5. Con o senza il tuo permesso

Arrivai al cinema e notai immediatamente Weston in fila alla biglietteria, in mezzo agli altri: indossava dei pantaloni in jeans chiari, una giacca in pelle marrone, una maglietta nera con la scritta colorata "TETRIS" che richiamava l'omonimo gioco per game boy. Ai piedi portava delle converse nere che avevano sicuramente visto tempi migliori, segno che le aveva indossate molto.
Quando mi vide, alzò il braccio per farsi riconoscere. Ricambiai il saluto con un veloce cenno.
Quando gli fui abbastanza vicina, chiarii subito con i presenti alla fila che ero con Weston, indicandolo.
«Ciao» lo salutai.
«Iniziavo a darti per dispersa, sai?» ironizzò lui sulla mia mezz'ora di ritardo. Iniziai a balbettare.
«Scusa, io..»
Non avevo neanche la scusa pronta. Era impensabile dirgli "Sì, sono in ritardo perché ho valutato l'idea di darti buca!"
Alla fine, ero lì.
«Non ti preoccupare, sono felice che sei riuscita a venire» mi bloccò lui, forse perchè aveva notato l'imbarazzo che aleggiava nell'aria per colpa mia. Weston era sicuramente un vero gentiluomo.
Passarono alcuni minuti, tempo che mi sembrò un'eternità. Di tanto in tanto distoglievo lo sguardo dalla fila per portare i miei occhi su di lui: la sua postura era perfetta. Schiena dritta, rilassata, mento non troppo in alto, sguardo calmo e sereno. Una piccola parte di me mi gridò disperatamente di scappare. Non potevo rovinare anche lui con la mia esistenza. Volevo aspirare la sua aura, la invidiavo così tanto. Provai a imitarlo, ma non ci riuscii: mi sembrava di mettermi in imbarazzo da sola senza alcun motivo. Ritornai con la schiena ricurva a nascondere la testa sotto il cappuccio della mia felpa. Visti da fuori dovevamo sembrare una coppia che scoppia da tutti gli angoli: lui bello come il sole, io... semplicemente, io.
«Quando mi hai detto che era un film su Ted Bundy, all'inizio pensavo che tu mi stessi mettendo in guardia. Dopotutto, io sono uno studente universitario, e tu una ragazza che ho incontrato a caso.» La sua provocazione mi fece ridere.
«Non sono stata io ad avvicinarmi a te! Dovrei essere io quella preoccupata, potresti essere suo figlio!» ribattei all'istante e in quel momento mi resi conto di come fosse semplice per Weston farmi parlare.
Conoscevo la storia dell'assassino seriale dai tempi della scuola. Mio padre ci teneva ad avermi a casa subito. Non gli piaceva quando uscivo con persone che lui non conosceva. Oltre al mio atteggiamento scorbutico, questa doveva essere un'altra delle tante ragioni per cui io non avevo amici. Di alcun tipo.
Ancora qualche giorno e anche Weston sarebbe scappato a gambe levate.
«Sai, no avrei mai pensato di parlare di Ted Bundy durante un primo appuntamento» disse mentre avanzava di un passo.
«Perché?»
«Non è esattamente ciò che io definisco roba leggera» rispose. «Non ti preoccupare, se avrai paura potrai sempre stringermi la mano...» continuò con viso da strafottente mentre provava a intrecciare le dita con le mie. Lo spinsi via scherzosamente, non sapendo come reagire alle sue avance.
«Ma piantala, tra poco tocca a noi. Sei mai stato qui?» gli chiesi.
Scosse la testa. «No, mai, ma ho fatto ricerche su questo posto. Durante la guerra, questo cinema è stato vittima di un bombardamento improvviso. Le grandi battaglie solitamente si svolgevano nel cielo della capitale, a Londra, ma la Royal Air Force aveva perso un caccia nazista durante uno scontro e nell'inseguimento sono arrivati sino a qui. La RAF stava per prenderlo e il maledetto per alleggerire il suo carico e aumentare la sua velocità, ha scaricato tutte le sue bombe, colpendo Brighton in pieno, e quel giorno, in questo cinema, c'era una programmazione speciale ordinata dal sindaco. In molti erano venuti a quell'evento per riassaggiare un pizzico di normalità. Morì più della metà dei presenti. Un'uomo è ricordato per aver salvato molte persone, ma di lui si persero le tracce subito dopo l'evento.»
«Che fortuna che quel uomo fosse lì» commentai.
Lui annuì di tutta risposta. «Già. Si dice che i cittadini lavorarono ancora più sodo. Divennero più agguerriti» riprese Weston prima di avanzare e chiedere al commesso due biglietti.
Il film fu molto intenso. Raccontava la storia dell'affascinante assassino e di tutti i suoi omicidi. Non tralasciarono dettagli all'immaginazione, cosa che aveva tolto un po' di tensione ma aveva lasciato, invece, più del dovuto, una strana sensazione d'orrore. Weston era stato abbastanza gentile da prendere due bibite e la ciotola grande di popcorn per poi mangiare tutto da solo. Quel film mi aveva chiuso lo stomaco.
Dopo il cinema, Weston mi portó in spiaggia, a fare una passeggiata sulla riva.
Le onde arrivavano lente e non tiuscivano a raggiungere i nostri piedi. Il rumore che faceva l'acqua che si scontrava sulla sabbia era rilassante.
In lontananza riuscivo a vedere il Brighton Pier e tutte le sue luci.
Durante la nostra conversazione, scoprii che aveva una sorella maggiore appena diventata chirurga e che anche i suoi genitori erano entrambi medici. Lui era il primo della sua famiglia a desiderare di diventare un professore di storia contemporanea.
«Potrei parlarne all'infinito e non stancarmi mai» mi spiegò lui e nonostante fosse poca la luce che illuminava la spiaggia, ero certa che i suoi occhi si fossero illuminati.
«Tu, invece?»mi chiese all'improvviso. «Progetti?»
«Io? Voglio solo risollevare l'attività di famiglia» risposi sinceramente e realizzai che la mia vita e anche la prospettiva del mio futuro più prossimo erano abbastanza tristi.
«Davvero? Nessuna passione che vorresti coltivare?»
Alzai gli occhi al cielo e inspirai. C'era qualcosa che volevo fare.
«Mi piace disegnare tatuaggi, ma non sono per niente brava...» rivelai.
Weston si fermò e io lo copiai dopo qualche passo. Con le mani dentro le tasche della mia felpa lo guardai e accennai un sorriso, confusa.
«Che c'è?»
«Vieni qui» disse tirandomi più vicina a lui.
Mi circondó in un abbraccio caldo e io, sorpresa, rimasi immobile.
Le sue mani accarezzarono la mia schiena dolcemente. Sentii che non aveva nessuna intenzione di lasciarmi andare quando provai ad allontanarmi.
In quel esatto momento scoppiai in lacrime.
Era da parecchio tempo che non mi sentivo in quel modo: non disprezzata e voluta. Per quanto volessi bene a Bonnie, era quasi palese la pietà che provava per me. E, in ogni caso, io non ero sua figlia, quindi non aveva nessun motivo per volermi in realtà.
Piansi sulla maglietta di Weston e non badai al fatto di averla sporcata con il trucco. Lui mi cullò fino a quando non smisi di singhiozzare.
«Non so cosa mi sia preso, scusami» cercai di giustificarmi. Lui, di tutta risposta, catturò le mie labbra con le sue in un bacio dolce e lento. Le sue labbra erano calde e morbide, e sentivo anche il sapore salato dei popcorn.
Nonostante lo conoscessi da poco, nonostante fossi la personificazione del disordine mentale, nonostante non mi considerassi abbastanza...
non mi allontanai.
Risposi al suo bacio prima che fosse troppo tardi, prima che la mia coscienza si risvegliasse e mi riportasse alla realtà.
Quando successe, mi staccai, ancora in lacrime.
Lui non mi trattenne.
Appoggiò la fronte sulla mia e chiuse gli occhi.
«Daisy, non riesco a smettere di pensare a te» sussurrò prima di accennare un sorriso imbarazzato. «Ho come la sensazione di conoscerti da sempre, e voglio essere lì per te quando hai bisogno...»
«Weston, io sono un casino... Io non posso rovinare anche te» risposi e mi allontanai da lui.
Cosa diavolo mi era saltato in mente? Non era da me. Non ero io.
«Non sono il tipo di ragazza che porti da far conoscere ai tuoi genitori, né quella che sta a casa e basta, io...»
Lui aggrottò le sopracciglia e mi guardò con occhi interrogativi.
«Chi ti ha detto che cerco una persona del genere?» chiese, incrociando le braccia al petto.
«Weston, ho abbastanza casini da sola...» cercai di spiegargli.
Lui fece schioccare la lingua sul palato, guardò altrove, poi scattò per riprendermi tra le sue braccia.
«Forse non mi sono spiegato bene. Io ci sarò per te, con o senza il tuo permesso, Daisy.»

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