mi smuovesse l'anima, così come aveva fatto Theo la prima volta. Avevo bisogno anche di credere che fosse possibile accadesse di nuovo. Sostanzialmente dovevo vivere nella terra delle speranze.
In fondo sapevo che era meglio così, piuttosto che accontentarsi di dov'ero arrivato, e chi ero.
Scott una volta mi aveva detto che non ero un mostro, io ci avevo creduto. Forse se sussurrassi a me stesso che posso essere migliore di ciò che sono adesso, forse crederei anche in questo.
Fra le mani stringevo il biglietto del volo per New York, e sotto, l'iscrizione alla Columbia.
Corey diceva che stavo agendo di impulso, ma lui non sapeva cosa si provava ad accasciarsi per terra dalla disperazione, dal dolore. Lui era scappato per non provare quel dolore. Probabilmente non ricordava la volta che mi aveva trovato esattamente così: accasciato a terra, con la trasformazione che minacciava di avvenire, e gli artigli che facevano sentire la loro presenza mentre le lacrime mi scendevano senza freni sul viso. Corey non sapeva che la mia mente aveva rifiutato da tempo di rimanere lì, che aveva incluso questa possibilità sin dalla prima volta che che avevo visto il foglio della Columbia. Ero stato io, che mi ero rifiutato di accettare ciò che il mio subconscio mi suggeriva.
Lo dovevo a me stesso, dovevo andare oltre i limiti che mi ero imposto. E lo dovevo a Theo. Sarei andato nei luoghi che lui non ha potuto raggiungere, ma che aveva tanto desiderato vedere.
Sentivo questo bisogno e questo dovere di ricolmare la sua vita, di dare valore a ciò che lui non ha vissuto e di vivere al posto suo.
La vita ci sembra infinita quando la assaporiamo giorno per giorno,
ma quando ti fermi all'autostop, ti accorgi di tutta la strada che hai già fatto.
Una volta arrivato a New York avrei trovato un lavoro provvisorio, avrei iniziato a studiare legge, avrei vissuto per due.
Forse non era ciò che era giusto, e neanche quello che lui avrebbe voluto per me. Ma non spettava a lui decidere come dovevo affrontare il dolore che mi aveva lasciato.
Per tanto tempo avevo deciso di trattenerlo, ignorarlo e chiuderlo in quell'immagine di lui che mi ero lasciato alle spalle al cimitero, ma se c'era qualcosa che Dublino mi aveva insegnato, e che noi umani non siamo serbatoi: non siamo fatti per trattenere litri e litri e poi svuotarci.
Piano piano, mi sarei liberato del mio debito, avrei affrontato viale per viale la città che era la sofferenza. E quando ogni singola via sarà stata visitata, il dolore si dovrà far da parte e segnalarmi il percorso più veloce per raggiungere la felicità.
"Ultima chiamata per il gate B, aereo per New York."
Sospirai, e mi alzai.
Nelle mani stringevo il biglietto per New York, l'iscrizione alla Columbia, la valigia, e un po' di me e te. E per nessun motivo li avrei lasciati andare.
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