Prologo

«Sai chi arriva oggi, alla base?» si fece strada una voce nel corridoio.

«Ho sentito qualcosa a riguardo... Non trovi che sia più un tornare a casa, per uno come lui? Intendo, non è stato programmato qui?» rispose un'altra, appartenente a un giovane ragazzo in divisa. I suoi occhi ballarono da una parte all'altra, ispezionando l'area che li circondava, prima di bisbigliare: «Io spero solo abbiano fissato quel bug che ha spinto quello prima a tradirci» fece ridere il collega.

«Dovrebbero mettergli un bottone, sai per spegnerlo nel caso smetta di seguire gli ordini».

«È stato creato in laboratorio, magari lo ha già».

«Il termine corretto è geneticamente modificato e non è affatto quello che è successo» li interruppe una voce alle loro spalle. Si girarono quasi in sincronia, trovandosi faccia a faccia con l'oggetto della loro derisione e paura. «Mio fratello è nato dalla vedova di mio padre, mentre io sono il risultato di una fecondazione artificiale, nulla di diverso da quello che fanno molte coppie anche al di fuori di qui» gli sorrise, ammirando le espressioni terrorizzate, i respiri irregolari e l'aumento della frequenza cardiaca. Era a conoscenza di come lo chiamassero alle sue spalle, ciò non voleva però dire che gli piacesse o che avrebbe dovuto accettarlo.

«Ha assolutamente ragione, ci scusi» sussurrò quello alla sua destra, rifiutando di guardarlo negli occhi. Se avesse avuto le abilità di sua madre, quelle più preziose che avrebbero voluto ereditasse, avrebbe saputo se fosse per timore della sua autorità o se fosse per qualche nuova voce sul suo conto. Ai tempi dell'accademia sospettavano fosse in grado di incenerire chiunque incrociasse il suo sguardo, una sorta di Medusa piromane. Scosse il capo a quelle sciocchezze, lo stancavano esattamente come allora.

«Spero di incontrarvi nuovamente, più informati. L'ignoranza non è una scusa, in fondo» li sorpassò, citando il motto della loro agenzia. Non era sicuro fosse stato scelto per gioco o solo una fortuita coincidenza, non che qualcuno lo potesse ricordare: tutti coloro che avevano conosciuto direttamente il fondatore erano morti da almeno un secolo.

Si passò una mano fra i capelli castani soprappensiero, camminando verso la sua destinazione, quando scorse con la coda dell'occhio il suo riflesso sul vetro di una porta laterale. Si pentì subito dei suoi manierismi nervosi, cercando inutilmente di ridare una forma presentabile alla sua acconciatura. Li teneva corti, seppur non al classico taglio militare, ma la loro innata morbidezza dava loro un aspetto disordinato, anche col migliore dei gel. Sbuffò, rinunciando prima che qualcuno lo vedesse in mezzo al corridoio in quello stato. Quel giorno era importante: gli avrebbero affidato una squadra e ancora non riusciva realmente a crederci. Era stato il migliore del suo corso e, nei quattro anni in cui era stato operativo sul campo, non aveva mai fallito una missione, portando eccellenti risultati. Per alcuni esagerava solo per attirare l'attenzione, la verità era che su di lui le aspettative erano alte e con una performance di livello inferiore a quello che si sforzava di mantenere, sarebbe considerato un fallimento dai piani alti. Non era stato programmato il laboratorio come gli altri professavano, ma era comunque il figlio di due agenti importanti e considerati fra le eccellenze dell'agenzia. E con un fratello maggiore così infamante...

«Mi sembri troppo di cattivo umore per qualcuno che è in procinto di ricevere una promozione, sei sicuro di voler apparire così nelle foto?» una figura femminile lo interruppe, sorridendogli.

«Viv!» abbracciò la sua più fidata amica.

«Pensavi mi sarei potuta perdere un giorno così importante?» gli chiese, fingendosi scocciata, mentre approfittava della sua altezza per sistemargli i capelli e la cravatta, che aveva indossato data la formalità dell'evento. Viv era invece in uniforme: dei pantaloni scuri attillati e una giacca imbottita dello stesso colore, con lo stemma dell'agenzia, un sole stilizzato, sul pettorale sinistro. I lunghi capelli neri raccolti in uno chignon, un accenno di matita agli occhi, a complimentare la pece che li colorava, e un rossetto chiaro alle labbra, in contrasto con la sua carnagione dorata.

«Sono felice che tu sia qui» ammise, senza sforzo. Era a conoscenza del fatto che l'altra potesse leggergli i pensieri, seppur limitata a quelli superficiali, non avendo mai avuto l'occasione di affinare la sua abilità crescendo, ma certe cose le voleva dichiarare a voce.

Gli sorrise.

«Ora andiamo, prima finiamo, prima posso darti la torta che la mia Nene ti ha preparato» lo informò, lasciando che la superasse, per poi tenere il suo passo.

«Ultimamente ho il sospetto che mi abbia adottato a mia insaputa» rise, ripensando a tutti i doni che la donna gli aveva spedito tramite Viv. Maglioni, cene, magneti. Piccole cose, senza valore economico, ma senza prezzo dal punto di vista affettivo. Soprattutto poiché non lo aveva mai incontrato.

«Sai che ti adora, se potesse lo farebbe» sospirò l'altra, con la luce di devozione che aveva negli occhi ogni volta che parlava di sua moglie.

«Non so se mi adorerà ancora, ora che dovremo trasferirci».

«Spera in un posto caldo, il freddo non aiuta con le sue articolazioni... Magari accanto all'oceano».

«Non ci resta che entrare, per scoprirlo» prese fiato, raddrizzando la sua posizione, prima di aprire la porta dell'ufficio del suo responsabile.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top